Disney: un viaggio nel mondo della fiaba
Inviato: mercoledì 03 ottobre 2007, 18:15
Introduzione
I primi anni di vita di Walt Disney non furono dei più felici; il rapporto con i genitori era spesso turbolento. Ebbe un’infanzia povera durante la quale il suo unico conforto erano le favole classiche della vecchia Europa. E fu proprio a queste fiabe, molte della quali cupe e pessimistiche, che scelse di ispirarsi quando divenne animatore negli anni venti. Durante la sua carriera avrebbe continuato a combinare questi racconti con quella arte del ventesimo secolo, della quale fu in gran parte pioniere, il film d’animazione. Alle fiabe tornò più volte, sia nei suoi primi cortometraggi, sia, in seguito, in classici come Cenerentola, La bella addormentata e Biancaneve. Trenta anni dopo la sua ultima fiaba, gli studi che portano il suo nome sono tornati a quella tradizione. E’ da poco uscito nelle sale “La bella e la bestia”, versione animata dell’omonima fiaba.
Nel percorso di stasera, con sequenza inedite dagli archivi della Disney, tracceremo una mappa delle relazioni tra l’animazione di Disney e la sua visione tutta americana della fiaba.
Walt Disney (“Da Esopo ad Hans Christian Andersen”, 1955):
Sin dagli albori dell’umanità le fiabe non rappresentavano solo una forma di intrattenimento, ma un insieme di saggezza, di umorismo e di conoscenze e come ogni vera arte continuerà a vivere nei secoli.
Walt Disney
I nomi dei nani rispecchiano la loro personalità. Questo, dall’aspetto saccente è Dotto, auto-designatosi leader del gruppo. E questo è Mammolo, segretamente innamorato di Biancaneve.
L’edificio Team Disney, che sovrasta gli attuali studi della Disney a Los Angeles, è un testamento della forza e della longevità della versione delle favole fornita da Disney, versioni ormai adottate da cinque generazioni di bambini. Disney mantenne sempre l’animo di un ragazzo, gli piaceva raccontare fiabe ed esercitava un enorme fascino su chi ascoltava. Raccontare fiabe era una cosa che gli veniva naturale.
Il piccolo Walt leggeva moltissime fiabe e tantissime ne ascoltava. Questo esercitò su di lui una profonda influenza e Walt divenne presto consapevole di avere a disposizione una fonte di stoie inesauribile.
Walt rendeva in termini cinematografici quelli che erano i desideri dell’uomo della strada, le aspettative della gente comune. Le sue idee andavano a toccare le corde giuste della maggior parte del pubblico, un risultato che si mantiene immutato da allora.
Disney: un viaggio nel mondo della fiaba
I primissimi film di Disney furono realizzati negli anni venti in un piccolo studio a Kansas City. Essi ci mostrano un giovane animatore intento ad imparare il mestiere e a sperimentare un nuova forma d’arte. Fu durante questo periodo che Disney iniziò a lavorare alla sua prima serie: sei cortometraggi basati su altrettante fiabe della sua infanzia. I Ris-O-Grammi, come li chiamava, sono rimasti sconosciuti per molti anni.
Ollie Johnston
La fiaba era il genere ideale per Disney, non lo faceva sentire vincolato in alcun modo. A lui non interessava prendere la fiaba di qualcuno e seguirla alla lettera, perché altrimenti la gente avrebbe trovato quello che si aspettava. Attraverso le fiabe poteva giocare con la sua immaginazione
John Canemaker
“Il gatto con gli stivali” è un film molto interessante perché è fatto da una persona molto giovane:
credo che avesse allora venti o ventuno anni. Rappresenta già una certa sicurezza sul piano della regia. E’ molto simile ai film che si producevano a New York in quel periodo: c’è una grande sicurezza, c’è molto gusto, ci sono un sacco di buone gag e c’è uno sforzo concreto per valorizzare la forma. I personaggi si rincorrono lungo un percorso a forma di otto: il re insegue il ragazzo. Si tratta di una animazione in prospettiva piuttosto difficile da realizzare e viene ripetuta molte volte perché sia notata dallo spettatore. Ce ne sono un sacco di queste cose stupende.
Charles Solomon
E’ difficile giudicare i Ris-O-Grammi, perché non ne sono rimasti molti. Ciò che li rende interessanti è che contengono un’animazione fatta da Disney in persona, perché in pratica erano fatti da Walt e da Ub Iwerks, all’inizio. Poi gradualmente lui fu in grado di assumere un altro artista o due e da soli avevano imparato ad animare una storia presa da un libro sia sperimentando, sia guardando altri film muti. Sono ovviamente persone che stanno sperimentando, imparando come usare il mezzo e come presentare la storia, ma non sono ancora del tutto sicuri sul metodo da seguire perché non l’hanno mai fatto prima.
Questi film erano in realtà piuttosto caotici, ma avendo alla base una favola come soggetto, si poteva essere sicuri che il pubblico sarebbe stato più o meno consapevole dello svolgimento della storia e avrebbe potuto seguire tutte quelle trovate con cui gli animatori avessero riempito il film. Perciò la favola era un’ottima fonte di materiale per lui.
John Canemaker
Era un uomo che aveva delle regole precise e le favole gli offrivano una struttura precisa. Bene e male sono nettamente distinti; questa distinzione, questa separazione, per così dire, tra bianco e nero, l’ha mantenuta per tutta la sua carriera.
Sin dagli esordi Walt aveva sempre desiderato fare qualcosa da “Alice nel paese delle meraviglie”. Un giorno mandò un provino a Margareth Winkler, produttrice del gatto Felix e di Max Fleischer, e ottenne un contratto. Si trattava di “Alice nella terra dei cartoni animati”, che era l’esatto contrario di quello che stavano facendo i fratelli Flesicher: là un personaggio dei cartoni animati usciva nel mondo reale, mentre qui era una bambina vera che entrava nel mondo animato. Disney era uno sperimentatore instancabile e quando scopriva qualcosa voleva portarla al massimo, come dicevano negli studi, o abbellirla o andare oltre.
Nel 1923 Disney si trasferì a Los Angeles, dove avrebbe dato vita ad uno dei più grandi studi di animazione del mondo. Fu qui che creò un’altra serie innovativa, le Silly Symphonies, basate per lo più su delle favole, e continuò i suoi esperimenti pionieristici sull’animazione, compresi quelli relativi all’uso del colore. Tutti i colori usati nei cartoni di Disney venivano realizzati nel laboratorio di pittura. Era infatti piuttosto improbabile che esistesse un negozio di vernici in grado di fornire duemila colori, ciascuno in cinque tonalità. Faceva parte del lavoro quotidiano di queste ragazze.
C’erano già stati in precedenza esperimenti di film a colori, durante gli anni venti, ma nessuno di questi aveva avuto grossi successi. Disney puntava a migliorare continuamente il prodotto di animazione e quando seppe del Technicolor, stipulò con la relativa società un accordo che gli garantiva l’uso esclusivo di quel sistema nell’animazione per due anni.
Charles Solomon
Una volta avuto il colore e acquisita la capacità di usarlo nei loro film, poterono cominciare a sperimentare altri stili artistici. Poterono iniziare a fare cose con colori e disegni che si richiamavano alla tradizione dei grandi illustratori di fiabe europei con quella attenzione al particolare di artisti come Rackham, Dulac, e Nielsen, che noi consideriamo i grandi illustratori del diciannovesimo secolo.
Walt era cresciuto con libri di fiabe come questi, come gran parte del suo pubblico, e voleva conservare un’immagine che quel pubblico avrebbe riconosciuto come quella giusta per una fiaba.
Charles Solomon
Una delle ragioni per cui le Silly Symphonies sono basate su racconti di fiabe è che ancora una volta si tratta di storie molto note: gran parte del materiale per l’animazione viene dal teatro popolare, dal vaudeville, dalla pantomima, dagli spettacoli per bambini e dai fumetti, tutti generi che si erano continuamente rifatti alle fiabe e che chiaramente andavano ad alimentare quel filone. Era poi una storia molto nota che poteva essere presa, abbellita e sviluppata.
Ollie Johnston
Le favole erano l’ideale per Walt; i racconti di fiabe non erano dettagliati al punto che la gente avrebbe saputo dire con esattezza che cosa avrebbe visto al cinema. Era un pubblico aperto alle novità e Walt avrebbe dato a ciascun personaggio della storia una sua personalità e avrebbe messo in relazione le varie personalità in maniera teatrale e ne avrebbe sviluppate di nuove se ne avesse avuto bisogno
Chuck Jones
Non c’è dubbio che fiabe e racconti fantastici fossero molto congeniale a Disney. L’unica conclusione che ne possiamo trarre è che si trattava di storie molto buone, molto ben costruite e anche credibili, e in verità in alcuni dei suoi soggetti di quel periodo c’è una grande fedeltà alla storia originale, ad esempio “Il brutto anatroccolo”. Fece un magnifico lavoro con “Il brutto anatroccolo”; credo sia una dei più bei cortometraggi che abbia mai fatto. Io mi lascio facilmente commuovere da quel genere di cose, ma non dalle false emozioni e quello è un film meravigliosamente toccante.
“Il brutto anatroccolo” rappresentò uno dei primi tentativi di Disney di sviluppare un sentimento autentico in un personaggio animato e per la prima volta gli animatori cominciarono a capire che potevano davvero dare un senso del tragico ad un semplice tratto di matita.
Ward Kimball
Emblematico di tutte le piccole sperimentazioni che stavamo facendo era l’arrivo negli studi di Disney di un sacco di gente nuova appena uscita dalle scuole d’arte, ansiosa di apprendere l’arte dell’animazione. Eravamo giovani e pensavamo tutti a nuovi modi di presentare vecchi problemi. Un sacco di cose si sono sviluppate in quella atmosfera.
Spesso Disney era attratto dalle favole non solo per il soggetto, ma per via delle sfide che potevano rappresentare per i suoi animatori. In questo caso la sfida era la velocità dell’animazione. Quando videro “La lepre e la tartaruga” gli altri animatori rimasero tutti stupefatti, perché non avevano mai visto un personaggio dare l’impressione di muoversi così velocemente.
Chuck Jones
Per spiegare con un’immagine l’impatto che ebbero su di noi le Silly Symphonies basti pensare che noi ci sentivamo nei loro confronti come una utilitaria davanti ad una Rolls Royce. Non pensammo mai di poterci mettere in competizione.
John Canemaker
I film si fanno via via più realistici: all’inizio c’è una certa componente magica nell’animazione, e tutto tende a questa componente, ma via via che gli effetti della Depressione si fanno sentire, questa qualità sembra essere rimpiazzata dalla morale, dalle regole, da “ciò che devi fare per andare avanti nella vita” e questo dipende probabilmente dal periodo in cui i film furono realizzati”.
Charles Solomon
Disney credeva profondamente in quelli che noi consideriamo i valori tradizionali americani: il lavoro, il buon senso comune, e così via. E sicuramente quei messaggi venivano trasmessi dai suoi film; per esempio ne “I tre porcellini”, è Gimmi il porcellino che lavora, quello che ha il buon senso di costruire la casa di mattoni e può così salvare i suoi fratellini ed aiutarli a difendersi dal lupo.
John Canemaker
Questo film divenne forse il cartone animato più popolare di quel periodo, perché era, come dire, una metafora della miseria che incombeva durante il periodo della Depressione. In effetti la canzone “Chi ha paura del lupo cattivo?” divenne una specie di motto che dava speranza alla gente esattamente come fanno le favole.
Leonard Maltin
Svariati animatori e produttori cercarono di emulare Disney, ma senza successo. Gli unici che riuscirono, furono quelli che trovarono un modo personale di esprimersi e una propria strada e quando ci riuscivano, una delle cose che più li divertiva era prendere in giro Disney.
Ollie Johnston
I cortometraggi non incassavano abbastanza per il rientrare delle spese, eccetto “I tre porcellini” e forse uno o due altri. Non riuscivano a procurare abbastanza soldi per permettere a Walt di condurre gli studi come avrebbe voluto. Così ala fine arrivò alla decisione che per risolvere la situazione bisognava realizzare un lungometraggio. Per lui e per suo fratello Roy era l’unica strada, ma io dico che se i cortometraggi avessero incassato quanto “I tre porcellini”, avrebbe potuto fare un film di Biancaneve da quindici minuti o anche mezz’ora.
Lo studio non si etichettò mai come un luogo dove venivano realizzate solo fiabe per bambini. Disney non era poi così sdolcinato; tra le tante lettere che riceveva, erano molte quelle di gente che riteneva che egli stesse spaventando troppo il pubblico. Guardando i suoi film, anche a distanza di cinquanta anni dalla loro prima uscita si provano ancora quelle stesse emozioni che provava il pubblico degli anni trenta.
Ollie Johnston
“Biancaneve” fu per me il vero inizio di quella grande forma d’arte di questo secolo che fu il film d’animazione così come lo realizzò Walt.
Roy E. Disney
La cosa più importante che Walt continuava a ripetere era che non si trattava di un cartone animato, che non erano gli otto minuti proiettati in sala prima del Cinegiornale. Questo era un film e doveva avere dei personaggi veri, nei quali tu potevi credere.
Da bambino Disney aveva visto un film muto della Biancaneve dei fratelli Grimm. Più tardi comprese quale potenziale questa offrisse ai suoi animatori. Il processo di animazione inizia con dei disegni a matita che vengono più tardi selezionati e colorati. Gli studi lavorarono sul film per oltre quattro anni durante i quali dovettero vincere la sfida di portare sullo schermo una Biancaneve che fosse come vera.
Charles Solomon
Per quel film voleva un personaggio che fosse più realistico di quelli sperimentati nell’animazione fino ad allora, qualcosa che nessun artista sapeva se era in grado di fare o no. Perciò prima di lanciar loro la sfida, li fece confrontare con altre eroine: la ragazza Pandizucchero, la dea Persefone, una bambolina cieca, per capire se riuscivano a farlo. E se si guarda attentamente, si può già scorgere in quei personaggi un abbozzo di Biancaneve.
La protagonista di questa favola [“La dea della primavera”] è ovviamente una ragazza e Walt voleva vedere se i suoi animatori erano in grado di disegnare una ragazza. Fu la graziosa sorella di un animatore a posare per loro, ma doveva essere evidentemente un po’ timida, perché il personaggio venne fuori piuttosto impacciato. Ma Walt sapeva che quello era un passaggio indispensabile; senza un personaggio nel quale il pubblico potesse credere il film non sarebbe riuscito.
Si dovettero fare delle riprese dal vivo per dare agli animatori un’idea dei movimenti complessi perché potessero avere un punto di riferimento e di studio precisi sulla gestualità, sul movimento dei piedi, su quello delle mani, sul coordinamento dei movimenti tra loro.
Nella versione tradizionale dei fratelli Grimm i nanetti sono sette figure generiche senza alcuna differenziazione tra loro. Disney sapeva che solo facendo di ciascuno di loro un vero e proprio personaggio avrebbe potuto inserirli nella storia.
Charles Solomon
Con i nani hai sei personaggi dall’aspetto identico, più Cucciolo; per riconoscerli devi vederli in movimento, perché sono molto simili nel disegno e guardando semplicemente un fotogramma o un bozzetto non puoi essere del tutto certo se si tratti di Gongolo, di Eolo o di Pisolo, a meno che non stiano facendo qualcosa di caratteristico. Ma quando li vedi in movimento sai esattamente di che nano si tratti e questo è qualcosa che sicuramente nessun altro studio avrebbe saputo fare a quei tempi.
Per Walt Disney, lavorare ad un film di novanta minuti come Biancaneve, dopo aver fatto esclusivamente un cortometraggio da sei o sette minuti, fu un’impresa colossale.
Ward Kimball
Walt e i suoi collaboratori visionavano quasi quotidianamente i film a cui venivano aggiunte nuove sequenze disegnate solo a matita. Attraverso queste proiezioni Walt cominciava a capire quali fossero le scene non necessarie al film. MI dispiacque molto dover eliminare la sequenza della minestra sulla quale avevo passato otto mesi di lavoro estenuante con quei nani alle prese con la zuppa che facevano tutte quelle gag e Biancaneve che ammoniva. Tutto questo non sarebbe mai apparso nel film. Anche se allora ci rimasi malissimo, dovetti dargli ragione: Walt aveva un sesto senso per quello che funzionava e quello che non funzionava come ogni grande autore.
Charles Solomon
La storia originale ha un finale molto poco piacevole: in questa la regina cattiva si presenta alle nozze di Biancaneve con il principe e qui viene costretta a calzare un paio di pantofole di ferro rovente e a danzare fino alla morte. Disney capì che questo non avrebbe funzionato, specie con i bambini, e si limitò a tagliarlo.
Ward Kimball
Il pubblico sa già come andrà a finire la storia, ma vuole sapere come Walt Disney la farà finire e Walt ovviamente ha sempre scelto il lieto fine.
Charles Solomon
C’era la Depressione e nessuno voleva andare al cinema e pagare venticinque cents, o quello che era, per deprimersi ancora di più.
Durante gli anni trenta erano tutti affascinati da Disney:si scriveva di lui, gente come […] e Herbert G. Wells veniva agli studi, venne anche Frank LLoyd Reiter. Tutti quanti volevano vedere ciò che faceva. Disney era un personaggio importante e che destava interesse. Dopo la Guerra questo interesse incominciò a scemare e Walt incominciò a chiedersi se non avesse perso il suo tocco e il suo fascino nei confronti del pubblico, e alla fine arrivò alla conclusione che doveva fare un film e rischiare tutto.
Ollie Johnston
Così alla fine decise che l’unico modo, come mi disse una volta, di togliersi dai piedi azionisti, banche, sindacati, era realizzare un’altra fiaba di successo. Scelse Cenerentola, e per essere sicuro dall’inizio di avere una storia che funzionasse, fece riprendere ogni scena dal vero. Era un grosso limite, perché ti sentivi come inchiodato al pavimento in un certo senso, potevi fare dei piccoli cambiamenti, ma non molti, dovevi attenerti all’azione dal vivo che avevamo ripreso.
Leonard Maltin
“Cenerentola” è uno dei film di Disney più sottovalutati; esso racconta una storia popolare e lo fa in uno stile di animazione che a quei tempi era anch’esso diventato popolare, e credo che fosse visto un po’ come scontato.
La carriera di Walt Disney sembra un classico esempio di situazione senza via di uscita. Quando lui ripeteva cose che aveva già fatto, veniva accusato di copiare se stesso e quando faceva qualcosa di nuovo, di innovativo, veniva accusato di presentare cose che la gente non voleva vedere e gli si rimproverava di non essersi attenuto a quanto aveva già sperimentato”.
C’era un certo eccesso nel modo in cui ‘La bella Addormentata’ fu presentata; era il cartone animato più costoso che si fosse mai realizzato fino ad allora; era molto ambizioso sia dal punto di vista della musica che dell’immagine, c’era lo schermo panoramico, il suono stereofonico e in mezzo il nome di Tchaikovsky. Ricordano i collaboratori che ciò che Dinsey voleva realizzare con la Bella Addormentata, era un manoscritto miniato in movimento. ‘Non correre’, era solito dire agli animatori, “voglio che sia una cosa meravigliosa”. I disegni furono realizzati per lo più da un artista di nome Eyvind Earle.
Eyvind Earle, Una avventura nell’arte (1958)
Quando si cerca uno stile per un film di animazione, è necessario fare numerose considerazioni. Per esempio esso non deve essere soltanto piacevole all’occhio; la scena deve armonizzarsi con i personaggi animati, così come con l’atmosfera della storia e con la musica. “La bella addormentata” è una fiaba che si suppone si svolga in un’epoca molto lontana, perciò facemmo un grosso lavoro di ricerca nella pittura e nell’architettura medioevali prima di arrivare allo stile giusto per questo film.
Earle si documentò su svariate fonti del quindicesimo secolo, dai dipinti di Van Eyck, all’”Unicorno”,ai preziosi arazzi che aveva visto nel Cloisters Museum di New York, a certi manoscritti medioevali, in particolare Les Tres Riches Heures di Jean Duc de Berry.
Alcune sequenze del film riportano immediatamente alle miniature di quei manoscritti, in particolare la splendida processione d’apertura sembra un arazzo medioevale che abbia preso vita: i cavalieri in sella e i loro destrieri, le dame nelle loro ricche vesti, armigeri e stendardi che garriscono al vento.
Roy E. Disney
A “La Bella Addormentata” ho sempre rimproverato una sorta di inadeguatezza che secondo me riguarda l’immagine. E’ splendido, è tutto assolutamente bellissimo ma c’è anche uno sorta di freddezza realistica e io credo che quando si raccontano delle fiabe bisogna stare attenti a non lasciare che la realtà si intrometta troppo. Il disegno di tutti quei tronchi d’albero che vanno su e giù, la minuzia dei particolari delle cortecce, le foglie, che erano veri lavori geometrici… ecco se si guarda tutto questo è un conto, ma se in uno scenario del genere si mette un personaggio molto delicato, simpatico, ti rendi conto che non è in armonia con quel tipo di rappresentazione artistica.
Ollie Johnston
Non credo che abbia il calore di “Biancaneve” o di “Cenerentola”. Nel periodo in cui stavamo lavorando a “la Bella Addormentata”, Walt era molto preso da altre cose; dovevamo quasi supplicarlo perché venisse a parlarci del film.
Charles Solomon
In quel periodo Walt era molto preso da Disneyland, e dal suo show televisivo, er preso dalle interviste, dai documentari sulla natura e aveva perso molto del suo interesse nel’animazione. Credo che per molti versi considerasse i film che stava facendo come delle ripetizioni di ciò che aveva già fatto prima; poteva ancora migliorarli stilisticamente, nel senso di dare al pubblico una bellezza dell’immagine, come non si era mai vista prima sullo schermo e che in realtà il pubblico non aveva mai visto prima di allora. Ma egli non fu presente alle riunioni così come aveva fatto in precedenza e non seguì il film con la cura necessaria.
Nonostante la spettacolarità dell’animazione, “La Bella Addormentata nel bosco” costata oltre sei milioni di dollari, costituì uno dei più grossi fiaschi di Disney al punto che la società arrivò sull’orlo della bancarotta. Qualcuno avanzò il dubbio che le favole non fossero più adatte al pubblico delgli anni sessanta, come lo erano state ai tempi di “Biancaneve” e “Cenerentola”.
Ollie Johnston
Gli anni sessanta furono un brutto periodo per tutti. Un sacco di gente giovane aveva preso le distanze dai film di Disney in quegli anni; la nuova generazione voleva fare esperienza proibite come fumare la marijuana e queste cose qua. Non credo che quei giovani fossero molto interessati ai cartoni animati.
Furono tantissime le fiabe che Disney avrebbe voluto realizzare e che non realizzò mai. C’è una profusione di materiale nell’archivio di Disney, o come preferiscono definirlo, nella biblioteca delle ricerche sull’animazione, che non mai visto la luce.
Ci sono migliaia e migliaia di disegni, e quelli di Disney erano gli unici studi che potevano permettersi di investire tanto in un film e poi non realizzarlo perché si decideva che non era abbastanza bello o non funzionava.
Charles Solomon
La fiaba a cartoni animati che andò più avanti nella lavorazione ma che non venne mai realizzata fu “Il gallo Ricky”. Avrebbe dovuto seguire “La carica dei 101” e Marc Davis, Ken Anderson e Mel Shaw disegnarono migliaia e un altro paio di artisti disegnarono migliaia di splendide tavole.
Davis ha detto che secondo lui il suo lavoro per “Il gallo Ricky” fu tra i migliori che avesse mai fatto per Disney. Alcuni dei disegni che Marc fece dei personaggi sembrano implorare di prendere vita tanto è il movimento e la vitalità che possiedono. E da quel che ne so non fu realizzato per motivi finanziari.
Marc Davis
Lo staff amministrativo dello studio andò da Walt e disse che questi prodotti costavano troppo e richiedevano troppo tempo e che quindi doveva sospendere la realizzazione di film animati. Credo che Walt ci abbia riflettuto sopra. Ad ogni modo improvvisamente noi fummo convocati per un meeting su “Il gallo Ricky” e una voce dal fondo della sala disse “Non riuscirete mai a dare una personalità a un pollo”. Fu come un segnale e tutti ce ne andammo.
Il fatto di aver interrotto in modo così improvviso e brusco “Il gallo Ricky” dopo che si era dimostrato piuttosto promettente, insieme al fatto di non riuscire a trovare una fiaba adeguata, fece scemare l’interesse per i racconti di fiabe.
Col passare degli anni la società cambiò amministrazione. Per ridare vita alla divisione dell’animazione che stava languendo, si decise dopo un intervallo di 30 anni, di tornare alla forma della fiaba. La versione di Disney de “La Sirenetta”, come era prevedibile, fu più sentimentale e positiva di quella originale e triste di Andersen.
Charles Solomon
Negli anni trenta avevano già provato a realizzare “La Sirenetta”, ma rimanendo sostanzialmente fedeli alla storia originale di Hans Christian Andersen, che è un racconto molto triste.
Michael Eisner
Io non cambierei il finale di un classico, non cambierei il finale di un romanzo di Fielding o quello di un romanzo della Bronte, ma quando si tratta di una fiaba che è una sorta di racconto orale che si tramanda da una generazione all’altra senza mai avere una stesura definitiva, ma essendo il prodotto di culture diverse, allora credo che sia lecito cambiare il finale.
In seguito al successo de “La Sirenetta”, gli studi hanno puntato la loro attenzione su un altro racconto classico “La bella e la bestia”. Esso si è rivelato il film animato di maggiore successo di tutti i tempi, il primo ad ottenere la candidatura all’Oscar come miglior film. Come “La Sirenetta”, il film è un musical con una sensibilità estremamente moderna.
Charles Solomon
All’inizio era stato congeniato come un film più serioso collocato in un’epoca molto precisa, ambientato nella Francia del XVIII secolo. I primi bozzetti per il film evocano il mondo di Fragonard e di Boucher, e quella eleganza Rococo propria del Settecento.
Gary Trousdale
Ci sono versioni di questa storia, nelle culture più disparat,. ad esempio in alcune leggende degli indiani d’America, ci sono versioni provenienti dall’natica Cina e dall’antico Egitto. E nella stessa mitologia si possono riscontrare dei paralleli. Ma la versione per me più famosa, quella cui sono più intimamente legato, è quella di Cocteau.
Kirk Wise
La versione del mondo fiabesco alla quale abbiamo maggiormente attinto è quella probabilmente più familiare alla maggior parte della gente, cioè i racconti di corte francesi del XVI e XVII secolo. Una delle cose di cui ci accorgemmo lavorando sulla storia originale era che essa presentava una sezione centrale piuttosto statica e in un certo qual modo fiacca che funzionava bene alla lettura ma che tradotta in film avrebbe rallentato l’azione. Questa parte si riferisce al punto in cui la bella arriva al castello della bestia e accetta di rimanere lì per sempre in cambio della vita di suo padre. A questo punto nella fiaba originale si ripete più volte la stessa scena: la bella e la bestia cenano insieme e la bestia chiede alla bella “Vuoi sposarmi?”. La bella gli risponde “No, non ti sposerò!”. La sera seguente stessa scena: la cena, la bestia che chiede “Vuoi sposarmi e lei che risponde “No, non ti sposerò!”. E così via di questo passo.
Se nel racconto originale funzionava, a noi sembrava un po’ fiacca la scena, volevamo rivivacizzarla. Abbiamo reso un po’ più attuali i personaggi. Abbiamo creato una storia, pensando di più al pubblico di oggi. E il successo credo sia dovuto anche al tempo che abbiamo speso per fare della bella e della bestia dei veri personaggi tridimensionali e non semplicemente dei cartoncini ritagliati.
Glen Keane
La cosa che ti mette un po’ in ansia è che quando devi fare un personaggio per Disney, un’eroina di Disney, qualcosa di classico come i personaggi di un racconto di fiabe, la versione di Disney diventa quella definitiva. Nessuno ricorda come erano Biancaneve e i sette nani prima della versione che ne ha fatto Disney e adesso i bambini cresceranno pensando che la bestia è questa bestia, anche se ce n’è voluto prima che avesse queste fattezze. Io volevo distaccarmi da tutte quelle cose che il pubblico aveva già visto e il modo migliore per farlo era andare fuori, guardare la natura e lasciarsi ispirare da qualcosa che fosse reale e in effetti ciò che noi facciamo qui è attingere al mondo che ci circonda e ripresentare le cose al pubblico sotto una veste completamente nuova. Una cosa è leggere questa storia in un libro per bambini, guardare le illustrazioni e dire “Oh, eco la bella è accanto alla bestia, spero tanto che si innamorino”, e un’altra cosa è trovarsi fisicamente vicini a quei tre quintali di muscoli.
Non c’è un’altra forma artistica al giorno d’oggi che adotti la lezione del passato. Noi costruiamo sulla base di ciò che hanno fatto gli altri artisti. Per esempio per la trasformazione della bestia io ho studiato alcune sculture di Michelangelo.
Queste figure che escono per metà dalla pietra, come fossero ancora imprigionate nella roccia non hanno ancora consapevolezza di se, è come se fossero sgorgate da essa. Era esattamente in questi termini che io pensavo alla bestia nell’atto della sua trasformazione e feci molti disegni in questo senso.
Credo che si continuerà sempre a leggere le fiabe attraverso il film d’animazione. E’ un mezzo ideale per quel genere di storie. Da un lato avverto sulle spalle il peso della tradizione, che ti dice che se vuoi fare queste cose, devi farle molto bene,, ma dall’altro c’è quel signore che ci osserva da qualche parte, che tu devi rispettare e al quale devi sempre fare riferimento.
Walt Disney
La Fontaine, i fratelli Grimm ed Hans Christian Andersen: nel corso dei secoli le favole e i racconti di questi artisti sono stati narrati e rinarrati e continueranno ad esserlo negli anni a venire.
P.S. Ho eliminato le immagini perchè alcune erano troppo grandi rispetto all dinnesioni consentite. Una versione con illustrazioni è pubblicata anche qui:http://disneyvideo.altervista.org/forum ... topic=7755
I primi anni di vita di Walt Disney non furono dei più felici; il rapporto con i genitori era spesso turbolento. Ebbe un’infanzia povera durante la quale il suo unico conforto erano le favole classiche della vecchia Europa. E fu proprio a queste fiabe, molte della quali cupe e pessimistiche, che scelse di ispirarsi quando divenne animatore negli anni venti. Durante la sua carriera avrebbe continuato a combinare questi racconti con quella arte del ventesimo secolo, della quale fu in gran parte pioniere, il film d’animazione. Alle fiabe tornò più volte, sia nei suoi primi cortometraggi, sia, in seguito, in classici come Cenerentola, La bella addormentata e Biancaneve. Trenta anni dopo la sua ultima fiaba, gli studi che portano il suo nome sono tornati a quella tradizione. E’ da poco uscito nelle sale “La bella e la bestia”, versione animata dell’omonima fiaba.
Nel percorso di stasera, con sequenza inedite dagli archivi della Disney, tracceremo una mappa delle relazioni tra l’animazione di Disney e la sua visione tutta americana della fiaba.
Walt Disney (“Da Esopo ad Hans Christian Andersen”, 1955):
Sin dagli albori dell’umanità le fiabe non rappresentavano solo una forma di intrattenimento, ma un insieme di saggezza, di umorismo e di conoscenze e come ogni vera arte continuerà a vivere nei secoli.
Walt Disney
I nomi dei nani rispecchiano la loro personalità. Questo, dall’aspetto saccente è Dotto, auto-designatosi leader del gruppo. E questo è Mammolo, segretamente innamorato di Biancaneve.
L’edificio Team Disney, che sovrasta gli attuali studi della Disney a Los Angeles, è un testamento della forza e della longevità della versione delle favole fornita da Disney, versioni ormai adottate da cinque generazioni di bambini. Disney mantenne sempre l’animo di un ragazzo, gli piaceva raccontare fiabe ed esercitava un enorme fascino su chi ascoltava. Raccontare fiabe era una cosa che gli veniva naturale.
Il piccolo Walt leggeva moltissime fiabe e tantissime ne ascoltava. Questo esercitò su di lui una profonda influenza e Walt divenne presto consapevole di avere a disposizione una fonte di stoie inesauribile.
Walt rendeva in termini cinematografici quelli che erano i desideri dell’uomo della strada, le aspettative della gente comune. Le sue idee andavano a toccare le corde giuste della maggior parte del pubblico, un risultato che si mantiene immutato da allora.
Disney: un viaggio nel mondo della fiaba
I primissimi film di Disney furono realizzati negli anni venti in un piccolo studio a Kansas City. Essi ci mostrano un giovane animatore intento ad imparare il mestiere e a sperimentare un nuova forma d’arte. Fu durante questo periodo che Disney iniziò a lavorare alla sua prima serie: sei cortometraggi basati su altrettante fiabe della sua infanzia. I Ris-O-Grammi, come li chiamava, sono rimasti sconosciuti per molti anni.
Ollie Johnston
La fiaba era il genere ideale per Disney, non lo faceva sentire vincolato in alcun modo. A lui non interessava prendere la fiaba di qualcuno e seguirla alla lettera, perché altrimenti la gente avrebbe trovato quello che si aspettava. Attraverso le fiabe poteva giocare con la sua immaginazione
John Canemaker
“Il gatto con gli stivali” è un film molto interessante perché è fatto da una persona molto giovane:
credo che avesse allora venti o ventuno anni. Rappresenta già una certa sicurezza sul piano della regia. E’ molto simile ai film che si producevano a New York in quel periodo: c’è una grande sicurezza, c’è molto gusto, ci sono un sacco di buone gag e c’è uno sforzo concreto per valorizzare la forma. I personaggi si rincorrono lungo un percorso a forma di otto: il re insegue il ragazzo. Si tratta di una animazione in prospettiva piuttosto difficile da realizzare e viene ripetuta molte volte perché sia notata dallo spettatore. Ce ne sono un sacco di queste cose stupende.
Charles Solomon
E’ difficile giudicare i Ris-O-Grammi, perché non ne sono rimasti molti. Ciò che li rende interessanti è che contengono un’animazione fatta da Disney in persona, perché in pratica erano fatti da Walt e da Ub Iwerks, all’inizio. Poi gradualmente lui fu in grado di assumere un altro artista o due e da soli avevano imparato ad animare una storia presa da un libro sia sperimentando, sia guardando altri film muti. Sono ovviamente persone che stanno sperimentando, imparando come usare il mezzo e come presentare la storia, ma non sono ancora del tutto sicuri sul metodo da seguire perché non l’hanno mai fatto prima.
Questi film erano in realtà piuttosto caotici, ma avendo alla base una favola come soggetto, si poteva essere sicuri che il pubblico sarebbe stato più o meno consapevole dello svolgimento della storia e avrebbe potuto seguire tutte quelle trovate con cui gli animatori avessero riempito il film. Perciò la favola era un’ottima fonte di materiale per lui.
John Canemaker
Era un uomo che aveva delle regole precise e le favole gli offrivano una struttura precisa. Bene e male sono nettamente distinti; questa distinzione, questa separazione, per così dire, tra bianco e nero, l’ha mantenuta per tutta la sua carriera.
Sin dagli esordi Walt aveva sempre desiderato fare qualcosa da “Alice nel paese delle meraviglie”. Un giorno mandò un provino a Margareth Winkler, produttrice del gatto Felix e di Max Fleischer, e ottenne un contratto. Si trattava di “Alice nella terra dei cartoni animati”, che era l’esatto contrario di quello che stavano facendo i fratelli Flesicher: là un personaggio dei cartoni animati usciva nel mondo reale, mentre qui era una bambina vera che entrava nel mondo animato. Disney era uno sperimentatore instancabile e quando scopriva qualcosa voleva portarla al massimo, come dicevano negli studi, o abbellirla o andare oltre.
Nel 1923 Disney si trasferì a Los Angeles, dove avrebbe dato vita ad uno dei più grandi studi di animazione del mondo. Fu qui che creò un’altra serie innovativa, le Silly Symphonies, basate per lo più su delle favole, e continuò i suoi esperimenti pionieristici sull’animazione, compresi quelli relativi all’uso del colore. Tutti i colori usati nei cartoni di Disney venivano realizzati nel laboratorio di pittura. Era infatti piuttosto improbabile che esistesse un negozio di vernici in grado di fornire duemila colori, ciascuno in cinque tonalità. Faceva parte del lavoro quotidiano di queste ragazze.
C’erano già stati in precedenza esperimenti di film a colori, durante gli anni venti, ma nessuno di questi aveva avuto grossi successi. Disney puntava a migliorare continuamente il prodotto di animazione e quando seppe del Technicolor, stipulò con la relativa società un accordo che gli garantiva l’uso esclusivo di quel sistema nell’animazione per due anni.
Charles Solomon
Una volta avuto il colore e acquisita la capacità di usarlo nei loro film, poterono cominciare a sperimentare altri stili artistici. Poterono iniziare a fare cose con colori e disegni che si richiamavano alla tradizione dei grandi illustratori di fiabe europei con quella attenzione al particolare di artisti come Rackham, Dulac, e Nielsen, che noi consideriamo i grandi illustratori del diciannovesimo secolo.
Walt era cresciuto con libri di fiabe come questi, come gran parte del suo pubblico, e voleva conservare un’immagine che quel pubblico avrebbe riconosciuto come quella giusta per una fiaba.
Charles Solomon
Una delle ragioni per cui le Silly Symphonies sono basate su racconti di fiabe è che ancora una volta si tratta di storie molto note: gran parte del materiale per l’animazione viene dal teatro popolare, dal vaudeville, dalla pantomima, dagli spettacoli per bambini e dai fumetti, tutti generi che si erano continuamente rifatti alle fiabe e che chiaramente andavano ad alimentare quel filone. Era poi una storia molto nota che poteva essere presa, abbellita e sviluppata.
Ollie Johnston
Le favole erano l’ideale per Walt; i racconti di fiabe non erano dettagliati al punto che la gente avrebbe saputo dire con esattezza che cosa avrebbe visto al cinema. Era un pubblico aperto alle novità e Walt avrebbe dato a ciascun personaggio della storia una sua personalità e avrebbe messo in relazione le varie personalità in maniera teatrale e ne avrebbe sviluppate di nuove se ne avesse avuto bisogno
Chuck Jones
Non c’è dubbio che fiabe e racconti fantastici fossero molto congeniale a Disney. L’unica conclusione che ne possiamo trarre è che si trattava di storie molto buone, molto ben costruite e anche credibili, e in verità in alcuni dei suoi soggetti di quel periodo c’è una grande fedeltà alla storia originale, ad esempio “Il brutto anatroccolo”. Fece un magnifico lavoro con “Il brutto anatroccolo”; credo sia una dei più bei cortometraggi che abbia mai fatto. Io mi lascio facilmente commuovere da quel genere di cose, ma non dalle false emozioni e quello è un film meravigliosamente toccante.
“Il brutto anatroccolo” rappresentò uno dei primi tentativi di Disney di sviluppare un sentimento autentico in un personaggio animato e per la prima volta gli animatori cominciarono a capire che potevano davvero dare un senso del tragico ad un semplice tratto di matita.
Ward Kimball
Emblematico di tutte le piccole sperimentazioni che stavamo facendo era l’arrivo negli studi di Disney di un sacco di gente nuova appena uscita dalle scuole d’arte, ansiosa di apprendere l’arte dell’animazione. Eravamo giovani e pensavamo tutti a nuovi modi di presentare vecchi problemi. Un sacco di cose si sono sviluppate in quella atmosfera.
Spesso Disney era attratto dalle favole non solo per il soggetto, ma per via delle sfide che potevano rappresentare per i suoi animatori. In questo caso la sfida era la velocità dell’animazione. Quando videro “La lepre e la tartaruga” gli altri animatori rimasero tutti stupefatti, perché non avevano mai visto un personaggio dare l’impressione di muoversi così velocemente.
Chuck Jones
Per spiegare con un’immagine l’impatto che ebbero su di noi le Silly Symphonies basti pensare che noi ci sentivamo nei loro confronti come una utilitaria davanti ad una Rolls Royce. Non pensammo mai di poterci mettere in competizione.
John Canemaker
I film si fanno via via più realistici: all’inizio c’è una certa componente magica nell’animazione, e tutto tende a questa componente, ma via via che gli effetti della Depressione si fanno sentire, questa qualità sembra essere rimpiazzata dalla morale, dalle regole, da “ciò che devi fare per andare avanti nella vita” e questo dipende probabilmente dal periodo in cui i film furono realizzati”.
Charles Solomon
Disney credeva profondamente in quelli che noi consideriamo i valori tradizionali americani: il lavoro, il buon senso comune, e così via. E sicuramente quei messaggi venivano trasmessi dai suoi film; per esempio ne “I tre porcellini”, è Gimmi il porcellino che lavora, quello che ha il buon senso di costruire la casa di mattoni e può così salvare i suoi fratellini ed aiutarli a difendersi dal lupo.
John Canemaker
Questo film divenne forse il cartone animato più popolare di quel periodo, perché era, come dire, una metafora della miseria che incombeva durante il periodo della Depressione. In effetti la canzone “Chi ha paura del lupo cattivo?” divenne una specie di motto che dava speranza alla gente esattamente come fanno le favole.
Leonard Maltin
Svariati animatori e produttori cercarono di emulare Disney, ma senza successo. Gli unici che riuscirono, furono quelli che trovarono un modo personale di esprimersi e una propria strada e quando ci riuscivano, una delle cose che più li divertiva era prendere in giro Disney.
Ollie Johnston
I cortometraggi non incassavano abbastanza per il rientrare delle spese, eccetto “I tre porcellini” e forse uno o due altri. Non riuscivano a procurare abbastanza soldi per permettere a Walt di condurre gli studi come avrebbe voluto. Così ala fine arrivò alla decisione che per risolvere la situazione bisognava realizzare un lungometraggio. Per lui e per suo fratello Roy era l’unica strada, ma io dico che se i cortometraggi avessero incassato quanto “I tre porcellini”, avrebbe potuto fare un film di Biancaneve da quindici minuti o anche mezz’ora.
Lo studio non si etichettò mai come un luogo dove venivano realizzate solo fiabe per bambini. Disney non era poi così sdolcinato; tra le tante lettere che riceveva, erano molte quelle di gente che riteneva che egli stesse spaventando troppo il pubblico. Guardando i suoi film, anche a distanza di cinquanta anni dalla loro prima uscita si provano ancora quelle stesse emozioni che provava il pubblico degli anni trenta.
Ollie Johnston
“Biancaneve” fu per me il vero inizio di quella grande forma d’arte di questo secolo che fu il film d’animazione così come lo realizzò Walt.
Roy E. Disney
La cosa più importante che Walt continuava a ripetere era che non si trattava di un cartone animato, che non erano gli otto minuti proiettati in sala prima del Cinegiornale. Questo era un film e doveva avere dei personaggi veri, nei quali tu potevi credere.
Da bambino Disney aveva visto un film muto della Biancaneve dei fratelli Grimm. Più tardi comprese quale potenziale questa offrisse ai suoi animatori. Il processo di animazione inizia con dei disegni a matita che vengono più tardi selezionati e colorati. Gli studi lavorarono sul film per oltre quattro anni durante i quali dovettero vincere la sfida di portare sullo schermo una Biancaneve che fosse come vera.
Charles Solomon
Per quel film voleva un personaggio che fosse più realistico di quelli sperimentati nell’animazione fino ad allora, qualcosa che nessun artista sapeva se era in grado di fare o no. Perciò prima di lanciar loro la sfida, li fece confrontare con altre eroine: la ragazza Pandizucchero, la dea Persefone, una bambolina cieca, per capire se riuscivano a farlo. E se si guarda attentamente, si può già scorgere in quei personaggi un abbozzo di Biancaneve.
La protagonista di questa favola [“La dea della primavera”] è ovviamente una ragazza e Walt voleva vedere se i suoi animatori erano in grado di disegnare una ragazza. Fu la graziosa sorella di un animatore a posare per loro, ma doveva essere evidentemente un po’ timida, perché il personaggio venne fuori piuttosto impacciato. Ma Walt sapeva che quello era un passaggio indispensabile; senza un personaggio nel quale il pubblico potesse credere il film non sarebbe riuscito.
Si dovettero fare delle riprese dal vivo per dare agli animatori un’idea dei movimenti complessi perché potessero avere un punto di riferimento e di studio precisi sulla gestualità, sul movimento dei piedi, su quello delle mani, sul coordinamento dei movimenti tra loro.
Nella versione tradizionale dei fratelli Grimm i nanetti sono sette figure generiche senza alcuna differenziazione tra loro. Disney sapeva che solo facendo di ciascuno di loro un vero e proprio personaggio avrebbe potuto inserirli nella storia.
Charles Solomon
Con i nani hai sei personaggi dall’aspetto identico, più Cucciolo; per riconoscerli devi vederli in movimento, perché sono molto simili nel disegno e guardando semplicemente un fotogramma o un bozzetto non puoi essere del tutto certo se si tratti di Gongolo, di Eolo o di Pisolo, a meno che non stiano facendo qualcosa di caratteristico. Ma quando li vedi in movimento sai esattamente di che nano si tratti e questo è qualcosa che sicuramente nessun altro studio avrebbe saputo fare a quei tempi.
Per Walt Disney, lavorare ad un film di novanta minuti come Biancaneve, dopo aver fatto esclusivamente un cortometraggio da sei o sette minuti, fu un’impresa colossale.
Ward Kimball
Walt e i suoi collaboratori visionavano quasi quotidianamente i film a cui venivano aggiunte nuove sequenze disegnate solo a matita. Attraverso queste proiezioni Walt cominciava a capire quali fossero le scene non necessarie al film. MI dispiacque molto dover eliminare la sequenza della minestra sulla quale avevo passato otto mesi di lavoro estenuante con quei nani alle prese con la zuppa che facevano tutte quelle gag e Biancaneve che ammoniva. Tutto questo non sarebbe mai apparso nel film. Anche se allora ci rimasi malissimo, dovetti dargli ragione: Walt aveva un sesto senso per quello che funzionava e quello che non funzionava come ogni grande autore.
Charles Solomon
La storia originale ha un finale molto poco piacevole: in questa la regina cattiva si presenta alle nozze di Biancaneve con il principe e qui viene costretta a calzare un paio di pantofole di ferro rovente e a danzare fino alla morte. Disney capì che questo non avrebbe funzionato, specie con i bambini, e si limitò a tagliarlo.
Ward Kimball
Il pubblico sa già come andrà a finire la storia, ma vuole sapere come Walt Disney la farà finire e Walt ovviamente ha sempre scelto il lieto fine.
Charles Solomon
C’era la Depressione e nessuno voleva andare al cinema e pagare venticinque cents, o quello che era, per deprimersi ancora di più.
Durante gli anni trenta erano tutti affascinati da Disney:si scriveva di lui, gente come […] e Herbert G. Wells veniva agli studi, venne anche Frank LLoyd Reiter. Tutti quanti volevano vedere ciò che faceva. Disney era un personaggio importante e che destava interesse. Dopo la Guerra questo interesse incominciò a scemare e Walt incominciò a chiedersi se non avesse perso il suo tocco e il suo fascino nei confronti del pubblico, e alla fine arrivò alla conclusione che doveva fare un film e rischiare tutto.
Ollie Johnston
Così alla fine decise che l’unico modo, come mi disse una volta, di togliersi dai piedi azionisti, banche, sindacati, era realizzare un’altra fiaba di successo. Scelse Cenerentola, e per essere sicuro dall’inizio di avere una storia che funzionasse, fece riprendere ogni scena dal vero. Era un grosso limite, perché ti sentivi come inchiodato al pavimento in un certo senso, potevi fare dei piccoli cambiamenti, ma non molti, dovevi attenerti all’azione dal vivo che avevamo ripreso.
Leonard Maltin
“Cenerentola” è uno dei film di Disney più sottovalutati; esso racconta una storia popolare e lo fa in uno stile di animazione che a quei tempi era anch’esso diventato popolare, e credo che fosse visto un po’ come scontato.
La carriera di Walt Disney sembra un classico esempio di situazione senza via di uscita. Quando lui ripeteva cose che aveva già fatto, veniva accusato di copiare se stesso e quando faceva qualcosa di nuovo, di innovativo, veniva accusato di presentare cose che la gente non voleva vedere e gli si rimproverava di non essersi attenuto a quanto aveva già sperimentato”.
C’era un certo eccesso nel modo in cui ‘La bella Addormentata’ fu presentata; era il cartone animato più costoso che si fosse mai realizzato fino ad allora; era molto ambizioso sia dal punto di vista della musica che dell’immagine, c’era lo schermo panoramico, il suono stereofonico e in mezzo il nome di Tchaikovsky. Ricordano i collaboratori che ciò che Dinsey voleva realizzare con la Bella Addormentata, era un manoscritto miniato in movimento. ‘Non correre’, era solito dire agli animatori, “voglio che sia una cosa meravigliosa”. I disegni furono realizzati per lo più da un artista di nome Eyvind Earle.
Eyvind Earle, Una avventura nell’arte (1958)
Quando si cerca uno stile per un film di animazione, è necessario fare numerose considerazioni. Per esempio esso non deve essere soltanto piacevole all’occhio; la scena deve armonizzarsi con i personaggi animati, così come con l’atmosfera della storia e con la musica. “La bella addormentata” è una fiaba che si suppone si svolga in un’epoca molto lontana, perciò facemmo un grosso lavoro di ricerca nella pittura e nell’architettura medioevali prima di arrivare allo stile giusto per questo film.
Earle si documentò su svariate fonti del quindicesimo secolo, dai dipinti di Van Eyck, all’”Unicorno”,ai preziosi arazzi che aveva visto nel Cloisters Museum di New York, a certi manoscritti medioevali, in particolare Les Tres Riches Heures di Jean Duc de Berry.
Alcune sequenze del film riportano immediatamente alle miniature di quei manoscritti, in particolare la splendida processione d’apertura sembra un arazzo medioevale che abbia preso vita: i cavalieri in sella e i loro destrieri, le dame nelle loro ricche vesti, armigeri e stendardi che garriscono al vento.
Roy E. Disney
A “La Bella Addormentata” ho sempre rimproverato una sorta di inadeguatezza che secondo me riguarda l’immagine. E’ splendido, è tutto assolutamente bellissimo ma c’è anche uno sorta di freddezza realistica e io credo che quando si raccontano delle fiabe bisogna stare attenti a non lasciare che la realtà si intrometta troppo. Il disegno di tutti quei tronchi d’albero che vanno su e giù, la minuzia dei particolari delle cortecce, le foglie, che erano veri lavori geometrici… ecco se si guarda tutto questo è un conto, ma se in uno scenario del genere si mette un personaggio molto delicato, simpatico, ti rendi conto che non è in armonia con quel tipo di rappresentazione artistica.
Ollie Johnston
Non credo che abbia il calore di “Biancaneve” o di “Cenerentola”. Nel periodo in cui stavamo lavorando a “la Bella Addormentata”, Walt era molto preso da altre cose; dovevamo quasi supplicarlo perché venisse a parlarci del film.
Charles Solomon
In quel periodo Walt era molto preso da Disneyland, e dal suo show televisivo, er preso dalle interviste, dai documentari sulla natura e aveva perso molto del suo interesse nel’animazione. Credo che per molti versi considerasse i film che stava facendo come delle ripetizioni di ciò che aveva già fatto prima; poteva ancora migliorarli stilisticamente, nel senso di dare al pubblico una bellezza dell’immagine, come non si era mai vista prima sullo schermo e che in realtà il pubblico non aveva mai visto prima di allora. Ma egli non fu presente alle riunioni così come aveva fatto in precedenza e non seguì il film con la cura necessaria.
Nonostante la spettacolarità dell’animazione, “La Bella Addormentata nel bosco” costata oltre sei milioni di dollari, costituì uno dei più grossi fiaschi di Disney al punto che la società arrivò sull’orlo della bancarotta. Qualcuno avanzò il dubbio che le favole non fossero più adatte al pubblico delgli anni sessanta, come lo erano state ai tempi di “Biancaneve” e “Cenerentola”.
Ollie Johnston
Gli anni sessanta furono un brutto periodo per tutti. Un sacco di gente giovane aveva preso le distanze dai film di Disney in quegli anni; la nuova generazione voleva fare esperienza proibite come fumare la marijuana e queste cose qua. Non credo che quei giovani fossero molto interessati ai cartoni animati.
Furono tantissime le fiabe che Disney avrebbe voluto realizzare e che non realizzò mai. C’è una profusione di materiale nell’archivio di Disney, o come preferiscono definirlo, nella biblioteca delle ricerche sull’animazione, che non mai visto la luce.
Ci sono migliaia e migliaia di disegni, e quelli di Disney erano gli unici studi che potevano permettersi di investire tanto in un film e poi non realizzarlo perché si decideva che non era abbastanza bello o non funzionava.
Charles Solomon
La fiaba a cartoni animati che andò più avanti nella lavorazione ma che non venne mai realizzata fu “Il gallo Ricky”. Avrebbe dovuto seguire “La carica dei 101” e Marc Davis, Ken Anderson e Mel Shaw disegnarono migliaia e un altro paio di artisti disegnarono migliaia di splendide tavole.
Davis ha detto che secondo lui il suo lavoro per “Il gallo Ricky” fu tra i migliori che avesse mai fatto per Disney. Alcuni dei disegni che Marc fece dei personaggi sembrano implorare di prendere vita tanto è il movimento e la vitalità che possiedono. E da quel che ne so non fu realizzato per motivi finanziari.
Marc Davis
Lo staff amministrativo dello studio andò da Walt e disse che questi prodotti costavano troppo e richiedevano troppo tempo e che quindi doveva sospendere la realizzazione di film animati. Credo che Walt ci abbia riflettuto sopra. Ad ogni modo improvvisamente noi fummo convocati per un meeting su “Il gallo Ricky” e una voce dal fondo della sala disse “Non riuscirete mai a dare una personalità a un pollo”. Fu come un segnale e tutti ce ne andammo.
Il fatto di aver interrotto in modo così improvviso e brusco “Il gallo Ricky” dopo che si era dimostrato piuttosto promettente, insieme al fatto di non riuscire a trovare una fiaba adeguata, fece scemare l’interesse per i racconti di fiabe.
Col passare degli anni la società cambiò amministrazione. Per ridare vita alla divisione dell’animazione che stava languendo, si decise dopo un intervallo di 30 anni, di tornare alla forma della fiaba. La versione di Disney de “La Sirenetta”, come era prevedibile, fu più sentimentale e positiva di quella originale e triste di Andersen.
Charles Solomon
Negli anni trenta avevano già provato a realizzare “La Sirenetta”, ma rimanendo sostanzialmente fedeli alla storia originale di Hans Christian Andersen, che è un racconto molto triste.
Michael Eisner
Io non cambierei il finale di un classico, non cambierei il finale di un romanzo di Fielding o quello di un romanzo della Bronte, ma quando si tratta di una fiaba che è una sorta di racconto orale che si tramanda da una generazione all’altra senza mai avere una stesura definitiva, ma essendo il prodotto di culture diverse, allora credo che sia lecito cambiare il finale.
In seguito al successo de “La Sirenetta”, gli studi hanno puntato la loro attenzione su un altro racconto classico “La bella e la bestia”. Esso si è rivelato il film animato di maggiore successo di tutti i tempi, il primo ad ottenere la candidatura all’Oscar come miglior film. Come “La Sirenetta”, il film è un musical con una sensibilità estremamente moderna.
Charles Solomon
All’inizio era stato congeniato come un film più serioso collocato in un’epoca molto precisa, ambientato nella Francia del XVIII secolo. I primi bozzetti per il film evocano il mondo di Fragonard e di Boucher, e quella eleganza Rococo propria del Settecento.
Gary Trousdale
Ci sono versioni di questa storia, nelle culture più disparat,. ad esempio in alcune leggende degli indiani d’America, ci sono versioni provenienti dall’natica Cina e dall’antico Egitto. E nella stessa mitologia si possono riscontrare dei paralleli. Ma la versione per me più famosa, quella cui sono più intimamente legato, è quella di Cocteau.
Kirk Wise
La versione del mondo fiabesco alla quale abbiamo maggiormente attinto è quella probabilmente più familiare alla maggior parte della gente, cioè i racconti di corte francesi del XVI e XVII secolo. Una delle cose di cui ci accorgemmo lavorando sulla storia originale era che essa presentava una sezione centrale piuttosto statica e in un certo qual modo fiacca che funzionava bene alla lettura ma che tradotta in film avrebbe rallentato l’azione. Questa parte si riferisce al punto in cui la bella arriva al castello della bestia e accetta di rimanere lì per sempre in cambio della vita di suo padre. A questo punto nella fiaba originale si ripete più volte la stessa scena: la bella e la bestia cenano insieme e la bestia chiede alla bella “Vuoi sposarmi?”. La bella gli risponde “No, non ti sposerò!”. La sera seguente stessa scena: la cena, la bestia che chiede “Vuoi sposarmi e lei che risponde “No, non ti sposerò!”. E così via di questo passo.
Se nel racconto originale funzionava, a noi sembrava un po’ fiacca la scena, volevamo rivivacizzarla. Abbiamo reso un po’ più attuali i personaggi. Abbiamo creato una storia, pensando di più al pubblico di oggi. E il successo credo sia dovuto anche al tempo che abbiamo speso per fare della bella e della bestia dei veri personaggi tridimensionali e non semplicemente dei cartoncini ritagliati.
Glen Keane
La cosa che ti mette un po’ in ansia è che quando devi fare un personaggio per Disney, un’eroina di Disney, qualcosa di classico come i personaggi di un racconto di fiabe, la versione di Disney diventa quella definitiva. Nessuno ricorda come erano Biancaneve e i sette nani prima della versione che ne ha fatto Disney e adesso i bambini cresceranno pensando che la bestia è questa bestia, anche se ce n’è voluto prima che avesse queste fattezze. Io volevo distaccarmi da tutte quelle cose che il pubblico aveva già visto e il modo migliore per farlo era andare fuori, guardare la natura e lasciarsi ispirare da qualcosa che fosse reale e in effetti ciò che noi facciamo qui è attingere al mondo che ci circonda e ripresentare le cose al pubblico sotto una veste completamente nuova. Una cosa è leggere questa storia in un libro per bambini, guardare le illustrazioni e dire “Oh, eco la bella è accanto alla bestia, spero tanto che si innamorino”, e un’altra cosa è trovarsi fisicamente vicini a quei tre quintali di muscoli.
Non c’è un’altra forma artistica al giorno d’oggi che adotti la lezione del passato. Noi costruiamo sulla base di ciò che hanno fatto gli altri artisti. Per esempio per la trasformazione della bestia io ho studiato alcune sculture di Michelangelo.
Queste figure che escono per metà dalla pietra, come fossero ancora imprigionate nella roccia non hanno ancora consapevolezza di se, è come se fossero sgorgate da essa. Era esattamente in questi termini che io pensavo alla bestia nell’atto della sua trasformazione e feci molti disegni in questo senso.
Credo che si continuerà sempre a leggere le fiabe attraverso il film d’animazione. E’ un mezzo ideale per quel genere di storie. Da un lato avverto sulle spalle il peso della tradizione, che ti dice che se vuoi fare queste cose, devi farle molto bene,, ma dall’altro c’è quel signore che ci osserva da qualche parte, che tu devi rispettare e al quale devi sempre fare riferimento.
Walt Disney
La Fontaine, i fratelli Grimm ed Hans Christian Andersen: nel corso dei secoli le favole e i racconti di questi artisti sono stati narrati e rinarrati e continueranno ad esserlo negli anni a venire.
P.S. Ho eliminato le immagini perchè alcune erano troppo grandi rispetto all dinnesioni consentite. Una versione con illustrazioni è pubblicata anche qui:http://disneyvideo.altervista.org/forum ... topic=7755