E venne il momento di rivelarmi un eretico: Goro Miyazaki ha tutte le carte in regola per raccogliere l'eredità paterna. Che non significa essere "uguale" a suo padre, possedere la stessa inventiva, la stessa identica visionarietà, bensì saper applicare le regole dello studio Ghibli al servizio di un lungometraggio, tramandando lo stile Miyazakiano negli anni a venire. E sinceramente preferisco così, che Goro parta cauto e con meno fantasia del padre, piuttosto che lasciarsi trasportare da visioni che finirebbero per soffocare l'armonia narrativa. Perchè, diciamocelo, un film come
Il Castello Errante di Howl, per quanto visionario e sontuoso, era l'evidente opera di un regista che aveva ormai perso il lume, danneggiato com'era da evidenti problemi di storytelling. Hayao, vuoi per l'età, vuoi perchè naturale sbocco del suo percorso artistico, negli anni ha finito per chiudersi sempre di più in sè stesso, caricando le sue caratteristiche sempre più, spesso e volentieri a scapito della sceneggiatura. Ben venga dunque un Goro, un umilissimo Goro che senza la pretesa di essere suo padre, intraprende un cammino artistico più universale e lucido.
Dico questo perchè
Gedo Senki mi è veramente piaciuto. Che questa sia una reazione alla tonnellata di recensioni negative che mi avevano minato le aspettative, che sia perchè non ho letto i libri della Le Guin o che sia per il gran sollievo che ho provato durante la visione vedendo che la sceneggiatura non svarionava come in
Howl, non mi è dato saperlo. Può darsi che sia perchè il film in sè effettivamente qualcosa vale, dal momento che ha saputo appassionarmi anche parecchio, fatto sta che mi è piaciuto. E certamente non me lo aspettavo. Certo, non mancano i particolari che non ho capito, ma tuttavia si tratta di un non capire differente da un
Howl, un non capire che individua i punti oscuri della trama, che potrebbero a una seconda visione essere schiariti come no, ma che comunque non danneggiano troppo lo svolgersi della storia. La verità forse è che
Gedo Senki come impronta e ritmi narrativi è probabilmente uno dei film ghibli più hollywoodiani, più vicino quindi ad un gusto occidentale. Questi influssi occidentali, si sposano con la sua essenza orientale creando un sincretismo, a mio parere, delizioso. E' vero che tutta la prima parte del film ha dei ritmi veramente lenti, ma del resto li aveva anche Mononoke, e va detto che servono ad immergere lo spettatore nelle atmosfere di Earthsea, che consistono in città immense, praterie e fattorie in puro stile Heidi.
Passando alla grafica, è sicuramente al di sotto dello standard ghibliano che si è imposto dopo il famoso patto con la Disney. Fin dalla prima scena si nota come l'animazione sia meno fluida, e i personaggi da lontano siano più morbidosi e meno dettagliati, uno stile che ricorda non poco i primissimi lavori di Miyazaki come
Conan e
Nausicaaa. Andando avanti, però, buona parte dei progressi fatti in questi anni emerge, a livello di animazione, come di design che, pur partendo dall'imitazione pedissequa dei modelli del Miyazaki, che fu sa apportare del nuovo, come la già famose espressioni allucinate. Ci sono alcuni personaggi fotocopia, che sembrano provenire dritti dritti dall'opera paterna, come Lepre, o il pusher che Arren incontra in città, tuttavia ciò che convince di più è la recitazione più sobria e seria dei protagonisti giovani, i cui tratti somatici, oltre a ricordare vecchie glorie come Sheeta, Lana, Pazu e compagnia bella, si rivelano come i modelli "definitivi" dell'estetica ghibliana.
Ci sono poi due canzoni, la
Canzone di Therru e
La Canzone del Tempo. La prima è una novità assoluta, in quanto prima canzone diegetica dello studio. La canta appunto Therru, in una sequenza che, priva di qualsivoglia introduzione o accompagnamento strumentale, può apparire ridicola agli occhi dei più. Un effetto che si sarebbe potuto evitare se l'avessero - sacrilegio! - tradotta, certo a scapito di quel tipo di pubblico che sverrebbe anche solo a sentire una cosa simile. Tuttavia ritengo che senza sottotitoli, la scena avrebbe avuto ben altro effetto. La seconda è invece una classicissima canzone finale, che da sempre chiude i film ghibli. A differenza di
Howl o
Kiki dove parte all'improvviso, e chiude tutto in pochi secondi, ho trovato qui una maggior calma, come se Goro, volendo tirare il fiato, avesse voluto evitare la più frequente sbavatura registica paterna, ovvero i finali frettolosi.
Gedo Senki pur lasciando interrogativi dietro di sè, si chiude in modo indolore, con un finale che rimanda un po' a Mononoke, anche se con una maggior positività, e soprattutto senza quella solita sensazione di fretta dannata.
In conclusione, spero siano chiari i motivi per cui non me la sento proprio di dare addosso a
Gedo Senki. Goro ha saputo raccontarmi una storia, una storia che ho gradito (anche per via delle frequentissime reminescenze Zeldiane), capito, assorbito e metabolizzato DURANTE la visione. Una storia forse più piatta di quelle paterne, tuttavia non priva di una morale affascinante e sensata. Con meno trovate visionarie, certo, ma ricca di atmosfera e sceneggiata con una certa lucidità. Un film più che onesto e di buona fattura. E ora lapidatemi, ghibliani.