Le Vacanze di Donald

La scelta di Panini di portare finalmente in Italia, e in modo sistematico, il ciclo di graphic novel francesi voluto da Glenat, è stata una mossa felice. I volumi usciti finora hanno fornito interessanti punti di vista “d’autore” sul mondo Disney, pescando artisti dall’Italia e dalla Francia, da dentro e da fuori della loro tradizionale scuderia fumettistica. Anche i risultati sono stati vari e imprevedibili: alcuni autori esterni hanno imparato il linguaggio disneyano, gli interni si sono sentiti liberi di sperimentarne uno diverso, altri ancora hanno provato a importare nel mondo di Topolino la loro personale cifra stilistica. Ne sono usciti albi bizzarri e celebrativi come Mickey All Stars, Topolino Attraverso i Secoli e Horrorifikland e altri molto personali come i volumi firmati da Cosey, Tebo o da Trondheim/Keramidas. Da queste parti siamo rimasti a bocca aperta principalmente per i due volumi firmati da Filippi e Camboni, due fantasy a dir poco suntuosi, variopinti e intrisi di quel sense of wonder che fa sempre piacere veder applicato a Disney. 

Infine, nemmeno nei nostri sogni più bagnati avremmo osato immaginare un volume come Le Vacanze di Donald di Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci. Il motivo è facilmente intuibile: la coppia di autori ha voluto infatti omaggiare con la propria opera la fortunata stagione dei corti d’animazione di Paperino, portando su carta tutti gli elementi e le dinamiche che caratterizzavano il Donald di celluloide a cavallo tra gli anni 40 e 50. Dal momento che uno dei propositi del Sollazzo è proprio l’analisi e la diffusione della cultura dell’animazione disneyana, un albo come questo suonava come un vero e proprio invito a nozze.

D’altra parte, parlarne unicamente in termini “passatisti” equivarrebbe a banalizzare il lavoro dei due artisti, riducendolo a una sterile operazione nostalgia, succube di un’epoca che non c’è più. Sarebbe un pericoloso errore ritenere il Paperino “in salsa classica” visto in questo volume una delle tante bizzarre iterazioni francesi del personaggio, posto per gioco sotto una lente più ortodossa del solito. Insomma, non facciamoci sviare dai bisticci con Cip e Ciop e l’orso Humphrey. Non ci permetterebbero di cogliere appieno la vera natura di questa produzione, che sembra nascere da un ragionamento ben più sottile e profondo di quel che può sembrare a prima vista.

L’impressione è che si sia scelto di “penetrare” Paperino, scrutando dentro ogni suo singolo stato d’animo e trovando di volta in volta i modi più comunicativi di esprimerne le emozioni (l’albo è interamente muto). E il bello è che non si tratta sempre di emozioni “esplosive”. Brrémaud concede a Paperino diversi momenti di quiete, in cui lo vediamo soddisfatto di quello che sta facendo, in cui possiamo pienamente sintonizzarci con le sue sensazioni e immergerci nella sua vacanza, come se fosse la nostra. E identificare il suo punto di vista con quello del lettore regala tantissimo all’esperienza complessiva. Poi, certo, nel corso della storia gliene succedono di tutti i colori e non mancano gag e momenti slapstick, però… senza mai esagerare. Infierire troppo, far cadere sulla sua testa sventure a ritmo incessante tende a divertire ma può essere anche alienante, e nel caso in questione a distrarre dalle meraviglie paesaggistiche dipinte da Bertolucci.

Le tavole del volume sono qualcosa di assolutamente strepitoso. Gli scenari e le soluzioni cromatiche utilizzate coccolano la retina e riconciliano con l’esistenza. E il lavoro sul protagonista tradisce uno studio molto approfondito dell’intera gamma di espressioni di cui il personaggio può disporre. Espressioni che negli ultimi decenni sono state fin troppo spesso dimenticate, in favore di stilizzazioni figlie di una certa tendenza a tracciare linee preconfezionate. Qui Paperino recita e lo fa con tutto il corpo, dalla punta del becco a quella delle dita, svelando snodi, muscoli e punti di tensione a cui nemmeno penseremmo, ma che si rivelano qui determinanti per stabilire con lui un ponte empatico. Possiamo vederlo massaggiarsi con un dito lo spazio in mezzo agli occhi per dissipare la frustrazione, possiamo vederlo afflosciarsi in seguito a un abbiocco, possiamo accorgerci del momento esatto in cui un’ombra di nervosismo lascia il posto a un sorriso di sollievo o ad un sospiro di rassegnazione. Bertolucci si riconnette al percorso evolutivo che gli artisti WDAS lasciarono interrotto vent’anni dopo la creazione del loro personale “Clark Gable” e riparte da lì, recuperando quei tratti che ci si era lasciati indietro e donandoci un personaggio incredibile e comunicativo, a cui è impossibile non voler bene.

Ed ecco perché Le Vacanze di Donald è molto, ma molto di più di un omaggio al Paperino del tempo che fu, impegnato nell’eterna lotta con gli animaletti dispettosi. Non è solo un tributo ai corti di Jack Hannah, o un assist a Carl Barks. E’ una bibbia del personaggio, un autentico seminario per arrivare a comprenderne le possibilità. Uno studio di Donald Duck condotto da persone che, anziché limitarsi ad un superficiale tributo, hanno preferito andare alla radice, non scimmiottando il lavoro degli animatori ma mettendone su carta la lezione, dopo aver imparato a “ragionare” come loro. E al netto del grandissimo apprezzamento che si può avere per tutte le derivazioni o le evoluzioni stilistiche che negli anni hanno investito i personaggi Disney, di volumi come questo continua ad esserci un gran bisogno. Perché l’animazione Disney è un’arte a sé, con regole molto specifiche e un potenziale immenso. Ma è anche un’arte che abbiamo sotto gli occhi sin dai primi momenti delle nostre vite, e che proprio per questo tendiamo a dar per scontata o a fraintendere completamente. Serve oggi più che mai che venga promossa, diffusa e compresa, affinché albi come questo non rimangano più soltanto divertissement o eccezioni, ma veri e propri fari, esempi di cosa sia possibile ottenere quando riusciamo a convincere il pubblico che un papero abbia un’anima.