Frozen - Il Regno di Ghiaccio

Settant'Anni in Freezer

Considerato uno dei maggiori successi della storia disneyana, Frozen è un film con una genesi complicata. Le origini del progetto risalgono addirittura al 1943, epoca in cui lo stesso Walt Disney accarezzò l'idea di realizzare un adattamento animato della celebre fiaba di Hans Christian Andersen, La Regina delle Nevi. C'era un rapporto speciale tra Andersen e Walt, un legame che risaliva ai tempi delle Silly Symphony. Il team di Walt aveva infatti realizzato non uno ma ben due adattamenti molto diversi della fiaba del Brutto Anatroccolo, rispettivamente nel 1931 e nel 1939. La prima versione non era affatto fedele alla storia originale e risentiva di alcuni stilemi tipici dell'epoca, mentre la seconda fu un vero successo, e segnò un punto di svolta nella relazione tra Disney e lo scrittore danese. Ad un certo punto, durante gli anni 40 si pensò addirittura di realizzare un biopic a scrittura mista che ripercorresse la vita e le opere di Andersen. Tuttavia il progetto naufragò e ciò che ne rimase fu una breve sequenza biografica animata inserita all'interno dell’episodio From Aesop to Hans Christian Andersen nella serie televisiva antologica Disneyland.

Paradossalmente, fu solo dopo la morte di Walt che il connubio con Andersen iniziò a dare frutti. Nel 1989 gli studios portarono nelle sale un progetto che a Walt era molto caro, La Sirenetta, dando il via al cosiddetto Rinascimento Disneyano. In Fantasia 2000 venne poi inserita la sequenza dell'Intrepido Soldatino di Stagno, mentre nel 2006 toccò al commovente cortometraggio La Piccola Fiammiferaia. Ma per veder finalmente ultimata la versione Disney della Regina delle Nevi ci vollero ben settant'anni. Più volte il progetto venne preso in considerazione, abbozzato e nuovamente accantonato. Che fossimo durante la Seconda Guerra Mondiale, nell'era xerografica, negli anni 90 o all'inizio del millennio, i problemi che sorgevano riguardavano sempre la storia: non c'era modo, seguendo il testo di Andersen, di riuscire a creare una buona connessione emotiva con Elsa, nome che Walt aveva dato alla regina. L'ultima volta che il progetto era stato archiviato fu in seguito alla modesta performance de La Principessa e il Ranocchio, che aveva indotto i vertici a ritenere il pubblico moderno ormai troppo disincantato per lasciarsi conquistare da una fiaba. Rapunzel, uscito subito dopo, disattese questa previsione, producendo la repentina marcia indietro che salvò The Snow Queen dall'oblio. Il film venne quindi riesumato per rivivere come fiaba in CGI, e la regia del progetto venne affidata a Chris Buck e Jennifer Lee.

Buck aveva già diretto il 37° lungometraggio degli studios, Tarzan, assieme a Kevin Lima, ma poi era andato alla Sony per realizzare la commedia animata Surf's Up. Fu lo stesso Lasseter, che era stato in passato suo compagno di studi, a riportarlo in Disney. Jennifer Lee venne invece promossa alla regia dopo l'ottimo risultato come sceneggiatrice di Ralph Spaccatutto. Jennifer, che avrebbe in futuro raccolto il testimone di Lasseter come guida dello studio, fu così la prima regista donna di un lungometraggio WDAS. Trattandosi di una scrittrice anziché di una disegnatrice, la Lee portò in dote allo staff un punto di vista inedito sul processo creativo, fino a quel momento dominato da un approccio più visivo. Fu in quell'occasione che si pensò di prendere definitivamente le distanze dal testo di Andersen. La storia della giovane Gerda che parte alla ricerca dell'amico Kay, irretito dalla gelida regina delle nevi, subì una profonda trasformazione: Gerda divenne Anna, mentre Kay e la regina delle nevi vennero invece combinati insieme per ottenere... la sorella di Anna. Sulla falsariga di Tangled, il titolo divenne Frozen e la storia si trasformò nel viaggio di Anna alla ricerca della sorella Elsa, autoesiliatasi tra i ghiacci per paura di non riuscire a controllare i suoi poteri magici. Dopo anni di indecisione e una lenta e difficoltosa pre-produzione, il film aveva finalmente spiccato il volo, e in questa nuova incarnazione riuscì a giungere finalmente nelle sale verso la fine del 2013.

A Tale of Two Sisters

Trasformare il tutto nella storia di due sorelle fu la chiave di volta. Elsa era adesso diventata una figura drammatica, non più una "cattiva" ma una personalità carismatica, complessa e sfaccettata, in grado di affascinare il pubblico e di portare le ragazze più malinconiche e introverse ad identificarsi in lei. La solare ed estroversa Anna avrebbe fatto lo stesso con tutte le altre, mentre la sua connessione di sangue con la "regina delle nevi" rendeva incredibilmente più solide le ragioni del suo viaggio. Chiunque avrebbe potuto riconoscersi in questa storia di incomprensioni familiari, amandone sia la componente intima che quella avventurosa. Tutto questo è percepibile sin dai primi momenti del film, in cui vediamo l'infanzia delle due protagoniste e l'evolversi del loro rapporto nel tempo. Il cuore di Frozen è tutto qui, in Elsa e Anna, nel loro legame reciso e nelle difficoltà di comunicazione narrate attraverso la potente immagine di una porta chiusa. Per la prima volta dopo tanti anni, inoltre, la musica è letteralmente al centro della scena, prorompe e si impadronisce degli snodi fondamentali del racconto, conferendo al tutto un'aria più solenne. Dopo un periodo in cui Hollywood aveva mostrato diffidenza per i musical, arrivando spesso a tacere la presenza di canzoni nella promozione dei film animati, Frozen non ha paura di dire la verità, inserendosi a testa alta nella tradizione.

Il secondo atto è occupato dal viaggio di Anna in cerca della sorella. La accompagnano il montanaro Kristoff, la renna Sven e il pupazzo di neve Olaf, spalla comica del film. Strutturalmente segue il classico schema da road movie, già adottato in Tangled, con la strana coppia in viaggio che col tempo impara ad apprezzarsi. Eppure, tutto funziona molto bene, anche grazie al gran lavoro svolto sulle caratterizzazioni: i dialoghi sono brillanti, i tempi comici perfetti. Olaf in tutto questo fornisce un contrappunto umoristico intelligente e garbato. La sua caratterizzazione ingenua nasce da un ragionamento degli sceneggiatori sul fatto che un pupazzo di neve non potrebbe far altro che ragionare in modo puro e candido, vista la materia di cui è composto. Da qui l'idea di elaborare per lui una linea narrativa che lo vedesse intento a sognare l'estate, senza rendersi conto delle sue implicazioni infauste. La caricaturale innocenza di Olaf centra l'obiettivo, rendendolo per certi versi l'erede ideale di Winnie Pooh. Inoltre, il personaggio racchiude in sé il nocciolo tematico del film: creato da Elsa come proiezione inconscia di un momento felice vissuto con la sorella durante l'infanzia, diventa poi il simbolo del loro stesso ritrovarsi in età adulta.

Come già visto in Wreck-It Ralph, la scrittura di Jennifer Lee tende a osare di più, inserendo all'interno dei canoni narrativi disneyani un colpo di scena in grado di alzare l'asticella narrativa. C'è un cattivo a sorpresa, ed è Hans, il bel principe di cui Anna è innamorata. Il retrogusto è amaro, specie dopo il duetto canoro che li aveva visti protagonisti, eppure la morale è realistica. Come già in Enchanted, viene fornita una rilettura disincantata del concetto di amore a prima vista. Nel film questa critica viene mossa a più riprese dallo stesso Kristoff ed è anche il tema del numero musicale dei troll. Che nel finale sia poi l'amore tra sorelle a rivelarsi risolutivo, non è che un elemento in più per capire come l'interesse degli autori fosse fornire allo spettatore moderno un quadro completo e non semplicistico della tematica affettiva. I contenuti innovativi di Frozen vengono tuttavia smorzati da una robusta impostazione tradizionale che lo allontana dall'approccio eccentrico dei precedenti WDAS. Ancor più che in Tangled si ha l'impressione di tornare ad assistere ad un grande kolossal rinascimentale del tempo che fu, ma è proprio in questo suo riuscire a mantenersi uniforme col passato, proponendo però contenuti moderni, che troviamo una delle sue più grandi conquiste.

Un Fiordo Astratto

Da quando i Walt Disney Animation Studios sono stati costretti a riciclarsi come studio in CGI, la priorità è sempre stata trovare una qualche forma di continuità artistica con quanto fatto in precedenza. Ristrutturare la computer grafica e farla propria, creando un legame diretto con l'animazione tradizionale è stato un po' il leitmotiv dei loro primi anni di lavoro sulla terza dimensione. Già i film iniziali, tecnicamente incerti, mostravano il desiderio di allontanarsi dal fotorealismo degli ambienti in stile Pixar, puntando di più sul colore e sull'astrazione. La sequenza musicale Barking at the Moon in Bolt, con i suoi alberi a chiazze di colore, fu un esempio di quello che venne chiamato NPR, ovvero non-photorealistic rendering. L'animazione e il design dei personaggi trovarono invece in Tangled il punto di svolta, grazie agli sforzi di Glen Keane per restituire alla CGI le qualità del disegno a mano.

A tenere le redini di tutto questo "discorso" in Frozen è Michael Giaimo, principale designer del film, con un passato come animatore e artista dello sviluppo visivo. Grande fan di designer "angolari" quali Walt Peregoy e Eyvind Earle, Giaimo era già stato in passato direttore artistico di Pocahontas, nel quale aveva cercato di infondere il suo particolare gusto estetico fatto di linee perpendicolari. L'altra sua grande passione era l'utilizzo ardito del colore, mutuato dallo studio di Mary Blair e dei suoi azzardi cromatici. Sempre in Pocahontas questa fascinazione aveva prodotto curiosi accostamenti tra colori con temperature radicalmente opposte. IIl team messo insieme da Giaimo vede David Womersley come art director degli ambienti e comprende importanti nomi dello studio come Lisa Keene e Brittney Lee, alcuni dei quali già sulla sua stessa lunghezza d'onda. La stessa Brittney Lee avrebbe più avanti lavorato proprio sull'accostamento tra Earle e Blair per ottenere il look del cortometraggio Myth, ispirato alla mitologia di Frozen.

Il team svolse il consueto viaggio di documentazione recandosi prima in Wyoming e a Quebec City (Canada) per visitare l'Ice Hotel, un albergo fatto interamente di ghiaccio, traendone ispirazione per il castello di Elsa. Ma fu in Norvegia che lo stile del regno di Arendelle, con le sue architetture, colori e abiti prese definitivamente forma. L'aspetto di quei luoghi si prestava magnificamente ad essere trasposto in modo fedele, e dopo anni in cui gli abiti nei film in CGI erano stati spesso semplificati, si intravide l'opportunità di concepire Frozen come un grande kolossal in costume. In Frozen la concezione di Giaimo del colore e delle forme si sente, e lo spettatore ha spesso la sensazione di star muovendosi all'interno di un dipinto. Persino le grandi distese innevate sono il frutto di un ragionamento non banale: anziché essere sempre bianche, come ci si aspetterebbe, riflettono il colore di quanto accade intorno, dando all'insieme una notevole varietà visiva. Inoltre, per quanto la neve sembri spalmata sullo scenario con virtuose pennellate è in realtà guidata da un software che ne regola al millimetro la reazione agli impulsi esterni. L'aspetto stilizzato viene così mantenuto, ma senza disattendere le leggi della fisica. I WDAS si dimostrano quindi all'avanguardia, tanto tecnologicamente quanto stilisticamente, conferendo ai fondali un appeal visivo che non fa rimpiangere l'animazione tradizionale.

Da Glen Keane a Mark Henn

Un lavoro anche più complesso è stato fatto sul design e sull'animazione dei personaggi. Che la figura umana sia sempre stata il tallone d'Achille della CGI di inizio millennio è cosa nota, motivo per cui un tempo si cercava di aggirare il problema, puntando a stili fortemente caricaturali o geometrici, in grado di mascherarne le mancanze. Da Tangled in poi si assiste invece a un deciso cambio di marcia, grazie in particolar modo all'apporto creativo di Glen Keane, uno dei più grandi animatori della sua generazione. Con il trattamento Glen Keane il disegno torna ad essere centrale nel processo creativo: i modelli tridimensionali dei personaggi trovano una più stretta aderenza allo stile dei vari designer, di cui diventano la fedele trasposizione volumetrica. Il risultato è un equilibrio inedito tra realismo e caricatura. L'animazione, dal canto suo, abbraccia modelli recitativi più sofisticati, e viene "guidata" dai pencil test degli animatori 2D, che supervisionano l'intero processo e apportano le correzioni necessarie disegnando direttamente sui modelli, attraverso il draw-over. Se in Ralph Spaccatutto l'eredità di Rapunzel veniva raccolta solo in parte, è a Frozen che spetta il compito di perfezionarla e renderla uno standard.

Il testimone di Glen Keane, che nel frattempo ha lasciato lo studio, passa però nelle mani di un altro grande animatore, Mark Henn. Famoso per il suo lavoro di supervisione su un gran numero di personaggi femminili del passato (Jasmine, Mulan, Tiana e molte altre), Henn sembra essere l'uomo giusto per gestire un film con ben due nuove eroine al suo interno. Per quanto riguarda invece il design, spiccano Cory Loftis e soprattutto Bill Schwab, che già aveva dato un forte contributo in Wreck-It Ralph, e assume qui il ruolo di art director dei personaggi. Il risultato è davvero ottimo, e sono molti i personaggi memorabili, dai già citati Olaf e Hans, allo stizzoso Duca di Weselton, una figura di secondo piano ma su cui è stato fatto un lavoro davvero unico. Ideato da Shiyoon Kim, che a partire da Big Hero 6 diventerà uno dei designer principali dello studio, il Duca è una figura caricaturale e cartoonesca, su cui è possibile vedere applicati alcuni principi dell'animazione come lo squash and stretch che si ritenevano estinti dopo il passaggio al 3D.

Degni di nota anche il protagonista Kristoff con la sua renna Sven. Lui, rude e del tutto assorbito dal suo rapporto col proprio animale di compagnia, fornisce un contrappunto “coi piedi per terra” al carattere pazzerello di Anna. Sven invece recupera da Maximus, il cavallo di Tangled, quel genere di comicità muta, basata unicamente sulla pantomima che Norman Ferguson aveva elaborato per Pluto agli albori degli studios. Tuttavia il picco artistico rimangono le due protagoniste. Sono loro i personaggi migliori, su cui i virtuosismi degli animatori si concentrano: Anna ed Elsa danzano sullo schermo con simpatia, bellezza e carisma, offrendo uno spettacolo ipnotico. E' ai disegni a matita del grande designer Jin Kim che dobbiamo "la lucidatura finale" che ha dato loro le sembianze che conosciamo oggi. Il risultato è emozionante: gli attacchi di panico di Elsa, davvero realistici, e l'adorabile goffaggine di Anna coinvolgono lo spettatore dal primo all'ultimo minuto, rivelando l'alto livello comunicativo raggiunto dallo studio.

L'Arguzia dei Lopez

La gestione Lasseter dei Walt Disney Animation Studios riporta in auge uno degli elementi che all'inizio del millennio sembravano essere diventati secondari: la musica. All'inizio del nuovo millennio il grande musical in stile Broadway di matrice menkeniana era infatti entrato in crisi, non trovando spazio nel nuovo scenario del cinema d'animazione. Tuttavia, già con i precedenti film WDAS il gusto del pubblico era stato lentamente riabituato a questa forma di narrazione. Rapunzel aveva costituito un precedente di tutto rispetto, tanto da far trovare a Frozen la strada spianata. Buck e Lee possono permettersi quindi un registro più aulico, un ritorno di quell'epica grandiosità che sembrava appartenere al passato. Ma soprattutto, ora la musica può tornare al centro della scena, rendendo le canzoni vero e proprio carburante narrativo. Al momento di produrre Frozen però Alan Menken aveva preso una nuova direzione lavorativa, andando ad occuparsi di live action, tv e teatro, e lasciando dìfatto i WDAS orfani della sua arte.

Al posto di Menken troviamo un nuovo team di artisti, tutti in qualche modo legati al mondo Disney. Le strumentali sono state composte da Christophe Beck, da anni un nome noto nell'ambiente. Apprezzatissimo per il suo lavoro su Buffy The Vampire Slayer, di cui si ricorda l'ottimo episodio musical, aveva di recente realizzato per Disney le strumentali de I Muppet e del cortometraggio in tecnica ibrida Paperman. Le sue intense orchestrazioni nobilitano e fanno risaltare ancora di più le canzoni del film, composte invece dai coniugi Robert & Kristen Anderson-Lopez. Già autori a Broadway degli ottimi Avenue Q e Book of Mormon, i Lopez avevano messo la loro firma sul musical di Scrubs, e per i WDAS avevano realizzato le canzoni del loro 51° lungometraggio Winnie the Pooh, dimostrando di saper perfettamente padroneggiare il registro leggero. In Frozen la coppia mescola insieme gli stilemi tipici di Broadway con dei testi pungenti e arguti, trovando un buon compromesso tra antico e moderno. Il lavoro dei Lopez su Frozen rilancia in grande stile il genere musical, e offre quell'alternativa a Menken che sembrava difficile da trovare.

  • Vuelie. Il film svela il suo tono sin dai primissimi momenti, quando ad accompagnare i loghi d'apertura troviamo il poetico Vuelie, riarrangiamento di un brano tratto dal folklore norvegese, che proietta lo spettatore in uno scenario solenne e suggestivo. Da notare che anni dopo, nel sequel, il pezzo verrà recuperato e inserito nella narrazione acquisendo retroattivamente una funzione diegetica.
  • Frozen Heart. Dopo la rasserenante Vuelie, ecco il primo vero numero musicale, quello dei tagliaghiaccio. Potente e d'atmosfera, immerge il pubblico in un mondo magico... presentandolo da un punto di vista più concreto possibile, quello degli uomini di fatica. Impossibile non tornare col pensiero alla cupa Song of the Roustabouts, uno dei brani meno celebrati di Dumbo.
  • Do You Want to Build a Snowman? . Dopo le virili note introduttive, le due sorelle vengono presentate attraverso un brano di una delicatezza unica. Do You Want to Build a Snowman? inizia come una dolce ninnananna che progressivamente cresce d'intensità, regalando un momento di commozione davvero indimenticabile. Le orchestrazioni di Beck fanno da ponte tra le strofe, descrivendoci la crescita delle due sorelline attraverso alcuni momenti chiave. È qui che i temi toccati dal film affiorano esplicitamente: Elsa si nasconde dal mondo, evitando le occasioni in cui la sua emotività potrebbe farle perdere il controllo dei suoi poteri. E mentre lei si reprime, temendo la paura stessa, ad Anna non rimane che una porta chiusa. E il rifiuto di costruire assieme quel pupazzo di neve che invece avrebbe potuto unirle ancora. Una delle sequenze migliori del film.
  • For the First Time in Forever. I Lopez alle prese con la classicissima I want song, immancabile in ogni musical che si rispetti. Si tratta della canzone che definisce Anna, cantata in occasione dell'apertura delle porte del regno per l'incoronazione della sorella. Le meravigliose animazioni, la ricchezza delle gag visive, la regia di alto livello e la splendida voce di Kristen Bell ci regalano un brano veramente maestoso e pieno di voglia di vivere. Il fatto stesso che i Lopez abbiano dato ad Elsa una strofa tutta sua, anticipando per contrasto alcune note e parole della sua Let It Go, dimostrano raffinatezza e un approccio organico alla storia. Le canzoni non sono indipendenti, ma costituiscono un autentico sistema circolatorio per il film, che lo attraversa da cima a fondo, in una contaminazione continua.
  • Love is an Open Door. Per il duetto d'amore di Anna e Hans ritorna in grande stile la metafora delle porte aperte e chiuse. Senza dubbio uno dei pezzi più atipici e interessanti del film, che ci racconta con sonorità moderne il momento dell'infatuazione. In passato il tema dell'amore a prima vista era stato già trattato con ironia, ma mai in maniera tanto sbarazzina. Quel senso di esalto inebriante tipico dei primissimi momenti del rapporto, quando tutto è rosa e si ha voglia di scherzare, completandosi a vicenda le frasi e proiettandosi addosso aspettative, non era mai stato descritto in termini tanto arguti e realistici.
  • Let It Go. La canzone con cui Elsa si libera finalmente dalla repressione e si mostra in tutto il suo potere è senza dubbio la scena madre del film. Potente sotto ogni aspetto, dal testo all'orchestrazione, passando per l'animazione e la regia, questo segmento mostra tutta la fierezza e la fiducia che gli artisti hanno avuto nella realizzazione di Frozen. Non è un caso quindi che la doppiatrice originale di Elsa, Idina Menzel, forte della sua carriera a Broadway, urli a squarciagola. Il suo canto estatico è la voce di uno studio che finalmente può urlare al mondo la propria identità. Let It Go è il manifesto programmatico di una Disney più spavalda che mai, e non stupisce che il pezzo sia diventato per molti anni la principale hit musicale disneyana, imprimendosi per sempre nella memoria collettiva. Da segnalare la presenza nei credits di una versione pop di Let It Go, interpretata da Demi Lovato.
  • Reindeer(s) is Better than People. In una delle prime stesure del film questa era una canzone più lunga, e serviva a presentare il rapporto d'amicizia tra Kristoff e la renna Sven. Ne è rimasto ben poco però, se non un brevissimo siparietto umoristico, che senza dubbio fa il suo dovere. Al rapporto d'amicizia tra il biondo montanaro e la sua renna dagli atteggiamenti canini viene data una connotazione ironica, mostrandoci come Kristoff ami “parlare” con Sven, doppiandolo come un bambino col suo pupazzo. Il brano verrà riciclato nel sequel, come strofa d'apertura dell'assai più articolata Lost in the Woods.
  • In Summer. E' la sequenza di presentazione di Olaf. L'esperienza su Winnie the Pooh, Avenue Q e Scrubs ha dimostrato che i Lopez hanno prima di tutto una fortissima carica ironica. L'idea bizzarra che un pupazzo di neve possa sognare l'estate, viene qui accompagnata da un numero musicale affine a Everything is Honey. La fantasia di Olaf, per quanto cromaticamente suggestiva, è però innegabilmente il pezzo più debole del film.
  • For the First Time in Forever - Reprise. Il confronto fra le due sorelle non è realmente un reprise della canzone di Anna, ma contiene anche una parte di Let It Go. E' il momento in cui le due iniziano a comunicare, e dunque le loro anime, con i rispettivi temi, si fondono per dare vita a qualcosa di più intenso e drammatico. Il loro duetto è caratterizzato da un'alternanza continua tra cantato e recitato, che conduce in direzioni nuove... ma anche antiche. Introdurre il cantato poco alla volta attraverso una recitazione cadenzata, utilizzare la musica per dare voce ai mutamenti dell'animo concedendosi all'occorrenza delle licenze poetiche, sono tutte regole che i Lopez hanno assorbito molto bene tanto dalla tradizione Disney quanto da quella operistica. La sequenza inoltre è splendida, la vetta aulica del film.
  • Fixer Upper. La canzone dei Troll potrebbe a prima vista sembrare un'aggiunta bizzarra e un po' vintage al resto della colonna sonora, dato che arriva in fase molto avanzata della narrazione. Questo rompe una regola non scritta dei musical disneyani, che vede le canzoni concentrarsi più verso la prima metà, lasciando spazio verso la fine soltanto ai reprise di temi che lo spettatore ha già metabolizzato. Eppure Fixer Upper, oltre che una valida scena umoristica, è un pezzo con un significato preciso e nient'affatto banale, che rafforza notevolmente il messaggio del film, a patto di fare attenzione al testo. Si tratta di un invito a far funzionare la propria storia d'amore con impegno e olio di gomito, malgrado le magagne e le avversità che la vita mette davanti. Questo inno all'amore maturo si contrappone a quello ingenuo e giovanilistico di Anna e Hans, completando il discorso sulla tematica amorosa portato avanti lungo tutto il film.

Esistono inoltre alcune canzoni scartate. Nell'edizione deluxe della colonna sonora originale molte di queste sono state inserite all'interno del secondo disco, presentate e contestualizzate dai Lopez. Una di queste verrà inoltre recuperata e rielaborata per diventare il brano portante del cortometraggio Frozen Fever.

L'Orgoglio di una Company

Frozen rappresenta un altro grande risultato nella gestione Lasseter dei Walt Disney Animation Studios: visivamente suntuoso, con un umorismo ben calibrato, pieno di musica significativa e narrativamente robusto. Ma soprattutto un film capace di entrare in relazione con il pubblico, intercettando le irrequietezze di un'intera generazione e proponendo soluzioni intelligenti per gestire le proprie relazioni. Giunto nelle sale alla fine del 2013, accompagnato dal geniale cortometraggio metanarrativo Get a Horse! in cui Topolino e i suoi amici facevano avanti e indietro dagli anni 30 a oggi, Frozen non passò certo inosservato. I precedenti successi disneyani avevano nuovamente fidelizzato il pubblico, costituendo un'ottima rampa di lancio per quella che fu a tutti gli effetti una consacrazione del nuovo corso WDAS. Gli incassi al botteghino furono grandiosi, raggiungendo in breve tempo il tetto del miliardo di dollari, e superando così le precedenti hit Disney e Pixar come The Lion King e Finding Nemo. Inoltre, la colonna sonora fu un vero e proprio ariete di sfondamento: Let It Go divenne un tormentone, scalando le classifiche di molti paesi e costituendo per molte persone un inno contro la repressione della propria identità.

Persino l'Academy che fino a quel momento aveva osservato con diffidenza la crescita dello studio non potè fare a meno di conferire all'opera di Chris Buck e Jennifer Lee l'Oscar come miglior film d'animazione. Di colpo Frozen aveva raccolto la buona semina degli anni precedenti, confermandosi come il film animato di maggior successo prodotto fino a quel momento. E come spesso accade per i grandi successi, non passa poi molto perché generino materiale derivativo. La prima cartina tornasole di questo risultato fuori parametro fu l'inserimento di una versione live action di Elsa e Anna nel cast della serie Once Upon a Time, di produzione ABC. Seguirono libri, fumetti, adattamenti e merchandising assortito... fino a che non furono gli stessi WDAS a scendere in campo, per arricchire personalmente la mitologia di Arendelle con nuova animazione. Cortometraggi come Frozen Fever o Myth vennero utilizzati per espandere l'universo narrativo di partenza, mentre nel frattempo opere come Olaf's Frozen Adventure e Once Upon a Snowman aumentavano lo spessore del tenero pupazzo di neve. Molti artisti Disney si innamorarono letteralmente di Olaf e, intuendone il potenziale, lo resero una vera e propria mascotte per lo studio, creando delle mini-serie animate con lui come protagonista: At Home With Olaf e Olaf Presents.

Il progetto più ambizioso di tutti però fu la creazione di un vero e proprio sequel, Frozen II, uscito nel 2019 con lo scopo di potenziare ulteriormente l'impalcatura narrativa messa in piedi anni prima. In occasione del seguito venne riformato l'intero team creativo del film originale, malgrado fossero passati alcuni anni da allora e qualcuno, come la stessa Jennifer Lee, nel frattempo avesse cambiato ruolo. Il caso Frozen fu quindi la dimostrazione definitiva che i Walt Disney Animation Studios erano ancora il cuore pulsante della Disney Company e un organismo in grado, se fatto lavorare serenamente, di generare grandi profitti... e addirittura un franchise. Dopo una fase in cui la multinazionale, distratta dalle innumerevoli filiali acquisite, ormai sembrava ben poco interessata a promuovere il lavoro dello studio d'animazione più vecchio di Hollywood, ecco che di colpo la sua importanza era nuovamente saltata all'occhio della dirigenza, e proprio grazie a un film che parlava di identità. Come Elsa, anche i WDAS avevano faticosamente riconquistato la propria: un'identità fatta di emozioni, musica, colori e Arte.

Revisione del 15 Settembre 2022.

di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica

  • Titolo originale: Frozen
  • Anno: 2013
  • Durata:
  • Produzione: Peter Del Vecho, John Lasseter, Aimee Scribner
  • Regia: Chris Buck, Jennifer Lee
  • Soggetto: , ,
  • Sceneggiatura:
  • Storia:
  • Basato su: The Snow Queen di Hans Christian Andersen
  • Musica: Kristen Anderson-Lopez, Christophe Beck, Robert Lopez
  • Supervisione dell'Animazione: Lino Di Salvo, Mark Empey, Mark Henn
Nome Ruolo
Hans Christian Andersen Storia Originale (The Snow Queen)
Kristen Anderson-Lopez Canzoni
Scott Beattie Supervisione Layout
Christophe Beck Musica
Paul Briggs Supervisione Storia
Chris Buck Regista; Soggetto
Carlos Cabral Supervisione TD Rigging
Peter Del Vecho Produttore
Lino Di Salvo Supervisore all'Animazione
Mark Empey Supervisione Animazione Tecnica
Katie A. Fico Supervisione Stereoscopia
Michael Giaimo Direzione Artistica
Steve Goldberg Supervisione Effetti Speciali
Mark Hammel Supervisione Tecnica
Frank Hanner Supervisione Personaggi CG
Nicole P. Hearon Direzione di Produzione
Mark Henn Supervisione all'Animazione 2D
Mohit Kallianpur Supervisione TD Lighting
Lisa Keene Direzione Artistica (assistente)
Hans Joerg E. Keim Supervisione Look - Ambienti
Jon Kim Krummel II Supervisione TD Modeling - Ambienti
John Lasseter Produttore Esecutivo
Jennifer Lee Regista; Sceneggiatura; Soggetto
Michelle Lee Robinson Supervisione Look - Personaggi
Robert Lopez Canzoni
Dale Mayeda Supervisione agli Effetti d'Animazione
Shane Morris Soggetto
Hyrum Virl Osmond Animazione
Malcon B. Pierce III Animazione
Bill Schwab Supervisione Progettazione Personaggi
Aimee Scribner Produttore Associato
Tony Smeed Animazione
Gregory Smith Supervisione TD Rigging - Personaggi
Chad Stubblefield Supervisione TD Modeling - Personaggi
Wayne Unten Animazione
Marlon West Supervisione agli Effetti d'Animazione
Keith Wilson Supervisione TD Simulation
Rebecca Wilson Bresee Animazione
David Womersley Production Design

Bibliografia

Sul film:

  • C. Solomon, The Art of Frozen (2013: Chronicle Books [US]).

Fonte:

Eredità:

  • Victoria Saxon (adapt.), Grace Lee, Massimiliano Narciso, Andrea Cagol (ill.), Tony Fejeran (design), Frozen – Little Golden Book (2015: Random House [US]).
  • Lily Murray (adapt.), Frankie Jones (ed.), Nia Williams (design), Frozen – Disney Animated Classics (2019: Studio Press Book [UK] ).

Home Entertainment

  • [1] Frozen – Collector’s Edition (2014 BRAY/DVD: Buena Vista Home Entertainment). Ultimate Collector’s Edition (2019 4K-UHD/BRAY: Buena Vista Home Entertainment).

Extra

Documentari

  • The Making of Frozen (Music Video) [1]
  • D'Frozen: Disney's Journey From Hans Christian Andersen to Frozen [1]

Work-in-Progress

  • Deleted Scene: The Dressing Room [1] [Disney+]
  • Deleted Scene: Halt, You Swine [Disney+]
  • Deleted Scene: Meet Kristoff #1 [1] [Disney+]
  • Deleted Scene: Meet Kristoff #2 [1] [Disney+]
  • Deleted Scene: Never Understimate The Power of Elsa [1] [Disney+]

Music Video

  • Let It Go - Performed by Demi Lovato (English) (Music Video) [1]
  • Let It Go - Performed by Martina Stoessel (Spanish (Music Video) [1]
  • Let It Go - Performed by Martina Stoessel (Italian) (Music Video) [1]
  • Let It Go - Performed by Marsha Milan (Malaysian) (Music Video) [1]

Promozione