E' indubbio che, oggi, a sentire il nome Akira Toriyama, la stragrande maggioranza della gente pensa immediatamente a Dragon Ball Z.
Eppure, c'è un lato di Akira Toriyama, che, leggendo o guardando Dragon Ball Z, i più non colgono immediatamente.
Già, perchè il nostro Tori non è solo bravo nel realizzare bamboloni ipertrofici dai capelli biondi, ma è anche un umorista nato, che non disdegna, di tanto in tanto, qualche piccolo tocco favolistico, qualche episodio che riesce anche ad essere delicatamente poetico e profondo, a colpire l'animo del lettore e a lasciargli anche un bel messaggio da seguire, nascosto dietro le risate.
Penso all'orso in cattività che Arale e il Dr. Slump liberano e rimettono in forma, e che poi, ucciso dai bracconieri, fanno rinascere sottoforma di ibrido animale-robot, al piccolo panda a cui Arale insegna a fare le capriole e a trasformarsi come i tanuki, alla burbera tigre antropomorfa a cui Arale ridà la gioia di vivere che aveva perso dopo la morte del suo uccellino domestico, ad Atomino che adotta dei gattini abbandonati, al Dr. Slump che adotta e protegge il cagnolino Cacca nonostante odi i cani, a Goku che salva dal Red Ribbon il robot Ottone e agli abitanti del villaggio innevato che lo accettano come uno di loro nonostante sia un androide, al padre di Upa che Goku & Co. fanno resuscitare con le sfere del drago, a Muten che cambia lo Stregone del Toro da sanguinario assassino a omone allegro e bonaccione, a Mr. Satan che rabbonisce Majin Bu e al cagnolino con cui il demone rosa fa amicizia.
Da quando ha concluso la sua opera più famosa, Akira Toriyama si dedica sporadicamente, nei ritagli di tempo tra un Dragon Quest e l'altro, a volumi autoconclusivi con storielle leggere e adatte a tutti.
Il primo di questi, uscito nel 1997, è Kowa.
Il villaggio di Capo Pipistrello è popolato da mostri di ogni genere, ed è qui che vive il nostro vivace protagonista, il piccolo Paifu, un vampiro che si trasforma in un gigantesco e feroce koala antropomorfo quando vede una croce.
Paifu vive in maniera spensierata giocando insieme agli amichetti, il fantasmino trasformista Josè e lo spocchioso demone Arpon.
Alle porte del villaggio vive l'unico essere di cui i mostri stessi hanno paura: lo scorbutico Mako "Makorin" Maruyama, burbero pescatore che una volta era uno stimato lottatore di sumo noto come Katsukazan (Vulcano Attivo), ma che si è ritirato dalle scene pieno di sensi di colpa per aver ucciso accidentalmente un avversario in un incontro.
Quando il villaggio viene colpito da un terribile morbo, Paifu, Arpon e Josè, gli unici scampati all'epidemia, saranno costretti a chiedere proprio al burbero Maruyama di accompagnarli nell'antro di una strega che potrà fornir loro un antidoto. L'omaccione è ovviamente riluttante, ma viene reclutato con l'inganno. E così la nostra squadra più forte del mondo, composta da "tre mostriciattoli mocciosi e un grassone sfatto" è pronta a partire per la più grande delle avventure.
Essendo raccolto in un unico volume, Kowa si legge tutto d'un fiato, e la lettura risulta estremamente piacevole.
Il tratto è moderno e molto personale, e si denota il cambiamento stilistico dell’autore, pur rimanendo perfettamente riconoscibile. Tra l’altro la storia è quasi tutta a colori, anche se purtoppo questo aspetto non è presente interamente nella versione italiana (e presumibilmente anche nella versione originale in tankobon).
L’ambientazione surreale e i personaggi disegnati in maniera semplice e simpaticissima non lasciano alcun dubbio: questo è un manga di Akira Toriyama, per quanto i più lettori più occasionali e sprovveduti magari possono non averlo notato, data l’assenza di ipertrofici guerrieri dai capelli biondi.
Eppure, a chi segue Toriyama da molto tempo e con una grande passione derivategli non solo dall’anime di Dragon Ball Z, la cosa risulta lampante, dato che lo spirito originario della poetica di questo autore traspare in Kowa da ogni pagina o vignetta.
La caratterizzazione dei personaggi è assolutamente perfetta, malgrado le poche pagine a disposizione, e in questo giocano un ruolo fondamentale i primissimi capitoli, che mostrano la vita di tutti i giorni dei nostri mostriciattoli, lungi da quella che sarà l’avventura che vivranno di lì a un paio di capitoli.
Paifu, il nostro protagonista, è un vampirello, sì, ma è anche un bambino assolutamente credibile in ogni sua manifestazione (come, del resto, già Arale prima di lui), con le sue marachelle e i suoi giochi assieme agli amici (“angeli e demoni” anziché “guardie e ladri”! XD). Josè, nella parte del timido amico d’infanzia, è credibilissimo anche lui, e così Arpon, che riprende in chiave infantile e giocosa la classica figura dell’amico/rivale che già l’autore sperimentò e portò al successo nella sua opera principale con il personaggio di Vegeta e ancor prima con Crilin.
I nostri tre mostriciattoli hanno vissuto chiusi tra le mura di Capo Pipistrello, temendo gli umani che li temono e li bistrattano a loro volta. Eppure, l’umano che li accompagna sembra essere differente. In primis perché non ha minimamente paura dei mostri, anzi sono loro ad aver paura di lui, che minaccia a gran voce di fargli fare una brutta fine ogni qualvolta (e sono tante) che Paifu e gli altri gli fanno saltare la mosca al naso.
Maruyama è enorme, brusco e scostante. Non vuole avere rapporti né con gli umani né con i mostri, ma, attratto dalla (falsa) promessa finanziaria che Paifu e gli altri gli fanno, accetta controvoglia di accompagnarli in giro per il mondo alla ricerca della medicina che gli serve. Anche perché, nonostante abbia paura di lui, Paifu sente in cuor suo che quella di Maruyama è solo una maschera, che indossa, traumatizzato e spaventato dal triste evento che ha condizionato il suo passato, ma che quell’omone così burbero in realtà è una persona gentile e quindi tenta in ogni modo di farci amicizia.
Il contatto con il mondo sarà emozionante e stimolante per Paifu e gli altri, che sono sempre rimasti chiusi nel loro piccolo villaggio senza mai conoscere ciò che vi era al di fuori. Rimangono così affascinati dalle auto, dalle luci della città, dai dolci delle bancarelle, dai centri commerciali.
Ma si scoprono anche i lati più gretti e oscuri di quel mondo, al cui confronto il villaggio popolato dagli spaventosi mostri si rivela essere di una tranquillità che manco quello dei Puffi: aguzzini, criminali, gente che se ne approfitta dei più deboli e che maltratta e segrega i mostri rifiutando loro di vendergli degli oggetti solo perché non sono umani (in una scena che ricorda molto le tristi vicende storiche della segregazione razziale dei neri nell’America di qualche decade fa).
E’ un mondo quasi privo di effettivi valori, dove regnano solo la criminalità e la forza, tant’è vero che sempre più persone osannano e stimano il fu Katsukazan per la sua ferocia e violenza e quasi gli fanno i complimenti per essere talmente forte da esser riuscito ad uccidere un avversario, cosa che invece a Maruyama pesa moltissimo.
Trovandosi a dover vivere in un mondo del genere, quasi quasi è pure comprensibile che il povero Maruyama si sia chiuso in sé stesso, deluso dal suo stesso essere umano, e che si trovi piacevolmente sorpreso nel vedere che quei mostriciattoli così terrificanti nelle dicerie popolari siano più gentili e umani degli umani stessi. Paifu, piccolo e birichino ma dal cuore innocente, e i suoi amici, forse, gli stanno pian piano sciogliendo il cuore, e il burbero lottatore di sumo magari si sta pian piano affezionando a quegli sciocchi mostriciattoli…
Nel giro di poche decine di pagine, Akira Toriyama riesce a creare nuovamente un universo affascinante, fiabesco e perfettamente credibile. Magari un po’ più gretto e violento del solito, ma sempre tratteggiato in maniera surreale e divertente, nel classico stile in cui questo autore ci ha abituati nel corso della sua lunga e onorata carriera.
Si ride, chiaramente, essendo un manga di Akira Toriyama. Si ride di gusto, come sempre, ma c’è largo spazio anche per i sorrisi, quei sorrisi bonari e di tutto cuore che ci si dipingono sul volto quando leggiamo storie fiabesche e poetiche come questa e che ci fanno sentire un po’ più felici di vivere.
Kowa è una storiella breve e assolutamente disimpegnata, ma va avanti con l’enorme maestria di un grande autore e non manca di farci affezionare a tutti i suoi personaggi, buoni o cattivi, protagonisti o comprimari o semplici comparse che siano, nonché di veicolare messaggi importanti quali il rispetto delle diversità e l’amicizia, che non fanno mai male, specialmente in una produzione per tutti che viene scritta per un pubblico infantile. Ma ovviamente, dato che è comunque di una grande opera di un grande autore che stiamo parlando, Kowa non mancherà di farsi amare anche dal lettore di età più grande, specialmente da quelli più sensibili e rimasti un po’ bambini dentro.
Sarebbe veramente bellissimo, se Toriyama facesse storielle brevi più spesso, se il risultato è come questo. Consigliatissimo veramente dal profondo del cuore.