La Gamescom Secondo Me

Se avete un qualche interesse per i videogiochi probabilmente saprete già cos’è la Gamescom, e quali sono le novità presentate quest’anno alla fiera tedesca. Quello che però i media non vi dicono è tutto il groviglio di esseri umani, file mastodontiche e bratwürst che per l’uomo comune (leggi: chiunque non sia giornalista o investitore) significa quest’evento. Per questo, prima di passare a parlare dei giochi, voglio raccontarvi un po’ dell’aspetto “umano” della Gamescom, dall’alto della mia esperienza quinquennale con l’evento di Colonia. Per quanto riguarda invece la seconda sezione, vi parlerò solo dei giochi che ho provato, che poi sono quelli che interessano a me: se volete una descrizione completa e oggettiva dei giochi presenti in fiera, andate altrove. L’articolo è corredato dalle belle foto del mio “compagno d’avventura” Leonardo, che spero possano dare una buona idea del gradevole caos che regna tra un booth e l’altro. Ma cominciamo dall’inizio.

L’entrata non è molto diversa da quella di un Romics o fiere affini. Ci si dispone su una fila transennata (e lasciatemi dire che non c’è traccia della proverbiale civiltà teutonica in quel mezzo) e si avanza lentamente dentro il parcheggio della Koelnmesse finché non si raggiunge la libertà nel corridoio. Inevitabilmente, con l’apertura dei cancelli a pochi giorni dall’attentato di Madrid, ci si aspettavano controlli di sicurezza serrati. E in effetti, comparato agli scorsi anni, un maggiore livello di allerta si notava, specialmente nel weekend, con la fila per entrare strettamente incanalata e controlli alle borse un po’ più accurati, ma per quanto riguarda la fiera in sé nulla sembra essere cambiato, a parte la sparizione dei “live cinema” che si vedevano spesso gli anni scorsi nei quali un PR o uno sviluppatore giocava una sezione del gioco in mostra su un proiettore o un megaschermo, quest’anno accantonati da tutti i publisher, probabilmente per questioni di sicurezza.

Una volta entrati, ci si ritrova immersi in un mare di gente dal quale emergono booth enormi e coloratissimi e maxischermi che sparano a tutto volume trailer coprendosi a vicenda. Una cosa che secondo me colpisce particolarmente è come i booth cerchino di catturare l’atmosfera dei giochi proposti, o, nel caso delle tre maggiori produttrici di console, l’immagine che i brand vogliono dare di sé: Sony occupa una grossa area in moquette blu, pomposamente ornata da pulsantoni di plastica appesi al soffitto, con un camion trasformato in sala giochi e un’automobile trasformata in simulatore di guida per Gran Turismo; anche Microsoft occupa un enorme territorio, privo però di ornamenti e decorato solo in verde radioattivo e nero, con enormi loghi bianchi di Xbox sui muri; Nintendo, invece, recentemente tornata dal grigio asettico delle due scorse generazioni al suo rosso tradizionale, prende un’area significativamente più piccola rispetto agli altri, schiacciando titoli Switch e 3DS (con le relative code) in pochi metri quadri spesso insufficienti a raccogliere le file che si creano, quasi fosse ignara della sua stessa popolarità – il che sembra una metafora per quanto successo recentemente con le console della linea Classic. Merita una menzione anche THQ, che ha organizzato il booth in maniera tale che chi fa la fila per uno dei cinque o sei titoli con cui il brand tenta di rilanciarsi non possa non vedere le stazioni di gioco e trailer degli altri. Interessante anche Square-Enix, che con sensibilità orientale (e con un pizzico di vanità) ha invece posto a fianco dell’entrata per Final Fantasy XV Windows Edition delle postazioni dove giocare tutti i titoli della serie principale precedenti il nuovo arrivato.

Nintendo

THQ Nordic

Per quanto riguarda gli altri booth, l’elemento più “scenico” degli anni scorsi mi sembra essere stato ridimensionato (forse a causa della line-up non ricchissima di quest’anno): se nelle edizioni passate Warfront poteva permettersi un booth a forma di elicottero al quale si poteva guadagnare l’accesso a forza di flessioni e Homefront: The Revolution (tra l’altro, notate l’incredibile originalità dell’industria videoludica nell’inventare titoli) aveva addirittura soldati che strillavano ordini a chi era in fila per provarlo, quest’anno, con l’eccezione dei cavalieri quattrocenteschi di Kingdom Come: Deliverance, la già menzionata auto di GT e le mucche di plastica di Farming Simulator 2017, la creatività su questo fronte sembra essersi arenata.

L’umanità che si incontra dentro la fiera è, complice il prezzo relativamente contenuto dei biglietti, estremamente varia, con buona pace dello stereotipo per cui i videogiochi interessano solo ai nerd maschi e grassi: ragazzi, adulti, bambini con i genitori, gruppi di amici, e anche un tale che girava armato di melodica suonando il tema dei templi di Zelda II e We Are Number One. In particolare, mi colpisce sempre il numero di ragazze non accompagnate (o, per meglio dire, non “accompagnanti” i propri fidanzati), che si radunano soprattutto (ma non solo) attorno ai giochi di ruolo giapponesi, alle produzioni Nintendo e ad Assassin’s Creed. Inoltre, differentemente dalle fiere italiane analoghe, i cosplayer sono in percentuale molti meno, anche perché la serietà tedesca non prevede sconti sul biglietto per loro. Per quanto riguarda invece la quantità, a causa forse dell’offerta relativamente povera rispetto agli anni scorsi, mi è parso di notare un calo – il che non significa che le file per giochi come Far Cry 5 o Call of Duty WWII non fossero puntellate da cartelli indicanti una attesa prevista di 3 o 4 ore.

Per l’appunto, le file: prima di riuscire a mettere mano a qualsiasi gioco che non sia un qualche indie o un titolo già uscito portato alla fiera unicamente per far numero è normale dover attendere tra una e sei ore. L’esperienza di cinque anni ha permesso a me e al mio amico di gestire le attese in modo tale da riuscire a vedere tutto ciò che ci interessava nel tempo a disposizione senza doverci sottoporre a file titaniche (probabilmente la più lunga che abbiamo fatto è stata quella per Detroit: Become Human, che si aggirava intorno alle tre ore). Per distrarsi dalla noia e dalla scomodità della fila è fondamentale avere con sé un 3DS – non tanto per i giochi stessi, quanto per lo Streetpass: mentre il serpente umano avanza lentamente, si tira fuori il 3DS per controllare se si sono raccolti i dieci paladini che dovranno affrontare il Dark Emperor o se qualcuno ha quel maledetto pezzo di puzzle che ci manca (a proposito, Leonardo, se mi leggi, non ti perdonerò mai l’aver finito tutti i puzzle prima di me).

Spostiamoci però sui giochi della fiera. Ve li proporrò nell’ordine in cui mi vengono in mente, soffermandomi solo su ciò che secondo me vale la pena dire. Solo un piccolo avviso: sarà l’atmosfera, sarà che le sezioni presentate sono ben scelte, sarà che sono scemo io… Ma è estremamente raro che io esca da un booth alla Gamescom senza avere apprezzato ciò che ho giocato. Negli scorsi anni mi hanno dato buone impressioni ReCore, Homefront: The Revolution, Thief – tutti titoli che una volta raggiunti gli scaffali sono stati, chi più e chi meno, assaliti da critiche.

Far Cry 5
Far Cry 5
La serie di Far Cry ha una storia strana. Dopo il classico Crytek e i due seguiti di Ubi Montreal (e i due dimenticabili e dimenticati Instincts e Vengeance), la serie sembra essersi cristallizzata nella ripetizione del modello del terzo capitolo con Blood Dragon, 4 e Primal. La ripetitività è peggiorata dal fatto che Far Cry 3 è stato preso a modello da parecchi altri giochi nel corso degli anni, il che lo ha spogliato completamente della sua freschezza. Almeno nelle intenzioni degli sviluppatori, Far Cry 5 dovrebbe essere un riscatto dal cul-de-sac in cui la serie sembra essersi infilata: i mondi selvaggi tipici della serie sono rimpiazzati da una pigra campagna americana scossa dall’avanzata di una forza paramilitare ultra-cristiana, nella quale si può vedere una sorta di ISIS cristiano o, come ha fatto qualcuno che forse ha la coda di paglia, una parodia dell’alt-right statunitense. Ubisoft nutre grandi speranze nel titolo, come provato dal fatto che nei giorni della fiera alzando gli occhi si vedeva spesso in cielo un aereo da turismo che portava uno striscione col logo del gioco.
La demo era esattamente la sezione mostrata all’E3: dopo aver scelto tra l’appoggio di un cane, un aviatore o una cecchina, cerchiamo di prendere il controllo di un gruppetto di case occupato dai seguaci dell’invasato che si fa chiamare Father.
La demo ha confermato la mia incapacità con gli FPS, della quale posso solo in parte accusare il pad PS4: dopo aver fatto appostare la cecchina in cima a un serbatoio d’acqua, le ho indicato i nemici. A quanto pare, io ero armato soltanto del mio coltello e di alcuni bastoni da lancio (?) [Ho visto ora dei video su Youtube e pare fossero candelotti di dinamite. Boh, non mi sembra di essere riuscito a farli esplodere]. In realtà forse c’erano altre armi che avrei potuto sfoderare, ma la lista controlli era in tedesco, o, come amo chiamarlo simpaticamente e con grande apertura culturale, “incomprensibilese”.
Comunque: appena la mia compagna d’avventura ha dato inizio alle danze, ho tentato di infiltrarmi di lato, venendo prontamente individuato a ogni tentativo dai nemici, finendo puntualmente massacrato. Alla fine ho deciso di interrompere lo stealth dopo aver ucciso corpo a corpo un nemico distratto dalla cecchina e passare all’assalto diretto usando l’arma della vittima. Il metodo Rambo ha inaspettatamente funzionato e il gioco mi ha premiato con una schermata che celebrava la presa dell’avamposto in maniera pericolosamente simile al “consunto” FC3.
A questo punto, mi dice Leonardo, sarei dovuto entrare nel bar catturato e parlare con la barista, il che mi avrebbe condotto a un’altra sparatoria e poi a una sezione in cui Rye ci avrebbe prestato il suo aereo per far saltare dei silos. Peccato che ignorando ciò, io abbia preso la macchina, seguito dalla fedele cecchina, e sia partito in cerca d’avventure, mentre l’autoradio mandava l’equivalente esaltato di Radio Maria e i seguaci del Father finivano come mosche sul mio parabrezza. A un certo punto mi sono anche ritrovato in un conflitto con un toro, che ho risolto dandomela a gambe.
Al di là delle cretinate che ho fatto, Far Cry 5 è un titolo che tenta di rinnovare una serie che si è annodata su sé stessa da ormai parecchi anni tramite una nuova ambientazione e le meccaniche tattiche legate ai gregari; nonostante ciò, sotto la superficie pulsa ancora il cuore di Far Cry 3: ma sarà ancora in grado di pompare sangue fresco?

Assassin’s Creed: Origins
AC Origins
Una serie che ha bisogno, anche più di Far Cry, di un rinnovamento radicale, è decisamente Assassin’s Creed. È di nuovo Ubisoft Montreal a tentare lo svecchiamento con una nuova ambientazione (l’Egitto romano) e soprattutto con nuove meccaniche che strizzano l’occhio ai giochi di ruolo (la gestione dell’inventario e delle armi) e a Zelda BoTW (il movimento in senso lato, dal cavallo che segue autonomamente i sentieri alla possibilità di arrampicarsi pressoché ovunque).
La demo comincia col nostro eroe a cavallo, diretto verso una cittadina. Sin da subito abbiamo moltissimi marker sulla mappa, pochissimi dei quali sono però disponibili nella demo. In città incontriamo un sacerdote che sta frustando un giovane schiavo sopravvissuto per miracolo a un naufragio nel quale sono andate perdute due statuette d’oro: secondo il sacerdote sarebbero state trafugate dal ragazzo. Una breve ricognizione eseguita “windwakerianamente” attraverso gli occhi della nostra aquila ci permette di individuare le due statue, una sul fondo del fiume e l’altra trafugata da una nave greca. Prendendo in prestito una zattera da un ignaro cittadino raggiungiamo il punto del naufragio e, dopo una breve discussione con un ippopotamo che non sembrava troppo contento della nostra invasione, recuperiamo la prima statua. Passiamo poi alla nave greca. Saltiamo a bordo e sgozziamo tutti i greci prima che possano dare l’allarme (aiutati non poco dai tempi di reazione non propriamente immediati dei nemici). Prendiamo anche la seconda statuetta e torniamo dal sacerdote, che scagiona il nostro amico. Dopodiché siamo liberi di girare per la città, dove non mi è parso vi fossero altre missioni giocabili.
Da quel poco che ho giocato, mi è parso che AC: Origins faccia in particolare un lavoro egregio per quanto riguarda il movimento: muoversi, sia a piedi che a cavallo, è un piacere, le arrampicate sono facili e veloci e sia i combattimenti che lo stealth sono responsivi e immediati. Riguardo invece l’elemento ruolistico e la trama, che nella demo sono toccati solo parzialmente, non posso esprimere giudizi.

The Crew 2
The Crew
Anche la demo dell’atipico titolo di corse Ubisoft corrispondeva a quanto visto all’E3: tre brevi sezioni, una in auto, una in motoscafo e una in aereo da giocare di seguito una dopo l’altra. Si tratta di un titolo fortissimamente arcade e volutamente eccessivo, che ci mette alla guida di svariati mezzi mentre un annunciatore celebra entusiasta le nostre gesta. Simpatica l’idea di “ripiegare” come un tappeto l’orizzonte davanti a noi al termine di ogni sezione. Per il resto, è un racing arcade, né più, né meno.

Metroid: Samus Returns
Metroid
L’atteggiamento di Nintendo nei confronti della saga di Metroid non mi è mai stato chiaro: nonostante la fanbase piuttosto ampia, la casa giapponese continua a offrircela col contagocce, riservandole perfino poco spazio in Smash Bros. Quest’anno, però, grazie a MercurySteam, la serie approda per la prima volta su 3DS (non mi risulta sia mai uscito un Metroid per la portatile Nintendo, soprattutto non un mediocre FPS cooperativo) con un remake di uno dei più bei giochi del primo Game Boy, Metroid II. Per aprire la strada al gioco, Nintendo ha persino spedito una diffida al team di appassionati che stava lavorando sul bellissimo AM2R, e dopo un gesto del genere l’unico modo per riguadagnarsi l’affetto dei fan è uscirsene con un lavoro eccelso – e mi sembra che le premesse ci siano tutte.
Armi e ambienti di Samus Returns (bellissimi, questi ultimi, in 3D stereoscopico) sono molto fedeli al titolo originale, con un’unica concessione a un modello “moderno” di gameplay nella forma di un attacco corpo a corpo che se usato correttamente fa scattare un’animazione che enfatizza la potenza del colpo, in maniera molto simile al melee di Shadow Complex (gioco a sua volta ispirato a Metroid!). Non ho esagerato parlando di “unica concessione”, perché il titolo Nintendo è di una impietosa difficoltà che ricorda fortemente giochi d’altri tempi, pur smussata da frequenti punti di salvataggio e di ricarica energia: una decisione inaspettata da parte di quella stessa Nintendo che pochi anni fa inseriva le Super Guide nelle sezioni troppo difficili dei suoi Mario.
Nella demo, ambientata nella sezione iniziale del gioco, che dopo una parte esplorativa molto classica conduceva allo scontro con un boss, che grazie all’utilizzo dello scenico corpo a corpo si faceva molto cinematografico, pur piantando le sue radici in un tipo di gameplay decisamente classico. Insomma, da quel che ho visto, Samus Returns è molto promettente, e ha l’unica pecca è un comparto grafico piuttosto debole (specialmente il modello di Samus sembra preso di peso dal Nintendo 64!)
Una piccola appendice: Nintendo avrà pur bloccato AM2R, ma il fangame è chiaramente presente al team di Samus Returns (sia la schermata del titolo che l’introduzione che riassume la trama del primo Metroid, delle quali non trovo immagini, sono estremamente simili).

Fire Emblem Warriors
FEW
Da qualche anno la serie Warriors, tradizionalmente dedicata a personaggi storici giapponesi, si è aperta ai crossover, che ci hanno portato ad avere Musou di Zelda, Dragon Quest, Ken Il Guerriero: questa è la volta di Fire Emblem.
Non c’è molto da dire su questo Warriors, che è esattamente quanto ci si aspettava: si corre da un capo all’altro di enormi campi di battaglia per soccorrere il nostro esercito o incalzare quello nemico, e per strada si fa strage di nemici mossi da una IA inesistente. Aggiungete a ciò vagonate di fanservice firemblemesco e il bellissimo stile grafico cartoonesco della saga e ve ne farete un’idea sufficientemente accurata.

Super Mario Odyssey
Odyssey
Non credo che ci sia bisogno di presentazioni per la nuova avventura tridimensionale dell’idraulico eroe portabandiera di Nintendo. Il marketing della casa giapponese sta scommettendo tutto su Odyssey, al punto di proporlo come il primo vero seguito di Sunshine e 64.
La demo consentiva di scegliere tra due livelli, uno – che il ragazzo del booth mi ha descritto come più classico – di ambientazione desertica, e l’altro, pienamente nuovo, ambientato a New Donk City. Il livello ricorda un po’ Sonic Adventure per l’accostamento protagonista cartoonoso – umani “realistici”, mentre per il taglio aperto ricorda piuttosto la libertà dei mondi di Super Mario 64. Analogamente ai livelli di quest’ultimo gioco, abbiamo una serie di stelle – anzi, stavolta sono lune – da raccogliere in giro per il livello, facendo cose che ci vengono apertamente richieste (come raccogliere i musicisti per la festa che il sindaco Pauline sta organizzando) o che scopriamo esplorando (per esempio trovare Captain Toad nascosto in un angolino sull’orlo di un precipizio). Il ritmo del gioco è assicurato dal fatto che dopo aver ottenuto una luna non veniamo teletrasportati via dal livello, ma rimaniamo dentro, in cerca di altre cose da scoprire. Muoversi in giro per la città è divertentissimo e pur garantendo notevole libertà negli approcci (si salta sulle macchine, ci si aggrappa ai cornicioni, ci si appende ai lampioni), presenta piccoli e creativi enigmi ambientali. Se per esempio dobbiamo raggiungere il tetto di un edificio, bisogna fermarsi un momento a studiare il modo per arrivarci, che sia fare parkour da un tetto più alto, o sfruttare Cappy per possedere i cavi elettrici che arrivano a quel tetto.
Odyssey è inoltre l’unico gioco Switch alla fiera che abbia provato usando i joy-con staccati, e devo ammettere che il sistema di controllo non mi ha fatto impazzire, in primo luogo perché i controller sono un po’ troppo piccoli, ma soprattutto perché l’analogico tende ad essere troppo sensibile, a tal punto da avermi causato almeno un paio di morti, cosa imperdonabile in un platform, specialmente considerando che è opera della stessa casa che ha prodotto il meraviglioso analogico del GCN. I motion controls sono presenti in minima quantità (sono usati unicamente per lanciare Cappy) e sono assolutamente facoltativi. Per quanto riguarda invece l’aspetto grafico, il gioco è ovviamente una gioia per gli occhi, il mondo è coloratissimo e dinamico, e risponde vivacemente a tutte le sollecitazioni, con l’unica pecca di un eccesso di aliasing che sullo schermo televisivo si fa notare un po’ troppo.

Mario + Rabbids: Kingdom Battle
Kingdom Battle
Il gioco è uscito pochi giorni dopo la fine della Gamescom ed è ormai ampiamente recensito in giro, per cui mi limiterò a un paio di osservazioni: la prima sull’inaspettata profondità tattica delle battaglie – sfruttare il boost di un alleato, entrare in scivolata su un nemico, sparare a una copertura per distruggerla sono soltanto alcuni dei metodi in cui si possono sfruttare le possibilità a nostra disposizione; e la seconda sul comparto tecnico: il mondo è vivace e colorato, i personaggi reagiscono con personalità a quanto avviene attorno a loro e l’eccellente antialiasing (probabilmente il migliore che ho visto finora su Switch) dà al tutto una deliziosa e “giocattolosa” profondità. Complimenti ai ragazzi di Ubisoft Paris e Milano che hanno reso possibile questa gemma.

The Elder Scrolls V – Skyrim (Switch)
maxresdefault
Nintendo Switch è la sesta piattaforma (grazie Wikipedia) a ricevere una edizione del celebre gioco di ruolo Bethesda. Questa demo è stata il mio primo incontro con il gioco, decisamente non dei più positivi: la sezione inizia con la separazione dal nostro ex compagno di prigionia, che ci invita a raggiungerlo al suo villaggio. Andiamo da lui e parliamo con la sua compagna, in una sezione mal recitata dai personaggi e mediocremente doppiata, e veniamo spediti a Whiterun, dallo Jarl (fra l’altro, durante il dialogo è bastato premere B davanti a uno dei personaggi perché, dimentico della conversazione in corso, dicesse una frase casuale, creando uno straniante dialogo-nel-dialogo). Andando verso Whiterun restiamo incastrati tra due rocce che ci impediscono di muoverci in una qualsiasi direzione e questa è la fine dell’avventura del Dragonborn ci troviamo costretti a liberarci tramite fast travel e rifare la strada, ma il tempo a nostra disposizione termina prima di arrivare al cospetto dello Jarl.
Mentre io litigavo col bug che mi ha incastrato, il mio amico è riuscito a raggiungere lo Jarl, e a comandare al suo personaggio di sedersi sul suo trono mentre lo Jarl stesso vi era seduto, “incastrando” comicamente il personaggio nel mezzo dell’animazione.
Al di là di questi problemi, che fanno somigliare il gioco più a una alpha che a una riedizione a sei anni di distanza dall’originale, e che a quanto pare erano già nel titolo originale, il porting di Skyrim, che ho provato in modalità portatile, è solido, ad alta risoluzione anche sullo schermo della console e privo di cali di framerate. È stata inoltre la prima volta che ho usato lo Switch in questa modalità e l’ho trovata molto più comoda rispetto ai soli joy-con.
Piccolo epilogo: ho scaricato la Special Edition durante il free weekend di Steam e ho in parte capito il fascino di Skyrim… ma mi resta totalmente incomprensibile come una cosa così incompleta e mal eseguita possa aver piazzato 30 milioni di copie (grazie ancora Wikipedia) in tutto il mondo.

Detroit: Become Human
Detroit
L’unico titolo portato da Sony che quest’anno mi interessasse è la quinta opera di David Cage. Forse per evitare spoiler, la demo era esattamente la stessa della scorsa Gamescom (e dello scorso E3, e di questo), con la differenza che stavolta era giocabile e non solo “ammirabile”.
Purtroppo, l’impostazione della lingua era la peggiore possibile: se fosse stato in inglese avrei potuto giocarci regolarmente; fosse stato tutto in tedesco avrei potuto dire: “Boh, non ho capito niente e poi la bambina è morta LOL”. E invece era con audio in inglese e testi in tedesco – in altre parole, capivo cosa succedeva ma non cosa facevo, e il mio playthrough è stata una scena tragicomica in cui riuscivo ogni volta a fare la scelta diametralmente opposta alle mie intenzioni, cosicché il fatto che io sia riuscito a salvare l’ostaggio (ma non il rapitore, né il poliziotto) è da considerare un mezzo miracolo.
Dal punto di vista tecnico nulla è cambiato dall’anno scorso [EDIT: a quanto pare mi sbagliavo]: gli ambienti sono splendidi, le inquadrature cinematografiche, i volti probabilmente i più belli mai visti in un videogioco. Peccato che la grande tradizione di trame iniziate bene e finite malissimo di David Cage non lasci molto spazio alla speranza…

Forza Motorsport non-so-che-numero (e Xbox One X)
Forza 3
Come avrete dedotto dal titolo, non sono esattamente il più grande fan di Forza (né dei racing in generale, con qualche eccezione) e ho fatto la fila unicamente per vedere con i miei occhi cosa è in grado di fare un Xbox One X (che tra l’altro è stato portato alla fiera nella forma di devkit con tanto di schermino LCD con contatore degli FPS).
La gara che ho scelto tra le tre disponibili dava un eccellente esempio del tempo dinamico che il gioco, grazie anche alla potenza della macchina Microsoft, è in grado di sfoderare: cominciamo la gara sotto un cielo grigio che ben presto comincia a fare le prime gocce, che si trasformano in un acquazzone, mentre pozzanghere si formano ai lati della pista, poi progressivamente si spegne… Giusto in tempo perché, superata l’ultima curva, all’altezza della quale si trovava un edificio che bloccava la visione del cielo, le vediamo diradarsi per far spazio a un bellissimo tramonto – trucchetto molto cheap davanti al quale io, che di solito sono solo relativamente interessato alla grafica intesa come conta di poligoni, mi sono fatto sfuggire un sorrisone.
XB1X

Need For Speed: Payback
Payback
Proprio come Assassin’s Creed e Far Cry, NFS è una serie che ha un gran bisogno di novità: un tempo ricchissima e originale, apprezzata per la sua creatività anche da chi come me non ha un grande amore per il genere, la serie EA si è da parecchi anni cristallizzata in una serie di mezzi esperimenti poco riusciti affidati a svariati team. Quest’anno è la volta di Ghost Games, che porta fino in fondo le suggestioni “Fast&Furiousesche” che NFS ha sempre sfoggiato scodellando una avventura dal taglio fortemente cinematografico, in cui le corse sono soltanto un elemento nel mezzo di una avventura esageratissima, americanissima, e tamarra fino nell’anima.
Purtroppo, però, l’esecuzione non è degna delle premesse. Nella missione in demo, tratta dal terzo capitolo, ci viene richiesto di inseguire un camion per sottrarre l’auto che trasporta, che fa gola al tale che ci commissiona l’operazione. Nella missione dobbiamo quindi inseguire il camion. Dopo un po’ che ci teniamo nella sua scia, spuntano in suo soccorso delle auto nere che tentano di buttarci fuori strada – ed è qui che spuntano anche i problemi. Infatti superare le automobili nemiche e tornare alle calcagna del camion è facilissimo – ma non è quello che il gioco vuole: dobbiamo distruggerle per andare avanti. Okay, rallento, aspetto che mi raggiungano e mi preparo a speronarle. Lavoro facile. Peccato che a un certo punto io decida di spingerne una verso il deserto ai bordi dell’autostrada – solo per essere accolto nel mezzo del processo da un messaggio che mi avvisa che sto abbandonando l’area della missione. È soltanto obbedendo ciecamente (e noiosamente) agli ordini dettati dal gioco che posso raggiungere il camion (stavolta col permesso del gioco) e consentire alla procace protagonista di abbordarlo e tirarne fuori la macchina da rubare mentre il camion esplode. Segue una sezione di gara tradizionale, sanza infamia e sanza lode.
Insomma, Paybackè un gioco che parte da premesse non particolarmente raffinate ma sicuramente interessanti, però, almeno allo stato attuale, se le perde per strada, speronate come le auto nere dei nemici.

Super Lucky’s Tale
Superlucky
Dopo il boom vissuto tra anni ’90 e Duemila, il genere del cosiddetto “mascot platformer”, quel tipo di platform caratterizzato da un’estetica tenera e cartoonosa che spesso maschera una difficoltà non indifferente, sembrava essere morto e sepolto, con i soli Mario e Sonic a portarne avanti (il secondo con qualche inciampo) l’eredità. Negli ultimi anni, a partire dall’uscita del discusso Yooka-Laylee, il genere sembra invece stare vivendo una seconda giovinezza, come anche il “ritorno alla forma” di Mario Odyssey che ho menzionato più su sembra suggerire. E dentro questa nuova ondata si piazza anche questo Super Lucky’s Tale presentato da Microsoft. Il gioco ha una grafica tenerissima e un mondo estremamente reattivo (anche troppo, visto che aver involontariamente fatto cadere in un pozzo senza fondo un uccellino in volo mi ha fatto sentire terribilmente in colpa), e prova a riproporre quella accoppiata di controlli precisissimi e difficoltà impietosa che caratterizzava i giochi Rare dell’era N64, ereditandone anche la passione per i segreti e i collezionabili. È bello vedere che in un’era di Skylanders e Super Guide i giochi “per tutti” non devono essere per forza di cose estremamente semplici e semplicistici (sto guardando te, Knack).

Sonic Forces

Un altro platform, e un’altra serie alla disperata caccia, da ormai troppi anni, di una verginità creativa che sembra sempre sfuggire. Nonostante la popolarità del recente Sonic Mania, Forces aveva alla fiera una fila decisamente scarna, segno probabilmente della poca fortuna di cui godono le avventure tridimensionali del porcospino blu.
La demo consisteva di tre livelli – una boss fight 2D per il Sonic classico, un livello 3D per il Sonic moderno e una sorta di ibrido per l’avatar customizzabile (che nella demo era già creato). Sul livello bidimensionale c’è ben poco da dire: dopo una breve sezione presa di peso dal primo Sonic per Mega Drive, Robotnik si piazza sullo sfondo e comincia a sparare delle palle di cannone che dobbiamo respingere al mittente, al modo di tante boss fight “a due piani” che si incontravano nell’era SNES; il livello del Sonic 3D ricorda tante sezioni già viste da Adventure in poi – con la differenza fondamentale che la velocità resta sempre alta, e non si ha mai la sensazione che correre ci impedisca di reagire in tempo all’apparizione dei nemici; il livello dell’avatar mi ha invece dato una sensazione molto peggiore, con un lanciafiamme scomodo da usare e una impostazione che in generale, al modo dei Sonic meno riusciti, puniva la velocità.

Biomutant
Biomutant
La pietra angolare del rilancio di THQ è un titolo che, annunciato in sordina su una rivista tedesca, sembra cavalcare il rilancio dello strano sottogenere della fantascienza che mi piace chiamare “sci-furry”, e che negli anni ’90 contava innumerevoli rappresentanti in tutti i media: Starfox, Biker Mice, Jak & Dexter, PKNA, Ratchet & Clank. Negli ultimi anni, col ritorno delle ultime due serie che ho menzionato nel mio piccolo elenco, il genere sembra stare vivendo una seconda giovinezza, dalla quale non è probabilmente estraneo il rinascimento del mascot platformer di cui ho parlato sopra.
La demo consentiva di creare il nostro procione-gatto-quel-che-è mutante e poi usarlo in una serie di battaglie. Il gioco – che è vistosamente ad uno stato molto arretrato dello sviluppo – ha un battle system che mescola un uso delle armi da fuoco che ricorda già citato Ratchet & Clank con meccaniche corpo-a-corpo che rimandano piuttosto agli action più classici, à la Devil May Cry o Bayonetta – tutto questo ibridato con elementi da gioco di ruolo, come denunciato dai numeri che quantificano la forza di ognuna delle mazzate che scagliamo o subiamo.
È decisamente presto per dare un giudizio sulla creatura mutante nata in casa THQ: possiamo comunque già dire che le fondazioni ci sono, e che se condite da una narrazione all’altezza e da un mondo interessante da esplorare, Biomutant potrebbe rivelarsi una piacevolissima sorpresa.

Kingdom Come: Deliverance
KFC
Ho volutamente lasciato per ultimo il titolo che aspetto con più trepidazione, il promettente gioco di ruolo ad ambientazione storica, il “Dungeons & no Dragons”, di Warhorse, che se ben fatto rischia di diventare il mio gioco preferito. Purtroppo, devo dire che la mia esperienza alla Gamescom non è stata delle migliori.
Probabilmente, la demo proposta non era pensata per i tempi ristretti della fiera, e su suggerimento della ragazza del booth ho dovuto saltare il video introduttivo che spiegava gli eventi della Boemia quattrocentesca nella quale è ambientata l’avventura – rovinando già da ora la mia possibilità di godermi l’ambientazione.
La demo comincia all’inizio esatto del gioco, quando nostro padre ci affida una serie di faccende da sbrigare. Per prima cosa, bisogna andare a riscuotere denaro da un nostro debitore, che però, a causa del nostro basso livello di speech, non riusciamo a convincere, e che anzi ci aggredisce. Segue uno scontro che ho trovato un po’ goffo, dopo il quale il debitore, alleggerito di qualche dente, ci consente di prendere qualsiasi cosa da casa sua per appianare il debito. Prendiamo tutto il prendibile e andiamo alla taverna dove lavora la nostra ragazza, dove nostro padre ci ha mandato a comprare birra. Quando arriviamo, un tale sta parlando male dell’imperatore Venceslao. Dei nostri amici propongono quindi di andare a ricoprirgli di sterco la casa – missione probabilmente divertente, ma alla quale ho rifiutato di prendere parte, con sommo dispiacere della brigata. Presa la birra, e comprato del carbone, torniamo da nostro padre… Ma il tempo a disposizione per la demo termina. E così me ne vado, senza aver visto l’ombra del decantato battle system basato sulla scherma storica, o degli eventi storici ai quali più avanti nel gioco si prende parte.
Vorrei dire di aver visto con i miei occhi almeno un barlume della cura storica, della profondità ruolistica, della vastità del mondo, della narrazione coinvolgente che trailer e testi promozionali promettono da mesi. Purtroppo, nonostante il gioco sia probabilmente già ricco di contenuti, il booth è stato malgestito, e non posso decisamente dire di averne avuto una prova sufficiente.

Appendice: Le cose che NON ho visto – Surviving Mars e Games In Italy
GIVOCHI ITALICI
Avendo visto il promettente trailer di Surviving Mars, ci tenevo a provare il gestionale marziano di Haemimont Games – peccato che, arrivati al booth di Paradox Interactive, il publisher del gioco, incontriamo un fan, appostato nella speranza di ottenere un autografo, che ci spiega che, pur essendo nell’area aperta al pubblico, il booth è “V.I.P. only”. Bah.
Un’ultima delusione: uscendo dalla fiera al termine del primo giorno, io e il mio amico siamo stati colpiti dal manifesto che vedete in foto. Nelle scorse edizioni siamo passati a fare un saluto ad HeartBit Interactive e ai ragazzi di Forma.8, e ci sarebbe piaciuto passare anche quest’anno allo stand degli italiani, stavolta organizzato con tutti i crismi con tanto di patrocinio del Ministero degli Interni! …Peccato che anche questo fosse unicamente per stampa e investitori.

Sony