La Gigantesca Barba Malvagia

Una grossa sorpresa, perché alla fine di questo si tratta. Fra i mille pregi che ha la BAO, fra cui quello di dare degno riconoscimento a scrittori trattati (o venduti) in modo pessimo, c’è anche quello di tirar fuori il coniglio dal cilindro, la classica “storiona” che non ti aspetti.

Opera del giovane fumettista inglese Stephen Collins, La Gigantesca Barba Malvagia è così definito dal Times: “Una parte di satira, una di parabola, una di filastrocca per bambini e una di film catastrofico.” Ha praticamente tutto ciò che un bel libro deve avere.

Dave vive nell’isola di Qui, un posto ordinato, organizzato, completo; tutti sono composti, ogni albero è potato a dovere, la routine degli abitanti di Qui è ossessiva e tutti, anche Dave, ne trovano conforto e concentrano tutte le loro attenzioni su questo prevedibile e perfetto tran tran. Perché tutto ciò? Per tenere la mente occupata e non far pensare al mare e a ciò che vi è dall’altra parte, per non pensare a Lì. Lì è disordine, caos, male, un luogo in cui le normali regole non esistono, né quelle spaziali (“Il sopra è il sotto, il destro è il sinistro, il dentro è il fuori”) né quelle temporali (“L’era è l’ora e il sarà”). Dave è anch’egli una persona abitudinaria, ascolta ossessivamente la stessa canzone delle Bangles, disegna su un taccuino ciò che vede passare per strada davanti a casa sua (situata sulla costa di Qui) e cerca, nel suo ordine, di tenere lontani “i sogni disordinati”. Tutto questo senso di ordine e di compostezza terminerà il primo giorno del Barba Evento: dall’unico, invisibile pelo che gli spuntava dal glabro volto, comincia, senza alcun motivo né preavviso, a crescere un’enorme, incontrollabile, gigantesca barba.

L’impressione che mi ha dato la lettura di questo volume è quella di trovarmi davanti a un vero capolavoro. Si tratta in sostanza di una favola (in molti hanno comparato il graphic novel ai romanzi per ragazzi di Roald Dahl), in cui l’autore riesce però a unire senza la minima fatica e senza neanche appesantire la lettura una forte critica sociale e un’analisi dei primordiali istinti umani, tutto immerso in una matrice quasi religiosa. Si nota nei vari passaggi della storia quando entra nel suo vivo; il mare, simbolo della scoperta e della voglia di conoscenza diventa invece simbolo della paura verso l’ignoto, qualcosa in cui non si può sconfinare proprio perché sconosciuto e diverso da ciò che è familiare, e se ciò che è familiare è perfetto vuol dire che ciò che non è familiare non può che essere imperfetto, disordinato, finendo quindi per incutere paura. Questa avversione a ciò che non si conosce permea la vita degli abitanti di Qui, dato che l’unica volta che Dave, timoroso, si è chiesto di cosa si occupasse la società per cui lavora, nessuno è stato capace di dare una risposta, e ciò nonostante a prevalere è stata la paura di scoprirlo, piuttosto che la volontà di conoscerlo. Lo stesso atteggiamento si nota quando gli abitanti di Qui entrano in contatto con la barba: vengono mostrate prima la curiosità e poi il successivo disprezzo verso Dave, che culmina in un vero sollevamento popolare nei suoi confronti.

La barba, all’interno della mitologia del libro (che comunque ho trovato affascinante oltre ogni misura) è diventata espressione fisica di Lì, che in quanto caos e disordine ha scelto Dave per corrompere la perfezione di Qui in maniera assolutamente randomica. Il finale stesso è geniale, rappresentando la società influenzata dal Barba Evento e che cerca di farlo proprio e renderlo familiare, cerca “di inscatolare il mistero negli angusti limiti della nostra mente”. Fanno da contorno i disegni, veramente riusciti: semplici nei tratti, sobri nella rappresentazione delle figure umane, eppure di una efficacia che raramente ho visto, magniloquenti. Sono molte le tavole a vignetta unica o ancora meglio le vignette a due tavole (alcune davvero spettacolari), e anche la disposizione delle vignette è bizzarra al punto giusto, tanto che ogni pagina girata, specie nella terza parte del racconto, è una nuova sorpresa.

La BAO ha fatto davvero centro con questo libro, 240 pagine per 21 euro, una spesa ottima. Il tenore della storia inizia con spunti “solo” interessanti e col compito di catturare l’attenzione del lettore (prima parte), per poi passare a stimoli più sfaccettati, in un costante crescendo di tensione, di un senso dell’assurdo in grado di far rimanere a bocca aperta alla fine della vicenda, fino a essere accompagnati da un senso di malinconia e inquietudine nelle ultime pagine.

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