I Magnifici Sette (Meno Quattro) Caballeros

Il Penultimo Don

Al termine del suo percorso artistico Don Rosa riduce la produttività, arrivando a pubblicare una sola storia nuova ogni anno. Nel 2005 esce dunque soltanto I Magnifici Sette (Meno Quattro) Caballeros, ideale sequel della sua I Tre Caballeros Cavalcano Ancora, che aveva visto il ripescaggio dei personaggi di José Carioca e Panchito Pistoles. Per Don Rosa attingere a materiale non barksiano, ma proveniente dall’animazione, è un fortissimo strappo alla regola, eppure l’autore porta avanti questa sua piccola eccezione. Alla base di tutto c’è la volontà di Rosa di utilizzare i due pennuti sudamericani per regalare a Paperino uno spazio più grande, una parentesi lieta in quella che a prima vista sembra una vita di angherie.

Le prime tavole offrono un deprimente scorcio della vita di Paperino: Gastone lo sminuisce, Paperina è una crudele arpia, Paperone usa il nipote come strumento su cui accanirsi, anche fisicamente. Sebbene si tratti di tradizioni fumettistiche molto lontane, sembra di trovarsi immersi nelle storie a fumetti italiane scritte da Guido Martina, in cui la famiglia dei paperi dava il peggio di sé. In questo fosco scenario, appare risolutiva l’idea dei nipotini di combinare un incontro a Rio De Janeiro coi due vecchi amici dello zio, gli unici in grado di trattarlo veramente da pari a pari.

La Stanchezza di un Artista

Per differenziarsi dalla storia precedente, ambientata nel Messico di Panchito, questa volta Don Rosa ambienta la vicenda nel Brasile di José, tra bracconieri e tesori perduti, ai margini della foresta amazzonica. Tuttavia il risultato è decisamente meno felice. Don Rosa è ormai caduto vittima dei suoi stessi stilemi e la sua narrazione è sempre meno fluida. Le gag ci sono ma risultano spesso retoriche e ridondanti, riproponendo sempre la stessa situazione: Paperino va incontro al disastro mentre i due pennuti latini fraintendendo ne esaltano le gesta, parafrasandone lo slapstick.

I dialoghi sono sempre più fitti, e anche la trama sembra faticare a ingranare: i personaggi improvvisano e fanno cose e caso per buona parte della vicenda, salvo poi tornare sui solidi binari delle cacce al tesoro donrosiane solo nella seconda metà. Inoltre, la mania citazionistica di Don Rosa sta ormai danneggiando la sospensione d’incredulità del lettore. La gag ricorrente con Paperino che tira in ballo come se nulla fosse Atlantide, Eldorado e le imprese vissute con lo Zione, mentre José e Panchito rimangono di sasso è indicativa del fatto che lo stesso autore stia iniziando ad avvertire sulle proprie spalle il peso della pesante impalcatura che si è costruito negli anni.

I Successi di Rio

Tuttavia, al netto di questi inciampi stilistici, Don Rosa difficilmente prende sottogamba il valore della sua opera, e quindi riesce a infarcire anche questa volta la vicenda di elementi di interesse. L’arrivo alle miniere di Ophir è all’altezza dei suoi standard abituali, e lo stesso vale per la scena madre dell’anaconda gigante, un climax narrativo in grado di rimanere scolpito nella memoria del lettore, anche grazie al tratto volutamente angosciante di Don. Infine, rimane davvero molto apprezzabile come l’autore, consapevole di essere a fine carriera, decida di regalare a José e Panchito il lieto fine che nella prima storia era stato loro negato. In seguito al successo della loro avventura archeologica il primo vedrà rilanciata la sua carriera di intrattenitore mentre il secondo riuscirà a comprarsi il ranch che desiderava.

Ma soprattutto è Paperino che, ritrovando il sorriso, si guadagna il suo personale “finale” nell’epopea donrosiana. Grazie ai suoi due amici e alle loro stesse reazioni dinnanzi alle improbabili citazioni barksiane, Paperino assume una maggiore consapevolezza di sé, dei suoi meriti della qualità della sua vita. Un modo, quello di Don, per confermare la grandezza del papero e chiudere in bellezza il suo rapporto con lui. Paperino, messo sempre in secondo piano rispetto al ricco zio, si riprende il posto che merita, e che l’autore del Kentucky è ben felice di riconoscergli.

di Amedeo Badini Confalonieri - Il fumetto è sempre stato la sua grande passione, sotto forma prima di un rassicurante Topolino a cadenza settimanale, per poi inoltrarsi nel terreno filologico-collezionistico. Questo aspetto critico gli ha permesso di apprezzare altri autori, da Alan Moore a Jeff Smith, e soprattutto di affinare la curiosità verso tutta la nona arte del fumetto. Disney è il suo primo campo, ma non disdegna sortite e passeggiate in territori vicini. Scrive di fumetto e di cinema anche per il settimanale Tempi, per Lo Spazio Bianco e per il Papersera.

di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica

  • Titolo originale: Donald Duck - The Magnificent Seven (Minus Four) Caballeros!
  • Anno: 2005
  • Durata:
  • Storia:
Nome Ruolo
Don Rosa Disegni; Storia