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Politically correct, censure, cancel culture

Inviato: lunedì 01 marzo 2021, 16:05
da Doctor Einmug
«Coloro i quali trovano nelle cose belle significati brutti sono corrotti senza essere attraenti. Questa è una colpa. Coloro i quali trovano nelle cose belle significati belli sono persone colte. Per questi c’è speranza»

Il processo di Oscar Wilde
«Mentre i critici dissentono tra loro, l’artista è d’accordo con se stesso»; «Tutta l’arte è perfettamente inutile»; «Non esistono libri [o film, o fumetti] morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male»; «Nessun artista ha mai intenzioni etiche. Uno scopo etico in un artista è un imperdonabile manierismo stilistico»; «Nessuna opera d’arte sostiene mai dei principi. I principi appartengono a chi non è artista».
Quelli riportati qui sopra, e quello riportato a mo’ d’esergo, sono alcuni aforismi di Oscar Wilde tratti dalla prefazione al suo capolavoro Il ritratto di Dorian Gray.
Il fatto che Oscar Wilde (tra i massimi personaggi dell’Inghilterra Vittoriana, romanziere, commediografo, poeta, autore di fiabe per bambini, fosse omosessuale) rappresentava, nella puritana Inghilterra del tempo, un crimine gravissimo. Cosicché i suoi accusatori, ergendosi a paladini del buon costume, ostentando censoria sicumera andarono a ricercare nelle sue opere tutto ciò che d’immorale e di ambiguo fosse possibile scovarci. Oscar Wilde venne quindi condannato, anche sulla base di quanto da lui scritto in passato: “Siete stato al centro di un ambiente di estrema corruzione della specie più orribile tra i giovani. Date le circostanze, devo infliggere la pena più severa prevista dalla legge. A mio parere essa è del tutto insufficiente in un processo come questo”, tuonò il giudice. Il MOIGE dell’epoca avrà esultato.

L’insofferenza verso la narrativa
Se si è voluto introdurre l’articolo con alcuni aforismi di Wilde e con una sintetica rievocazione del processo a suo carico, non è per sfruttare l’indubbio fascino che le paradossali affermazioni del romanziere emanano. E neanche per erudirvi su quella dolorosa pagina di storia (che comunque è sempre bene ricordare).
Bensì perché le frasi di Wilde, sebbene qualcuno possa trovarle eccessivamente intrise del gusto estetizzante proprio del suo ambiente e della sua epoca, sono genuinamente veritiere. Di una verità che, almeno parzialmente, risulterà chiara dopo la lettura del seguente articolo. Ma c’è dell’altro, contenuto in nuce dal vergognoso procedimento giudiziario cui il poeta fu sottoposto.
Credo che l’accanimento con cui gli accusatori dell’esteta irlandese si sono dati da fare per presentare la sua produzione letteraria come immorale, abbia a che fare oltre che con l’omosessualità di Wilde, con l’atavica e malcelata insofferenza degli ambienti inglesi più conservatori e puritani verso la narrativa.

Romanzo e pregiudizio
Bisogna tener conto che sebbene noi, oggi, sentendo parlare di Victor Hugo, Robert Louis Stevenson, Fëdor Dostoevskij e altri grandi maestri del genere “Romanzo” li immaginiamo come grandi maestri della letteratura mondiale, non è sempre stato così. È a lungo esistito, come accennavo prima, un diffuso e persistente pregiudizio verso il Romanzo, per certi versi analogo a quello che esiste tuttora verso i fumetti.
Il fumetto, infatti, si vede a tutt'oggi relegato nella propria posizione di subalternità culturale ed espressiva, e si vede negata una dignità che invece ha ampiamente acquisito sul campo per riconosciuti meriti. È pertanto vergognoso e desolante, che nell'ambito delle nostre scuole e atenei non vi sia alcun tipo di insegnamento che tratti specificamente questa forma d’arte (non esiste neanche un generico esame di Storia del fumetto nei corsi di laurea più affini), né esista alcun riconoscimento a livello istituzionale per gli artisti e le opere che si distinguono nel loro ambito, lontanamente paragonabile al trattamento riservato ad altre categorie.
Ma a cosa è dovuto tutto ciò? Sintetizzando in maniera veramente brutale, e tralasciando gli aspetti più accademici della questione, due punti fondamentali sono che il Romanzo rappresentava una grossa novità formale rispetto ai generi letterari codificati attraverso l’Età Classica prima e il Medioevo poi, e che per la materia trattata erano visti come una minaccia alla morale comune.

Affinità fra fumetti e Romanzo delle origini
Azzardando un parallelo che verrà forse visto come “eretico”, la situazione del Romanzo delle origini non era molto diversa da quelle di alcune forme espressive di recente affermazione, come i fumetti appunto, o il cinema.
In effetti, fumetto e cinema per qualche tempo sono andati a braccetto, nella loro ghettizzazione. A un certo punto però, il cinema si è emancipato da tale condizione, grazie al riconoscimento, da parte di alcune istituzioni e di alcuni intellettuali, dell’alto valore di questa forma d’espressione artistica. Così università, accademie, editoria, politica, ecc., hanno accolto, serbando tuttavia ancora oggi un occhio sospettoso, il cinema al loro interno.
Per riutilizzare una calzante espressione usata dal Professor Mazzoni durante il suo corso di Critica Letteraria e Letterature Comparate, i primi romanzi erano, infatti, quasi “fasciati” in pagine e pagine di prefazioni, postfazioni, avvertenze ecc., che tendevano a giustificare l’utilizzo di quel genere letterario, e a certificarne la moralità. Si potrebbe forse azzardare, allora, un parallelo con le prefazioni di numerosi albi a fumetti. Nel prossimo paragrafo, illustrerò un caso esemplificativo.

Vita e dollari di Paperon de' Paperoni
Non solo di quelli più datati, come il famoso Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni, edito all’interno della collana «Oscar Mondadori», la cui prefazione di Dino Buzzati fece e fa ancora scalpore: «Colleghi e amici, quando per caso vengono a sapere che io leggo volentieri le storie di Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito. Ridano pure. Personalmente sono convinto che si tratta di una delle più grandi invenzioni narrative dei tempi moderni».
Qual è, comunque, il punto di tutto ciò? Il punto è che quando lo statuto artistico di un prodotto culturale non è riconosciuto, e lo si considera semplice merce d’intrattenimento, è più facile operare su di esso manipolazioni e censure, senza che la società insorga e si indigni verso queste operazioni. Ancora oggi, gli ambienti italiani più accademici e retrivi, cercano di proporre una gerarchia nell'ambito letterario: si veda come esempio La letteratura circostante, di Gianluigi Simonetti (che contiene anche spunti interessanti).

Farenheit 451
E come dicevamo, i fumetti nascono già con una forte carica innovativa, e per certi versi sovversiva. Già negli anni ’30, il genere fumettistico americano chiamato pulp mostrava situazioni-limite, come erotismo, horror, o splatter. Perciò, nel 1948, lo psicologo Frederic Wertham, nel suo articolo Orrore al nido d’infanzia, diede il via a una violenta crociata contro i comics molto simile, per toni e portata, al contemporaneo maccartismo.
«Abbiamo rilevato che la lettura degli albi a fumetti è determinante nel caso di ogni singolo bambino delinquente o disturbato da noi studiato», diceva. Ricorda forse un po’ alcune recenti crociate contro i videogiochi, su cui comunque non mi pronuncio. Tutto ciò ebbe alcune ripercussioni sulla produzione fumettistica, e sui rapporti tra la popolazione e questo medium. È bene ricordare che si giunse, in molti casi, addirittura a organizzare roghi di fumetti sulla pubblica piazza. Esattamente come avevano fatto qualche anno prima i nazisti in Germania, con libri parimenti ritenuti immorali e traviatori di giovani menti innocenti.
Probabilmente entrambi questi falò libreschi hanno ispirato il grandioso romanzo distopico di Ray Bradbury Farenheit 451 (1953) e il successivo film diretto da François Truffaut (1966). «A qualcuno è occorsa tutta una vita per mettere sulla carta una parte dei suoi pensieri, per guardarsi intorno e descrivere il mondo e la vita come li vedeva lui, e poi salto fuori io e in due minuti… bum! È tutto finito», afferma il protagonista del libro, vigile del fuoco in un futuro non lontano (e direi anzi sempre più vicino), nel quale i pompieri anziché domare gli incendi, si occupano di appiccare il fuoco ai libri. Ma perché? Qual è la colpa dei libri (o fumetti)?

Il potere dei libri
Le colpe dei libri sono che fanno pensare, che fanno emozionare, che insomma aiutano a sviluppare senso critico e individualità; a interrogarsi su ciò che ci circonda: e allora potrebbero indurre a farsi domande pericolose anche sulla natura del potere, sui meccanismi socio-politici che portano me a essere qui e fare questo, e chi mi comanda a stare lì e fare quello. E allora forse potrei iniziare a pensare che c’è un’altra maniera nella quale potrebbero andare le cose, che c’è un’altra realtà possibile.
Se leggo dell’ambizione di Jean Sorel ne Il rosso e il nero di Stendhal, inizio a chiedermi perché non posso puntare più in alto anch'io; se leggo di Renzo che sfida un sistema di potere consolidato per raggiungere il proprio scopo, mi dico che forse posso sfidare anch'io il sistema di potere consolidato; e questi sono solo due esempi: ma più in generale se leggo di una vita diversa dalla mia, potrei riceverne l’impulso a cambiare alcuni aspetti della stessa. È forse utopistico pensare che ciò possa accadere, ma fatto sta che il meccanismo per cui spesso il potere ha considerato pericolose alcune ideologie e alcuni libri, è questo.

Harry Potter e il caso della Rowling
In Italia un tale pericolo per coloro che detengono il potere non sussiste, in quanto notoriamente siamo un popolo che di libri ne legge ben pochi. Secondo gli ultimi rilevamenti, il 41% degli italiani legge almeno un libro all’anno (che potrebbe anche essere un libro di Federico Moccia, per dire).
Effettivamente alcune competenze che da noi sono requisiti fondamentali anche solo per poter aspirare a un 6 in un tema scolastico delle medie – come capacità di contestualizzazione, prospettiva storica, approfondimento ecc. – sembrano essere ormai appannaggio di un ristretto numero di illuminati. Difatti alcuni movimenti sorti oltreoceano, sembrano assumere sempre più i connotati del fanatismo, per non dire della follia collettiva. L’esempio plastico e già assurto a simbolo di tutto ciò, è l’abbattimento della statua di Colombo accusato di razzismo: che è semplicemente e senza mezzi termini, un gesto idiota.
Altri pilastri di una qualsiasi società civile che sembra stiano venendo meno, sono la capacità di effettuare una distinzione fra opera e autore, e la tolleranza. Esemplificativa a tal proposito è la vicenda della Rowling, che a causa di alcune esternazioni controverse si è vista vittima di diffuse manifestazioni di odio e di prese di distanza, fino all'estremo per cui alcuni fan di Harry Potter, delusi, hanno manifestato l’intenzione di rinnegare la loro saga preferita. Peggio per loro.

Via col vento
Sembra inoltre essersi persa la capacità di discernere la fiction dalla cronaca, finendo per travisare il reale messaggio di ciò che si sta leggendo/vedendo. Qualcuno l’ha chiamato “analfabetismo funzionale”. Centra il punto della questione (con la ficcante semplicità di chi si trova costretto a ribadire l’ovvio come se fosse qualcosa di rivoluzionario) Andrea Minuz, a proposito del “cartello constestualizzatore” che la HBO ha apposto all'inizio di Via col vento (Gone with the Wind, Victor Fleming, 1939):
«L’unica lezione che c’è da imparare in “Via col vento”, e che ogni generazione tramanda o tramandava a quella successiva, riguarda la nostra educazione sentimentale, non il fatto che Atlanta bruci o che Mami sia un cliché razzista […]. L’unico cartello utile per il film dovrebbe ammonirti di seguirlo con attenzione per capire se nella vita ti conviene correre appresso agli Ashley o farti sedurre dai Retth, se è meglio essere Melania o Rossella, o almeno quando conviene sembrare Melania e quando Rossella, e che una qualche “Tara” prima o poi ci vuole sempre.»
E che le cose importanti di Via col vento sembrano essere diventate altre, fa rabbia e paura. Questa cosiddetta cancel culture, sembrerebbe più pericolosa e cruenta della censura voluta “dall'alto”. Perché trattasi non già di censura, ma di vera e propria follia iconoclasta di massa. E la massa, quando si scatena – e come si è visto più volte nel corso della storia – perde qualsiasi inibizione e capacità di discernimento. Può travolgere tutto e tutti, lasciando sulla propria strada morti e feriti.

Caccia alle streghe
Senza contare poi l’ottusità. Come rileva sempre Andrea Minuz nell'articolo già citato, questi novelli “inquisitori” hanno avuto la genialità di prendersela con il film grazie al quale per la prima volta nella storia un’attrice afroamericana vinse un Oscar. Ma spesso, in clima di “caccia alle streghe” si rischia di buttare via il bambino insieme all'acqua sporca. Viene in mente una frase tratta dall'episodio di «Dylan Dog» intitolato proprio Caccia alle streghe (scritto da Tiziano Sclavi e disegnato da Piero Dall’Agnol, e che andrebbe fatto leggere a qualunque inquisitore o censore). A un padre che si scandalizza perché nei fumetti che il figlio sta leggendo sono presenti donne nude e scene di tortura, quest’ultimo candidamente risponde:
«Ma papà. Le donne nude ci sono in tutti gli spot pubblicitari, e sono più oscene lì … E le torture ci sono perché è un fumetto contro le torture! In “Daryl Zed” c’è sempre un messaggio positivo, e poi è tutto ironico, fantastico!...»
Volendo fare un’analogia, la marmaglia che abbatte le statue di Colombo con l’accusa di razzismo, assomiglia un po’ a quei pittori medievali che raffigurando scene della vita di Cristo, rappresentavano luoghi e costumi aderenti al contesto storico in cui vivevano, non essendo in possesso appunto di prospettiva storica (oltre che spaziale).

Topolino in: "Ho sposato una strega"
In conclusione vale la pena sottolineare che, per quanto stupida e odiosa, la censura tradizionalmente vista su Topolino (eccetto alcuni casi-limite, come Topolino in: “Ho sposato una strega”) non è volta a cancellare la memoria di alcuni autori, storie e personaggi. Anzi, alcune volte la redazione ha operato alcune censure anche per aggirare divieti della Casa-Madre, e rendere accettabile la pubblicazione di alcune storie a fumetti.
La censura nei fumetti Disney è un argomento talmente vasto e controverso, che meriterebbe non una ma decine di trattazioni a parte, quindi qui non voglio addentrarmici. Tuttavia un Universo Disney piatto, deprivato del conflitto (vero motore di ogni storia) tra i personaggi, e di qualsiasi traccia di “oscurità”, non può essere la decisione giusta, sotto nessun aspetto. Senza contare le problematiche di natura etica che la censura, anche quando fatta a fin di bene, porta con sé, e di cui in questo articolo si è provato a dare contezza.
Va tenuto presente inoltre che tutto ciò ha probabilmente anche scarsa fondatezza scientifica, da un punto di vista della Psicologia dello Sviluppo: è tutt’altro che comprovato che presentare ai bambini dei prodotti narrativi edulcorati possa aiutare a rendere il mondo un posto migliore, anzi è pericoloso crescere degli individui impreparati ad affrontare ostacoli e contraddizioni sociali e umani. Si afferma ciò anche alla luce di alcune teorie che vedrebbero nelle “storie” una sorta di “simulazione” per affrontare meglio alcune situazioni che potrebbero verificarsi nella realtà. Walt Disney e i Fratelli Grimm sarebbero d’accordo.

Paolo Cavaglione e la censura
Può comunque essere interessante leggere uno stralcio di un’e-mail che Paolo Cavaglione (direttore di «Topolino» dal 1994 al 2000) inviò a una lettrice (chi volesse leggere lo scambio epistolare per intero, lo trova qui):
«Dal nostro punto di vista le storie di oggi, anche quelle ripubblicate, non devono contenere messaggi diseducativi o confusi, né devono suggerire imitazione di comportamenti sicuramente censurabili oggi sotto il profilo della deontologia professionale e dalle leggi dello Stato, in particolare modo quelle dedicate alla tutela dei minori. Quando, per distrazione o per non operare "censure" ci affidiamo al buon senso dei lettori (e alla loro presunta consapevolezza che si tratta di storie 'vecchie') ci troviamo regolarmente criminalizzati da legioni di insegnanti, genitori, educatori, moralisti dilettanti o di professione.
Ma, vede, non è di costoro che mi preoccupo, quanto dei piccoli lettori che, come può immaginare, non sono in possesso di tutti gli strumenti adatti a interpretare correttamente una battuta o un comportamento poco corretto dei nostri personaggi. Mi creda: il confine tra fantasia e realtà per i piccoli lettori spesso è una linea molto sfumata e non facilmente individuabile. Per senso di responsabilità e prudenza, quindi, le nostre decisioni tengono conto di questo fenomeno e, mi rendo conto, possono apparire a un lettore adulto particolarmente 'severe'.»

L'esempio di Walt Disney
Questo messaggio contiene un po’ tutti gli aspetti che sono stati trattati qui: la concezione delle Storie Disney come semplice merce d’intrattenimento manipolabile a piacimento e non come prodotti artistico/culturali la cui integralità debba essere preservata, la paura che possano influenzare negativamente le menti dei giovani lettori, la furia distruttrice della folla indignata, la sottovalutazione di una certa dose di “oscurità” nel sano sviluppo di un bambino, e così via. Bisogna riconoscere però che lo stesso Cavaglione poco più avanti dichiara di ispirarsi a questa frase di Walt Disney nel suo lavoro:
«Non ho mai trattato i miei piccoli come fiori delicati e credo che nessun genitore debba farlo. I bambini sono gente, devono vivere per imparare le cose e per poterle capire. La vita non è fatta solo di luci, ma anche di ombre e noi saremmo bugiardi, falsi e zuccherosi se cercassimo di far finta di non vedere le ombre.»

Un crimine
Prima di salutarci, è bene ritornare alle frasi di Wilde riportate in esergo. Attraverso un qualsiasi singolo aforisma di quelli, Wilde è riuscito a dire tutto e anche di più di quello che si è tentato di dire in queste pagine. E ciò che Wilde dice, e che si è tentato di esporre, è all'incirca questo: voler censurare, emendare, cancellare un’opera d’arte (sia essa un film, un libro, una serie TV, un albo a fumetti) perché ci si sente offesi, o si individua un pericolo in qualcosa in essa contenuto, è non solo un errore, ma una colpa.
Certo, una colpa frutto dell’ignoranza, frutto di un qualcosa che viene da più a monte e prescinde dai singoli: ammettiamolo pure, ammettiamo queste attenuanti. Ma resta un crimine. Un crimine le cui conseguenze, se i fenomeni di antica e recente origine attualmente in atto non subiranno un deciso rallentamento, in un tempo più breve di quello che immaginiamo ne pagheremo tutti le conseguenze. Ammesso che a qualcuno importi ancora qualcosa.

Francesco, Antonio Grilli