Topolino #3035
Questo numero mi ha fatto capire una cosa precisa: in questo momento ho bisogno di bellezza. Fortunatamente ritengo che nella mia vita, negli ultimi tempi, di bellezza ne abbia, ma il punto è che la ricerco in quello di cui mi nutro: letture e visioni.
Bellezza è un concetto tanto vago quanto astratto, e difatti non sono in grado di spiegarlo: è un'atmosfera, un complesso di cose, di sensazioni che vengono trasmesse in un insieme tanto armonico da essere piacevole in modo profondo, e di colpirti senza preavviso.
Bene, io la bellezza l'ho trovata in
Zio Paperone, Amelia e il Patto della Luna. Una storia che ha tanto, tantissimo da trasmettere, su vari livelli non tanto di lettura, quanto di percezione. A seconda delle diverse sensibilità ed età si potranno raccogliere umori e gusti diversi. In questo senso condivido molto il discorso che faceva Portamantello, dunque. Vito scrive una storia davvero degna di questo nome, davvero completa e davvero portatrice di quella bellezza che vado cercando.
Paperone, come il buon Vito ha già dimostrato nelle sue precedenti prove, è sfaccettato, credibile, fedelissimo alla linea barksiana senza essere pedante e nerd, ma semplicemente ripescando in modo naturale i caratteri originari del personaggio e restituendoli dopo averli fatti propri, stratificandoli insieme alle tante altre versioni di cui l'autore ha fruito nel corso degli anni.
Ma non è Paperone il focus della storia, quanto piuttosto Amelia. Se il vecchio Scrooge, infatti, in passato ha goduto comunque di altri sceneggiatori capaci di metterne in risalto le sue migliori potenzialità (basti Artibani come esempio generale), il discorso è più complesso per Amelia, che come tutti i villain disneyani dopo tanti anni di militanza è sempre passabile di appiattimento banaloide. Sempre Artibani, in coppia con Lello Arena, aveva lavorato un po' sul personaggio tra gli anni '90 e 2000, regalandole anche comprimari ad hoc, ma il risultato che ha raggiunto Vito è speciale. Perché ha preso il personaggio, le ha infuso quella sensibilità napoletana che appartiene a lui quanto alla fattucchiera, ne ha studiato i caratteri salienti e ha scavato nel background di Amelia. I flashback che intervallano la vicenda, e che si riveleranno tutt'altro che secondari rispetto allo svolgimento della trama, servono proprio a dare tridimensionalità al personaggio, mostrandone l'iter che l'ha portata ad essere quella che è ma che non è sempre stata.
"Ci sono sfumature che spesso non vengono colte finché non si ha modo di conoscersi meglio", dice Paperone, ed è probabilmente il perno di tutta la vicenda: basta approfondire le cose, la conoscenza di una persona, per capire le buone ragioni di tutti. Ed essere più indulgenti verso gli altri, attori come noi dello stesso dramma/commedia che è la vita. Non a caso Amelia dice "Ci sono occasioni in cui bisogna decidere se ribellarsi al proprio destino o lasciarsi totalmente coinvolgere".
La parte di caratterizzazione dei due protagonisti, e quindi di approfondimento di tematiche che afferiscono alla sensibilità umana, sono sicuramente il cuore della storia. Ma il giudizio più che positivo deriva anche da una sceneggiatura che tecnicamente funziona alla grande: nulla viene lasciato al caso, così che tanto il Fiutatesori che vediamo all'inizio, quanto il riferimento al funzionamento dei Trasluna, per non parlare ovviamente del prologo e di tutti i flashback, tutto dicevo concorre alla direzione che la storia prende. Ogni elemento è lì per un motivo, che viene ripreso e portato a compimento nel giusto punto della narrazione.
Posso dire senza ombra di dubbio che siamo di fronte alla migliore storia di Vito, tra quelle pubblicate finora: per completezza di temi, capacità di utilizzare i meccanismi di sceneggiatura e per comprensione dei personaggi utilizzati, l'avventura di Paperone e Amelia su un'isola deserta rappresenterà, in una futura ottica di riflessione sulla carriera dell'autore, uno spartiacque nella produzione dello sceneggiatore, un po' come il
Guazzabù fu per Casty.
Altro merito della storia è anche da riconoscere a Francesco Guerrini: non ho mai amato particolarmente questo disegnatore, che non mi piaceva affatto su
PK e che nelle sue prove sul
Topolino degli anni '90 giudicavo discontinuo, colpendomi positivamente in alcune occasioni e risultandomi indigesto in altre.
Stavolta invece offre un comparto grafico ottimo, forse il migliore tra quanto capitato sinora a Vito (rivaleggia seriamente con Faccini e Lucci, tutti e tre parimerito visto che hanno stili differenti), che si può notare negli ambienti - le stanza dei trofei nel deposito, l'isola - quanto, e soprattutto, nel lavoro sui due paperi: alcune pose di Paperone, e alcune sue espressioni, sono veramente azzeccate, per dirne una. Ma anche graficamente, il lavoro migliore è fatto su Amelia, che risulta veramente quella papera del fascino maliardo che le aveva dato Barks nelle prime storie in cui compariva. Guerrini la fa dolce e adorabile da bambina, giovanile e sarcastica da adolescente e fascinosa e provocante nel suo aspetto attuale, come si può notare da numerosi sguardi che lancia nelle vignette. La miglior Amelia grafica che ricordi da almeno 20 anni, insieme a quella di
Barbucci e a quella di
Cavazzano.
Ricerca delle bellezza in quello che si fruisce, dicevo.
Ma che bellezza si può trovare in una storia in cui Topolino si deve accollare un cavernicolo in mezzo ad una festa di ricconi? Mazzoleni prova a mettere Mickey in una trama adatta a Paperino, con gag che solitamente subisce Paperino e che mostra una situazione un po' stramba che non sa bene in che direzione andare. Petrossi, solitamente matita di prim'ordine, qui non morde offrendo un lavoro poco più che sufficiente.
Si può trovare un po' di quella bellezza nella storia di Pesce/Palazzi: un manifesto sui genitori che vedranno sempre i propri figli come eterni bambini, incapaci o riluttanti a vedere la loro crescita e conseguente cambio di abitudini, interessi e atteggiamenti. Simpatica l'idea della tavola prologo (lol, in un numero 3 storie che non hanno il titolo nella prima tavola! Non è più una cosa una tantum!), peccato che la trama ad un certo punto diventi un po' inverosimile. Ma rimane una buona storia.
Poca bellezza nel nuovo capitolo di
Amazing Papers, con una storia che si attesta sul mood già visto nei precedenti episodi, risultando un prodotto piacevole ma senza spiccare il volo.
Infine la nuova avventura di
DoubleDuck soffre dei soliti problemi, essendo scritta come sempre da Bosco. Le storie con DD sono quelle dove l'atmosfera spionistica consente di osare di più, tanto nelle tematiche che diventano maggiormente realistiche nei pericoli mondiali e negli equilibri socio-politici messi in campo, quanto nella parte grafica, in cui le tavole diventano dinamiche e dove il colore è sempre curato particolarmente. Peccato che a queste "libertà" non corrispondano trame altrettanto riuscite, quasi come se il canovaccio spionistico obbligasse l'autore a seguire determinati step dai quali è difficile variare più di tanto. Ormai c'è la "missione della settimana", vista anche la frequenza con cui compaiono le avventure della versione 007 di Paperino. E il tentativo di creare una sottotrama incentrata su Kay K e sui suoi genitori, iniziata pesantemente con la storia di Natale e proseguita ora, finora non sta fornendo quella variazione sul tema che si auspicherebbe. Ma vediamo se l'approfondimento della sexy agente segreta avrà ulteriori sviluppi.