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Square/Enix: Dragon Quest V - La Sposa del Destino (DS)

Inviato: lunedì 11 maggio 2009, 13:33
da Mike Haggar
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E’ giorno di festa, nel regno, perché la regina Mada (in originale, Martha) ha dato alla luce un bel bambino, il figlio del saggio re Russel (in originale, Papas).
La felicità, tuttavia, dura soltanto pochissimi istanti, perché qualcosa di misterioso arriva a turbarla…
E’ giorno di festa, nel piccolo villaggio di Valcava, perché il buon Russel è ritornato dal lungo viaggio intorno al mondo che aveva intrapreso assieme al figlioletto di sei anni.
Si dice che ogni padre sia un eroe per il proprio figlio, e Russel merita a pieno titolo questa qualifica. E’ infatti un uomo saggio, forte, austero, gentile e valoroso, che ha portato il figlioletto con sé, proteggendolo dai pericoli, mentre lui girava il mondo alla ricerca di qualcosa di misterioso.
Cosa è successo, in questo lasso di tempo? Perché il sovrano del regno è adesso, sei anni dopo, un guerriero errante che cela la sua reale identità persino al proprio figlio? Che cosa lo ossessiona, quale risposta sta cercando, perché tutto questo è talmente importante da spingerlo a rinnegare le proprie regali origini e a mettersi in viaggio per il mondo in incognito?
Mentre un’oscura forza incomincia a tramare per gettare nuovamente il mondo nel caos e in preda alle tenebre, Russel e suo figlio trascorrono giorni felici in quel di Valcava, continuando a viaggiare di qua e di là per compiere la ricerca che Russel ha a cuore, e incontrano una serie di persone che giocano e giocheranno un ruolo fondamentale nella vita del baffuto guerriero errante e del suo pargoletto: Sancho, il migliore amico di Russel e suo fedele scudiero, un uomo dal grande pancione e dal grande cuore, capace di commuoversi per un nonnulla e di dare la vita per il suo padrone ed amico; il generoso e ricchissimo mecenate Rick Fosconi (in originale, Ludman) e le sue due figlie, la timida e dolce Nera (in originale, Flora) e la spocchiosa Viola (in originale, Debora, personaggio creato unicamente per la versione Ds); Bianca, una bimba vivace figlia di una famiglia di locandieri, che instaura immediatamente un particolare legame col nostro protagonista; il capriccioso principino Robert (Henry, in originale), cui Russel si trova suo malgrado a fare da tutore e babysitter; un indifeso cucciolo di Koguar (Borongo, in originale, è un mostro di Dragon Quest simile a un leopardo) con cui il protagonista, che è capace di una particolare empatia per i mostri, si troverà a stringere amicizia…
Aiutato da tutte queste persone, e sulle orme di un padre veramente eroico che tuttavia celava parecchi misteri dietro di sé, il nostro protagonista comincia la sua avventura, un’avventura che lo porterà a incontri e scontri, a peripezie, a un picaresco peregrinare, ad attimi di gioia e di dolore, a battersi contro forze oscure e malvagie e ad assaporare le gioie dell’amore e dell’amicizia. Un’avventura che, comunemente, è chiamata “vita”…
Uscito per la prima volta nel lontano 1992 e primo episodio della saga a fare la sua comparsa su una console a 16 bit (il Super Nintendo), Dragon Quest V: La sposa del destino (Tenkuu no hanayome, “La sposa del cielo”) fa parte, assieme a Dragon Quest IV: Le cronache dei prescelti e Dragon Quest VI: La terra delle illusioni della cosiddetta “Trilogia di Zenithia” e, pur non raggiungendo i livelli del suo predecessore, è rimasto uno dei capitoli più amati della saga e ottenne all’epoca uno straordinario successo, generando nel corso degli anni quintalate di merchandising, manga ad esso dedicati, un remake per la Playstation 2 e meritandosi persino un capitolo-parodia promozionale in Chottodake Kaettekita Dr. Slump, la serie manga a colori che Akira Toriyama – che, ricordiamo, è il character e monster designer di tutti i giochi della serie Dragon Quest – ha dedicato, pubblicata nel corso di gran parte degli anni ’90 sulla rivista di videogiochi V-Jump, ai suoi celebri personaggi d’esordio.
Questo quinto capitolo della saga si presenta insieme affine e dissimile dal suo predecessore.
Per noi che lo giochiamo solo adesso, dopo sedici anni dalla sua uscita originaria, su Nintendo Ds e con lo stesso motore grafico tridimensionale del quarto episodio, forse, la differenza sarà meno marcata che per i giapponesi che lo giocarono nel lontano 1992 e vissero sulla loro pelle il passaggio dagli 8 ai 16 bit, ma, se è vero che condivide con “Le cronache dei prescelti” il sistema di gioco, la rappresentazione grafica del mondo e dei suoi abitanti e la grafica dei menu, nonché anche alcuni risvolti narrativi della storia, appaiono ben presto chiare anche le divergenze tra i due giochi.
“Le cronache dei prescelti” aveva una storia di fondo tutto sommato assai banale e un protagonista assai impersonale (e non parlo solo del fatto che era senza nome, perché questo è un destino che condividono i protagonisti di tutti i giochi della saga). Segnato da una predestinazione all’eroismo ancor prima di nascere, con una capigliatura di colore verde acqua che tradiva le sue origini ultraterrene, il protagonista di “Le cronache dei prescelti” lasciava abbastanza il tempo che trovava (tant’è vero che era persino possibile sceglierne il sesso all’inizio della partita) e si presentava come un eroe che più classico non si può, la cui storia e il cui profilo psicologico erano costruiti a tavolino secondo i più classici dettami del genere.
Ciò che rendeva speciale “Le cronache dei prescelti”, oltre all’ambientazione, alle vicende fiabesche e all’azzeccatissimo monster design, erano i personaggi secondari (tant’è vero che uno di questi, il mercante Torneco, ha fatto fortuna ottenendo manga e videogiochi spin off unicamente a lui dedicati e sporadiche apparizioni nei manga basati sulla serie e nelle opere di Toriyama, diventando un po’ il personaggio simbolo dell’intera saga), l’intrecciarsi delle loro storie e il vedere personaggi con background, modi di vivere e stili di combattimento completamente differenti tra loro unirsi per fare gruppo, più che la vicenda del protagonista in sé.
“La sposa del destino” cambia invece completamente le carte in tavola.
Se è vero che ad una certa predestinazione del protagonista non si rinuncia neppure stavolta (ma credo che questo sia in un certo senso inevitabile, per qualsiasi storia fantastica e per qualsiasi gioco di ruolo giapponese), non possiamo certo dire che si tratta di un personaggio piatto o banale.
Non sarà un mostro di psicologia, è vero, ma nemmeno un personaggio assente e stereotipato.
Seguiremo la vicenda del nostro protagonista sin dalla sua nascita e lo vedremo poi crescere e attraversare tutte le fasi della vita, viaggeremo con suo padre Russel come se fosse nostro padre e gli faremo compiere scelte e avventure come se fossimo noi in prima persona a farle, gioendo e soffrendo insieme al nostro personaggio virtuale.
Se “Le cronache dei prescelti” era quindi la storia di tanti personaggi, non faticheremo a riconoscere che “La sposa del destino” è invece fondamentalmente la storia di uno, e tutti gli altri personaggi sono descritti in base a come si rapportano col personaggio principale.
E’ emblematico di questa concezione il fatto che il nostro “party” comprenderà stavolta ben pochi personaggi, che molti di questi scompariranno o riappariranno spesso e volentieri costringendoci a rimescolare le carte in tavola di volta in volta, e che, per supplire a questa mancanza, avremo invece libera scelta sui componenti “mostruosi” del gruppo.
Novità assoluta di questo quinto capitolo, infatti, è la possibilità di poter reclutare più o meno a piacimento i mostri sconfitti in battaglia per trasformarli in propri compagni, equipaggiarli con armature ed armi e permettergli di crescere, salire di livello e imparare incantesimi o abilità. Un Pokemon ante litteram, insomma.
Con questi mostri non potremo interagirci (un’altra novità del gioco è la possibilità di sentire i commenti dei membri del gruppo ai posti visitati, ai discorsi delle persone e agli eventi accaduti e di chiacchierare con loro, ma ovviamente la maggior parte dei mostri non sa parlare!), quindi forse saranno dei compagni un po’ impersonali, ma è una bella aggiunta il fatto di poterne reclutare quanti e quali si voglia, cosicchè ogni giocatore potrà gestire e personalizzare la propria partita aggiungendo al proprio gruppo i mostri che più preferisce.
Aldilà dell’avventura principale, potremo poi cimentarci in parecchi minigiochi che ci aiuteranno a spezzare la tensione e il ritmo incalzante delle (dis)avventure del nostro eroe. Ritorna, ampliato di nuovi giochi, il casinò presente anche in “Le cronache dei prescelti”. E, stavolta, oltre al poker, alle slot machine (rinnovatesi per l’occasione) e alle scommesse sui combattimenti dei mostri, potremo dilettarci anche con le scommesse sulle corse degli Slime, col bingo e con uno spassoso divertissement chiamato “Tavola della sorte”, che è un’originale combinazione tra un gioco di ruolo da tavolo e il gioco dell’oca, il tutto però a grandezza naturale. Inoltre, è presente anche una versione a tema Dragon Quest del classico “Schiaccia la talpa”, da giocare esclusivamente con il pennino.
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“La sposa del destino”, a giocarlo, sembra più corto e meno epico rispetto a “Le cronache dei prescelti”, ma è un’impressione dovuta al fatto che, anziché venir calati subito nella grande avventura, viviamo le vicende dal punto di vista del microcosmo del protagonista e ci rendiamo conto di quella che sarà la vicenda principale solo a più riprese col proseguire dell’avventura.
In realtà, ciò è sintomatico della maturazione raggiunta dalla saga con questo quinto capitolo.
Giocando a “La sposa del destino”, non si ha la sensazione di star vivendo, ancora una volta, la grande e ancestrale lotta tra bene e male, cosa che invece ci veniva evocata sin da subito nell’episodio precedente.
Tema principale di questo quinto episodio non è, appunto, la lotta tra il bene e il male, tra l’eroe e il malvagio, quanto qualcosa di più umano e semplice.
L’ammirazione che un figlio prova nei confronti del proprio padre e l’immenso amore che un padre prova nei confronti del proprio figlio, il cementarsi delle amicizie e degli affetti, il tramandarsi dei valori, dei ricordi e dei sentimenti di padre in figlio, di generazione in generazione, lo scorrere del tempo, il perdersi, il ritrovarsi, le vere amicizie che resistono alle ingiurie del tempo e alle difficoltà della vita, la ricerca di qualcuno a cui voler bene e con cui passare il resto della propria esistenza, la ciclicità del tempo e degli eventi.
Per quanto il protagonista sia comunque un personaggio eccezionale, predestinato a grandi cose, è innegabile che sia anche un personaggio parecchio umano, e la sua battaglia contro il re del male Nimzo rimarrà comunque in secondo piano rispetto alle sue vicende umane. Più che farlo combattere con demoni e mostri, saremo chiamati a farlo crescere, a fargli stringere rapporti con le persone che incontrerà, a fargli percorrere le orme di suo padre alla ricerca del suo posto nel mondo.
L’esperienza che “La sposa del destino” ci offrirà sarà quindi apparentemente meno epica e classica rispetto agli episodi precedenti, ma di certo non meno suggestiva, e ci capiterà di affezionarci al nostro protagonista come mai prima, tanto da gioire in prima persona per gli eventi felici della sua vicenda, intristirci per quelli drammatici e restare sulle spine prima di compiere delle scelte che si riveleranno di fondamentale importanza per il proseguimento dell’avventura. E, di fronte a tutto questo, poco importerà se il nostro eroe sarà stavolta un ingenuo bimbo vestito di stracci anziché un aitante spadaccino dalla chioma fluente e dall’armatura scintillante, o se il glorioso castello di Zenithia, che fu perno di “Le cronache dei prescelti”, stavolta sarà ridotto in rovina e abbandonato da tutti.
Ancora una volta, Dragon Quest ci diverte e ci appassiona. La trama si sviluppa lentamente ma è colma di eventi e lascia anche parecchio spazio alla riflessione e alla veicolazione di temi importanti. Continueremo a lasciarci trasportare dalla ricca trama imbastita da Yuji Horii, cullati da splendide musiche orchestrate sempre opera del bravissimo Koichi Sugiyama, e incontreremo personaggi di irresistibile simpatia, che il character designer Akira Toriyama (che con questo capitolo abbandonò lo stile anni ’80 e mise per la prima volta al servizio della saga il nuovo stile elaborato negli anni ’90 lavorando a Dragon Ball Z) riesce a rendere innegabilmente umani benchè si tratti di abitanti di un mondo fantastico. Anche il bestiario si arricchisce considerevolmente, ottenendo nuovi esemplari di creature sempre più bizzarre e simpatiche.
Il lavoro svolto per il remake per il Nintendo Ds è ottimo e ricalca pedissequamente il motore grafico del capitolo precedente. Il mondo sarà ancora piacevolmente tridimensionale, nonostante la bidimensionalità dei personaggi che lo abitano, e, di tanto in tanto, assisteremo a gradevolissimi filmati in 3D appositamente creati. Inoltre, ritornerà anche la graditissima funzione di rotazione dello schermo, molto utile per rivelare oggetti o passaggi nascosti.
Come “Le cronache dei prescelti” (e, purtroppo, a differenza di Chrono Trigger, altro gioco di ruolo della stessa casa col character design di Akira Toriyama rifatto per il Nintendo Ds e uscito quasi contemporaneamente in Italia), anche “La sposa celeste” gode di una localizzazione nella nostra lingua che renderà l’avventura ben più piacevole per noi italiani. E, anche stavolta, si è scelto di rendere la parlata particolare di alcuni personaggi ricorrendo a dialetti italiani o a linguaggi stranieri maccheronici.
E’ il caso, ad esempio, di uno dei personaggi cardine dell’avventura, lo scudiero Sancho, che, in virtù del suo nome, si è visto assegnata una parlata in uno spagnolo maccheronico, col risultato azzeccatissimo e assolutamente esilarante che porta noi giocatori ad affezionarci a questo rotondo buontempone che tanto assomiglia al sergente Garcia delle avventure di Zorro, parla in uno spagnolo maccheronico discorrendo spesso e volentieri di paella e corride e commuovendosi ogni due per tre.
E come dimenticare l’inglese maccheronico del miliardario Rick Fosconi, la locandiera bolognese, l’esilarante dialetto romanesco del locandiere che diventerà amico del protagonista consigliandolo in uno dei punti chiave dell’avventura, o il dialetto “bifolco” del paesello dei campagnoli?
E’ una scelta azzeccata e sicuramente di grande effetto, che sicuramente paga e rende il gioco più umano e divertente. Se proprio qualcosa c’è da recriminare, è l’aver usato questo tipo di linguaggio per rendere la parlata di alcuni boss. Se, ad esempio, la parlata tedesca alla Sturmtruppen del gigantesco Wasen ci fa ridere e ce lo rende più simpatico, altresì non si può dire del russo maccheronico del crudele sacerdote che è uno degli avversari più malvagi ed importanti della storia e viene un po’ snaturato dal suo modo di parlare alla Ivan Drago.
Sono comunque piccolezze che non minano la bellezza di un gioco che merita sicuramente l’acquisto e una partita. “La sposa del destino” è capace di trasportarci in un mondo di innegabile bellezza e di farci vivere una storia allo stesso tempo semplice e complessa, dall’indubbio fascino e dalla grande profondità, che ci coinvolgerà rendendoci realmente partecipi di quello che vivremo, come le paturnie psicologiche dei protagonisti dell’allora saga rivale Final Fantasy (oggi le due case, la Square e la Enix, si sono fuse, e quindi Dragon Quest e Final Fantasy non sono più in competizione come un tempo) non sono mai riuscite a fare.
Il trio delle meriviglie Toriyama – Horii – Sugiyama colpisce ancora e ci regala un altro capolavoro, meno epico e più intimistico del capitolo precedente, ma di indubbio fascino e di certo meritevole di essere giocato.
E, se la mettiamo così, possiamo star tranquilli e attendere fiduciosi il remake del sesto capitolo.
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Re: [Enix] Dragon Quest V: La Sposa del Destino (e Remake)

Inviato: lunedì 23 dicembre 2013, 17:15
da Valerio
Con notevole ritardo vi annuncio che me lo sono giocato e finito pure io questo Dragonquest!

Che dire? Che io i giochi di ruolo come impostazione di gameplay li trovo detestabili. E' un filtro che non mi piglia proprio. Per non parlare delle trame fantasy con i signori oscuri potentissimi che ronf.

Però...

Qui c'era magia, e poesia. La storia non era granché ma la si "viveva" bene, nel vero senso della parola. I dialoghi curati e originali, e le traduzioni azzeccate davano un senso di calore. La parentesi dei bifolchi col "mostro piecoro" mi ha persino messo le lacrime agli occhi.

certo, avrei un po' scorciato, e reso la mappa del mondo più bellina e agibile. E avrei reso più digeribile il dungeon finale, che dai.

Ma a parte questo, bel gioco.