Disney+ a Bocce Ferme

Premetto: io sono un dinosauro, colleziono animazione Disney su supporto sin dai tempi delle videocassette, ho fatto il salto al dvd e poi al blu-ray e non rinuncerei mai e poi mai al formato fisico. La roba la voglio possedere, non mi fido di noleggiarla su licenza e mi piace esporla sullo scaffale. Eppure Disney+ lo attendevo comunque, e non mi è mai sfuggito il suo enorme potenziale: una maggior penetrazione culturale del materiale disneyano, un’interessante occasione per vedere che storytelling aziendale adotterà d’ora in avanti la Company per presentarsi al grande pubblico ma soprattutto… l’occasione di accedere a contenuti che trovare in formato fisico era decisamente scomodo, se non impossibile. Ho quindi abbracciato il cambiamento, senza rinnegare le mie convinzioni, e a un mese dal lancio mi ero già abbonato al servizio.

La notte dello sbarco della piattaforma in Italia ero attaccato al computer, in attesa di vedere l’effetto che la cosa avrebbe avuto e soprattutto quali feeling Disney+ potesse dare a una persona come me. Ecco, parliamo un attimo di me. Io ho creato il Disney Compendium (che domani compirà sei anni!) un progetto online votato al riordino e alla classificazione di questo materiale tanto amato, quindi per forza di cose il mio punto di vista non poteva prescinderne. E infatti al momento provai emozioni contrastanti: graficamente la piattaforma presentava delle similitudini con il Compendium, fatto di pinacoteche visive, quadratini messi in fila e via dicendo. A conti fatti però… era la fiera della confusione. Errori su errori, scivoloni in ogni campo, titoli sbagliati, mancanze, film messi nelle sezioni sbagliate, un minestrone caotico e schizofrenico. La mattina dopo qualche correzione era stata fatta, ma soprattutto erano apparsi in home dei pulsanti che rimandavano alle diverse aree produttive disneyane (Marvel, Pixar, Star Wars), per cui tirai un sospiro di sollievo. Ora, a una settimana di distanza c’è ancora molto lavoro da fare, mancano titoli, certi criteri di inclusione non hanno molto senso ma qua e là si inizia a scorgere qualche spiraglio di luce. Il problema grosso rimane la sezione Disney. Ovvero quella in cui hanno fatto rifluire qualsiasi contenuto prodotto da reparti interni e non successivamente acquisiti. Film animati, live action per famiglie, sitcom per teenager, serie prescolari si mescolano insieme senza un criterio preciso. Mi rendo perfettamente conto che la piattaforma non sia pensata per un pubblico di nicchia ma per la massa, tuttavia mi lascia perplesso che la Disney voglia “raccontare” sé stessa in questo modo.

La cosa peggiore è ovviamente la mancanza di una distinzione effettiva per le opere dei Walt Disney Animation Studios, ovvero il loro studio di animazione principale, il nucleo dell’impero. I WDAS hanno impiegato molti anni per cercare di far percepire la propria identità artistica in una giungla produttiva eterogenea, e ultimamente ce l’hanno fatta tornando ad essere la “punta” della multinazionale. Riuscire a comunicare questa “differenza” dal resto dei reparti è sempre stato un po’ lo scopo del mio operato online. Trovo quindi profondamente ingiusto che mentre Pixar o Marvel possano godere di una loro sezione apposita, i WDAS vedano il loro materiale mescolato insieme ai sequel televisivi, al materiale di seconda fascia o – peggio ancora – nel menu animazione vengano accostati ai film Blue Sky o di Don Bluth. Ci abbiamo messo decenni a estirpare dalla mente delle persone l’idea che Anastasia fosse Disney, a spiegare come mai i seguiti da cassetta fossero di bassa qualità o a determinare la cosiddetta “lista dei classici”. Ora in un colpo solo abbiamo fatto un balzo indietro di quindici anni. Non è un problema solo di rivendicazione artistica da parte del reparto di un’azienda, ma anche di quello che il pubblico stesso sul lungo termine può percepire. Se tu, Disney, vendi allo stesso modo Il Gobbo e Il Gobbo 2, che messaggio arriva all’utente inesperto? Queste sono questioni che si pensavano affrontate e risolte molti anni fa, per cui fa strano ripiombare nel medioevo.

Questo non vuol dire che io abbia un’opinione negativa del prodotto. Sebbene ritenga questa questione molto grave su una prospettiva ampia, mi rendo conto che i benefici superano le pecche. E anche questa grossa, grossissima, imperdonabile pecca, la risolvi con niente. Basta creare un menu in più, un nuovo criterio d’inclusione, qualsiasi cosa va bene. Niente è inciso nella pietra, molto è fluido, chi vivrà vedrà. Nel frattempo però ho avuto modo di navigare comunque e di trovare documentari, cortometraggi e serie che nell’epoca pre-piattaforma sarebbe stato scomodo e difficile rintracciare, per cui bene così. A questo proposito merita una menzione d’onore proprio il progetto Shortcircuit (Cortocircuito) dei Walt Disney Animation Studios, che la piattaforma propone come se fosse una sorta di programma unico, suddiviso in quattordici brevissimi cortometraggi. Non è fra le prime cose che si trovano in home, bisogna scavare un po’, ma è una cosa che consiglio caldamente. Queste quattordici meraviglie fanno quello per cui lo studio da sempre è famoso: sperimentano. Con la musica, con le immagini, con le emozioni. Non si tratta di vignette a basso budget, ma di vere e proprie ipotesi evolutive dell’arte dell’animazione. Alcuni raccontano storie buffe, altri sono bizzarri, altri ancora decisamente coraggiosi e riservano addirittura un retrogusto macabro. Alcuni sono più belli, altri meno, ma tutti quanti portano avanti quello che è davvero il punto focale della politica WDAS: il continuo ragionamento su quale direzione far prendere al proprio comparto visivo. L’obiettivo è sempre il solito, ovvero trasporre in una nuova forma i principi estetici della tradizione Disney. Ecco quindi animazioni ibride, chiazze di colore, rendering pittorici in un continuo rimbalzo tra due e tre dimensioni. L’effetto? Come se ci avessero regalato una specie di mini-Fantasia di frontiera, spedendocelo dritto dritto a casa nostra. Il mio consiglio è ovviamente di recuperarvelo quanto prima, dandogli precedenza su tutto. Perché è qui dentro che troviamo la radice, il significato più profondo e la vera ragion d’essere di quel marchio che dà il nome a questa nuova piattaforma. Alla base di Disney c’è l’animazione Disney, e alla base dell’animazione Disney c’è la sperimentazione visiva. Gli Shortcircuit, con tutto quello che rappresentano, sono il vero nocciolo della baracca. Tutto il resto è accessorio.