[Shorts] Special Cartoons
Inviato: giovedì 29 aprile 2010, 14:55
Quando al termine degli anni 30 vengono accantonate le Silly Simphonies, per Walt si pone il problema di come registrare gli shorts che d'ora in poi non avranno un personaggio fisso, come l'appena prodotto Ferdinand the Bull. Il problema viene rapidamente aggirato creando l'etichetta "Special" con cui registrare un po' tutta la miscellanea prodotta nel corso degli anni, che fa uso di un registro narrativo sicuramente più prosaico rispetto alle musicalissime Silly. Sotto questa dicitura vengono prodotti una manciata di cortometraggi senza personaggio fisso, che raccontano storielle di ogni tipo ma non solo: burocraticamente parlando il marchio fa parecchio comodo e infatti con la fine dell'epoca degli shorts continua ad essere utilizzato un po' a sproposito, sia per le featurette (i mediometraggi) che non contengono alcuno standard character, che in alcuni casi piuttosto atipici come Dad Can i Borrow the Car?, un mediometraggio live action, o gli special con materiale preesistente (ma distribuiti al cinema) Mickey Mouse Disco e Once Upon a Mouse, per non parlare dei cortometraggi distribuiti nei cinema razziando i segmenti dei lungometraggi a episodi. Sono pure presenti due serie nella serie come quella di Humprey, composta da due corti, che oltre ad un logo non ha mai avuto titolo, se non un generico "cartoon" e quindi non è da considerarsi una serie vera e propria, e i due Adventures in Music, corti che vedono un vecchio gufo insegnare a una classe di volatili la storia della musica. Da questo marchio generico ho cercato di estrarre quelli che davvero sono da considerarsi cortometraggi d'animazione, depurandoli di tutto il materiale inserito a sproposito e anzi inserendo materiale nuovo prodotto di recente che altra classificazione non potrebbe avere. Insomma i cortometraggi d'animazione che non appartengono a nessun'altra serie vengono inseriti qui, a prescindere dalla catalogazione burocratica avuta a suo tempo, cercando di dare al tutto una maggior omogeneità. Da ricordare che tutti gli special cartoon dal 1938 al 1967 insieme ai mediometraggi e a una manciata di Alice Comedies sono stati raccolti nel Treasure Disney Rarities.
1938
Ferdinand the Bull
Ed ecco arrivare il primo Special Cartoon, in un momento in cui le Silly Simphonies tirano gli ultimi respiri. La differenza è notevole, se prima (pur avendo all'occorrenza del parlato) a narrare la storia era la musica, qui siamo in una situazione piuttosto diversa: c'è più trama e a narrarla è quasi sempre un narratore fuori campo. La storiella, tratta da un libro per l'infanzia di Munro Leaf, parla del mansueto toro Ferdinando che preferisce annusare i fiori piuttosto che battersi nell'arena: quando finirà al cospetto di un matador con le fattezze di Walt Disney lo umilierà non curandosi di lui fino a dover essere riportato indietro. Un elogio della vita tranquilla e del voler mantenere la propria diversità, che non manca di divertire parecchio in parecchie occasioni. Indimenticabile a questo proposito l'albero di sughero con tanto di tappi tra le fronde, la madre di Ferdinando sebbene fosse una vacca e l'intero staff della corrida in cui non è presente solo Walt ma anche Ward Kimball, Fred Moore, Art Babbitt e molti altri. Il corto vinse l'Oscar nel 1938, ed è interessante perché mostra forse per la prima volta l'animazione cortometraggistica Disney alle prese con una narrazione pura, senza divagazioni slapstick presenti anche nelle Silly Simphony. Da ricordare l'apparizione di Ferdinando alla fattoria di Nonna Papera nella storia di Romano Scarpa Venezia e i Tesori de'Paperoni. Qui in versione originale, mentre qui l'unico doppiaggio italiano mai esistito (privo però dei credits finali).
1942
Clair de Lune (Clair de Lune) - Tagliato da Fantasia e riadattato per Musica Maestro. Non rilasciato fino al 1996.
Questo cortometraggio, che ascrivo a questa categoria solo per comodità, ha avuto una vita piuttosto travagliata. Potrebbe venir discussa pure la sua collocazione in questo anno, ma proverò a spiegarne le motivazioni. Innanzitutto va ricordato che si tratta di un segmento tagliato da Fantasia, basato sul Clair de Lune di Debussy. Un segmento parecchio più breve della durata di sette minuti che descrive l'incontro e il volo di due aironi al chiaro di luna in una palude blu: senza dubbio un setting d'atmosfera, per quanto il segmento sia senza dubbio il meno significativo di tutti i brani. Poetico ma pur sempre un po' noioso e anonimo visto nel contesto Fantasia, questo segmento viene così sacrificato senza troppi complimenti per rendere più breve un lungometraggio che ormai aveva raggiunto le due ore. Il tutto senza averlo colorato e inchiostrato. Walt Disney però si rifiuta di accantonarlo totalmente e nel 1942 lo completa finalmente, per farlo uscire nelle sale come cortometraggio a sé. E' questo il motivo per cui l'ho collocato nel 1942, perché idealmente Clair de Lune, come cortometraggio risale a quell'anno. Ciò che è venuto dopo non è stata certo la sorte ideale per l'opera: sul punto di uscire il corto viene nuovamente fermato e modificato. Il Clair de Lune di Debussy rimosso e sostituito da Blue Bayou, una canzone moderna dell'epoca, invecchiata per ovvi motivi molto male. Con questa nuova colonna sonora, il segmento diventa il secondo numero musicale del Classico Disney a episodi Musica Maestro e bisognerà aspettare il 1996 perché ci si ricordi di lui e il corto venga ripresentato, integrandolo con immagini riciclate dalla Toccata e Fuga, come veramente Walt Disney l'aveva concepito. Qui.
1943
Education for Death
Nel 1943 vengono prodotti innumerevoli cortometraggi a tema bellico, sponsorizzati e non. E' in questo anno che viene ripresa quindi la categoria degli Special Cartoon che era effettivamente ferma dal 1938 (Clair de Lune non era mai stato distribuito) e vengono prodotti tre cortometraggi, riconducibili a tematiche di questo tipo. Il primo è un gioiellino di dieci minuti, ispirato ad un libro, Hitler's Children, in cui viene illustrato il modo in cui il nazismo indottrina le menti dei giovani nella Germania di Hitler: Walt ne ricava un corto molto particolare, poco più lungo del normale in cui si descrive la nascita e la crescita di un tipico bambino tedesco, Hans e i successivi step che lo portano a diventare una macchina mortale. Lo stile è meno umoristico del solito, anche se non abbastanza realistico da essere equiparato a certe animazioni realizzate per Victory Through Air Power, e per tutto il corto si respira un'aria pesante, drammatica. Le scene sono tutte memorabili, in special modo quando a scuola Hans finisce in castigo per aver provato tenerezza verso il coniglietto dell'esempio, che l'insegnante addita come debole destinato a soccombere. Ma il vero capolavoro è la fiaba che viene raccontata ai bambini, che vede Hitler nei panni di un comicissimo principe azzurro, salvare la Germania, una grassa ubriacona dalle grinfie dalla strega cattiva, la Democrazia. Qui il cortometraggio si prende una licenza e si fa comico e caricaturale, e le risate non mancano, anche per come Hitler viene messo in ridicolo. Il corto col suo non essere dichiaramente umoristico rappresenta però un unicum nel panorama cortometraggistico Disneyano, visto che finora questi toni drammatici erano stati utilizzati solo in corti educativi e sponsorizzati, mentre qui si tratta di un'opera creata per il puro intrattenimento. Insomma un gioiello, presente però solamente nel Treasure bellico On The Front Lines. Qui.
Reason and Emotion
Questo capolavoro è un'arguta osservazione sulla natura umana. Con dei toni assolutamente e genialmente umoristici viene descritto il funzionamento della mente umana, al cui interno si immagina risiedano due esserini: Ragione, dipinto come un secchioncello e adibito al controllo del ramo emozionale, ed Emozione, un simpatico cavernicolo dalle fattezze wardkimballiane, protettore dei bollenti spiriti. Il corto suggerisce che per un corretto comportamento Emozione debba sempre sedere sul sedile posteriore, rigidamente sorvegliato da Ragione. Per mostrare meglio ciò che si intende vengono fatti degli esempi, descrivendo come questo bilanciamento avvenga nell'uomo e nella donna, e alla fine per rendere più lampante il significato di tutto ecco che salta fuori un po' di propaganda antinazista, volta a far capire come con la paura e la falsa lusinga Hitler sia capace di far prevalere gli instinti ferini dell'uomo, trasformandolo in un perfetto imbecille. Il tutto potrebbe sembrare materia da corto didattico, ma il corto è tutt'altro che questo, è una vera gemma di intrattenimento animata con un'arte sopraffina, e forse uno dei punti più alti in cui si è spinta l'arte dell'animazione Disney, libera da un certo umorismo facile e di genere che tende troppo spesso a predominare. L'animazione poi è quanto di più espressivo ed elegante si sia mai vista finora in un corto, con la rappresentazione dell'Emozione maschile e femminile che è veramente da applausi. Insomma un perfetto esempio di ciò che avrebbe potuto offrire lo studio Disney se si fosse lasciato un po' più spesso da parte lo humor animalettistico. Anche questo corto, per via dei suoi riferimento bellici è stato inserito solo in On The Front Lines e quindi non nel volume adibito al contenimento degli Special Cartoon, Disney Rarities. Qui.
Chicken Little
La celebre fiaba del cielo che cade e del pulcino inutilmente allarmista viene qui presentata da Disney con decenni di anticipo sul loro quarantaseiesimo classico, in una versione incredibilmente graffiante, e sorprendentemente priva del lieto fine. La volpe Foxy Loxy riesce a portare lo scompiglio in un pollaio, minando le certezze dei suoi abitanti con dei fini accorgimenti psicologici. Il cortometraggio è assolutamente riuscito nel suo mostrarci un interazione a più livelli tra una moltitudine di personaggi divertsi e caratterizzati psicologicamente e graficamente con grande maestria, e ci mostra una volta di più quanto in un contesto più "narrativo" possa offrire l'animazione Disney. Il corto è presente in ben due Treasures, sia nel volume di riferimento Disney Rarities che in On The Front Lines. Il motivo è presto detto: Disney inizialmente concepisce questo corto per mettere in guarda la popolazione dalle menzogne destabilizzanti che la propaganda nazista avrebbe potuto diffondere per demoralizzare la popolazione americana. Capito però l'enorme potenziale fiabesco di questo corto, decide di epurarlo dai riferimenti troppo diretti alla guerra (inizialmente la volpe consultava di continuo il Mein Kampf), per renderlo più universale. Il corto viene quindi tramandato con successo fino ai giorni nostri, senza finire archiviato come gli altri due gioielli che offriva questo bellissimo 1943. Qui.
1944
The Pelican and the Snipe
Ed ecco il terzo e ultimo cortometraggio, dopo Pluto and the Armadillo e Contrary Condor ad esser entrato a far parte del progetto di buon vicinato con l'America Latina senza però aver trovato posto né in Saludos Amigos, né in The Three Caballeros. Narra la storia di un pellicano e un beccaccino che abitano sopra un faro a Montevideo, e che si chiamano per l'appunto Monty e Video. Una storiella graziosa, narrata dalla voce di Sterling Holloway, già doppiatore della cicogna di Dumbo, narratore del segmento del pinguino che apriva I Tre Caballeros e futura voce di Winnie the Pooh. La sua voce ovattata viene scelta per narrare questa storiella d'amicizia, in cui il piccolo beccaccino cerca di salvare Monty da sé stesso in quanto affetto da sonnambulismo. Ovviamente il suo gesto verrà equivocato con tanto di crisi e risoluzione finale: una favoletta graziosa ma che viene penalizzata dall'estrema povertà degli sfondi, quasi completamente inesistenti. Il che è un peccato e fa ben intuire il motivo per cui, come rappresentante degli Special Cartoons in Saludos Amigos sia stato scelto Pedro. Va segnalato che The Pelican and the Snipe è l'ultimo Special Cartoon degli anni 40: da adesso questa serie di short viene messa da parte fino agli anni 50. Il corto era doppiato in italiano nell'antica vhs Disney Adventures, per il solo noleggio, per il resto l'unica versione esistente è quella originale inserita nel Treasures Disney Rarities. Qui.
1950
The Brave Engineer
Dopo ben sei anni da The Pelican and the Snipe ecco nuovamente un cortometraggio che si becca la dicitura di Special Cartoon, categoria che crescerà sempre più negli anni 50 fino a che non rimpiazzerà quasi completamente i corti con i personaggi standard. Non è che questa produzione sia stata incrementata adesso però, è solo che con la fine dei film a episodi viene a mancare il pretesto per proporre al cinema queste storielle in uno spettacolo unico. Anzi, accadrà l'inverso: in questo decennio saranno moltissimi i corti che usciranno al cinema che altro non sono che estratti da quei vecchi film. The Brave Engineer è un corto che traspone una celebre canzone popolare americana che parla di un macchinista coraggioso che morì cercando di impedire una collisione tra treni. La versione Disney è assolutamente umoristica e ci mostra invece Casey Jones lavorare come un matto per riuscire a far arrivare in perfetto orario il treno con la posta (o ciò che ne resta), malgrado la collisione, sopravvivendo tralaltro. Si ride parecchio nel vederlo buttarsi a testa bassa nel suo lavoro incurante delle sventure che gli capitano intorno. Lo stile grafico morbido e curato e il registro narrativo buffo sono gli stessi di The Martins and the Coys o di Casey at the Bat (in questo caso il narratore/cantante è lo stesso Jerry Colonna), tutti episodi presenti in Musica Maestro e la cosa fa pensare che se l'usanza fosse continuata anche Casey Jones sarebbe entrato a far parte di un lungometraggio, affiancandosi a Johnny Appleseed e Pecos Bill. Insomma un buon corto, un po' invecchiato male per quanto riguarda la narrazione, ma indovinato sotto tutti gli altri aspetti. Peccato che ben presto questo stile ricco avrebbe lasciato il posto ad una progressiva stilizzazione che a suon di animazioni ridotte avrebbe impoverito lo stile Disney. Qui.
Morris, the Midget Moose
Ecco invece uno Special Cartoon che si discosta dal precedente raccontando una storiella molto più affine allo stile cortometraggistico classico. Anzi, fa quello che dovrebbe fare ogni buon cortometraggio con animali, raccontando in modo grazioso ed umoristico una fiabetta graziosissima, quella di Morris, alce nano che si allea con un compagno grosso ma dalle corna piccole per battere il tiranno del branco. Le gag sono simpaticissime, i personaggi indovinati e molto bella la gag in cui viene mostrato il linguaggio degli alci senza filtro narrativo. E, chicca delle chicche, il narratore del corto è il caro vecchio e carismatico Bootle Beetle, reduce da tre corti di Paperino, che racconta la fiaba a due suoi discepoli, confermandosi quindi come un personaggio intrigante e capace di essere utilizzato senza per forza tirare in ballo battibecchi fini a sé stessi. Peccato che questa sua quarta apparizione sia anche l'ultima, dopodiché il personaggio cadrà nel dimenticatoio, utilizzato di tanto in tanto solo in qualche fumetto di Buci. Qui.
1952
Lambert, the Sheepish Lion
Ed ecco un capolavoro. Perfetto esempio di narrazione Disneyana cortometraggistica che esuli dai soliti schemi, è uno degli special cartoon più amati di sempre e primo di un terzetto di lusso che in questo anno esce con il sempreverde Sterling Holloway come narratore. La storia di Lambert (o Zirlino, come era stato chiamato in italia a suo tempo nell'adattamento a fumetti), cucciolo di leone recapitato per sbaglio in un gregge di pecore da Mr. Stork, qui di ritorno dai fasti di Dumbo, è un vero gioiello. Animazioni di alto livello, ancora distanti dalla stilizzazione che da qui a poco avrebbe preso il sopravvento portando all'animazione ridotta, uno studio dei personaggi sopraffino con un appeal formidabile e tanto tanto umorismo. Molto graziosa anche la canzoncina che fa da tema all'intero corto, e assolutamente fulminanti alcuni momenti come quando Lambert ritrova la sua ferinità e salva sua madre da un lupo che sembra quello di Pierino, decidendo però di farlo alla maniera delle pecore con una bella testata. Insomma, un corto stupendo con un'atmosfera davvero bellissima. Qui in originale, qui in italiano.
Susie, the Little Blue Coupé
La galleria delle umanizzazioni dei veicoli dopo aver visto prendere vita un aeroplanino e un rimorchiatore continua con le automobili. L'idea stessa di raffigurare le auto umanizzate mettendo gli occhi sul parabrezza anziché al posto dei fanali, come si era sempre fatto prima, deve esser piaciuta molto a John Lasseter, visto che si può ragionevolmente dire che il suo Cars sia il figlio legittimo di questo cortometraggio, che descrive il ciclo vitale di un'automobile. Ma non è l'unico elemento ad aver influenzato l'operato pixariano, evidentemente: la trama stessa del corto, che condividerà anche col successivo Little House, esattamente come la trilogia di Toy Story, racconta una storia di passaggi di proprietà che portano Susie la Coupé dai fasti della sua epoca d'oro fino allo sfasciacarrozze. Abbandono, rinascita, fasi della vita, c'è tutto in questo corto, che è veramente un piccolo capolavoro. Un vero peccato che nel realizzare il volume Disney Rarities che avrebbe dovuto raccogliere tutti gli Special, questo corto insieme con Casey Bats Again sia stato lasciato fuori da Maltin, per motivi mai del tutto chiariti. A suo tempo si pensò che fosse per garantir loro un'uscita (insieme ai tre corti di Cip e Ciop e ai mediometraggi post 1962) in un ipotetico Rarities 2, ma dal momento che la serie è stata chiusa l'unico modo per reperire questo corto in italiano è andarselo a cercare nella compilation Disney Cuori e Amori. Qui in originale, qui in italiano.
Little House
La storia di una piccola casetta attraverso ben un secolo di storia, vissuta a suon di passaggi di proprietà e vedendo il mondo intorno a sé cambiare incessantemente, con la città che fagocita la campagna, le industrie che prendono il sopravvento opprimendola sempre più e via dicendo. Lo spunto è lo stesso di Susie ovviamente, e pure il narratore Sterling Holloway (che ha partecipato a tutti e tre gli special dell'anno), ma il senso di tristezza e decadenza è accresciuto dalla "critica" all'industrializzazione, una realtà invadente e mai veramente stabile, soggetta a continui cambiamenti. Evidentemente un altro spunto che la Pixar ha poi fatto suo nel ritrarci la casa di Carl stretta nella morsa del progresso. Altro gioiello perfettamente in linea col precedente, e ultimo esponente dell'epoca delle umanizzazioni estreme, risente però leggermente del progressivo impoverimento stilistico che farà presto volgere la serie degli Special verso la stilizzazione estrema, per fortuna che qua è là c'è lo stile di Mary Blair a coccolare gli occhi. Qui.
1953
Adventures in Music - Melody
Sono tempi bui per i cortometraggi: la tv ha ucciso questa forma d'intrattenimento. Non ci sono soldi e i pochi che ci sono vengono giustamente destinati ai lungometraggi animati. Poi un giorno un animatore si accorge che tenendo ferma una figura e muovendone solo una piccola parte non solo si avrebbe avuto un netto risparmio ma si sarebbe accentuato l'effetto comico. Nasce così l'animazione ridotta, che tanto seguito avrebbe avuto nell'animazione televisiva, ma che agli studios Disney si decide di usare per degli scopi espressivi ben precisi. L'animazione ridotta viene inaugurata e utilizzata in dosi davvero massicce all'interno del ciclo Adventures in Music. Sorta di serie nella serie, questa bilogia di corti in cui una classe di uccellini capeggiata da un maestro gufo prende in esame vari aspetti del mondo della musica offre una didattica allegra, buffa e per questo molto efficace. Va però detto che l'animazione ridotta qui utilizzata è veramente troppo ridotta, con stilizzazioni estreme che raggiungono vertici di sgradevolezza insoliti per un prodotto Disneyano. Se alla storia dell'animazione è passato il secondo corto del ciclo, mentre del primo nessuno si ricorda, un motivo c'è ed è da ricercarsi nella sua mancanza di un filo conduttore preciso, mista ad alcuni strafalcioni estetici piuttosto pesanti. Il gufo nel parlare della melodia tira su un discorso davvero disordinato, saltando di palo in frasca: ad una prima parte in cui si spiega come la musica faccia parte della vita dell'uomo dalla nascita alla morte, ne segue una seconda in cui gli alunni prendono in esame le fonti di ispirazione più utilizzate, il tutto attraverso canzoncine discontinue e intermezzi comici poco comprensibili se non in inglese. Il finale inoltre è uno svarione illogico che lascia non poco perplessi. Fortunatamente in seguito si sarebbe riusciti a fare ben altro uso di questa nuova forma d'espressione. Melody va comunque ricordato per aver introdotto per la prima volta il 3D in un cartone animato, tecnica che quello stesso anno sarebbe stata utilizzata in Working for Peanuts. Qui.
Football Now and Then
Dopo la sbornia di stilizzazioni del corto precedente qui si ritorna a livelli più accettabili, anche se ovviamente l'animazione ridotta cessa qui di essere un mezzo espressivo ma diventa semplicemente uno stile meno piacevole a vedersi dei precedenti e dettato più dalla voglia di risparmio che dalla necessità artistica. Football Now and Then è un corto con un suo perché: un suo perché che non riesce ad esprimersi fino in fondo proprio per colpa della sgradevolezza visiva data dalle animazioni piuttosto povere. Un confronto generazionale tra un bimbo e suo nonno si traduce in una partita immaginaria trasmessa dalla tv, in cui si fronteggiano due squadre di football, una moderna e l'altra direttamente dall'inizio del secolo. Lo spunto surreale dà vita ad una partita inferiore allo standard a cui ci ha abituato Pippo, anche se rimane comunque curioso vedere il confronto tra i due stili di gioco con mezzo secolo di differenza. Simpatico e un po' amaro il finale in cui il nonno abbandona la sua crociata facendosi convincere da un interruzione pubblicitaria a comprarsi una lavatrice. Qui.
Adventures in Music - Toot, Whistle, Plunk and Boom
Ed è tutta un'altra musica. Questo corto, vincitore di un Oscar, a differenza di Melody fa un uso assai più sapiente dei suoi limitati mezzi espressivi. Si tratta di un vero e proprio gioiello in cui il maestro Gufo conosciuto in Melody fa alla sua classe un excursus sulla storia degli strumenti musicali, partendo dalla preistoria (i cavernicoli del corto sono diventati iconici!) e dividendo la lezione in quattro categorie: ottoni, legni, strumenti a corda e percussioni. Lo spazio dedicato alle quattro categorie non è omogeneo e infatti va via via decrescendo, ma il modo in cui tutto viene spiegato è a dir poco sopraffino con un uso dell'animazione ridotta davvero sapiente e divertente. Inoltre viene per la prima volta utilizzato in animazione il cinemascope e lo schermo panoramico viene sfruttato appieno dando al corto un'infinità di effetti visivi che lo aiutano a spiegarsi meglio e a intrattenere molto meglio di quanto sia riuscita a fare il confusionario predecessore in tre dimensioni. Ovviamente ne è stata filmata anche una versione in quattro terzi che avrebbe ricombinato gran parte degli effetti speciali. Un vero gioiello che riscatta a pieno la miniserie. Qui.
Il Mio Amico Beniamino (Ben and Me)
Non era certo una novità per gli artisti Disney lavorare su questo formato. Del resto sviluppare una storia di medio respiro nell'arco di una ventina di minuti è ciò che avevano fatto molto spesso negli anni '40, quando però i frutti del loro lavoro erano andati a rifluire all'interno dei lungometraggi episodici. La Leggenda della Valle Addormentata, Il Vento tra i Salici, Bongo, Topolino e il Fagiolo Magico erano infatti stati pensati come featurette prima di essere raccolti nei due film antologici "a doppia storia", e lo stesso valeva anche per Pecos Bill, Johnny Semedimela, Pierino e il Lupo e La Balena Ugoladoro, leggermente più brevi ma comunque pezzi forti dei film in cui erano stati inseriti. Con la ripresa dei lungometraggi tradizionali si sblocca la possibilità per Walt di iniziare a distribuire nei cinema queste opere da sole, così come sono state concepite, sostituendole mano a mano alla produzione cortometraggistica, oramai sul viale del tramonto. Registrati all'anagrafe come Special Cartoons, i mediometraggi ne evolvono i principi narrativi di base, a loro volta ereditati dalle antiche Silly Symphonies, presentando spesso trame vere e proprie di ampio respiro, non più basate solo su gag ma spesso su trame vere e proprie, altre volte su temi più educazionali. Al primo caso appartiene il brillantissimo Ben and Me, opera revisionista che fa luce sul rapporto tra Benjamin Franklin e il topo Amos, doppiato da Sterling Holloway, vero ispiratore dei suoi successi. Un'idea così brillante che deve per forza aver ispirato la Pixar al momento di concepire quell'altro capolavoro di Ratatouille. Questa featurette è un vero e proprio lungometraggetto in miniatura, che niente ha da invidiare a Peter Pan e ad altri lungometraggi canonici se non il minutaggio. Questo perché stilisticamente parlando siamo dalle parti dell'eccellenza, cosa niente affatto scontata in questo decennio: gli anni '50 vedono infatti una biforcazione stilistica che porterà i lunghi e i corti in direzioni opposte. Pur partendo da una base comune (lo stile astratto e sghembo di Mary Blair) i primi arriveranno alle vette di cura del bellissimo Lilli e il Vagabondo e dello sperimentalissimo La Bella Addormentata nel Bosco, al punto di diventare economicamente controproducenti per gli studios, i secondi invece graficamente si impoveriranno sempre più fino alla scoperta dell'animazione ridotta, utile sia per risparmiare che per dare un effetto umoristico fulminante. I mediometraggi, eredi dei corti, decideranno di seguire proprio questa seconda strada, ma non è il caso di Ben & Me concepito in tempi ancora innocenti e quindi curatissimo sia dal punto di vista delle animazioni che da quello degli sfondi e del character design: Amos, Ben e lo stesso Thomas Jefferson sono ritratti con quello stile ricco a metà tra il realistico e il caricaturale, ma assai elegante, tipico dei lungometraggi dei primissimi anni '50. Musicalmente parlando non si può poi ignorare la colonna sonora di Oliver Wallace, che pur essendo priva di canzoni, presenta nelle strumentali un motivetto trascinante, caldo e d'atmosfera che rimane ben impresso.
E in tutto questo florilegio artistico va ricordato che la stessa trama non è una semplice elencazione di invenzioni ma c'è un intreccio coinvolgente, e personaggi davvero tridimensionali: Ben ad esempio, ritratto in maniera curiosa e poco lusinghiera, un po' impacciato, a volte anche ottuso e debole nel relazionarsi ad Amos, fondamentalmente buono ma spesso indelicato nei comportamenti, al punto di causare una rottura tra i due che avviene poco prima del finale, con una crisi inserita strategicamente per dare all'opera i ritmi narrativi di un blasonato lungometraggio. E il finale è eccezionale, con un colpo di scena sorprendente e intelligente che sorprende lo spettatore facendogli pensare che non poteva che andare così. Insomma una delle opere più mature mai prodotte dagli studios Disney, vero e proprio capolavoro che va ad affiancarsi al Canto di Natale di Topolino nella galleria delle featurette più riuscite. Qui e qui in originale, la versione italiana, consigliatissima, è assente dalla rete.
1954
Pigs is Pigs
Adattato dal libro di Ellis Parker Butler, Pigs is Pigs è davvero uno dei corti più atipici anche tra gli Special. Facendo un uso quasi eccessivo ma sempre virtuoso dell'animazione ridotta, racconta una vicenda strana e paradossale, e per giunta piuttosto tecnica rispetto alla media dei corti Disney. Prendendosi gioco di alcuni stereotipi che vedono gli scozzesi come degli avaracci e gli irlandesi come delle persone molto metodiche, narra di come avvenne che un irlandese, funzionario della stazione di nome Flannery si trovò a questionare con un suo cliente scozzese sulla tassa da applicare ad un carico di due porcellini d'india, l'uno insistendo - da fissato del regolamento - a considerarli maiali per via del nome, l'altro invece considerandoli (a ragione) semplici Pets, per risparmiare. Lasciati "a fermentare" per via di quest'incomprensione i Guinea Pigs iniziano a riprodursi all'impazzata, e in maniera esponenziale, e lo strano caso deve per forza passare nelle mani delle alte sfere, che rallentate dalla burocrazia che dilaga ufficio dopo ufficio, risolvono la disputa troppo tardi. Detto così può sembrare noioso e complicato, in realtà si tratta di uno dei più divertenti corti, una satira graffiante sulla burocrazia, narrata per giunta in rima e ricorrendo spesso a volentieri ad un celebre motivo irlandese sulla base del quale le situazioni più tecniche vengono cantate. L'animazione ridotta ancora una volta da limite diventa un mezzo espressivo che serve a sottolineare l'insensatezza e la ridicolaggine di molti comportamenti (ad esempio persino ai barboni viene inviata una notifica della risoluzione della disputa). Davvero valido. Qui.
Casey Bats Again
In un periodo di stranezze tutto è possibile, anche che si decida di creare un cortometraggio che faccia da sequel per un brano inserito otto anni prima all'interno del Classico ad episodi Musica Maestro. Casey Bats Again, che per colpa della mancanza del dvd e del fatto che a suo tempo venne rimosso dall'adattamento italiano perché giudicato troppo distante dalla nostra mentalità, è oggi fruibile solo in lingua inglese, raccontava infatti di una buffa partita di baseball e come fu che la star dei battitori Casey, offuscato dalla troppa sicurezza di sé, mandò all'aria la sua carriera. Stranamente all'interno del Treasure Disney Rarities sia questo sequel che Susie the Little Blue Coupé sono assenti, tuttavia Casey Bats Again è disponibile anche in italiano come extra del dvd dello Scrigno delle Sette Perle, molto probabilmente a causa del provvidenziale (per noi) errore che ha fatto sì che i due Classici a episodi musicali siano stati confusi. Il corto riprende esattamente dove Musica Maestro si era fermato, con Casey che sbagliando la battuta si ritrova a piangere sotto la pioggia, ma continua raccontandoci le sue nuove frustrazioni di genitore che desideroso di avere un erede maschio, si ritrova invece ad assistere alla nascita di una frotta di femmine, fino a che disperato decide di impiegarle in una squadra di baseball femminile. La storia è molto divertente e sicuramente superiore alla precedente che si esauriva nel limitato ambito sportivo, e lo stile è molto particolare collocandosi perfettamente a metà strada tra la stilizzazione anni 50 e, per una questione di continuità, con lo stile ricco e caricaturale di fine anni 40. La traduzione italiana, realizzata da poco, è ben fatta, considerando che il corto è una storiella in rima, e si colloca sulla scia di quella del Vento tra i Salici rifatta ad hoc per la pubblicazione italiana integrale delle Avventure di Ichabod & Mr. Toad. Qui in originale, qui in italiano.
Social Lion
Ed è con Social Lion che l'animazione ridotta, come già in Melody, inizia a scricchiolare. Il corto di per sé ha una storia bella e divertente, che vede un leone della savana venir trapiantato suo malgrado nella grande città dove nessuno lo teme, e tutti tendono a darlo per scontato. Ci sono delle scene davvero memorabili, ad esempio quando il povero leone cerca di infilarsi al Lions Club, o quando lo scambiano per un leone ornamentale di pietra, ma è un po' tutto il tono del corto a lasciare favorevolmente impressionati con un registro davvero buffo e tendente allo sfottò. Il problema sono le animazioni, il modello del leone è identico a Lambert, che è un corto di soli due anni prima ma distante anni luce come stile e tipologia d'animazione, appartenendo ancora al periodo dell'animazione ricca ed elegante. Vedere un sosia di Lambert immerso in un contesto cittadino tanto stilizzato, dove gli umani sono delle caricature da far invidia ad Hanna & Barbera, stona non poco, e pure le sue stesse animazioni non sono al livello della raffinatezza del modello. Casey Bats Again proponeva un ibrido tra i due stili di animazione che qui invece non riesce ed è un peccato. Questo rovina il corto solo in parte e non scalfisce minimamente la sua godibilità, ovviamente. Qui.
1956
Hooked Bear
In altri tempi al momento di lanciare un nuovo personaggio da solo sarebbe stata creata una miniserie apposita, come accaduto con Figaro e Cip e Ciop. Adesso tocca ad Humphrey e Ocarina dimostrare di poter costituire un microcosmo indipendente, ma sfortunatamente questo ispiratissimo nucleo narrativo non trova un periodo molto propizio per attecchire. I cortometraggi sono ormai prossimi alla morte e cercano di sopravvivere in mille modi grazie a invenzioni come l'animazione ridotta o il cinemascope, tutte le serie stanno venendo progressivamente chiuse e non c'è proprio l'occasione di lanciarne una apposta, sicché Humprey trova spazio per il suo brevissimo ciclo all'interno degli Special, con una series card tutta sua e la bellezza del Cinemascope. Ed è una vera sfortuna che un personaggio così promettente trovi in questa bilogia l'apice e la fine della sua carriera, Hooked Bear è infatti un corto divertentissimo in cui le dinamiche orso/ranger vengono sfruttate benissimo e ci viene fatto entrare nel parco di Brownstone in occasione della stagione della pesca. Vedere Humphrey fare una cretinata dopo l'altra mentre Ocarina si preoccupa di rifornire il lago di "trote arcobaleno", vederlo subire i rimbrotti perché non "pesca come un orso", e vedere il rigidissimo regolamento del parco naturale venir rispettato in maniera così pedissequa non possono non divertire. Meraviglioso. Qui.
In the Bag
Ed ecco il secondo e ultimo corto con Humphrey e Ocarina. Belissimo anche questo con Ocarina che cerca di turlupinare gli orsi del parco costringendoli a ripulirlo con la scusa del nuovo sport. E' interessante notare anche come si sia cercato di utilizzare il cast del parco al gran completo, con tanto di orsi anonimi che nella sigla del Mickey Mouse Club erano presenti in gran numero. La canzone omonima del corto sarebbe diventata famosa una volta retitolata Humphrey Hop, e il corto sarebbe stato citato più volte in futuro, persino nella House of Mouse. Notevole infine anche l'apparizione assolutamente insensata dell'orso Smokey, mascotte del corpo forestale degli Stati Uniti, che in una gag delirante, con un'animazione volutamente statica, ricorda a Humphrey che solo lui può prevenire gli incendi nei boschi. Si conclude così la carriera cinematografica del parco di Brownstone, che sarebbe però stato ricordato in una manciata di episodi di Disneyland e di Wonderful World of Color nei cui interstitials Humphrey e Ocarina sarebbero tornati brevemente a vivere, per poi tornare nel dimenticatoio fino alla ripresa televisiva di fine millennio. Qui.
Jack and Old Mac
Negli anni 50, per far fronte alla penuria produttiva gli studios iniziarono a mandare al cinema, con credits fatti per l'occasione, i segmenti che componevano i film a episodi degli anni 40. Uno alla volta tutti quei film vennero smembrati e spacciati come corti, spesso anche combinando due pezzi brevi per formare corti musicali di durata standard. Ovviamente questi piccoli "Frankenstein animati" non sono stati oggetto di analisi, se non nella loro forma lungometraggistica originale, ma conoscere la loro esistenza fa capire come sia stato possibile concepire un corto strano come Jack and Old Mac. Il corto in questione, composto da materiale 100% originale, è infatti strutturato in maniera episodica ed è infatti composto da due brevissimi segmenti musicali, tratti da filastrocche popolari, legati insieme con il pretesto dei dischi nel juke-box. Entrambi i brani risentono pesantemente delle limitazioni del periodo: gli sfondi infatti hanno l'aspetto di cartoncini ruvidi a tinta unita e le animazioni sono fra le più risicate mai viste in un prodotto Disney per il cinema, per non parlare del definitivo ritorno al formato 4:3. La prima delle due parti, brevissima, è anche carina e infatti adatta con una certa fantasia la celebre filastrocca di Mamma Oca This is the House That Jack Built mostrando con una stilizzazione geniale le lettere che compongono le parole trasformarsi per rappresentare il loro significato. L'andamento è simile a quello della Fiera dell'Est con strofe ripetute e narrazione a catena, ma il pezzo ha un buon ritmo. La seconda - ahimé - è una delle cose peggiori mai viste uscire dai WDAS: sulle note della canzoncina jazz Old MacDonald Had a Band, parodia della classica canzoncina rurale, alcuni personaggi disegnati in maniera elementare si muovono in maniera poco divertente. Si vedono alcune persone ballare animate un po' meglio ma a ben vedere si tratta di animazioni riciclate da The Martins and the Coys e All the Cats Join In, il resto sono immagini di animali con strumenti musicali che fanno movimenti ridottissimi e continuamente riciclati. Tipico esempio di modernità che finisce per invecchiare male ed essere monotona, la bruttezza di questa seconda parte del corto è spiegabile solo dal fatto che molto probabilmente i capitali erano andati tutti ai corti di Humphrey e che l'animazione dei corti era ormai stata ferita a morte. Qui.
A Cowboy Needs a Horse
Poco meglio di prima. Questo corto, ultimo prodotto in quest'ultima annata di produzione "rilevante" (l'anno prossimo ne verrà prodotto solo uno, nel 1961 ancora due e poi la produzione si convertirà in mediometraggi occasionali) è della stessa pasta del precedente, di poco più sofisticato. Non è un corto episodico ma è la rappresentazione di una celebre filastrocca: un bambino dormiente sogna di vivere un'avventura come cowboy e la canzoncina lo accompagna dolcemente nella sua fantasia onirica. Il soggetto di base è molto intrigante ma la realizzazione a sogno avviato non è troppo dissimile da un corto di Hanna & Barbera e finisce per essere esteticamente molto poco gradevole. Siamo comunque ad un livello superiore rispetto al corto di prima, ma è triste ritrovarsi davanti a questa parabola discendente improvvisa. Qui.
1957
The Story of Anyburg, USA
Siamo giunti alla fine degli Special Cartoon intesi come corrispettivo senza personaggi fissi dei brevi corti con Topolino o Paperino. The Story of Anyburg, USA è infatti l'unico corto prodotto nel 1957, sempre che di cortometraggi o di mediometraggi si possa ancora parlare date le minime differenze che li separano. Con la fine della produzione regolare emerge il concetto di featurette, già sperimentata con Ben and Me e con molti fra i segmenti che componevano i film a episodi. Adesso la featurette si sostituirà al concetto di cortometraggio in modo progressivo e più dolce, in maniera da non scioccare troppo gli spettatori (ma i filologi sì, frenati dalla quasi totale impossibilità di una classificazione seria e non arbitraria). Tuttavia ritengo che con i suoi dieci minuti, The Story of Anyburg, USA possa essere considerato ancora un normale corto. Il tema è simpatico e a suo modo di denuncia: una cittadina, stanca dei continui incidenti, mette sul banco degli imputati l'automobile, rappresentata da tre differenti autovetture umanizzate alla maniera di Susie e Cars. Tutta la scena si svolge in un aula di tribunale dove un'accusa piuttosto diabolica ed esagitata e una difesa flemmatica e tenerella si fronteggiano a suon di filmati e prove surreali finendo per concludere che il vero colpevole è ovviamente il guidatore sconsiderato. Lo humor è a ottimi livelli e le animazioni ridotte vengono qui utilizzate ottimamente donando ad alcuni personaggi un'espressività notevole, come ad esempio il pubblico ministero, spigoloso nello spirito e nella rappresentazione grafica. Qui.
La Verità su Mamma Oca (The Truth About Mother Goose)
Nel 1957 escono solo due produzioni animate nelle sale, The Story of Anyburg USA di soli dieci minuti e questo The Truth About Mother Goose che con i suoi quasi quindici minuti di durata segna una svolta nella filmografia Disney, che sarà votata d'ora in poi alle featurette piuttosto che ai cortometraggi. Già sperimentato felicemente con Ben and Me e con i segmenti più lunghi dei film a episodi, questo formato diventerà preponderante, anche se per il momento viene utilizzato con cautela: questo e gli mediometraggi (featurettes) che seguiranno si potranno considerare tali solo convenzionalmente ed esclusivamente in ambito disneyano dal momento che la loro durata spazia tra i dieci e i venti minuti. La differenza tra un corto e un mediometraggio è molto labile e soggetta ad opinioni: nessuna meraviglia che nelle raccolte questa distinzione spesso e volentieri non sussista, come dimostrato dal Treasure Disney Rarities che accumuna gli Special Cartoon alle featurette. Lo scopo della featurette è fare luce sulla verità storica che sta dietro alle rime di Mamma Oca, corpus che Walt Disney da bravo americano aveva già più volte esplorato nell'ambito delle Silly Symphonies, selezionandone tre e spiegandone una per una l'origine. Un concezione episodica a un po' frammentaria dunque, ma il mix è ben riuscito anche perché le tre "lezioni" sono messe in ordine di lunghezza crescente e la resa è buona: si analizza prima Little Jack Horner spiegando che la filastrocca fa riferimento ad un servitore del re che era riuscito a rubare un piccolo tesoro nascosto in una torta riservata al suo sire, si passa poi a Mary, Mary Quite Contrary rivelando trattarsi di Maria Stuarda di Scozia e raccontandone la vita un po' dissoluta e per finire si narra la storia di London Bridge is Falling Down, la progressiva decadenza del ponte di Londra, presa in giro dai londinesi. La prima cosa che si nota in tutto questo è che si sta intraprendendo una direzione diversa, stilisticamente parlando, l'animazione ridotta non è facilona come in Melody o in Jack and Old Mac ma ha un suo perché, e i virtuosismi non mancano, come nella scena del re che cerca nella torta la sorpresa, in cui si muovono solo la testa e le braccia, o nella successione di amanti di Maria Stuarda narrata attraverso intriganti silhouette. Sembra una prova generale in piccolo di quello stile che verrà sperimentato in larga scala ne La Bella Addormentata nel Bosco da quello stesso Eyvind Earle, da un bel po' attivo nei corti. Se gli sfondi e le animazioni preludono a quelle dell'ultima grande fiaba di Walt Disney, altri aspetti forniscono un simpatico teaser di ciò che arriverà poi durante tutto il decennio seguente, quando la tecnica xerox permetterà all'animazione di tornare a fiorire: si tratta di alcuni volti caricaturali, della presenza ormai fissa di Bruns a firmare la colonna sonora, di Bill Peet alla storia e di Wolfgang Reitherman alla regia e soprattutto della scena del torneo medioevale che verrà presa di peso e inserita anche ne La Spada nella Roccia. Molto interessante sia stilisticamente che contenutisticamente, il cartone animato paga solo il fio del suo breve respiro che non può, a causa della sua natura episodica, dipanarsi a dovere come invece era accaduto in Ben and Me. Qui e Qui.
1958
Paul Bunyan
Nel 1958 non esce niente al cinema di animato se non questa featurette di diciassette minuti che va ad arricchire il patrimonio Disney relativo agli eroi del folklore americano, raccontandoci la storia del gigantesco taglialegna che passò la vita a "spianare" il paesaggio canadese. E' infatti curioso notare come ne Lo Scrigno delle Sette Perle all'inizio di Johnny Appleseed venissero enumerati questi eroi folkloristici e che ognuno di loro avrebbe infatti avuto una trasposizione per mano di Disney, chi in animazione (Paul Bunyan, John Henry) e chi sottoforma di serie tv live action (Davy Crockett). Nella nuova galleria di personaggi che apre questo cartone animato è inoltre presente anche Pecos Bill, che già nello Scrigno avrebbe avuto una degnissima rappresentazione. Tutto questo ci porta a constatare come alla base della mitologia americana vi sia il concetto di Tall Tale, cioè di sparatona: le imprese di Pecos Bill, e Davy Crockett secondo la leggenda dovrebbero aver originato questo o quell'elemento naturale, e anche Paul Bunyan non fa eccezione, ovviamente, dal momento che le sue tracce nella fanghiglia hanno originato la regione dei mille laghi, una sua zuffa le montagne rocciose e via dicendo. L'esito della storia ha invece non pochi punti di contatto con quella di John Henry, che sarebbe diventato protagonista di un cortometraggio Disney del 2000 diretto da Mark Henn, e ci mostra Paul Bunyan gareggiare con un venditore di motoseghe, e venir infine sconfitto dall'avvento delle macchine simboleggiando il declino di quel passato glorioso in cui era l'uomo con la sua forza bruta a farla da padrone. E poi c'è l'animazione, anzi, lo stile grafico scelto che è veramente poco piacevole: siamo agli sgoccioli dell'animazione ridotta Disney, e molto presto gli anni 60 porteranno via ogni traccia di queste sperimentazioni a basso costo preferendo tagliare sull'inchiostrazione, e per fortuna visto che questa pratica non è sempre stata condotta al meglio facendo seguire a risultati apprezzabili altri assai disastrosi. Evidentemente al tempo la cosa non doveva esser stata percepita più di tanto ma al giorno d'oggi la caratterizzazione dei personaggi ci appare invecchiata male, Paul Bunyan neonato e molti comprimari specialmente all'inizio sembrano usciti da una cartone di Hanna & Barbera e questo stile non trova un suo perché neanche associato ai soliti ottimi scenari stilizzati di Eyvind Earle. In compenso dopo La Ballata di Davy Crockett, Bruns ci omaggia di un nuovo tema del protagonista che ne racconta le imprese con quel tono scanzonato e nel contempo solenne tipico dell'America del west, ed è questo insieme alla storia a rendere Paul Bunyan probabilmente degno dell'Oscar per il miglior corto del 1957. Qui e Qui.
1959
Eyes in Outer Space
L'impegno di Walt Disney nei confronti del futuro in quegli anni si traduceva in un numero di episodi della sua serie televisiva Disneyland dedicati all'area Tomorrowland. Man in Space, Man and the Moon, Mars and Beyond, Our Friend the Atom sono i quattro episodi del programma televisivo che Walt aveva dedicato alla quarta area del suo immaginario, in più va ricordato il progetto Epcot con relativo filmato che Walt morendo lasciò incompiuto. Tutto questo materiale è racchiuso nel Treasure Tomorrowland, ma in mezzo spunta anche un elemento atipico, questo Eyes in Outer Space, che pur collocandosi sulla stessa lunghezza d'onda degli altri nasce per un media del tutto diverso. Si tratta di un mediometraggio cinematografico, della durata poco sotto la mezzora, in cui è presente animazione (molto poca a dire la verità), diretto e prodotto da Ward Kimball. Parla del tempo atmosferico e dei satelliti che dallo spazio ci danno le informazioni, Walt è molto positivo in merito, immaginando che in un futuro non troppo lontano la tecnologia satellitare avrebbe portato addirittura a dichiarare guerra agli uragani. L'animazione è veramente rara, ci sono spesso degli schemini, delle astrazioni e degli elementi disegnati, ma animata classicamente rimane solo la sequenza iniziale in cui si ironizza sui metodi imprecisi e un po' superstiziosi dei vecchi per prevedere il tempo. Ginocchia che fanno male, preconcetti e proverbi antiquati vengono irrisi in questo breve segmento in animazione ridotta, dopodiché si passa nuovamente al live action mostrando gli scenziati del futuro impegnati a bombardare gli uragani. Sicuramente ben fatto, è piuttosto noioso visto al giorno d'oggi data anche l'esiguità della parte animata. Qui, qui e qui.
L'Arca di Noè (Noah's Ark)
Walt Disney e la stop motion. Un rapporto che sembrava non sussistere e invece no, gli studios avevano provato anche questa opzione, nell'epoca in cui l'animazione classica stava perdendo colpi. Questo mediometraggio della durata di una ventina minuti, si fregia delle musiche a tema jazz di George Bruns e consiste in una scanzonatissima e moderna riscrittura del mito dell'Arca di Noé che era già stato trasposto negli anni '30 in una Silly Symphony e sarebbe poi stato ripreso quarant'anni dopo in Fantasia 2000. Per l'animazione a passo uno si opta per materiali non convenzionali, quindi niente plastilina ma pezzi di spago, mozziconi di matita, bottigliette vuote a formare i vari animali e un gruppo di burattini di legno e stoffa per Noé e famiglia. Simpatico il registro minimalista e un po' in stile muppet, con gli animali che salgono sull'arca per intraprendere una crociera e la parentesi con la crisi coniugale tra i due ippopotami, che si merita una canzone a sé. E la resa è buona, molto buona anche se ovviamente le sonorità di Bruns tendono a invecchiare un po' male, specie quando tendono al Jazz del periodo. Ma tutto sommato si ride sempre e comunque, ammirando anche l'immensa fantasia che a portato a far rivivere in salsa biblica un mucchietto di spazzatura. Noah's Ark resta quindi una particolarità della filmografia Disneyana, dove questo tipo di animazione verrà in seguito affidato a team specializzati (si pensi ai tre lungometraggi prodotti da Burton, Nightmare Before Christmas, James e la Pesca Gigante e Frankenweenie). Qui e qui.
1960
Goliath II (Goliath II)
Dopo un decennio improntato sull'animazione ridotta anche solo per fronteggiare le enormi spese de La Bella Addormentata nel Bosco e dopo che la principessa Aurora non ha dato i risultati che si sperava, sembrerebbe essere arrivata la fine per la nobile arte dell'animazione Disney. Ma Ub Iwerks salva la situazione inventandosi il processo Xerox che consente di fotocopiare direttamente sulla celluloide i disegni degli animatori, tagliando totalmente i costi dell'inchiostrazione. E' l'inizio dell'era "matitosa" in cui l'animazione Disney, mantenendo un approccio molto grafico e sporco alle immagini, avrà modo di crescere nuovamente e tornare ad essere ricca come un tempo. Ricca anche se piuttosto incline al riciclaggio, visto che è proprio in quest'era (durata per ben tre decenni) che ritroviamo il maggior numero di sequenze riutilizzate, cambiando pochi particolari. Il primo cartone animato a far uso del processo Xerox, sorta di prova generale per il ben più ambizioso La Carica dei 101 è questo mediometraggio di un quarto d'ora, che racconta la classica storia di emarginazione e successiva riaccettazione di Goliath II un elefantino microscopico, vergogna di un branco dove a contare sono le dimensioni. Entrati nello stile Xerox, fatto di linee confuse e smatitate residue, ci si accorge di come finalmente il design dei personaggi torni ad essere particolareggiato come un tempo, e gli elefanti in stile Lounsbery sono un perfetto esempio di questo, visto che forniranno la base per quelli del Libro della Giungla. Da bravo capostipite dell'era Xerox, Goliath II, da anche un grande uso di animazione riciclata, arrivando a certe vette quasi imbarazzanti: il topo con cui si confronta alla fine fa gli stessi movimenti di Timoteo, la tigre Raja è un clone dell'archetipo del puma Louie, visto in Tiger Trouble, l'uccello che perde le uova di continuo viene direttamente da Alice, il coccodrillo da Peter Pan e i gufi sono presi di peso da La Bella Addormentata e Bambi, pur con le differenze stilistiche che questo comporta. Ma è un giochetto di ricicli e richiami che funzionerà a concatenazioni, visto che a sua volta Goliath II con la mitica sequenza del temponamento di elefanti (che accade per due volte) fornirà a sua volta del materiale che Il Libro della Giungla prontamente riciclerà. Va inoltre notato che si è ormai stabilizzato con questo mediometraggio il team che negli anni seguenti lavorerà quasi sempre insieme: Wolfgang Reitherman come unico regista, Bill Peet alla storia, Sterling Holloway voce narrante, e soprattutto il collaudatissimo George Bruns alle musiche, che non si sottrarrà alla regola del riciclaggio visto che molti giri di note (ad esempio il celebre attacco "triste", e quello "misterioso") torneranno insistentemente nelle produzioni successive. Questo cartone animato, che si becca una nomination all'oscar, non rientra certo fra i più memorabili, ma è veramente importante perché avrebbe settato il modus operandi che avrebbe acocmpagnato gli studi Disney per moltissimi anni ancora. Qui e qui.
1961
The Saga of Windwagon Smith
Musicato da George Bruns e animato per l'ultimissima volta con le tecniche dell'animazione ridotta, ora che Goliath II ha tracciato una nuova strada da percorrere, The Saga of Windwagon Smith è un delizioso cartone animato che per durata si colloca a metà tra gli ultimi special cartoon e le featurettes, i mediometraggi che oramai avrebbero presto costituito il grosso della produzione, eclissando i cari vecchi corti. Potremmo ritenerlo più un mediometraggio, in senso Disneyano del termine, dati i suoi quasi quattordici minuti di durata e il respiro della storia che racconta. Si torna a parlare di miti e leggende americane, una terra di pionieri che per inventarsi una propria mitologia ha sempre dovuto ricorrere al miti dell'uomo grosso, dell'ideatore e del costruttore. Windwagon Smith è di quest'ultimo tipo e la sua storia è la storia di un folle progetto, quello di costruire una meravigliosa macchina prodigiosa a metà strada tra un carro da pionieri e una barca a vela, per poter solcare rasoterra le verdi praterie del Kansas. Ovviamente qualcosa va storto e la storia si va a collocare su un altro binario, quello più metafisico, che per certi versi ricorda un po' il mito tolkieniano di Earendil e un po' la storia dell'Olandese Volante. [spoiler]Windwagon Smith viene infatti sollevato da un tornado e si ritrova a vagare per l'eternità insieme alla sua bella per i cieli del Kansas in una situazione a metà strada tra la vita e la morte,[/spoiler] un finale assurdo ma nel contempo positivo e poetico, sottolineato da una simpatica colonna sonora un po' west e un po' melodica, in perfetto stile Bruns (che già aveva composto questo genere di melodie per Paul Bunyan e Davy Crockett). Ma l'elemento notevole è l'animazione ridotta, fatta di figure stilizzatissime: magari i personaggi di sfondo non si differenziano troppo da quello che diverrà lo stile Hanna-Barbera, ma il protagonista è un vero spettacolo, un massiccio omone in stile Kirk Douglas con un mento enorme, uno stile d'animazione valorizzato dalla sua stessa staticità e una gamma di espressioni davvero bellissime che non fatico a credere abbiano di molto ispirato certi moderni animatori (come Tim Burton col villain della sua Sposa Cadavere, ad esempio). Qui e qui.
1962
A Symposium of Popular Songs
Pico de Paperis era un personaggio creato pochi anni prima dagli artisti Disney per introdurre gli episodi del programma antologico Walt Disney's Wonderful World of Color. A quel tempo non c'era distinzione tra animazione cinematografica e animazione televisiva, lo staff era lo stesso e la qualità (alta) era la medesima. Capita quindi che esista molto, moltissimo materiale con Pico animato, e fatto meravigliosamente bene! L'animazione xerox permetteva una cura del particolare che durante tutto il decennio precedente ci si poteva scordare, visto che imperava l'animazione ridotta. Le animazioni di Pico fatte per quel programma sono oro colato, ma purtroppo molto poco proponibili al giorno d'oggi visto che non si trattava di cortometraggi veri e propri ma quasi sempre di animazioni interstiziali, introduttive per questo o quel materiale d'archivio. Proporle oggi in qualche collezione magari con tanto di episodi completi significherebbe riempire i dischi di materiale inutile o già proposto in altra forma, d'altra parte fare invece un montaggio con i soli interstitial avrebbe poco senso per un fruitore comune. Eppure c'è un cartone animato di Pico prodotto fuori dal circuito televisivo, per le sale cinematografiche e quindi perfettamente fruibile, ed è proprio il Simposio, che infatti è stato giustamente incluso nella raccolta Disney Rarities. Il mediometraggio in questione dura una ventina di minuti e vede Pico ospitarci in casa sua mentre insieme a noi ripercorre la storia della musica popolare americana, dall'inizio del secolo ai giorni nostri, analizzando ogni corrente. La sua animazione è ovviamente eccellente, ma anche stavolta in un certo senso è interstiziale visto che serve a presentarci un certo numero di "videoclip" fatti ad hoc che nella finzione corrispondono a canzoni composte da lui lungo tutto il secolo. I videoclip in questione sono in stop motion, o per la maggior parte in decoupage, quella tecnica che anziché muovere a passo uno dei modellini tridimensionali fa lo stesso con delle rappresentazioni cartacee. A comporre in realtà le canzoni abbiamo i fratelli Sherman che dopo un inizio alla Disney nel campo del live action fanno così la loro prova generale con l'animazione: le canzoni presenti nel mediometraggio sono The Rutabaga Rag, grazie alla quale Pico pretende di aver inventato il rag, Charleston Charlie, composta nello stile delle Flapper, Although I Dropped a Hundred Thousand in the Market, Baby (I Found a Million Dollars in Your Smile) che parodizza le canzoni che ai tempi della Grande Depressione invitavano a consolarsi con l'amore. Con I'm Blue for You, Boo-Boo-Boo-Boo-Boo si passa poi ad un altro genere musicale molto in voga qualche anno prima, quello di Bing Crosby e dei crooner, i cantanti melodici americani che erano un tutt'uno con il loro microfono (e infatti l'omino che canta è un microfono con la faccia), con The Boogie Woogie Bakery Man si introduce il boogie woogie nello stile delle Andrews Sisters, e infine Puppy Love Is Here to Stay, inno alla musica disimpegnata di quegli stessi anni, relativamente contemporanea. In conclusione della rassegna c'è pure un omaggio al Rock emergente con Rock, Rumble and Roar sorta di remixone indiavolato che Pico fa di tutti i brani precedentemente presentati, proiettandoci nel futuro. Un documento storico importantissimo, questo mediometraggio oltre a presentarci Pico e i fratelli Sherman, che per la maggior parte delle canzoni si sono ispirati/hanno omaggiato le opere del padre Al Sherman, contiene un excursus importantissimo sulla storia della musica popolare americana, anche se per noi italiani contemporanei sembrerà sempre un argomento distante e poco conosciuto. Qui e qui.
1967
Paperone e il Denaro (Scrooge McDuck and Money)
E' raro che l'animazione Disney si apra a ciò che viene prodotto per gli albi a fumetti. C'è tutto un patrimonio di personaggi e situazioni che in un secolo di storia non è mai stato trasposto in animazione, il che è un vero peccato. Ma è anche vero che nel mondo fumettistico creato da Carl Barks c'è un'eccezione non da poco, il caro vecchio Zio Paperone che pur essendo stato concepito nell'ambito dei comic book ha saputo conquistare il cuore di tutti al punto di ritagliarsi un tardivo angolino anche all'interno del canone animato Disneyano. Già nel 1955 Paperone appariva per pochi fotogrammi nella sigla del Mickey Mouse Club, creando un precedente piuttosto atipico e impensabile, ora più di un decennio dopo ecco che il papero più ricco del mondo si ritaglia la strada verso il grande schermo. A dire il vero un progetto per portare Paperone al cinema esisteva già, stava infatti per esser prodotto un corto per cui Barks aveva scritto un soggetto, in cui Paperone era alle prese con topo che gli rosicchiava le monete. Si dice che ai tempi lo stesso Jack Hannah avesse accantonato la cosa perché "un personaggio tanto attaccato ai soldi non poteva essere divertente": la verità è che un personaggio come lo Zione è sempre stato trama pura. E i cortometraggi Disney no, erano composti spesso e volentieri da gag slapstick, per cui era difficile e in un certo senso svilente riuscire a conciliare le due visioni. Certo, non sarebbe stato impossibile, con un po' di impegno, trasporre su grande schermo lo stile buffo delle tenpages Barksiane in cui lo zione era presente, ma erano tempi diversi e ormai la macchina produttiva era ben incanalata in un'altra direzione. Ora però il panorama è cambiato e la macchina produttiva pure: i cortometraggi sono defunti e il loro patrimonio fatto di innocenti gag slapstick andato a farsi benedire, al loro posto vengono prodotte featurettes spesso anche molto tecniche e con scopi svariati che possono andare dalla storia epica alla divulgazione pura, e in questo scenario ecco che arriva finalmente il momento di tentare di gettare un ponte tra l'universo di carta e quello di celluloide. Ad occuparsi della cosa ecco alcuni mostri sacri dell'animazione Disney come Art Stevens e soprattutto Ward Kimball che lascia un'impronta molto particolare al tutto: ne escono sedici minuti di filmato in cui un Paperone alquanto atipico (che somiglia non poco a Pico de Paperis) riceve la visita di Qui, Quo e Qua, al loro ritorno su schermo dopo il cameo in The Litterbug. I nipotini interagiscono con lo Zione per la prima volta in animazione e gli chiedono come si fa a diventare ricchi come lui: parte la lezioncina ma questa volta è una di quelle riuscite, persino superiore a Paperino nel Mondo della Matemagica, infatti i ritmi sono frizzantissimi, le canzoni davvero simpatiche benché non siano nettamente distinte tra loro ma fuse in una sorta di musical continuo dove si ripercorre la storia del denaro in modo umoristico e veloce dai baratti ai giorni nostri, passando poi a spiegare l'inflazione, le azioni e il concetto fondamentale di economia che deve girare. Il tutto avviene in modo spettacolare con Paperone che balla, canta, e si diverte intrattenendo non poco il pubblico. Insomma veramente un gioiello che è un peccato sia stato dimenticato: l'effetto che dà vedere Paperone, un personaggio appartenente alla dimensione fumettistica venir reinterpretato dai mostri sacri del cinema d'animazone è sicuramente strano ma piacevole, anche perché psicologicamente è azzeccatissimo ed è bello che gran parte dei suoi temi musicali siano condotti a suon di cornamuse, ed è un peccato che per godere nuovamente di un Paperone animato si sarebbero dovuti attendere gli anni '80. Qui e qui.
1969
It's Tough to Be a Bird
Fra i cosidetti nine old men senza dubbio il più folle era Ward Kimball, ai quali ovviamente Walt affidava i personaggi e le sequenze più ottimiste, allegre e spensierate. La mano di Ward Kimball si sente particolarmente in film come Alice nel Paese delle Meraviglie pieni di personaggi buffi e humor travolgente, ma ovviamente a limare e fondere tra loro i diversi impeti creativi c'era sempre Walt che sapeva utilizzare al meglio le capacità di tutti e metterle al servizio della resa complessiva. E' quindi curioso che non appena Walt passa a miglior vita e i nine old men si ritrovano a doversi gestire da soli escano fuori stranezze personalissime come It's Tough to Be a Bird e Dad, Can I Borrow a Car?. Si tratta di una coppia di mediometraggi ideati e diretti da Ward Kimball in cui è stato infuso il delirio puro, quello vero e incontrollabile, quello autoriale e geniale: mentre il secondo, incentrato sul rapporto tra i giovani e l'automobile viene realizzato in live action, il primo viene fatto in animazione...o così è per la maggior parte della sua durata (21 minuti). In questo mediometraggio divertente e moderno troviamo un uccelletto molto caruccio e tenero che canta una canzoncina al pubblico spiegando quanto è straziante essere un uccello, per poi passare con una serie di diapositive ad illustrare buffi aneddoti e situazioni surreali avvenute durante la storia dell'uomo, il tutto su sfondo bianco e con un'animazione così sporca da portare all'estremo gli effetti della xerox. Il cartone è animato da Eric Larson e Art Stevens, musicato da Bruns e Mel Leven, ma mantiene intatto lo spirito del suo folle regista che a un certo punto si concede pure un cameo: la cosa avviene durante una parentesi live action così assurda da apparire fuori luogo in cui viene mostrato il raduno annuale dei fanatici dei condor. Sebbene questa parte sembri durare un po' troppo (sei minuti!), il mediometraggio si fa perdonare non poco perché nel finale ci mostra una sorta di videoclip di ben due minuti, fatto di gag e assurdità a tema volatile una più estrema dell'altra, con fotografie celebri e monumenti ritoccati in modo buffo e un umorismo così esplosivo e nel contempo minimalista e citazionistico da ricordare non poco quello di WarioWare. Un gioiello da scoprire e recuperare, che ha ben meritato l'Oscar vinto come miglior corto animato. Qui.
1974
Uomini, Mostri e Misteri (Man, Monsters and Mysteries)
Questo curioso mediometraggio di ventiquattro minuti non esce nelle sale americane ma direttamente in quelle sudafricane e finlandesi, cosa molto strana, anche perché non è che sia un prodotto poi così atipico rispetto a quelli dell'epoca. E' diretto da Les Clark, uno dei nine old men, musicato da Bruns e consiste in una sorta di cartone animato divulgativo sul mistero che si cela dietro al mostro di Loch Ness. Si parte con un rapido excursus sulla storia dell'uomo, l'ignoto e come molti eventi inspiegabili venissero spesso e volentieri ricondotti a "mostri": si fa un grande uso di animazione stilizzatissima, e parecchio buffa, che risente non poco delle influenze di It's Tough to Be a Bird, si passa poi ad analizzare la questione mostro di Loch Ness e il mediometraggio diventa a scrittura mista: le testimonianze e i lavori di ricerca che da sempre sono dietro a questa leggenda ci vengono presentati attraverso interviste a persone reali, ma a far da cerimoniere e da contraltare al narratore è una versione animata di Nessie dallo stile particolarissimo, e dalla colorazione alquanto assurda (ha la faccia rosa, la pancia gialla e la schiena blu a pois rossi). E' un Nessie che con la solita voce di Sterling Holloway dialoga col narratore e spiega come in realtà lui esista davvero ma preferisca vivere alimentando il suo stesso mito, dando al mondo abbastanza materiale per fantasticare su di lui ma senza mai provare alcunché. Il suo aspetto alquanto atipico e un po' infantile viene fatto direttamente derivare dall'infinità di disegni di bimbi scozzesi che credono in lui e lo interpretano in tanti modi diversi, e questo spiega perfettamente la filosofia alla base dell'opera e la tesi che porta avanti. Curiosamente questo mediometraggio è giunto a noi con tanto di doppiaggio realizzato in occasione della sua inclusione come extra all'interno del dvd di Elliott il Drago Invisibile. Purtroppo sul web è introvabile.
1978
L'Asinello (The Small One)
Ecco un gioiello indimenticabile. E' finito il tempo dei mediometraggi divulgativi, didattici o in scrittura mista: al termine degli anni '70 qualcosa è cambiato alla Disney. La produzione di animazione si è diradata, ma quel poco che esce dimostra che la nuova generazione di artisti Disney che si sta sviluppando sotto l'attenta guida di Eric Larson e gli altri nine old men, ha le idee ben chiare, e vuole tentare una strada diversa, più cupa, meno spensierata. Le avvisaglie si vedono nel cupo Bianca e Bernie in cui inizia ad essere imboccata la strada che in meno di un decennio preparerà il terreno per la rinascita del fiabesco. Lo si capisce da questo mediometraggio e dalle sue finalità: L'Asinello non spiega, non divulga ma suggestiona, racconta, e lo fa con toni alquanto commoventi, come se si trattasse di un normale lungometraggio animato...solo lungo la metà. A dirigerlo troviamo un giovane Don Bluth, che dopo essersi formato alla scuola Disneyana se ne distaccherà mettendosi in proprio e creando alcuni famosi lungometraggi degli anni '80 e '90: la storia che racconta, ambientata in palestina, lo rende un classico natalizio istantaneo, uno di quelli da vedersi ogni anno alla vigilia insieme al di poco successivo Canto di Natale di Topolino, anche se di certo l'atmosfera che si respira non è fra le più leggere: si narra la storia di un ragazzino che viene costretto dal padre a vendere il suo asinello preferito. Il senso di ineluttabilità che si respira è alquanto angoscioso, ma del resto l'asinello è vecchio e il padre ha le sue buone ragioni: è solo parecchio frustrante che l'intera quest del bambino (che è una sorta di clone di Mowgli) sia appunto il trovare il modo di dire addio al suo amico, cercando in tutti i modi di limitare il danno e lasciarlo in buone mani. E nel fare controvoglia questa cosa trova pure delle difficoltà: c'è chi al mercato si prenderà gioco di lui indirizzandolo verso un conciatore, chi lo irriderà in ogni modo togliendogli ogni dignità, tutto questo fino al graziosissimo colpo di scena finale che rende l'opera un piccolo capolavoro. E' un Don Bluth diverso da quello che troveremo poi da solo, un Don Bluth la cui estetica un po' manierista viene di molto limata e mediata dallo staff Disneyano alleggerendo e rinfrescando di molto le atmosfere, che però mantengono una certa cupezza di fondo. Da notare che la colonna sonora contiene ben tre canzoni, due delle quali sono scritte dallo stesso Bluth: il tristissimo tema dei titoli di testa Small One (che sfido chiunque ad ascoltare senza morire di dolore) e la faceta e un po' scollacciata, The Merchant's Song tipica dell'umorismo un po' inelegante di Don Bluth. La terza, tristissima come la prima, è A Friendly Face ed è invece scritta da Richard Rich. Insomma, qui siamo dalle parti del capolavoro ed è un peccato che la collezione dei Treasure non sia mai arrivata a includere queste ultime opere, fermandosi al Simposio, lasciando il povero Asinello a marcire all'interno della compilation 3,2,1...è Natale senza neanche un restauro convincente. Qui e qui.