Se un Fantomius cavazzaniano occhieggia dalla copertina, significa che il numero su cui troneggia è da comprare
E
Topolino #3072 non delude, offrendo un parco storie molto buono.
Ok, ok, faccio il monsieur critocon e dico che la breve di Rockerduck e Filo Sganga ha un finale che mi ha smosciato, peccato perché la costruzione iniziale della storia prometteva uno sviluppo migliore e i disegni di Tosolini mostrano un'evoluzione del tratto... ma si risolve troppo in fretta e troppo banalmente.
Peggio fa la storia dei Bassotti rapper: i personaggi sono ben fatti recitare da Buratti, ma il plot sa di già visto e anche il modo in cui l'avventura si conclude non è nulla di originale. La storia si appoggia soprattutto sul divertimento delle rime di quanto cantato dai Bassotti, per il resto bof; belli però i disegni di questo tal Libero Ermetti, che ha un tratto incisivo, che mi ha convinto, in bilico tra tradizione e appeal contemporaneo.
Ma per il resto c'è da essere soddisfatti, a mio avviso.
Alessandro Sisti firma
Topolino e il capolavoro perduto, una storia di sapore promozionale, legata alla giornata dei musei, ma il risultato è certamente più felice della macchettata di settimana scorsa. Topolino e Pippo devono scoprire un mistero del passato, ma nonostante la presenza di Zapotec e Marlin non avranno bisogno di adoperare la macchina del tempo, riuscendo a venire a capo della turbolenta vicenda proprio grazie al museo della città di cui sono ospiti e alla conoscenza del luogo stesso, di cui il museo è "un riassunto", come detto nella storia. Bel messaggio, efficace e immerso in una trama avvincente. La classe non è acqua, insomma, e lo mostra anche Limido che ultimamente sta rimpolpando di fascino il tratto che già negli anni '90 amavo ma che qui acquista quasi tridimensionalità.
I due fiori all'occhiello del numero comunque sono Fantomius e la storia scritta a quattro mani da Vito e Cirillo.
La Maschera di Fu Man Etchù è il nuovo capitolo made in Gervasio della sua personale saga sull'originale proprietario del costume "vendicativo"
Il ladro gentiluomo è in trasferta in Cina, e più che il furto di turno risultano molto interessanti i personaggi di contorno qui introdotti: innanzitutto il criminale cinese che dà il titolo all'avventura, citazione del Dottor Fu Manchu, che viene caratterizzato dagli starnuti che condizionano anche il suo "malvagio" piano. Normalmente mettere certe situazioni esageratamente in burletta rischia di rendere troppo semplicistica la storia, ma l'autore romano trova la chiave giusta per rendere i siparietti divertenti e interessanti. L'attenzione la ruba tutta Lady Senape, però, che a dispetto del nome d'arte che non mi entusiasma si rivela un personaggio di grande carisma, esteticamente molto attraente (onore al merito anche al Gervasio disegnatore, insomma
) e dal background interessante.
Bene così.
Il sodalizio tra i due giovani sceneggiatori più promettenti degli ultimi due-tre anni dà buoni frutti:
Zio Paperone... contro Paperopoli è un buon esempio di come dovrebbe essere una storia paperopolese godibile, avvincente, divertente e concreta, restando comunque semplice e senza troppi fronzoli.
Dei due autori, probabilmente si sente più la mano di Vito: la tavola di prologo prima del titolo, Paperone in difficoltà che deve ribaltare la situazione, la grinta del personaggio sono tutti marchi di fabbrica che caratterizzano le storie di Stabile. La presenza di Jacopo Cirillo si avverte però in alcuni importanti dettagli come l'attenzione verso la reazione del web al "tonfo" paperoniano e ad alcune battute e gag che mi ricordano lo stile di Cirillo.
Mi pare che l'unione tra le anime dei due autori abbia così creato una storia molto buona, la cui pecca è da ricercare non in sé ma nella "cronologica" di Vito, se così posso dire: ormai sono troppe le occasioni in cui lo sceneggiatore fa cadere in rovina lo Zione per poi far emergere tutta la sua tempra con cui rifarsi, quello che dovrebbe essere un evento "una tantum" (non per la difficoltà, ma per le dimensioni sempre "definitive" che queste difficoltà hanno) è diventato troppo ricorrente, smorzandone la forza catartica. Ed è un peccato, perché prese singolarmente sono tutte avventure in cui lo spirito paperoniano vincente e originario viene fuori in modo convincente.
Lo stesso discorso, ma in tono minore essendo un fattore di forma più che di sostanza, si potrebbe fare sulla tavola di prologo: iniziare una storia inserendo il titolo in seconda tavola è anch'esso uno stratagemma solitamente usato con parsimonia, a sottolineare avventure particolari, ma Vito ha aperto in questo modo la maggior parte delle sue storie, anche qui secondo me indebolendo un po' il significato di questo gesto.
Ovviamente si potrebbe inquadrare la cosa come un vezzo che caratterizza la produzione di Stabile, come la quadrupla all'inizio di quasi tutte le storie di Cimino, ma è comunque un'abitudine che merita una riflessione.
Tornando alla storia di questo numero, comunque, come dicevo queste elucubrazioni si infrangono contro una sceneggiatura che, forte del sodalizio da cui è nata, riesce ad avere più di una faccia e a saper raccontare qualcosa di molto buono, che oltre a parlare del protagonista dice molto anche sui paperopolesi, che qui (come in altri casi) rappresentano molto bene lo stereotipo della massa pronta a mettere alla berlina qualcuno per un minimo errore, così come è pronta a farsi abbagliare dal primo venuto che promette mari e monti blandendo tutti e così come è pronta a seguire l'ultima moda.
È una storia che ha tanto da dire, e disegni di Valerio Held aiutano molto in questo senso: il suo Paperone ha delle espressioni facciali sempre azzeccate e molto be disegnate, ed è un protagonista che tiene sempre degnamente la scena. Vignette poi come la quadrupla di pag. 138 o quelle in cui i nipoti cercano di essere vicini allo Zione sono un piacere per gli occhi