[Rémy Chayé] Tout en haut du monde
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Il debutto alla regia di Rémy Chayé, già storyboarder e assistente alla regia di The Secret of Kells e La tela animata, avviene nel 2015 con un lungometraggio d'avventura e formazione coprodotto da Francia e Danimarca; lungometraggio che ho avuto l'enorme piacere di vedere al Future Film Festival di Bologna, dopo che ha già racimolato il premio del pubblico ad Annecy 2015 e i meritati complimenti, tra gli altri, di James Baxter e Pete Docter in occasione di projezioni private per la Disney/Pixar.
Proprio in cima al mondo vede come protagonista la quattordicenne Saša Ivanovna Černecova, erede di una delle famiglie aristocratiche nella San Pietroburgo del 1882, amante dell'avventura e legatissima al nonno materno Olukin, partito con la rompighiaccio Davaj alla conquista del Polo e mai piú ritornato. Per questo motivo, e per via di un passato insulto, lo zar imputa a Olukin la perdita della nave (cosa che ha messo la famiglia di Saša in una posizione precaria presso la corte) e ha istituito una ricompensa di un milione di rubli per chiunque la riporti indietro. Le ricerche si sono rivelate finora vane, ma Saša scopre tra gli appunti del nonno che la rotta che intendeva seguire era un'altra. Decide di sfruttare l'occasione del suo ballo di debutto in società per cercare di convincere il principe Tomskij, nipote dello zar, a riprendere le ricerche lungo la rotta giusta, ma l'intrigante aristocratico approfitta dell'insistenza della giovane per fare una scenata e screditare definitivamente la famiglia, facendola cosí cadere in disgrazia. Senza piú nulla da perdere, Saša fugge nella notte in treno e giunge fino al porto di Arcangelo, dove scambia gli orecchini donatile dal nonno per un passaggio sulla rompighiaccio Norge (evidente riferimento al dirigibile che per primo sorvolò il polo nel 1921) del severo capitano Lund, ma viene truffata dal di lui irresponsabile fratello Larson e costretta a rimanere come cameriera per un mese nella locanda di Ol'ga. Al ritorno dell'equipaggio, Saša riesce a convincere Lund a portarla sulle tracce di Olukin...
Il film pesca a piene mani dall'epopea esplorativa classica verniana, e ciò non può che essere un bene: come già da altri evidenziato, Saša è in fin dei conti una Michele Strogoff in gonnella, che porta lo spettatore in giro per il mondo assistendo alle sue disavventure, attraverso le quali matura restando tuttavia sempre sostanzialmente dalla parte del giusto. Il sense of wonder dell'era delle grandi esplorazioni, quell'atmosfera avvincente di attrazione per le meraviglie dell'ignoto, viene reso perfettamente anche dalla particolarissima scelta grafica: grandi pennellate di colore e pochissime linee, e una scelta cromatica perfetta per tutte le occasioni: nonostante la grafica apparentemente scarna, lo spettatore non dubita mai per un solo istante che quella è San Pietroburgo, che quello è il paesaggio della Carelia visto dal treno, che quello è il Polo Nord; il tutto dovuto anche a una ricerca storica ai limiti del maniacale, persino in ciò che pare a prima vista sbagliato - parecchi libri letti da Saša, incluso il diario lasciatole dal nonno, hanno le scritte in francese, che sembrerebbe un campanilismo dell'autore... e non lo è: l'aristocrazia russa fino all'ultimo zar parlava piú spesso francese che russo. Parimenti azzeccata è la stupenda colonna sonora di Jonathan Morali, curioso e intrigante miscuglio di folk e minimalismo glassiano.
Non si può fare a meno di notare come Chayé abbia creato un'estetica personale ben distinguibile, esattamente come a suo tempo fece il collega Moore con The Secret of Kells, confermandola con Song of the Sea. E infatti ne vediamo già i risultati: Chayé è al lavoro su A Childhood of Martha Jane Canary, film sulla vita di Calamity Jane, che personalmente non vedo l'ora di vedere.
Impazzisco dalla voglia di vederlo e spero di riuscirci il prima possibile.