da max brody » mercoledì 25 marzo 2015, 17:47
Onofrio Bramante in: Paccmall
Sono bambino, con genitori e zii nella Mercedes di mio zio. Seguiamo, come al solito, i miei capricci e andiamo in un centro commerciale che devo andare a vedere. Siamo da qualche parte in Emilia Romagna, su una strada campagnola. Stacco. D'improvviso sono il me attuale, e ribadisco con convinzione al parentame che al centro commerciale voglio andarci da solo a piedi, perché è giusto così. Stranamente il gruppo concorda. Così li lascio lì e solo me ne vo per questa strada in terra battuta, da un lato aperta su una soleggiata (ma io ho indosso il mio solito k-way da alpinista) campagna dell'Emilia Romagna dall'atmosfera rarefatta (la strada mi dà anche la sensazione di essere una di quelle strade dalla gravità "alterata" tipo quella sulla strada fra Roma e Velletri, infatti le gambe sono subito stanche e ho le goccioline sulla fronte, che asciugo con un fazzoletto di stoffa bianco, come un borghese goffo) e dall'altra chiusa da un muro. Cammino rasente il muro per paura di essere investito. La strada sembra essere una curva perenne, e ho una costante paura che qualcuno sbuchi all'improvviso e mi metta sotto. Infatti sbuca un ragazzo in bici, che pedala a folle velocità. Mi evita, ma non mi tranquillizzo. Tempo dopo ne sbuca un altro, anche lui in bici, a folle velocità, ma questo ridacchia, perfido. Per fortuna mi evita pure lui. Sono più tranquillo. L'interminabile curva finisce e il muro si interrompe momentaneamente per lasciare spazio all'ingresso del paesotto, quel paesotto che so essere a metà del mio viaggio. Entro. Sono timoroso: speravo che fosse il classico paesotto villico, invece è una via di mezzo (in scala ridotta) fra Tokyo e Chinatown, tutta luci soffuse (non so perché ma d'improvviso è sera), locali fighetti a forma di pagoda e gente (si presume romagnola) che prende l'aperitivo e mi guarda storto, tranne una bionda vestita da barista (canottiera bianca, ombelico di fuori, shorts neri attillati. stivali). Mi sento ansioso, così salto un ruscelletto (non mi ricordo se con le ninfee o senza) e fuggo dal paesotto. Stacco. Sono arrivato al centro commerciale. E' di nuovo giorno, anzi, pomeriggio. Guardo l'ora e so che ho almeno tre ore tutte per me. Il centro commerciale si oblunga verso l'alto, e mi ricorda la Torre Nera di King (nella versione di Dylan Dog #250 Ascensore per l'inferno), ma con le vetrate del nuovo Pirellone. Entro, e sono magnificato da quel che vedo. Mi sento come il bambino di Hugo Cabret, anche se la scena (PP in basso di me con la bocca aperta e lo sguardo verso l'alto, i piani altissimi dietro) è una citazione di qualcos'altro che non mi sovviene. Comincio a girare a caso, bighellonando random. In pochi minuti quel luogo inizia a sembrarmi tutto uguale e a farmi prima pena, poi quasi schifo. Mi immalinconisco. Stacco. Sono al Bennet. Mi avvicino alle casse, deluso per non avere trovato nulla che mi interessasse. Proprio alla fine dell'ipermercato, vedo una cesta di Topolini usati, incellophanati uno ad uno e sovrapprezzati (3€ a numero). Non è una cesta vera e propria, è una specie di fontana monca di plastica dura e ghisa. Ce ne sono altre, contenenti altre cose (dvd, peluche, cioccolata, ecc.), ma quella con i Topolini mi sembra l'unica cosa bella che ho visto durante la giornata. Però non mi soffermo perché il prezzo degli albi è alto e perché so che, smucinando nel mucchio, finirei per volerli comprare tutti. Così mi ripeto che "occhio non vede, cuore non duole" ed esco dal Bennet. Mi ritrovo nel corridoio-spiazzo davanti al supermercato e dalle vetrate che danno sull'esterno del centro commerciale mi accorgo che s'è fatta sera e che è buio e tardi. Dunque devo andare via. Cerco l'uscita, seguo i cartelli, ma mi perdo e finisco nel garage. Un anziano che è impalato vicino alla porta antipanico e una tipa mi guardano male. Così torno indietro e trovo un mio vecchio compagno delle elementari vestito come il factotum di Grand Hotel Budapest. Non mi è mai stato tanto simpatico, ma stavolta è gentile e mi dà per filo e per segno le indicazioni per raggiungere l'uscita. Le seguo e finalmente raggiungo l'uscita del centro commerciale, che è posta in un angolo retto del palazzo. Apro la porta nell'angolo retto (anch'essa ad angolo retto) ed esco. Trovo il parentame e la Mercedes proprio lì davanti: sono venuti a prendermi e mi aspettano da varie ore.
Immalinconito dalla giornata, d'improvviso mi ricordo che è uscito il nuovo numero di una iniziativa editoriale che vede la pubblicazione, all'interno di una rivista mainstream allegata ai quotidiani (il Venerdì di Repubblica, ma stampato con la carta e il formato usati dal Sette di RCS), di bi-poster (come quelli di PkGiant) dedicati ai grandi autori del fumetto. Ho già quelli di Corto Maltese (non di Hugo Pratt, di Corto Maltese), di Artibani e di Casty, e ora voglio quello nuovo, dedicato a Bramo. D'improvviso, non so come, me lo ritrovo in mano. Su un lato c'è il disegno, una Minni in forma di costellazione disegnata da Scarpa, e sull'altro la foto e la biografia di Bramo. Purtroppo, non so perché, ma il disegno è sbiadito e ha delle strisce quadricrome sopra e sotto che lo rovinano, probabilmente errori di stampa. Nonostante questo, mi sento molto contento per Bramo e voglio scrivergli per congratularmi con lui, immaginandomi già di leggere le bonarie prese in giro dei vari Valeri, Eddy e compagnia. Vado sul blog del Sollazzo, che non è un blog vero e proprio, ma un combo di blog, forum e chat sulla stessa schermata (a questo punto capisco di trovarmi di almeno un decennio nel futuro, perché in quel momento sono certo che il forum del Sollazzo diventerà così). Provo a loggarmi, ma mi s'impalla tutto (il dispositivo che uso è un tablet con la tastiera che tengo in mano come fosse un cellulare). Irritato, mi lamento che oggi non me ne va bene una, che non capisco perché a me nulla possa mai filare liscio, e mi sveglio.
Ottimo lavoro.