Endgame – Oltre il Cinecomic

Non penso sia nemmeno più utile tessere le lodi del Grande Esperimento. In dieci anni e in più di venti film Kevin Feige ha rivoluzionato il suo settore, spingendo sia i produttori sia i fruitori dei cosiddetti cinecomics a ragionare “in profondità” e non più solo sul breve termine. Dopo essersi intravista nel primo Avengers del 2012, la visione di Feige è stata portata avanti di prepotenza, con fisiologici alti e bassi, fino a raggiungere esattamente un anno fa il suo svelamento totale. Con Infinity War il mosaico si è compiuto, se ne è vista la potenza devastante e tutti ne hanno raccolto i frutti. Fidelizzazione estrema, iconicità e uno schiocco di dita entrato automaticamente nella storia del cinema.

Dopo dodici mesi (e altri due film) quel discorso lì viene portato a conclusione. Con una pellicola che in parte fa quello che si suppone dovesse fare, ma decide di farlo in modo tutto suo, con un approccio personale e… spiazzante. Spiazzante nella scelta dei tempi narrativi, spiazzante nel modo in cui si decide di far reagire tra loro gli elementi presenti in scena e spiazzante per come alcune icone vengono trattate. E va bene così, va assolutamente e incredibilmente bene così. Quello che Feige e i Russo dovevano dimostrare l’hanno dimostrato PRIMA, la fiducia del pubblico e dei capoccia se la sono conquistata definitivamente l’anno scorso arrivando a produrre il miglior cinecomic di questa generazione. Adesso si faccia a modo loro. Ed è giusto che la narrativa faccia quello che la narrativa deve fare: disattendere le aspettative del pubblico, anziché esserne succube.

Perché adesso è tempo di andare OLTRE il cinecomic, oltre il concetto artefatto di supereroe, di crossover, di mantello, di tutina e di action movie. Endgame è un film post-traumatico, che prende il materiale narrativo rimasto sul tavolo e lo impasta senza preconcetti, senza troppi stilemi, prendendolo per quello che è: una storia di persone, prima ancora che di eroi. Una storia tragica e buffa, una storia cinica ma ancora piena di sense of wonder. E se questo vuol dire chiudere la saga supereroistica più importante della storia del cinema con un film che per due terzi è fatto di dialoghi e di riflessiva ricapitolazione, allora che sia. E’ così che si cresce, è così che si diventa grandi, che tu sia un personaggio, che tu sia un autore, o che tu sia un semplice spettatore. Promosso in pieno, per quel che mi riguarda.