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Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: giovedì 30 ottobre 2014, 13:28
da peter parker

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: mercoledì 05 novembre 2014, 00:08
da Tigrotta
Visto oggi, bellissimo.
Una fiaba intensa e delicata con una protagonista straordinaria. Visivamente è una meraviglia per gli occhi, mi vengono ancora i brividi pensando alla scena della fuga nel bosco, voglio più film così. E come se non bastasse, la colonna sonora è davvero ottima. Andate a vederlo tutti perché merita davvero, anche più di Si alza il vento.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: mercoledì 05 novembre 2014, 00:59
da LBreda
Visto anch'io oggi.

Wow.

Mi aspettavo grandi cose da questo film. Takahata è un narratore grandioso e un bravissimo artista. Ma qui si è andato oltre, e tanto.

La tecnica utilizzata, come noto dalle clip, è molto particolare: il film è composto interamente da veri e propri dipinti animati, che non rinunciano a un effetto tridimensionale. L'imitazione delle stampe d'epoca giapponesi è presente in ogni aspetto del design, compresa l'espressività estremamente marcata che arriva a deformare l'aspetto dei personaggi a seconda di ciò che stanno provando. La colonna sonora è perfettamente integrata con le immagini, in un modo che non avevo mai sperimentato. La fusione di suono e immagini riesce a comunicare continuamente sensazioni diverse, e l'empatia con i personaggi si regge probabilmente addirittura piú su questo che sulla caratterizzazione.

Insomma, con questo film è nata una nuova tecnica di narrazione, che sembra pure bella difficile. Va visto, anche solo per capire quanto sia una cosa mai vista.

Unico difetto del film, se proprio vogliamo trovarlo, è la lentezza in alcuni punti. Ma si rimane comunque a bocca aperta.

L'adattamento di Cannarsi utilizza come al solito soluzioni abbastanza bizarre, ma la cosa riesce a stonare solo nella primissima parte del film, mentre nella seconda dà un effetto di comica inadeguatezza dei personaggi all'ambiente che credo ci fosse in originale. Probabilmente questo è il film in cui ho sofferto meno per le trovate di Cannarsi.

Una nota sulla distribuzione va fatta. Ora, capisco la roba già edita, ma distribuire, ancora una volta, una prima visione per SOLI TRE GIORNI è una cosa fuori dal mondo.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: venerdì 07 novembre 2014, 00:57
da Daria
LBreda ha scritto: Una nota sulla distribuzione va fatta. Ora, capisco la roba già edita, ma distribuire, ancora una volta, una prima visione per SOLI TRE GIORNI è una cosa fuori dal mondo.
E infatti nemmeno questo sono riuscita a vederlo, perché oltretutto lo davano solo in cinema per me eccessivamente fuori mano (multisala fuori dal centro o addirittura proprio fuori città).
Sono molto amareggiata.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: sabato 08 novembre 2014, 10:36
da Shito
Io per vederlo al cinema sono arrivato prima a 3,5 ore di autobus da casa mia (visione con la mia fidanzata) e quindi -fortunosamente- a un'altra ora da casa mia (visione con i miei genitori). :-)

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: sabato 08 novembre 2014, 13:53
da Scissorhands
Concordo assolutamente con LBreda!
Il film è straordinario, innovativo e antico allo stesso tempo. Un meraviglia per occhi e anima.
Di sicuro non siamo abituati a cose del genere, soprattutto in termini di storytelling. La seconda parte l'ho trovata anche io molto lenta, indugia su particolari che possono apparire superflui. La struttura schematica della narrazione (con tutte le ripetizioni della fiaba) potrebbe apparire stantia, e noiosa. Ma tutto questo credo sia dovuto a anni di cinema mainstream (leggi Hollywood) che ci ha viziato con ritmi veloci, incalzanti, battute brillanti, e ruffianaggini vari... qui è puro sentimento che giustamente prende i suoi tempi.
A confronto anche Si alza il vento sembra un blockbuster!

Devo assolutamente rivederlo e apprezzarlo di più ora che sono di cosa si tratta.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: sabato 08 novembre 2014, 17:32
da Valerio
Serve sempre una voce fuori dal coro che possa rendersi impopolare e farsi gridare buuuuuu.

Oggi quella voce sono io.

Il film è visivamente molto valido, e riesce a indovinare non poche scene con questo stile grafico mai visto prima. Mi riferisco alle sequenze più "bucoliche" e a quelle più oniriche e indiavolate come la corsa per campi di lei, nel momento di disperazione. Quando si è "in interni" come ad esempio in città l'effetto è parecchio smorzato. Altra cosa buonissima è la musica. Ho sempre pensato che Hisaishi fosse uno dei segreti che rendeva il cinema di Miyazaki tanto sensuale e ritrovarmelo associato, in via eccezionale, anche a Takahata è stato una vera sorpresa. La sua arte c'è, e permea perfettamente ogni scena della pellicola, creando un mix perfetto di musica e immagine.

Però lo storytelling mi ha proprio deluso. Sì, è lento, sì, è una storia differente da qualsiasi meccanicismo che le nostre menti occidentali, viziate da decenni di blockbuster commercialoni, possano anche solo concepire, sì, culture diverse, poesia, contemplazione, cinema intellettuale etc etc. Rimane il fatto che ci ho visto dell'autocompiacimento, dell'eccesso e del ritorcersi su sé stesso da parte dell'autore. E quando un artista imbocca quella strada lì, che porta ad esasperare sé stesso, a me suona un campanello d'allarme nella testa. Perché il Takahata di Heidi, di Marco e di Anna dai Capelli Rossi era un narratore più arguto ed efficace: uno capace di tenerti incollato venti minuti calandoti nella psiche di una ragazzina che si sentiva in colpa per aver perso la spilla della zia. Una conoscenza dei meccanismi psicologici dell'essere umano così incredibile che quando l'episodio finiva e ti rendevi conto di cosa effettivamente avevi visto, non te ne capacitavi. Questo suo ultimo film invece è l'esatto contrario: due ore e un quarto le ho trovate decisamente eccessive per gli effettivi contenuti della storia in questione. E alla fine di tutto mi è pure sfuggito il bandolo della matassa, ma qui potrebbe essere colpa mia. E' la storia di un castigo? E' la storia di un errore "indotto"? Un senso c'è o volercene trovare uno sarebbe sterile ricerca di meccanicismo?

Questo, con Si Alza il Vento, rappresenta una doppietta significativa, ad ogni modo. I due film che hanno portato la poetica dei due rispettivi autori verso un punto di non ritorno, e penso che il pubblico giapponese questo l'abbia notato, decretando la sorte dello Studio Ghibli.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: domenica 09 novembre 2014, 12:01
da Simo87
Mi accodo anch'io alle critiche positive. Film splendido.
Però vorrei anche spezzare una lancia al discorso di Valerio, perché in un certo senso in alcuni momenti mi è mancata anche a me una certa verbosità interiore dei personaggi. Penso a Taeko di Omohide poro poro e ai suoi flussi di coscienza. Penso a Jane Eyre, che essendo scritto in prima persona ci permette di sentire vividamente i pensieri della ragazza. Ecco, forse un po' mi è mancato sentire i pensieri dentro la testa della principessa. Però questa è stata una scelta di Takahata, come lui stesso ha affermato, e di cui accennerò nel post.

Contiene spoiler.

Meraviglioso il tratto che delinea i volti e i luoghi; rude e delicato, incompleto ma sufficiente. Gli spazi vuoti, il bianco del foglio, eppure non manca niente, anzi, tale scelta permette davvero (come voleva Takahata) di focalizzare l'attenzione dello spettatore sul testo, sul parlato, sul tono, sui silenzi, sugli sguardi, su mani che tremano... insomma l'essenzialità scevra da tanti virtuosi dettagli sottolinea ciò che davvero conta: sguardi, occhi che si illuminano, o che celano l'abisso di angoscia di un'anima in subbuglio.
Per lo stile, sappiamo che Takahata è stato influenzato da Frédéric Back (in particolare dai mini-film di animazione "Crac!" e "L'uomo che piantava gli alberi" ... e come non accostare i volteggi di Kaguya sotto il ciliegio in fiore, alla scena di ballo popolare del primo citato? O ancora, come non ricordare la piccola Anna "dai capelli rossi", che con fulgida immaginazione danza tra i petali dei ciliegi che delimitano il viale delle delizie?), dagli Emaki giapponesi (di cui abbiamo anche visione durante il film... tipo un emaki dentro un emaki :D), o ancora, citerei la partecipazione di Takahata a "Winter Days", che sembra davvero una pittura in movimento.
Praticamente mi sembra che Takahata, sia riuscito ad animare (e a farne un film di oltre due ore!) un insieme di schizzi e colori impressi in un rotolo proveniente da un antico passato. Un passato di secoli fa, un'epoca a noi (contemporanei) sconosciuta, una cultura a noi (occidentali) ignota.
Questo è un film che davvero mi ha fatto percepire, prima in sordina, poi in modo sempre più preponderante, il mio approcciarmi ad una storia antica, lontana e diversa nel tempo e nella cultura. Non è un film che ho visto sentendomi partecipe, come perfino Omohide Poro Poro nonostante il realismo di una società così diversa, era riuscito a fare. Non vi è stata immedesimazione da parte mia. Qui ero un osservatore. Anche solo un esempio banale: rubare il melone dall'orto del vicino. A me non è mai capitato, a mio padre (classe 1945) sì. Quando era piccolo e viveva in un paesino con un migliaio di abitanti, insieme agli altri ragazzini poveri andavano in qualche orto della zona a prendere qualche pera dagli alberi ^^
E alla fine tutto torna. Di fatti tra le influenze di Isao Takahata vi è anche Bertold Brecht, che sosteneva nella teoria del teatro epico, la realizzazione di una certa distanza tra "spettatore" e "spettacolo". Il pubblico deve essere un osservatore attivo (non succube di ciò che vede, facendosi avvolgere da una realtà fittizia), in modo tale che la distanza con il film, permetta una visione limpida ed una riflessione genuina da parte dello spettatore nei confronti dell'opera, di ciò che essa rappresenta; secondo Brecht lo spettatore doveva imparare qualcosa.
Si potrebbe dire lo stesso per un pubblico giapponese? Sicuramente per loro sarà stato tutto più evidente e familiare, ma in ogni caso è palese come il modo di Isao Takahata di descrivere una storia in maniera realistica, sia totalmente opposto al modo avvolgente di Hayao Miyazaki di catturare i sensi dello spettatore, immergendolo in una fantastica allegoria.
E alla fine, accade esattamente ciò che Takahata desiderava. Le linee, il carboncino e i colori prendono vita: movimento.
Se non ho capito male, l'idea di Takahata è stata cercare di fare dei disegni in cui lo spettatore poteva integrare la sua immaginazione. In questo modo, con questi disegni "incompleti", non è tutto mostrato, ma sia la forma che il contenuto possono essere "immaginati/creati/completati" dalla visione/percezione dello spettatore, che in questo modo può cercare di capire le motivazioni dei personaggi, senza che il film gli espliciti tutto in modo diretto.
Questo perché, secondo Takahata, questa tecnica permette di esprimere con più forza le espressioni e i sentimenti dei personaggi.

E così, alla fine, lo spettatore comprende davvero le motivazioni dei personaggi.
La principessa, fulcro dell'intera vicenda, effettua un percorso che alla fine la porterà a rispondere alle domande fondamentali:

A. Perché dalla Luna è giunta sulla Terra?
Perché tale è stata la punizione per il suo desiderio di partecipare alle vicende terrestri, umane. Una persona guardava la Terra dalla Luna, là nel mondo imperturbabile, e sospirava, e così la principessa iniziò ad anelare un'esperienza sulla Terra. Ed infatti Takahata ci dice che in questo film voleva analizzare, tra le altre cose, le differenze tra il mondo perfetto della Luna, e il mondo turbolento degli umani.

B. Perché alla fine ritorna sulla Luna?
Perché decide volontariamente di morire, a causa della frustrazione e disperazione maturate nella non-vita a corte.
Lei stava impiegando la sua vita in tutt'altro che non per ciò che era discesa sulla Terra. Lei stava facendo altro che non essere se stessa.
Per amore verso il padre, così ossessionato (in buona fede) dal volerla rendere principessa perché essendo una creatura dei cieli, o in senso antropologico perché essendo una donna, la sua figliola, allora deve vivere nella purezza della corte, tra sfarzi, gioielli e quant'altro. Lungo il film, di volta in volta la principessa matura e riconosce gli autoinganni in cui si stava soffocando e comprende varie altre cose.
Tra gli episodi fondamentali ricordo:

1. Nel banchetto per la sua nominazione, lei deve rimanere chiusa mentre tutti festeggiano, e dire che era in suo onore... e infatti lei confessa che le sembra di non esserci, e quando un'invitato mette in dubbio l'esistenza della principessa lei fugge e torna al paese natio. Arrivata sulle montagne dopo una vivida corsa mozzafiato, non trova ne più il villaggio ne più la foresta. Qui riconosciamo un prima maturazione nella principessa: il senso del cambiamento e il distacco dall'infanzia. Probabilmente lei è tornata nel villaggio per un legame infantile, ovvero per continuare a vivere nello stesso identico modo in cui aveva vissuto prima del trasloco nella capitale. Ma l'omino le dice che "le persone del villaggio si spostano ogni 10 anni, alla ricerca di nuovi luoghi dove andare, per permettere alla foresta di rifiorire, e alla fine ritorneranno anche qui"... ed alla fine infatti tornano. Quindi la principessa diviene un pochino conscia del ciclo di ripetizione degli eventi, che siano le stagioni, lo spostarsi dei popolani, o il nascere morire e rinascere della foresta. Il suo ritorno lì era un capriccio che non aveva considerato questi fattori, che aveva dato per scontato che la vita in campagna sarebbe stata sempre uguale a se stessa, ma così non era, e alla fine del film vedremo la sua totale accettazione di questo fatto.

2. Quando i ciliegi sono in fiore e lei va a vederli. Danza sotto al ciliegio con l'animo semplice e giocoso che è proprio del suo essere, ma urta un bambino che si era messo a girare insieme a lei. A quel punto arriva la mamma del bimbo e si scusa infinitamente con la principessa. Lei vede la famigliola andarsene e i bimbi che corrono come lei faceva un tempo. Qui si accorge che il suo rango di principessa non le permette di esprimere quel suo essere semplice, rude, naturale.
Infatti da una parte per una nobile non è consono fare cose come correre e rotolarsi per i prati, ma anche se lei lo volesse fare, non verrebbe comunque riconosciuta come una popolana, e quindi non si sentirebbe come loro, anzi può permettersi di urtare un bimbo e ricevere le scuse della madre. Perdita di innocenza, di semplicità.

3. Il giardino domestico. Un falso, un autoinganno che la lega ad una semplicità perduta. Non solo ha perso le sue montagne esterne, ma la corte sta anche incatenando il suo animo interiore. Una fanciulla non può ridere (mi pare dica qualcosa di simile la signora Sagami), non può piangere, non può correre, non può fare nulla, nemmeno comparire ai banchetti in suo onore. Deve essere una bambola di vetro.
Quando si rende conto delle falsità compiute dai pretendenti pur di averla, dal falso fatto fabbricare dal primo e il mare di menzogne per nasconderlo, all'affabulatore che cerca di far crepa nel cuore della principessa quando invece è un marito che sta tradendo la moglie, al tizio che muore per catturare l'oggetto da portarle... tutto ciò porta Kaguya al rendersi conto del suo cambiamento interiore, si rende conto delle tenebre che era costretta a tirar fuori dal suo essere pur di non farsi ingabbiare in quella vita. Insomma si rende conto di aver tenuto dei comportamenti totalmente lontani da ciò che lei finora aveva visto/pensato di se stessa, come innocenza e semplicità.
Alla fine distrugge il giardino. Questo è un falso! Io sono falsa!

4. Il Mikado è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell'abisso depressivo in cui la principessa era schiacciata. E lei desidera morire, desidera di non essere più in vita, perché in quel mondo si era messa a fare tutt'altro, che non ciò che doveva fare.
Lei era scesa sulla Terra per vivere in modo semplice e naturale, in modo pragmatico, correndo per i prati e ridendo di gusto, sbucciandosi un ginocchio e dire "non fa niente", provando gioia e dolore e tutte le emozioni umane, ma la vita a corte, prestabilita, chiusa, con tutti i riti celebrativi, erano per lei una non-vita.
E quindi nella disperazione di non aver trovato un posto in cui essere se stessa, nelle gioie e nelle difficoltà, evoca il popolo della Luna per venirla a prendere. Ovvero evoca la morte per far cessare una vita che la sta schiacciando nella disperazione.

Taeko di Omohide poroporo, si rende conto che la vacanzina da campagnola era un autoinganno, che ne sapeva lei della vita dura in quei luoghi, quando lei ci andava solo in vacanza a far finta di lavorare? Però alla fine realizza, che quello è il luogo dove si trova bene, è il luogo in cui è se stessa. Perché lì c'è gente che la prende sul serio: Toshio che ascolta davvero Taeko, la ragazzina/cugina (mi pare),
Situazione simile sarebbe potuta essere per Kaguya; ma lei non ha avuto nessuno a prenderla sul serio come Taeko.
Alla fine la principessa realizza gli inganni interiori (quando confida ai genitori che proviene dalla Luna), e nell'incontro finale con Sutemaru quando lui dice "per la gallina e il fatto di avermi fatto prendere come un ladruncolo, non è niente" lei sottolinea proprio "sì, giusto, non è niente", in riferimento al fatto che le difficoltà della vita campagnola vanno accettate, perché quello è il mondo di cui lei avrebbe voluto fare parte. Qui in pratica vediamo la differenza tra il voler stare in campagna come ho scritto nel punto 1. ovvero come ricordo infantile, ed un voler vivere in campagna in modo maturo, conscia delle difficoltà di quella vita, ma allo stesso tempo conscia che quello era ciò che lei avrebbe voluto vivere "Forse con te sarei potuta essere felice. Ora l'ho capito." Quindi vediamo un percorso di crescita e maturazione, ma che tuttavia non finisce bene, poiché lei ormai stava per morire.
Lei non è riuscita a condividere il suo essere con nessuno, nemmeno il padre, che non vedeva la sofferenza della figlia "ma tu non percepisci le sue sofferenze?" (o qualcosa di simile) dice la mamma ad un certo punto. La signora era l'unica che in qualche modo percepiva i turbamenti della principessa, e anzi, se non ci fosse stata nemmeno lei, probabilmente Kaguya avrebbe richiamato ben prima la morte. Tuttavia nell'inevitabile vicolo cieco in cui Kaguya si vedeva, non ha avuto via di scampo.
Taeko ha trovato il centro di se stessa (non in senso di individualismo, bensì in senso di comprensione di sé), e poi ha trovato persone con cui essere se stessa, e quindi un ambiente a cui appartenere.
Kaguya no. Lei ha maturato il centro di se stessa, ma poi non ha trovato l'ambiente, o meglio, le vicissitudini e un mattone dopo l'altro, l'hanno portata ad un abisso da cui non ha realizzato via d'uscita.

E alla fine, l'ultima mezz'ora di film è qualcosa di immenso.
"Questo è un film per la vita" dice Takahata stesso in un'intervista.
Qui mi verrebbe da citare il contrasto tra vitalismo/dionisiaco e apollineo/platonismo/classicismo, che si ricollega alla questione tra Terra/Luna. Infatti Kaguya è un sacro dire di sì alla vita. Ma non essendo riuscita ad esprimere il suo essere, non essendo riuscita a vivere come dice a Sutemaru "Il percepire di essere in vita, può permetterti gioia dolori etc", a causa del fatto che la vita a corte era quasi simile alla non-vita nella Luna (ricordo quando quelli della Luna le dicono qualcosa come: "dai torniamo sulla Luna, dove non proverai più turbamenti dell'animo"), allora lei richiama la morte.
Però nel finale si pente, lei non vuole morire, lei non vuole dimenticare la vita sulla Terra, la vita degli esseri umani imperfetti. Però ormai è tardi e la nuvola divina insieme al Buddha, la vengono a prendere. Lei non vuole, ma incessantemente viene richiamata al luogo a cui appartiene.
Cosa rimane? La madre e il padre adottivi, che piangono sulla nuvoletta. La principessa che si volta e ricorda la Vita terrestre, come ci viene fatto presente nel suo sguardo finale e nella canzone conclusiva "Inochi no Kioku".
E alla fine ci rimane una frase che era più o meno così: "uccelli, bestie, animali, erba, alberi fiori, educate le persone alla pietà".
La compassione, che non è commiserazione con un sprazzo di superiorità, verso il nostro status di umani imperfetti, accettare e amare tale realtà poiché tale è. Accettare la vita è in primis accettare anche la morte (Terramare), ed il ciclo di morti e rinascite (terrestri, le stagioni, la natura, l'universo...) e vivere da umani, "vivere genuinamente la propria essenza" e non "vivere facendo una cosa differente da ciò che si è nel profondo", vivere trovando il proprio baricentro interiore, in modo da permettere l'approccio con l'esterno, con un piccolo giardino da coltivare (affetti cari, legami), cercando di salvaguardare al meglio prima di lasciar andare.

Menzione speciale alle musiche di Joe Hisaishi, tra cui "Hishou" (scena del volo di Kaguya e Sutemaru) e "Tenjin no Ongaku" (musica degli abitanti della Luna), stupende.

Per questo post, ho riportato alcuni pezzi che avevo scritto sul GhibliForum e vari contributi fondamentali scritti dagli altri utenti, che alla fine mi hanno permesso una visione più precisa del film.

Chiudo citando quella che per me è una frase che in un certo senso riassume un po' il film di Takahata:
"Come voi avete occhi per vedere la luce, e orecchi per sentire i suoni, così avete un cuore per percepire il tempo.
E tutto il tempo che il cuore non percepisce è perduto, come i colori dell'arcobaleno per un cieco o il canto dell'usignolo per un sordo. Purtroppo, però, ci sono cuori ciechi e sordi che, anche se battono non sentono."
"E quando il mio cuore cesserà di battere?" chiese Momo.
"Allora sarà cessato anche il tempo per te, finirà anche il tuo tempo, bambina mia."

Cit. Momo - Michael Ende

Come al solito, finisco per scrivere sempre troppo... necessito del dono della sintesi! :ARGH:

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: domenica 09 novembre 2014, 20:28
da Shito
E' un film che andrebbe visto come si vedono certi film di Visconti.

Ovvero, come si vedevano, come non si guardano più i film.

Non si intendeva alcun sollazzo in questa pellicola. Riflessione, pensiero, critica, questo sì.

Ma come ha detto Suzuki Toshio: "Nessuno ormai va al cinema per imparare qualcosa, è difficile pensare a un film come a un momento formativo della vita di qualcuno."

E ha ragione, secondo me. Il cinema è ormai intrattenimento, ovvero sedazione.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: lunedì 10 novembre 2014, 13:48
da LBreda
Ho recensito il film su CattoNerd, un blog curioso e molto ben fatto che guarda il mondo delle arti mediatiche da un punto di vista cattolico. Non potevo non collaborare :P

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: lunedì 10 novembre 2014, 16:38
da Shito
"Gualtiero Cannarsi, noto per utilizzare un linguaggio sintatticamente più vicino al giapponese che all’italiano"

Falso.

Chi dice una cosa del genere, o non conosce l'italiano, o non conosce il giapponese. A volte entrambe le cose, ma nel tuo caso presumo che non conosca il giapponese, eppure ne dici? :-)

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: lunedì 10 novembre 2014, 18:06
da LBreda
L'impressione che mi da il tuo modo di scrivere è cercare una via di mezzo tra le due lingue che sia corretta (ma non necessariamente naturale) in italiano. Ho sicuramente reso malissimo il concetto, ma voleva essere una sintesi di questo.

Poi magari mi sbaglio, non ho mai del tutto capito le motivazioni del tuo modo di scrivere. Apprezzo la fedeltà ai contenuti originali, ma non ne riesco ad accettare la forma, come ho ribadito piú volte.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: lunedì 10 novembre 2014, 18:55
da Shito
Però non mi hai risposto.

Ovvero, per dire che "la sintassi usata assomiglia a quella giapponese" - in qualsiasi forma - devi conoscere [non dico perfettamente, ma almeno un po'] la sintassi giapponese, no?

Quindi, o la conosci, o hai detto una cosa senza sapere cosa dicevi.

Quale delle due?

La storia de "Cannarsi ricalca la sintassi giapponese" è una bufala insensata messa in giro da chi non sa né di italiano né di giapponese.

Non sa di italiano perché si irretisce dinanzi a semplici dislocazioni linguistiche, salvo poi usarle lui stesso nel suo testo di critica, ignaro dell'uso che fa della sua stessa lingua e delle sue corrette forme (figurarsi del loro nome).

Non sa di giapponese perché non sa che il giapponese è essenzialmente una lingua agglutinante-isolante con struttura SOV, e no, non esiste che io abbia mai scritto frasi in SOV, anche con le dislocazioni si soggetto a dx e oggetto a sx, che sono legittime e corrette in italiano, e che comunque non rappresentano certo la norma del testo italiano che scrivo per adattare il giapponese.

In buona sostanza la storia de "Cannarsi ricalca la sintassi giapponese" è un'idiozia bella e buona, in senso oggettivo e obiettivo. Mi sorprendeva leggerla reiterata da una persona come te, che stimavo dotata di una certa capacità di intendimento. Forse volevi dire altro, non so.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: lunedì 10 novembre 2014, 20:46
da LBreda
Esatto, come ti ho detto volevo dire altro. Lo faccio risistemare appena possibile.

In ogni caso non mi riferivo tanto all'ordine SOV (anche perché l'italiano lo permette moooolto limitatamente a causa della sostanziale assenza di postposizioni). Mi riferivo a una struttura della frase che appare molto artefatta, con il (probabile, perché questo non lo ho capito) fine di imitare la resa del giapponese. Se il fine non è questo, spiegamelo, che non riesco davvero a capirlo.

Io comunque non ritengo sbagliato fare dislocazioni. Spesso hanno senso, e spesso l'effetto è ottimo. Quello che mi disturba (tu mi dirai che è soggettivo, è possibile, ma non sono il solo a pensarlo) è che l'ascolto di un tuo adattamento suona fortemente artefatto.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: lunedì 10 novembre 2014, 23:13
da Shito
Certamente il fine non è quello di imitare la sintassi giapponese, che sarebbe irreplicabile in italiano corretto.

E non c'è neppure un fine, perché non c'è nessuna scelta stilistica preordinata e sovraimposta né nell'uso delle dislocazioni, dove queste sono usate, né nell'uso di una parola piuttosto che un'altra.

Semplicemente (e sottolineo: semplicemente) tutto è il frutto di una intesa quanto doverosa (dico io) precisione di traduzione e resa di un originale.

La triste verità è che le persone sono spaesate perché sentono "appropinquarsi" o "arcana neonata" o cose simili, ma non c'è nulla di strano, errato, o "giapponesizzante" in una frase come "se saprai discernere con pupille non offuscate".

Semplicemente, la triste verità è la pigrizia umana, la voglia di sollazzo, di divertimento semplice. Quindi se si inanellano tre parole di fila un pelo più colte di "ciao bella come va", taluni hanno i peli che cominciano ad orripilarsi.

Stai ascoltando dei giapponesi di prima dell'anno mille che parlano in italiano tradotto: E VORRESTI CHE TI SUONASSERO NATURALI?

Perché scusa, tu sei un uomo giapponese di prima dell'anno mille?

Oppure, semplicemente, la tua infausta e illegittima pretesa era solo quella di spaparanzarti in un intrattenimento sollazzatorio?

Perché se non è così, di cosa ti sorprendi? Di cosa ti lagni?

Col tuo libero arbitrio hai scelto di vedere quello che stai vedendo: ricevilo per quello che è, e non lamentarsi che non sia quello che illecitamente avresti forse (subconsciamente) voluto che fosse.

Poi la gente mette in campo cose matte come "linguaggio aulico", "linguaggio arcaico", "sintassi giapponese", ma sono tutte insensatezze usate come alibi per non guardare in faccia la realtà: le persone sono pigre e vogliono le cose idiote, semplici, con cui sollazzarsi.

Il mondo dell'intrattenimento da anni produce bambinate per adulti rincitrulliti, se non te ne fossi accorto. E ora abbiamo anche chi si lamenta a gran voce quando qualcuno non si asservisce a tale logica in ambito di traduzione ed adattamento.

Ma cattive notizie: cosa è "aulico" o "arcaico" o "sgrammaticato" non lo decido io, o tu, o i gruppi di Facebook, o i Cesaroni, o Er Monnezza. Ci sono dizionari e grammatiche.

Quindi, no: "se saprai discernere con pupille non offuscate" non è né aulico, né arcaico, né giapponesizzante.

E' italiano corretto e corrente - DATO DI FATTO. :-)

E' solo che le persone sono pigre e tese all'ignoranza di ritorno, come si dice in sociologia, e soprattutto sono troppo deboli per ammetterlo dinanzi a uno specchio.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: martedì 11 novembre 2014, 10:09
da LBreda
Capisco tutto questo tuo discorso, ma mi pare del tutto fuori luogo.

Come hai potuto leggere nel mio articolo, non sono certo il tipo che va al cinema solo "in cerca di sollazzo" (ci vado, ma non solo e non in questo caso). E i contenuti di questo forum evidenziano lo stesso per quasi tutta l'utenza. Peraltro, nel caso di questo film, ho trovato il tua adattamento molto... adatto, proprio a causa dell'ambientazione, e del fatto che se dei contadinotti sembrano buffi quando parlano nobile, è perché cosí dev'essere.

E non ho mai messo in dubbio che il tuo italiano sia corretto. Ma sai bene che non basta la correttezza, a fare una frase che funzioni. Ora, anche a prescindere dalle tue scelte lessicali (insistere sul tradurre cose come "fratellone", "secondo fratello" e cose del genere che sono corrette quanto vuoi ma in italiano non sono mai state in uso), spesso vedo cose di cui non riesco a capire il senso. Ora è difficile fare esempi, non perché non ci siano ma perché mi dovrei rimettere a vedere i film, ma almeno uno posso fartelo, che mi è davvero rimasto impresso: il "vado a recarmi dalla nonnina" (che è nella stanza accanto)in La Collina dei Papaveri. È indubbiamente italiano corretto, difficilmente è qualcosa che sia mai stata detta in Italia negli anni 60, ed è totalmente assurdo se la "nonnina" non è ad almeno, che so, un isolato di distanza.

Perifrasi come questa, e dislocazioni sintattiche varie anche in film ambientati in epoca relativamente recente, sono scelte che rispetto (fondamentalmente perché un qualche genere di logica mi sembri seguirla, anche se la colgo davvero poco) ma che non riescono a non straniarmi.

Non trovo sia una questione di fatica nel capire. Capisco benissimo quello che ascolto. Spesso, però, mi sembra di vedere attori recitare in un registro che non è il loro, e questo mi distrae dai contenuti.

In questo film non mi è successo. Fatto che mi pare evidenziare ulteriormente che non sia un problema di comprensione.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: martedì 11 novembre 2014, 13:07
da Shito
LBreda ha scritto: Come hai potuto leggere nel mio articolo, non sono certo il tipo che va al cinema solo "in cerca di sollazzo" (ci vado, ma non solo e non in questo caso). E i contenuti di questo forum evidenziano lo stesso per quasi tutta l'utenza.
Ti assicuro che se non ti stimassi come ti stimo non ti avrei mai reso partecipe del mio pensiero, che non si rivolge schiettamente a te nel suo toto, ma prende spunto da una cosa che hai scritto secondo me accodandoti al frutto delle tendenze umane che ho espresso. Se anche una persona come te arriva a dire qualcosa che fattualmente non ha senso per lui, che non può valutare, evidentemente non sta che ripetendo qualcosa che ha sentito dire, ciecamente. Pensaci sinceramente.
E non ho mai messo in dubbio che il tuo italiano sia corretto. Ma sai bene che non basta la correttezza, a fare una frase che funzioni.
So bene che "italiano corretto" ha senso, mentre "una frase che funzioni" non vuol dire nulla che nella vacua soggettività del narcisismo solipsistico.

"O la morale esiste ed è unica, o non esiste", diceva un vecchio uomo assai metodico (e tipicamente al liceo la gente pensa di capire cosa significhi, ma non lo capisce).

O il metro esiste come ente unicamente inteso, o non si può misurare in metri.

Il concetto di "funzionalità della frase" NON ESISTE fuori dal gusto personale di ciascuno. Ergo *non si può* discutere SENSATAMENTE tra due persone in simili termini. Non ha proprio senso logico.

Si può dire se una frase è in italiano corretto, non si può dire se un frase "funziona". Tutto qui.
Ora, anche a prescindere dalle tue scelte lessicali (insistere sul tradurre cose come "fratellone", "secondo fratello" e cose del genere che sono corrette quanto vuoi ma in italiano non sono mai state in uso)
1) Ma chi sei tu per sentenziare "cosa sia mai stato in uso" in italiano? Conosco persone che usano spesso "fratellone" in famiglia, quindi? Non ce la fai proprio a vivere pensando che la vita di un singolo non esprime nulla di assoluto, che io sono solo io e tu solo tu, ma tu surrettiziamente ti metti a parlare per tutti?

2) In ogni caso, a usare quelle locuzioni sono delle PERSONE GIAPPONESI (nel caso indicato). Quindi? Vuoi che dei giapponesi, poiché tradotti IN italiano, parlino COME ITALIANI? Ah beh, complimenti! :(

3) E perché mai lo vorresti, già che non ha senso logico? Perché ti "piacerebbe di più"? Ti sarebbe "più confortevole", "più comodo", forse? Vedi il mio discorso di prima?
Ora è difficile fare esempi, non perché non ci siano ma perché mi dovrei rimettere a vedere i film, ma almeno uno posso fartelo, che mi è davvero rimasto impresso: il "vado a recarmi dalla nonnina" (che è nella stanza accanto)in La Collina dei Papaveri. È indubbiamente italiano corretto, difficilmente è qualcosa che sia mai stata detta in Italia negli anni 60, ed è totalmente assurdo se la "nonnina" non è ad almeno, che so, un isolato di distanza.
Siamo più precisi e dettagliamo.

A) E' in italiano sintatticamente corretto, sì.

B) L'uso del verbo "andare" (vado a) usato come fraseologico di "recarsi" rende il tutto un bel po' ridondante, sul filo della tautologia (come "entro dentro" e "esco fuori", che non si dovrebbero dire).

C) E' quindi nel suo toto un frase un po' sbilenca, un bel po' forzata. Che ho inteso utilizzare per enfatizzare un certo tono di deferenza usata da Mer in quella scena (la fraseologia eccessiva è formalismo, il formalismo è deferenza).

D) "difficilmente è qualcosa che sia mai stata detta in Italia negli anni 60" <- cosa insensata che non puoi dire, non c'eri negli Anni Sessanta, e ancora sei solo uno, non sei "l'Italia".

E) "ed è totalmente assurdo se la "nonnina" non è ad almeno, che so, un isolato di distanza." <- cioè? E' totalmente assurdo perché tu lo "senti" tale? Da dizionario "recarsi" non include alcun senso di distanza minima coperta. Ci si reca in bagno per fare pipì. Ma cosa dici? Non ti tendi conto di quanto, quanto della tua percezione soggettiva surrettiziamente assurgi ad assoluto linguistico?
Perifrasi come questa, e dislocazioni sintattiche varie anche in film ambientati in epoca relativamente recente, sono scelte che rispetto (fondamentalmente perché un qualche genere di logica mi sembri seguirla, anche se la colgo davvero poco) ma che non riescono a non straniarmi.
Voilà. Vai a vedere un film STRANIERO e ti dà noia essere STRANIATO.

Noti l'ossimoro, vero?
Non trovo sia una questione di fatica nel capire. Capisco benissimo quello che ascolto.
Perfetto. Allora l'adattamento funziona. :-)
Spesso, però, mi sembra di vedere attori recitare in un registro che non è il loro, e questo mi distrae dai contenuti.
No. In un registro che è il loro, ma chiaramente ed ovviamente NON E' IL TUO, Lorenzo. Devi fartene una ragione. E' solo questo.

Sei una persona giovane (dato obiettivo) e mi pari intelligente (giudizio di valore soggettivo e puranco presuntivo).

Se è come penso, la tua intelligenza deve essere viva. Inoltre, dati i tuoi studi, dovresti essere ben dotato di capacità logiche in senso stretto.

Sono indi fiducioso di poter suscitare un salto qualitativo nell'onestà delle tue attitudini critiche. :-)

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: martedì 11 novembre 2014, 13:31
da LBreda
Purtroppo, è necessariamente di soggettività che si tratta. O meglio, posso affermare l'oggettivo, ovvero il fatto che l'adattamento è scritto in italiano. Ma se devo fornire il mio giudizio, devo anche affermare il soggettivo, ovvero che a molti, me compreso, il tuo modo di adattare spesso suona innaturale. Non dico che è oggettivamente malfatto, dico che non mi piace per un motivo che, sí, è soggettivo. Purtroppo la soggettività esiste, e non ho modo di reprimere la mia sensazione di disagio sentendo una ragazzina degli anni sessanta dire "vado a recarmi dalla nonnina", o una bambina degli anni trenta chiamare suo fratello "secondo fratello".

E sí, per me parte della differenza tra adattamento e traduzione sta proprio nel fatto che il primo tenta di trasporre l'originale in qualcosa che, senza snaturarlo eccessivamente, lo... adatti al destinatario. Con le dovute tare, è la differenza tra traduzione e localizzazione che nel mio principale campo di interesse, lo sviluppo informatico, si applica alle interfacce.

Ti faccio un banale esempio. Traduco, per hobby, i sottotitoli della serie Doctor Who. Negli ultimi episodî, c'è un'insegnante che viene chiamata "miss" dai suoi alunni. La prima volta ho tradotto "signorina", e mi sono poi pentito di quella scelta. Era illeggibile. Nell'episodio successivo ho tentato di mettere "prof", molto piú naturale, ma l'editor forse per coerenza o forse perché è sulla tua linea me lo ha ricorretto in "signorina".

Anche qui parliamo banalmente di soggettività. Io dico che in italiano si dovrebbe parlare come gli italiani. Tu dici che invece è accettabile inserirci della terminologia tradotta letteralmente dal giapponese. Un altro potrebbe dire che no, devono proprio parlare giapponese, perché è ridicolo che un giapponese parli italiano. Difficilmente una qualunque di queste opzioni potrà essere smontata oggettivamente, hanno tutte il loro senso.

Però oh, col tuo modo di tradurre non mi ci trovo. Non sono il solo, e non so neanche se sono in minoranza, e neanche mi interessa troppo. Ma non mi ci trovo.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: martedì 11 novembre 2014, 15:20
da Shito
LBreda ha scritto:Purtroppo, è necessariamente di soggettività che si tratta. O meglio, posso affermare l'oggettivo, ovvero il fatto che l'adattamento è scritto in italiano. Ma se devo fornire il mio giudizio, devo anche affermare il soggettivo, ovvero che a molti, me compreso, il tuo modo di adattare spesso suona innaturale. Non dico che è oggettivamente malfatto, dico che non mi piace per un motivo che, sí, è soggettivo. Purtroppo la soggettività esiste, e non ho modo di reprimere la mia sensazione di disagio sentendo una ragazzina degli anni sessanta dire "vado a recarmi dalla nonnina", o una bambina degli anni trenta chiamare suo fratello "secondo fratello".
Questo è un discorso sacrosanto. Se tu mi dici "Il tuo adattamento non MI piace perché non MI suona naturale", l'unica cosa che potrò dirti è -ancora una volta- "Perché troveresti giusto/sensato che ti suonasse naturale, quando stai ascoltando degli stranieri che parlano fra loro, benché tradotti IN italiano?" - E' un quesito che continui ad eludere, e ormai fatico a pensare che la cosa non sia intenzionale. :-(

Ovvero, i gusti -ovvero i giudizi di valore- sono soggettivi e non si discutono. Giusto.

La logica su cui si basano i giudizi di valore si può discutere.

Quindi io ti dico: è un film straniero, sono persone straniere che esprimono concetti stranieri di una cultura straniera. Trovo ben sensato che, ben tradotti, ti suonino corretti in italiano ma innaturali - perché anche se tradotti non sono italiani, non lo sono affatto, e quel che dicono e pensano non è italiano, mentre tu lo sei.

Quindi, cosa rispondi a questo asserto? Cosa c'è a fondamento del "siccome MI suona innaturale [un adattamento di opera straniera], non MI piace?"

Nella sua soggettità è incontestabile, e ci mancherebbe.

Ma qui dico che è manifestazione di una logica errata, ovvero viziata, in tutti i sensi.
E sí, per me parte della differenza tra adattamento e traduzione sta proprio nel fatto che il primo tenta di trasporre l'originale in qualcosa che, senza snaturarlo eccessivamente, lo... adatti al destinatario. Con le dovute tare, è la differenza tra traduzione e localizzazione che nel mio principale campo di interesse, lo sviluppo informatico, si applica alle interfacce.
E' bello che tu abbia espresso "per me". Nell'ambito dell'adattamento degli audiovisivi, l'adattamento è quello che consta di una componente tecnica detta 'synch', ovvero produce un testo atto all'uso specifico del doppiaggio, detto "copione". Ricevo la TUA idea di "adattamento" ovvero "localizzazione". Non è la mia. Tuttavia, e lo rimarco ancora una volta, questa TUA idea di adattamento 'domesticante' rimanda dritto dritto al mio post che tu trovavi del tutto indebito: per te l'adattamento è una mistificazione di un'originale che venga incontro al tuo sollazzo. Siccome è una cosa effettivamente brutta, umiliante, forse non riesci ad accettare questa realtà. ma è la realtà che chiaramente esprimi.
Ti faccio un banale esempio. Traduco, per hobby, i sottotitoli della serie Doctor Who. Negli ultimi episodî, c'è un'insegnante che viene chiamata "miss" dai suoi alunni. La prima volta ho tradotto "signorina", e mi sono poi pentito di quella scelta. Era illeggibile. Nell'episodio successivo ho tentato di mettere "prof", molto piú naturale, ma l'editor forse per coerenza o forse perché è sulla tua linea me lo ha ricorretto in "signorina".
Sei un pessimo traduttore e un pessimo adattatore, a mio giudizio.

Ciò che esprimi è una ridicolaggine. Siccome A TE 'suonava strano' qualcosa di corretto l'hai sostituito con qualcosa che A TE suonava "naturale", ma è obiettivamente scorretto. Perché "miss" è inglese standard, "prof" è una variazione distratica dell'italiano. Quindi, siccome A TE "piaceva di più", hai preferito un errore al giusto. Peccato che tu non sei la totalità del pubblico! Davvero, complimentoni.
Anche qui parliamo banalmente di soggettività.
Come vedi, ci sono elementi soggettivi ed oggettivi. Forse non ci avevi pensato, nel tuo esempio. Peccato (per i lettori essi tutti).
Io dico che in italiano si dovrebbe parlare come gli italiani.
E' strano, stai dicendo che A [in italiano] = B [come gli italiani], ma A e B sono diversi, infatti hanno una dicitura diversa.

E' un assurdo.
Tu dici che invece è accettabile inserirci della terminologia tradotta letteralmente dal giapponese.
No, questa è un'altra mistificazione fatta da chi non sa quel che dice.

Non esiste la 'traduzione letterale', Ma cosa significa, fuori dai banchi di una scalcagnata scuola superiore?

Esistono le traduzione corrette nella loro lingua d'arrivo e quelle non corrette nella loro lingua d'arrivo, da un punti di vista grammaticale e sintattico.

Poi esiste il grado di fedeltà di una traduzione, fedeltà nell'uso semantico e contenutistico e formale e di registro dell'originale.

Fine.

La 'traduzione letterale' non esiste. Anche perché non ha senso: prima della "doppia articolazione" la lettera non è che fono, solo raramente fonema. Non ha un significato compiuto se non nel complesso della parola che compone, che ha poi senso compiuto nel piano sintagmatico della proposizione in cui si colloca. Davvero, ma cosa stai dicendo?

Stai dicendo che a te le traduzioni/adattamenti corretti e molto fedeli non piacciono, perché "ti suonano strani", benché tu sappia che a parlare sono appunto stranieri.

Vuoi le cose semplici e divertenti e sollazzanti come piacciono a te, tutto qui.
Un altro potrebbe dire che no, devono proprio parlare giapponese, perché è ridicolo che un giapponese parli italiano. Difficilmente una qualunque di queste opzioni potrà essere smontata oggettivamente, hanno tutte il loro senso.
Questa opinione infatti ha senso. Il doppiaggio, la traduzione essa tutta è una "quinta parete" che si mette oltre la quarta. E' una cosa simbolica che può non essere accettata a priori. Certo.
LBreda ha scritto: Però oh, col tuo modo di tradurre non mi ci trovo. Non sono il solo, e non so neanche se sono in minoranza, e neanche mi interessa troppo. Ma non mi ci trovo.
Benone. Solo, se per giustificare questo tuo personale "non trovartici" metterai in campo cose pseudo-obiettive come "Cannarsi adatta avvicinandosi alla sintassi giapponese", o surrettiziamente elevi il tuo gusto a quello di una non definita massa nazionale, allora ti farò giustamente notare che stai dicendo cose false, insensate e assurde. Obiettivamente.

Re: [Isao Takahata] La Storia della Principessa Splendente

Inviato: martedì 11 novembre 2014, 16:26
da LBreda
Prima di tutto, chiariscimi questo, che mi sto perdendo. Tu dici che cerchi di tradurre in un italiano dell'epoca. Io dico che certe cose sono fortemente riprese dal giapponese. Tu dici che è corretto, perché i personaggi sono giapponesi. Come questo non nega la prima affermazione?
Shito ha scritto:Quindi io ti dico: è un film straniero, sono persone straniere che esprimono concetti stranieri di una cultura straniera. Trovo ben sensato che, ben tradotti, ti suonino corretti in italiano ma innaturali - perché anche se tradotti non sono italiani, non lo sono affatto, e quel che dicono e pensano non è italiano, mentre tu lo sei.

Quindi, cosa rispondi a questo asserto? Cosa c'è a fondamento del "siccome MI suona innaturale [un adattamento di opera straniera], non MI piace?"

Nella sua soggettità è incontestabile, e ci mancherebbe.

Ma qui dico che è manifestazione di una logica errata, ovvero viziata, in tutti i sensi.
C'è di piú: il suo suonare innaturale mi distrae dai contenuti del film, spesso.
Shito ha scritto:E' bello che tu abbia espresso "per me". Nell'ambito dell'adattamento degli audiovisivi, l'adattamento è quello che consta di una componente tecnica detta 'synch', ovvero produce un testo atto all'uso specifico del doppiaggio, detto "copione". Ricevo la TUA idea di "adattamento" ovvero "localizzazione". Non è la mia. Tuttavia, e lo rimarco ancora una volta, questa TUA idea di adattamento 'domesticante' rimanda dritto dritto al mio post che tu trovavi del tutto indebito: per te l'adattamento è una mistificazione di un'originale che venga incontro al tuo sollazzo. Siccome è una cosa effettivamente brutta, umiliante, forse non riesci ad accettare questa realtà. ma è la realtà che chiaramente esprimi.
Se per "sollazzo" intendi "divertimento", no.
Se intendi "ricezione del film con la stessa naturalezza con cui lo riceve un giapponese", sí.

Shito ha scritto:Ciò che esprimi è una ridicolaggine. Siccome A TE 'suonava strano' qualcosa di corretto l'hai sostituito con qualcosa che A TE suonava "naturale", ma è obiettivamente scorretto. Perché "miss" è inglese standard, "prof" è una variazione distratica dell'italiano. Quindi, siccome A TE "piaceva di più", hai preferito un errore al giusto. Peccato che tu non sei la totalità del pubblico! Davvero, complimentoni.
Di essere un pessimo traduttore non lo metto in dubbio, il mio è un hobby e lo svolgo con l'editing di un traduttore professionista.

A mia difesa però dico che purtroppo non si può essere contemporaneamente fedeli al lessico e alla semantica. Tu mi sembri essere molto fedele al lessico, e da questo punto di vista tradurre "miss" con "prof" è abbastanza sbagliato (ma neanche troppo: ho qui l'Oxford Concise, ed. 1995, che tra i significati di "miss" mette "the title used to address a female scoolteacher, shop assistant, etc."). Io sono molto fedele alla semantica, e se un ragazzino inglese dice "miss" con il palese stesso significato con cui in italiano direbbe "prof", non vedo perché tradurre "signorina".
Shito ha scritto:
LBreda ha scritto:Io dico che in italiano si dovrebbe parlare come gli italiani.
E' strano, stai dicendo che A [in italiano] = B [come gli italiani], ma A e B sono diversi, infatti hanno una dicitura diversa.

E' un assurdo.
Uh? Gli italiani parlano italiano. Non mi pare piú assurdo di dire "secondo me si dovrebbe essere verdi come un prato in salute". "Verde" e "prato in salute" sono due diciture diverse. E sicuramente un prato in salute può avere moltissime sfumature di verde. Ma ci sono dei verdi che, pur essendo indubbiamente molto verdi, hanno poco a che fare con un prato in salute.
Shito ha scritto:La 'traduzione letterale' non esiste. Anche perché non ha senso: prima della "doppia articolazione" la lettera non è che fono, solo raramente fonema. Non ha un significato compiuto se non nel complesso della parola che compone, che ha poi senso compiuto nel piano sintagmatico della proposizione in cui si colloca. Davvero, ma cosa stai dicendo?
Sai benissimo che so tutto questo, e ci siamo capiti perfettamente. Per "traduzione letterale" indico quella, corretta sintatticamente e morfologicamente, con un grado di fedeltà tale da rendere palese un'origine non italiana.
Shito ha scritto:Stai dicendo che a te le traduzioni/adattamenti corretti e molto fedeli non piacciono, perché "ti suonano strani", benché tu sappia che a parlare sono appunto stranieri.

Vuoi le cose semplici e divertenti e sollazzanti come piacciono a te, tutto qui.
Tu successivamente parli del doppiaggio come "quinta parete". Ecco, mi piace, ed è una parete trasparente. Il problema è che questa trasparenza può lasciar trasparire cose diverse. Io voglio che lasci trasparire il messaggio nel modo piú vicino possibile a come arriva a chi guarda in originale.

Shito ha scritto:
LBreda ha scritto: Però oh, col tuo modo di tradurre non mi ci trovo. Non sono il solo, e non so neanche se sono in minoranza, e neanche mi interessa troppo. Ma non mi ci trovo.
Benone. Solo, se per giustificare questo tuo personale "non trovartici" metterai in campo cose pseudo-obiettive come "Cannarsi adatta avvicinandosi alla sintassi giapponese", o surrettiziamente elevi il tuo gusto a quello di una non definita massa nazionale, allora ti farò giustamente notare che stai dicendo cose false, insensate e assurde. Obiettivamente.
E ciò è giustissimo: ho fatto correggere con una dicitura piú soggettiva già ieri.