La La Land

La La Land, recensione

A bit of madness is key
To give us new colors to see

Qual è il confine tra l’amore e il successo? Come fanno a convivere? I sogni sono sufficienti per condurre le nostre esistenze oppure no? Queste sono solo alcune delle domande che nascono dopo la visione di La La Land, strepitoso musical sospeso in una magica dimensione, tra un presente stressato ed un arcadico passato anni ’50, quello di una rutilante Hollywood che con i suoi film faceva sognare il mondo intero. La pellicola di Damien Chazelle non è solo un omaggio ad un preciso filone cinematografico, così come The Artist rileggeva gli anni del muto. Il regista americano continua a sviluppare le tematiche del suo precedente successo, Whiplash – ovvero il jazz e l’ossessione per la realizzazione artistica – calandole in una cornice reale ed irreale insieme. I due protagonisti ballano in una Los Angeles dura e spietata, ma al tempo stesso capace di donare scenari da sogno e cieli trapunti di stelle, in cui ballare ancora una volta.

La La Land 1

La storia d’amore tra Mia e Sebastian è più che convenzionale: due artisti squattrinati che inseguono i loro sogni di gloria. È la musica ad esaltare il quotidiano, con le stupende note di Justin Hurwitz. La colonna sonora di La La Land è tutto sommato concisa e semplice. Non ci troviamo di fronte alle fastose canzoni degne di Broadway. A parte la straordinaria canzone di apertura – Another day of sun, un incredibile piano sequenza in un ordinario scenario automobilistico – e la corale Someone in the crowd, il resto è dedicato al tema d’amore e ad un duetto di tip tap che rimanda a Ginger Rogers e Fred Astaire. Ma è chiaro come Hurwitz si affidi a pochi temi sinfonici per mandare dritto il suo messaggio: una lode al jazz, una vena nostalgica, e un grande afflato romantico, quella forza dentro ognuno di noi che ci porta a realizzare i sogni della nostra immaginazione.

La La Land 2

Il film si snoda in una scenografia rétro, attenta a miscelare insieme elementi tecnologici del presente ed oggetti e abiti squisitamente vintage, ammiccando a quella nostalgia vera protagonista degli anni 2000, sempre pronti a voltarsi indietro. Sembra che per Chazelle la salvezza possa arrivare solo dal passato, un eden da vivere con dolcezza e con amore, anche sacrificando una parte di successo. Così come in Whiplash il protagonista firmava un patto con il demonio pur di arrivare all’apice della maestria, così Mia e Sabastian inseguono i propri sogni, a costo di perdere tutto il resto. Ryan Gosling ed Emma Stone duettano meravigliosamente bene, e tra di loro si crea una chimica notevole. Ma è la Stone ad emergere, con le sue piccole smorfie, i suoi sorrisi colmi di speranza e di sogno, con i suoi nasi arricciati e lo sguardo triste, soffocato dalle speranze frustrate dello spietato mondo del cinema.

La La Land 3

La La Land non è un film perfetto: è a volte eccessivamente trasognato, ma è capace di parlare del nostro tempo in una maniera del tutto nuova, e a dare all’amore e all’ingenuità il loro posto nel mondo. La canzone finale, The Fools Who Dream, lo chiarisce alla perfezione. Chazelle rappresenta il tutto con virtuosismi moderni, con movimenti di macchina arditi e con piccoli omaggi a tecniche antiche. A volte incede nei campi lunghi, in cui nulla accade, se non travolgenti movimenti dei piedi, oppure trombe volteggianti. Il diluvio di premi già ricevuto, la Coppa Volpi per la Stone, i 7 Golden Globes, le 14 candidature agli Oscar, ne fanno un film di riferimento. Ma non bisogna fermarsi alla superficie. La La Land parla di come costruire una storia d’amore nel 2016 con gli occhi nostalgici degli anni ’50, di come il successo sia un’arma spietata e crudele, e di quanto sia complesso decidere tra una direzione o l’altra. Il film non risponde in maniera puntuale, e preferisce far danzare nell’aria diverse risposte. In parte il brano sinfonico finale ci fornisce una via, sintetizzando in modo incredibile la pellicola, ed è lì che gli animi romantici rivolgeranno i loro cuori. Ma è indubbio come La La Land riesca a costruire quella che Humphrey Bogart chiamava “la materia di cui sono fatti i sogni”.

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