Finalmente completo la collana!
Il
settimo volume dimostra chiaramente che ci troviamo nella fase di maturità artistica di
Hergé, e questo si nota dal segno ormai stabilmente armonioso e dall’andamento delle trame, altrettanto stabile.
L’Affare Girasole e
Cock in Stock ricoprono infatti le due tipologie principali di avventure di Tintin: spy-story a base di spionaggio e rapimenti l’una e avventura in giro per il mondo l’altra.
Nel primo caso infatti viene rapito il buon Trifone Girasole, la cui fama si è sparsa dopo l’allunaggio e che ha creato un composto che fa gola ad un certo Paese straniero. Nel secondo Tintin e Haddock si trovano invischiati in un’avventura nella zona orientale del globo, dove si impegneranno a rovesciare un regime impostosi con l’inganno e a scoprire addirittura un sistema di schiavismo tenuto nascosto a tutti.
Sono entrambe storie genuine e appassionanti, anche se il loro ricalcare gli andamenti e a volte anche le tematiche già viste nella serie rischia di andare a leggero svantaggio del godimento delle avventure. Questi racconti però non annoiano mai e la crescente padronanza che l’autore prende via via con questi
topoi fa sì che il prodotto finale risulti sempre di grande qualità, anche grazie al riuscito mix di avventura e umorismo, quota garantita, quest'ultima, soprattutto dal personaggio del capitano Haddock con le sue intemperanze.
Notevole rilevare anche la continuity sempre più stretta all’interno della serie, dovuta al ritorno di diversi personaggi conosciuti nelle storie precedenti: un riutilizzo mai gratuito e sempre ragionato.
La terza storia qui presente è
Tintin in Tibet, vero gioiello del volume: pur non distanziandosi nella forma dalle avventure classiche del personaggio, richiamate poco sopra, la gestione di questa storia risulta particolare, forse anche più sentita dall’autore. Tintin sogna infatti un suo amico, Chang, sperso tra i monti in grave difficoltà. L’amico in effetti è dato per morto dopo un incidente aereo sull'Himalaya, ma il reporter dal ciuffo si aggrappa saldamente alla propria visione e dimostra più volte coraggio, altruismo e tenacia nella difficile avventura volta a salvare Chang, senza mai abbandonare la speranza, anche nei momenti più difficili. L’intensità del racconto è palpabile e, insieme agli stupendi paesaggi illustrati da Hergè nelle tavole della storia, fa sì che
Tintin in Tibet risulti particolarmente memorabile.
L’
ottavo e ultimo volume della collana è anche il più corposo, vista la presenza di 4 storie.
I Gioielli della Castafiore è un racconto umoristico irresistibile: forse per la prima volta nella serie abbiamo una storia priva di *veri e propri* elementi di spionaggio, giacché la persistente ansia della cantante lirica del titolo (altro personaggio ormai diventato ricorrente da un po’) verso i propri preziosi in realtà non avrà reali e drammatiche conseguenze. La fanno da padrone allora le innumerevoli “sciagure” che capitano al capitano Haddock: oltre all’ingombrante presenza della Castafiore ci saranno un fastidioso pappagallo, un gradino rotto e un artigiano che continua a temporeggiare per non ripararlo, disturbi sulla linea telefonica e un servizio giornalistico che dà per certe le sue nozze con l’usignolo milanese. C’è un momento in cui Hergé si diverte a concentrare almeno 3/4 disagi in un unico momento e l’esplosione di Haddock è epica!
Nella sua semplicità questa storia d’apertura si dimostra la migliore: le due successive, infatti, iniziano ad accusare alcuni segni di stanchezza nella scrittura dell’autore.
Volo 714 Destinazione Sydney rimette i protagonisti all’interno di un intrigo condito da rapimento e ricatto, aggiungendo in sovrappiù anche la presenza degli alieni (!) quasi a mò di deus-ex-machina.
Tintin e i Picaros è l’ennesima variazione sul tema “rovesciamento di un regime ingiusto in Paese straniero”, risolto in modo anche leggermente meno brillante di quanto fatto in passato.
In chiusura il volume presenta un inedito, per l’Italia:
Tintin e l’Alph-Art è infatti l’ultima storia del personaggio realizzata da Hergé, ma che l’autore non fece in tempo a completare prima di morire. Sono sopravvissuti solo gli storyboard abbozzati delle tavole, ed è proprio così che quest’avventura viene pubblicata nel volume Rizzoli. Nella pagina sinistra viene presentata la sceneggiatura che, come un copione teatrale, descrive gli ambienti e riporta i dialoghi (presumibilmente è stata semplicemente ricavata da eredi e curatori - e nel nostro caso dal traduttore - dagli storyboard stessi, osservando gli schizzi e trascrivendo in bella le parole nei balloon), nella pagina a destra si trovano invece gli storyboard di Hergé, dove il tratto dell’autore si rivela particolarmente vivo e spontaneo nel suo essere una bozza personale, a volte più dettagliato, altre meno, ma sempre dinamico, espressivo e molto comunicativo.
La storia in sé non spicca particolarmente, e come le precedenti due di questo volume si appoggia sulle atmosfere già viste e consolidate per l’avventuroso protagonista. C’è da dire che è questo il trend delle avventure della serie, quello che la caratterizza, e avrebbe poco senso andare a cambiarlo in un momento così avanzato della carriera della testata. In quest’ottica,
L’Alph-Art si configura come il testamento ideale per il personaggio.
Il vero peccato è che Hergé non solo non fece in tempo a disegnare la storia, ma non riuscì nemmeno a completare lo storyboard stesso, che risulta infatti incompleto, lasciando la storia senza finale. Fortunatamente questo avviene dopo che si è svelato il mistero dietro l'intrigo di turno, ma lasciamo però il protagonista in una situazione di pericolo senza sapere esattamente come se la caverà: anche se possiamo immaginare che il capitano Haddock arriverà di lì a poco a salvare la pelle al suo migliore amico, e allora potranno tornare tranquilli insieme al Castello di Moulinsart, dove potranno finalmente riposarsi senza più scosse nella loro vita.
Al termine della collana, non posso che dirmi pienamente soddisfatto, sia dell’altissima qualità del fumetto di Hergé che ha conosciuto davvero pochissimi bassi nel corso della serie, sia del valore della collana Rizzoli, che ha raccolto in 8 agili volumi, nemmeno troppo costosi ma di contro piuttosto ben curati, compatti e facilmente consultabili, l’intero corpus di uno dei fumetti migliori di tutta la nona arte.