Corsi e ricorsi storici. Anche nell'animazione.
Il 2005 è un momento di crisi per il mondo dell'animazione, anche se nessuno sembra accorgersene. Poche sono le voci fuori dal coro, ma un Miyazaki, o un Tim Burton poco possono se ciò che gli spettatori bramano altro non sono che commediole 3d che facciano
sbragare dal ridere, e basta, magari con un sottofondo citazionoso e un balletto finale che rallegri lo spettatore facendogli dimenticare le debolezze della trama. E' una moda di cui possiamo "incolpare" soprattutto la Dreamworks che da
Shrek in poi ha capito qual'è il modo migliore per vendere un film d'animazione a un pubblico adulto, cioè facendolo passare come un prodotto esclusivamente umoristico, razziando a piene mani dal repertorio creativo Pixariano. La cosa triste è che sia adesso la Disney ad adeguarsi al panorama, rinunciando per la prima volta al suo ruolo-guida. Una cosa di cui tener conto osservando ciò che la Disney produce in questi anni, è che tutto ciò che ci passa davanti agli occhi lo vediamo con una certa differita. Ed è proprio nel 2005 che il panorama muta ulteriormente, con l'arrivo di Bob Iger al comando della Disney, l'acquisizione della Pixar, il ritorno ai grandi classici in 2d e quant'altro Roy Disney, John Lasseter e Alan Menken prendano a macchinare per tornare a far risplendere come un tempo la casa del Topo. I primi frutti di questo grande rinnovamento arriveranno solo alla fine del decennio, quindi per il momento non si può far altro che sorbirsi i frutti delle scelte compiute da Michael Eisner nei suoi ultimi disastrosi anni di mandato.
E' in quest'ottica che va visto
Chicken Little - Amici per le Penne, interessante tentativo della Disney di stare al passo coi tempi non rinunciando però ad uno stile fiabesco. Perchè è da una fiaba che la storia è tratta, una semplice storia tanto famosa in America quanto sconosciuta qui da noi: in essa il pulcino Chicken Little, colpito in testa da una ghianda, si convince che il cielo stia cadendo, coinvolgendo l'intero pollaio in un attacco di panico che lo consegnerà tra le fauci di una volpe. La fiaba, che alcuni dicono appartenere alla tradizione esopica, era stata già trasposta dalla Disney nel 1943 nell'omonimo cortometraggio che, con un sottile gioco di allegorie, metteva in guardia il popolo americano dal potere distruttivo della persuasione. Il riferimento implicito al nazismo avrebbe poi consegnato parzialmente all'oblio il cortometraggio, insieme a
Der Fuherer's Face e gli altri corti di propaganda bellica del periodo. In questa rielaborazione della fiaba ad opera di Mark Dindal, già regista de
Le Follie dell'Imperatore il punto di vista cambia radicalmente con l'intelligente trovata di mostrare cosa sarebbe accaduto se il pulcino avesse avuto ragione. Per l'occasione il setting del pollaio viene esteso e diventa Querce Ghiandose, vera e propria città degli animali, in cui l'antropomorfismo non prende il sopravvento sulla natura bestiale, ma aiuta a ricreare quel senso di paradosso su cui tralaltro si basa l'umorismo pixariano. Tra conigli prolifici, pesci che guidano auto-acquario e camaleonti addetti ai semafori, sembra più di essere immersi in un mondo affine alle Silly Simphony
Elmer Elephant e
The Tortoise and the Hare, piuttosto che in un film di ultimissima generazione. Il piccolo Chicken Little si fa portavoce della ben nota parabola del diverso, destinato a riscattarsi, uno stratagemma per certi versi banale, ma qui condotto in modo molto fine, con un rovesciamento di valori che, differentemente da
In Viaggio con Pippo, mostra un certo desiderio di emulare la figura paterna che trova un notevole ostacolo nella vergogna che il padre, dopo l'incidente della ghianda, nutre nei suoi confronti. Il messaggio del film è che coi genitori bisogna soprattutto dialogare, ed è parecchio acuta la critica che viene fatta da Dindal quando questo avviene, sì, ma solo dopo una partita di baseball. Un ulteriore elemento di denuncia sociale è la suddivisione a scuola tra popolari e impopolari: mentre a farsi portavoce dei primi è proprio la volpicina della favola, Foxy Loxy, traformata qui in una tipica bulletta delle medie, a rappresentare i secondi c'è il gruppo di amici di Chicken Little, uniti nella sventura dalle cause più svariate: Chicken Little è il classico nerd occhialuto e gracilino, Alba Papera è BRUTTA, Aldo Cotechino è effemminato e poco virile mentre Pesce Fuor D'Acqua non presenta particolari handicap sociali se non quello di essere extracomunitario.
Un quadretto niente male, su cui un filmetto senza la pretesa di essere un kolossal si potrebbe reggere benissimo. Ma c'è un però.
Chicken Little è il primo film d'animazione della Walt Disney Feature Animation ad essere realizzato totalmente in CGI. Nelle intenzioni della dirigenza, che da
Mucche alla Riscossa in poi ha deciso di chiudere definitivamente con l'animazione tradizionale, la Disney avrebbe dovuto inaugurare una nuova era in cui, orfana di Pixar, avrebbe dimostrato alla concorrenza di poter sfornare dei prodotti competitivi col nuovo scenario che si era venuto a formare.
Chicken Little fu il malcapitato, costretto ad assumersi un compito per il quale evidentemente non era stato progettato. L'anima bidimensionale del film venne in questo modo profondamente snaturata per poter apportare quelle modifiche necessarie per poter dimostrare che anche la Disney non è da meno. Il risultato è un film in cui la componente modernista stona parecchio con la storia di fondo. Uno stridìo che si può ritrovare soprattutto nelle campagne pubblicitarie e nei manifesti che riportano colori cupi, laddove il film è invece assai pastelloso. Il discorso vale anche riferito all'ambito musicale, con pubblicità che mostrano animazioni realizzate apposta in cui il pulcino e i suoi amici ballano al ritmo di
Dragostea Din Tei. Il risultato di tutto questo è un film che non mantiene le promesse finendo per non soddisfare appieno né lo spettatore superficialoide, che finisce per rimanere profondamente deluso dalla finezza dell'umorismo, che ai suoi occhi si traduce in fiappezza, nè lo spettatore classicista che si ritrova a vedere un film profondamente inquinato da atteggiamenti pretenziosi e poco Disneyani.
La colonna sonora del film riflette parecchio questo ibiridismo: è infatta composta sia da brani originali, che per quanto poppeggianti, inscrivono il film nella tradizione dei musical Disney, sia da brani non originali, inseriti in svariati modi. Apre il film
One Little Slip, che descrive il tipico inizio di giornata del protagonista, che dirigendosi a scuola manifesta ogni sua frustrazione, espediente già visto in
In Viaggio con Pippo con
After Today. La triste e lenta
All I Know descrive il rapporto di incomprensioni tra il pulcino e il padre, Peppe Gallo, mentre
Stir It Up è una tipica canzone della crescita, che descrive il passare del tempo e gli allenamenti di Chicken Little per entrare nella squadra di baseball della scuola. Per tutto il resto del film si possono trovare numerose citazioni alla musica anni 70, di cui Aldo Cotechino è un grande appassionato. Ecco quindi venir spesso canticchiati da lui, più o meno per intero, brani come
Staying Alive,
I Will Survive,
Lollipop e
Ain't No Mountain High Enough. Oltre alla dance anni 70 sono presenti altri generi: Chicken Little si diletta nell'assolo di
We Are the Champions, Alba Papera si diverte col Karaoke cantando
Wannabe, delle Spice Girls, mentre dei REM si sente più o meno per intero, durante l'attacco alieno,
It's the End of the World as We Know it (And I Fell Fine), forse uno dei pezzi meglio inseriti. Ma poteva mancare il consueto numero musicale da far ballare all'intero cast dei protagonisti durante i titoli di coda? Questo iperabusato topos affonda le sue radici già dai tempi di
Shrek e viene qui riproposto con
Don't Go Breaking My Heart. Ad accompagnare il resto dei titoli rimane
Shake a Tail Feather, cover delle Cheetah Girls di un brano dei Blues Brothers.
Uno dei film Disney più contraddittori, dunque: non certo un gioiello, ma neanche la scandalosa porcheria che il fandom Disneyano va impietosamente accusando. Certo, un film dotato di due anime divergenti che assieme convivono male, ma che comunque riesce ad offrire un più che discreto spettacolo, a patto di mettere per un attimo da parte la pretenziosa tradizione di capolavori che la Disney si porta dietro. L'ideale è che un giorno se ne giri un remake mostrante il film come-era-stato-pensato, privo quindi dei rimaneggiamenti di Eisner, ma per il momento questo povero classico azzoppato è quanto rimane dello strascico eisneriano, che si spera verrà presto cancellato.