[RCS/Planet Manga] Collana Jiro Taniguchi

Da Miyazaki a Taniguchi, passando per Toriyama, Otomo ed Oda. Una cartella con gli occhi sbrilluccicosi nella quale incontrare ninja, guerrieri, paladine della giustizia e strambi pirati.
  • La seguo. Edizione con le palle. Ok, magari non sarà tuttotutto, ma c'è sempre la possibilità che venga estesa. E in ogni caso, permette di avere un'edizione omogenea ed elegante delle opere di un autore la cui produzione è sempre stata sparsa fra mille editori diversi. Applausi a scena aperta!
  • Ci voleva. Taniguchi come minimo ha attraversato come una cometa l'esperienza di qualunque lettore di fumetti, e un'edizione "di studio" era necessaria e molto desiderata, anche se questa è nella fascia economica e deficita di commento critico.
    “DISCUSSIONE, NON RECENSIONE!”

    :solly:
  • Siam giunti al primo terzo della collana e possiamo tentare un bilancetto.

    Intanto possiamo isolare cinque volumi di "racconti" contro cinque di veri e propri romanzi, e francamente non mi sento di paragonarli senza marcare questa distinzione. I racconti o episodi autoconclusivi sono nei primi tre volumi e nei due di Gourmet. I restanti cinque romanzi sono Al tempo di papà, Gli anni dolci, Blanca e "Blanca 2" (I cani degli dei), e Il libro del vento.

    Distinguo romanzi e racconti perché quasi tutti questi ultimi accusano la ripetitività. Se la prima raccolta (L'uomo che cammina) della ripetitività fa un punto di forza che assurge a elegante minimalismo (e allega due racconti bonus di indipendente valore aggiunto), la saga di Gourmet è invece una prova di resistenza sfiancante dove l'unico accenno di varietà arriva alla fine del primo volume, quando un brutto incidente risveglia il protagonista Goro da un torpore depressivo che aveva segnato le sue precedenti giornate (questo risulterà però in un protagonista più ebete e meno interessante nel secondo volume). L'olmo paga la dipendenza dai racconti originali da cui è tratto, racconti il cui valore stava in un'essenzialità che la trasduzione in fumetto inevitabilmente cancella: sì, son d'accordo che ogni scusa è buona per vedere Taniguchi che disegna, ma in questo caso particolare mi è sembrata un'addizione superflua che ha inciso negativamente sulla lettura. La mia raccolta preferita finora è quella nel secondo volume, Allevare un cane, che compensa la ripetitività strutturale con una cura per l'evoluzione dei personaggi ricorrenti assente nelle altre raccolte e che più delle altre elegge gli animali protagonisti a figure totemiche su cui i drammi umani hanno sponda.

    La lettura più coinvolgente per me è stata senza dubbi quella dei romanzi, in particolare quelli cicciotti che hanno aggiunto la stimolazione tattile alla sovraccarico sensoriale dei disegni del grande Jiro. Meriterebbero tutti una rilettura e forse gliela concederò. La desidero. Ho sviluppato quasi una dipendenza per la corsa di Blanca e quando ho scoperto che il volume successivo, I cani degli dei, sarebbe stato un altrettanto corposo seguito non potevo credere a una fortuna simile. La storia è esagerata al limite della caricatura, ma è proprio tramite l'allungamento di brodo che Taniguchi dona a un intreccio assurdo l'epica e la raffinatezza di cui altri fumetti popolari scelgono di fare a meno. Un cane mutante che salta quasi fino a volare, che nessun esercito riesce a sopprimere, che sopravvive mesi nelle tundre più estreme del pianeta, può essere credibile solo se lo vediamo soffrire, e per capirne la sofferenza dobbiamo stargli accanto a lungo. Oltre mille pagine sono un buon compromesso. Devo poi sottolineare come l'eccellenza del tratto e dell'inquadratura e del montaggio delle tavole di Taniguchi esploda incontenibile proprio nelle scene di montagna? No, non serve. Avremo occasione di farlo nella prossima dozzina di volumi dedicati alle montagne. Buondio mi gira la testa.
    Anche in Il libro del vento Taniguchi esplora con lussuria (pur meno proficua) il fumetto di genere, andando alla radice delle tecniche di arti marziali della tradizione giapponese e fornendo la solita piattaforma grafica magistrale al compendio di storia del diciassettesimo secolo del co-autore Kan Furuyama. Io nelle storie in costume ci sguazzo, e in particolare sono molto curioso riguardo alla cultura giapponese, sapendone pochissimo, quindi ho amato questo viaggio nel tempo nonostante il tono divulgativo dei dialoghi (che comunque mi ha agevolato lo "studio").
    Al tempo di papà e Gli anni dolci sviluppano l'altro tratto distintivo della poetica jirandola, quello intimista. Se il primo indugia in un po' di vittimismo e nostalgismo fino a minare il mio coinvolgimento, Gli anni dolci è invece brutalmente onesto e spiazzante: privo di sentimentalismi, rinuncia alle tecniche dell'abbindolazione come conflitti, alti e bassi, cliffhanger o colpi di scena, persino alla fine, e chiosa con un trip fra folklore e psichedelia (effetto ritardato del capitolo sui funghetti?) che sigilla un capolavoro.

    Non lo so. Sembra troppo bello per essere vero. Che peccato essere arrivato così tardi a seguire Taniguchi.
    “DISCUSSIONE, NON RECENSIONE!”

    :solly:
  • Oggi termina, senza rinnovo.

    Io sono fermo a Uno zoo d'inverno.

    Una prece.
    “DISCUSSIONE, NON RECENSIONE!”

    :solly:
  • Io invece ho la coscienza splendida.
  • Cos'è La coscienza splendida? Il volume 31? Dove l'hai preso?!
    “DISCUSSIONE, NON RECENSIONE!”

    :solly:
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