C'era una volta una piccola poetessa bionda che si chiamava Teresa Radice. Questa ragazza lavorava in un giornalino chiamato Witch. Era un buon giornalino, ma non sempre dava modo ai suoi autori di mostrare tutto il potenziale che avevano. Alla piccola Teresa però questo non importava, e ci provava lo stesso. Le piaceva l'idea di inserire un po' di sé stessa e della sua sensibilità nelle storie, perché ciò che la muoveva era la voglia di regalare qualcosa al lettore. Teresa amava donarsi, che è la prima regola per essere una brava cantastorie.
C'era una volta un barbuto disegnatore che si chiamava Stefano Turconi. Il suo stile piaceva molto ai suoi lettori, perché i suoi personaggi si muovevano anche quando stavano fermi. Aveva uno stile di disegno molto espressivo e dinamico, che anno dopo anno puntava dritto verso una meta precisa: la sintesi grafica. Eppure, benché le linee diminuissero, il suo stile non accennava a impoverirsi, ma si arricchiva sempre più, esplorando frontiere espressive sempre diverse, sempre migliori.
Poi la cantastorie e il disegnatore si conobbero, si innamorarono e si sposarono. Fecero due figli, e generarono una terza cosa, difficile a definirsi, come tutte le cose più belle. Combinando insieme il desiderio di donarsi di Teresa con l'incontenibile energia cinetica nascosta nelle linee di Stefano, era stato ottenuto un qualcosa che valeva di più della somma delle parti, una concentrazione di talento tale da scaldare il cuore di chiunque si avvicinasse alle loro opere. Fu su Topolino che gli effetti di questo connubio si fecero notare per la prima volta: vecchi paperi brontoloni che si ammutolivano sorseggiando un caffè al tramonto, topini che si innamoravano viaggiando nel deserto, strambi tontoloni capaci di attraversare vicende di ogni tipo con serafica indifferenza. Personaggi antichi, ma nel contempo vitali e versatili, che finalmente lasciavano Teresa libera di parlare attraverso loro, mentre Stefano come un esperto burattinaio ne rinverdiva i fasti, trasformando ogni loro posa in un ipotetico frame animato.
E poi venne Viola Giramondo, lo step definitivo che avrebbe portato Teresa e Stefano a trasferire completamente anima e corpo all'interno di un oggetto cartaceo. O quasi, perché sembra che nel nostro mondo i due artisti esistano ancora, ma probabilmente si tratta di ombre residue, lontani echi, ologrammi programmati per fingere di continuare la loro esistenza intorno a noi, per non farci accorgere della verità.
Dico questo perché in questa graphic novel lunga più di cento pagine ed edita da Tunuè c'è tutto quello che costituisce la poetica dei due autori, portata ai massimi livelli. Si tratta di tre storie autoconclusive, eppure tra loro collegate, che ci raccontano tre importanti fasi dello sviluppo di Viola, ragazzina nata e cresciuta all'interno di un circo itinerante di inizio secolo. L'aria che si respira lungo tutto il volume è estremamente positiva: la famiglia di Viola è piuttosto atipica, allargata ma amorevole, piena di figure strampalate ma incredibilmente costruttive, che la aiutano a crescere, facendole compiere un percorso di accettazione. Infatti nel primo episodio Viola riesce ad accettare sé stessa e la sua vita un po' atipica, nel secondo impara ad accettare il prossimo, mentre nel terzo a venire accettata è la vita in tutte le sue sfaccettature, compreso il fatto che sia un percorso con una sua conclusione. Queste lezioni di vita vengono impartite a Viola non soltanto dai bizzarri componenti della sua famiglia ma anche da alcune figure storiche realmente esistite come Henri de Toulouse-Lautrec o Antonín Dvořák, che si inseriscono nella narrazione in modo naturale, confermando il trend iniziato dai due artisti nel ciclo
Pippo Reporter, in cui questi incontri particolarissimi erano frequenti.
Alla poesia dei testi di Teresa, fa da contraltare il comparto grafico. Stefano Turconi ha superato sé stesso, proponendo una carrellata di magnifiche vignette, ognuna delle quali potrebbe benissimo essere un quadretto. Lo stile si è fatto ancor più sintetico che in passato, e come si diceva sopra, in questa sintesi ha trovato una rinnovata ricchezza. Le meravigliose colorazioni fanno il resto, e la resa finale...è quella di uno strepitoso film d'animazione. E neanche uno qualsiasi, ma un film dei Walt Disney Animation Studios al loro meglio. Difficile non ripensare agli orsi di
Brother Bear osservando il grizzly incontrato da Viola in Canada, o all'isterico Mr. Darling di
Peter Pan guardando certe movenze dello zio Arséne, e c'è anche qualcosa del pixariano
Brave nei cuccioli di orso e in una certa violinista dai ricci rossi. Chiunque abbia mai avuto passione per la buona animazione, si è senza dubbio soffermato a guardare i concept art presenti nelle gallerie d'immagini dei dvd, sognando di veder un giorno sopravvivere certi capolavori in un'opera finita. Viola Giramondo è una risposta perfetta a queste preghiere.
E poi finisce. In un mondo in cui ogni franchise viene munto fino allo stremo, e in cui gli stessi personaggi tendono a rispuntare fuori ogni due per tre, è disorientante rendersi conto che con lo staff di girovaghi del circo di Viola abbiamo invece concluso il viaggio. Ma l'abbiamo concluso davvero? Un cast così variegato e ampio ha infinite possibilità, e se di storie di crescita dobbiamo parlare, una come Viola ne ha ancora tante di esperienze di fronte a sé da vivere. Il potenziale che hanno dimostrato questi tre episodi autoconclusivi è immenso, e sebbene il terzo episodio fornisca ai personaggi più importanti una storia di origini, ci sarebbe ancora tanto da dire su molti di loro. Ma se mai questo avverrà è agli autori che lo dobbiamo chiedere, autori che, ricordiamolo, si sono totalmente fusi con l'opera. Per cui forse, è proprio leggendo, rileggendo e consigliando questo magnifico volume, che si potrà manifestare loro l'affetto e il desiderio di continuare a viaggiare con loro sul carrozzone del Cirque de la Lune.