Gli Incredibili 2: Bello, ma.

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Gli Incredibili 2 è molto buono. Merito di colui che ritengo uno dei più grandi registi cinematografici di sempre, il geniale Brad Bird, l’uomo che ha fatto dell’interazione brillante, dell’umorismo sofisticato e della recitazione carismatica i propri marchi di fabbrica. Non esiste film di Brad Bird, (pixariano e non) che non mi abbia saputo regalare almeno un ghigno di verace soddisfazione, che non abbia solleticato in qualche modo la mia sensibilità, facendomelo sentire vicino. Complice. Compagno di bevute. Accadde per Il Gigante di Ferro. Accadde per buona parte del primo Incredibili. Accadde con effetti devastanti per tutta la durata di Ratatouille. E poi accadde anche con Tomorrowland. E’ accaduto pure stasera, in svariati momenti. Specialmente nelle scene di vita quotidiana, in quelle che riguardavano Mr. Incredibile, Edna Mode e Siberius. Umorismo di livello, recitazione raffinatissima, cinema d’animazione che sa il fatto suo.

Peccato che un tale estro, un tale bendiddio non sia supportato da un’idea narrativa altrettanto forte. La trama altro non è che un breve corollario a quanto detto nel 2004. Le ultime sequenze del primo film, che concludevano la storia in modo un po’ rapido e forse ingenuo, vengono reinterpretate e inglobate in una struttura più complessa. Viene fatto un passetto indietro per poter proseguire. I poteri di Jack-Jack, la legalità dei supereroi, tutto ciò che sembrava “risolto” diventa il focus della vicenda. E, come spesso accade nei film Pixar e WDAS a sfondo action/investigativo, la trama puramente gialla risulta piuttosto prevedibile e i colpi di scena telefonati. Nulla che invalidi il godimento, per carità, stiamo pur sempre parlando di intrattenimento incalzante, fatto da gente che lo sa fare. E probabilmente questo sequel risulterà pure più equilibrato e omogeneo del predecessore, che risultava un po’ spezzato in due tra la prima e la seconda parte. Però il primo Incredibili nel 2004 aveva avuto coraggio, mentre nel 2018, l’epoca dei cinecomics Marvel, un film così nasce praticamente già scritto. Insomma, si sente un po’ la mancanza di quel selvatico e travolgente impeto creativo della Pixar degli inizi, un impeto che lo studio riesce ancora a esprimere quando non è costretto a fare i sequel, come dimostrano Coco e Inside Out. Quel desiderio bruciante di dire qualcosa di nuovo, di iniziare un proprio discorso, di stupire davvero, di cambiare il cinema per sempre.

Anzi, no. Tutto questo in realtà è in Bao, il corto che precede il film. Una delle cose più geniali, surreali, pazzesche e struggenti che gli studios abbiano mai avuto il coraggio di mettermi davanti. Difficile dimenticare quei dannati otto minuti. E per fortuna.
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