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[N./Camelot] Golden Sun

Inviato: giovedì 13 giugno 2013, 18:36
da Dapiz
Non è facile essere un jrpg, far parte di un genere in balia di potenze contrastanti, con il richiamo di una tradizione cui è difficile resistere ma con la necessità di una spinta innovativa che si fa sentire con insistenza, tra il tentativo di raccontare qualcosa di nuovo e lo spauracchio del confronto con i classici di un passato indimenticato e indimenticabile che dall’epoca dei 16 bit non ha mai smesso di gettare la propria ombra sulle generazioni che sono seguite.
In questo territorio tumultuoso dieci anni fa Golden Sun tentò di ritagliarsi un proprio spazio, con un approccio molto personale, leggero e disincantato ma non privo di personalità e profondità. Come sono andate le cose?

La trama prede il via alle pendici del monte Aleph nel mondo di Weyard, vagamente ispirato al nostro stesso pianeta. Nel villaggio di Vale alla base del monte vengono addestrati gli Adepti, una sorta di maghi in grado di sfruttare il potere della psinergia. Gli Adepti sono legati ad uno dei quattro elementi – Terra, Fuoco, Aria e Acqua – e impiegano la psinergia per combattere, per svolgere compiti quotidiani ma soprattutto per salvaguardare il monte Aleph, che racchiude il segreto dell’Alchimia, il classico potere che potrebbe salvare il mondo o distruggerlo. E che se ne sta buono al suo posto, finchè quattro figuri misteriosi non mettono in moto in una catena di eventi che porterà due giovani Adepti di Vale, Isaac, il protagonista, e Garet, fedele amico, a partire dal loro villaggetto racchiuso tra le montagne alla volta del vasto mondo.

A sancire il successo di un gdr può giocare un ruolo di primo piano il sistema di combattimento, che in Golden Sun è piuttosto sfaccettato e di non semplice introiezione, perlomeno inizialmente. Lo riassumerò brevemente: tutto ruota intorno ai djinn, entità elementali che possono conferire ai personaggi nuove capacità e modificarne e migliorarne le caratteristiche.
I djinn che è possibile catturare sono 24, tutti sparpagliati in giro per la mappa tra città e dungeon e trovarli non è un’impresa semplice, ma su questo punto ritornerò in seguito.
I djinn svolgono molteplici funzioni: innanzitutto è possibile “piazzarne” fino a sei su ciascun personaggio, il che influirà sulla classe dello stesso, sulle sue caratteristiche e sulle psinergie che può utilizzare. Più djinn dello stesso tipo renderanno sempre più forte il personaggio, mentre mescolandone le tipologie si potrà dar vita a classi personalizzate in grado di soddisfare i giocatori più strategici. I djinn assegnati ai personaggi non sono necessariamente piazzati, ciò significa che si può tenere in panchina – o meglio in standby- un certo djinn fino al momento in cui non si ritiene opportuno utilizzarlo, il che è possibile persino durante un combattimento, il che rende i personaggi in grado di passare da una classe all’altra nel giro di un solo turno;
la seconda opportunità offerta dagli spiritelli è quella dello “scatenamento” in battaglia, i che è un modo molto pittoresco per dire che un djinn può lanciare determinati attacchi speciali o abilità di supporto, che, sempre piuttosto utili e mai ridondanti o superflue, possono influire sensibilmente sull’andamento degli scontri. C’è però un però: si può scatenare solo un djinn piazzato, e scatenandolo lo si riduce per uno o più turni allo stato di standby, con conseguenti modifiche – talvolta del tutto inaspettate – delle caratteristiche del personaggio. Non è insolito che, se non si presta particolare attenzione, ci si possa ritrovare a non disporre di una certa psinergia perché il djinn che ce la conferiva è stato scatenato in battaglia poco prima ed è ora nella fase di recupero;
terzo ed ultimo impiego per gli instancabili djinn riguarda le summon: scatenando un certo numero di djinn di un certo tipo diventa possibile chiamare in campo pseudodivinità dotate di immensi poteri capaci di ribaltare le sorti di una battaglia – o di porvi fine – nel giro di un solo turno.
Si tratta, come si può intuire, di un sistema di combattimento davvero versatile ma che rende il numero di variabili di ciascun duello un po’ eccessivo rispetto allo standard di lunghezza e difficoltà degli incontri, in quanto sebbene sia d’uopo non abbassare mai la guardia non risulta nemmeno necessario scendere più di tanto a fondo nelle ramificatissime possibilità di combinazione del party. Il sistema di combattimento e i combattimenti in sé rappresentano comunque, a scanso di equivoci, uno dei punti di forza del gioco: la difficoltà è ben calibrata, gli incontri, sebbene casuali come nella più becera tradizione del genere, sono rapidissimi e, data la gran quantità di effetti grafici, anche alquanto spettacolari.

L’utilità della psinergia non si riduce all’uso in battaglia ma è impiegata per rendere estremamente più interessante l’esplorazione di città e dungeon, che ricordano più da vicino, per struttura e senso di progressione, i dungeon di The Legend of Zelda piuttosto che gli improponibili labirinti di un Final Fantasy. Costruiti più perché il giocatore si sprema le meningi piuttosto che per fargli maledire il centesimo combattimento casuale, si articolano attorno alla risoluzione di puzzle ambientali sempre piuttosto ingegnosi, senza tuttavia mai discostarsi dai canoni classici quali spostamento di blocchi e cose del genere. Per quanto inizialmente la mancanza di una mappa dedicata possa confondere basterà poco tempo per rendersi conto che ciascun dungeon è di fatto costruito attorno ad una o due stanze principali, risolte le quali si potrà accedere alle nintendosissime scorciatoie. Curiosamente lo stesso sistema è applicato anche alla mappa del mondo, per cui se inizialmente il viaggio sarà piuttosto lineare e a senso unico si potrà in seguito ritornare sui propri passi attraverso caverne e passaggi affini.
Il mondo di gioco è inoltre disseminato di elementi con i quali è possibile interagire per mezzo della psinergia – germogli da far crescere, pozze da congelare e così via – che potranno condurre il giocatore più attento alla scoperta della gran varietà di segreti sparsi per il mondo, che si tratti di un nuovo djinn o di un pezzo di equipaggiamento. Essendo abituati a videogiochi che ci guidano per mano dall’inizio alla fine il giocatore potrebbe però ritrovarsi spiazzato di fronte alla libertà imposta da Golden Sun, che ci getta sul campo senza mai darci grosse indicazioni sul da farsi. È vero che il viaggio è lineare e si articola nella maniera più classica città-dungeon-mappa-città-dungeon e così via, ma ciascuna delle location che si possono visitare è ricca di segreti da scoprire e non è sempre chiaro quando si possa considerare conclusa l’esplorazione o se non ci si stia lasciando alle spalle qualcosa; a rendere più nebulose e le cose è poi il fatto che è mai dato sapersi se di fronte ad un enigma la cui risoluzione richiede una psinergia di cui ancora non disponiamo la soluzione sia proseguire nella storia finchè questa non si sbloccherà in seguito a qualche evento o se non sia sufficiente riorganizzare i djinn già catturati e scoprire di essere già in possesso di tale abilità. Lo stesso si può dire della progressione nella quest principale, che sebbene lineare lascia spazio ad un paio di grosse digressioni… che però non sono annunciate come tali, lasciando il giocatore nel dubbio su quale sia la direzione giusta in cui proseguire. Anche in questo caso non siamo di fronte a nulla che comprometta la godibilità dell’esperienza, anche perché non ci sono missabili o punti di non ritorno, si tratta però di sbavature che rendono la progressione molto meno pulita di quanto non avrebbe potuto essere. Al di là di questo l’esplorazione è comunque una gran gioia: i continenti dell’Angara e del Gondowan, ispirati rispettivamente all’Eurasia e all’Africa del nord, sono teatro d’incontro con tutta una serie di popolazioni ispirate alle loro controparti reali, di visite a villaggi e cittadine diversificati e ben caratterizzati, di traversate di boschi e deserti e mari realizzati con grandissima cura sia grafica che di level design. Ambienti di dimensioni non vastissime ma sempre densissimi, piacevolissimi da guardare e da battere palmo a palmo in cerca di segreti rappresentano un'altra grande attrattiva di questo gioco e sono tenuti insieme da una world map essenziale ma gradevolissima.

Ebbene, se un sistema di combattimento fin troppo arzigogolato e un’esplorazione interessante ma un po’ troppo dispersiva non rappresentano che trascurabili note dolenti – e non necessariamente tutti le considereranno tali – siamo giunto ora ad un intero spartito stonato. La premessa è che Golden Sun è un prologo. Inizialmente previsti come un unico gioco, la vastità dell’opera ha imposto agli sviluppatori di scinderla in due capitoli, rilasciati a breve distanza: Golden Sun e Golden Sun: The Lost Age. Non è che la cosa sia un problema in sé, ormai siamo abituati alla narrazione episodica anche nel media videoludico, ma ritrovarsi a 30-35 ore di gioco senza aver concluso assolutamente niente lascia un po’ l’amaro in bocca, specie per via di una serie di questioni interessanti toccate nella fase finale dell’avventura e poi lasciate in sospeso. L’impressione di avere a che fare con un gioco castrato è fin troppo forte e non è per nulla mitigata da alcuni accorgimenti che si sarebbero potuti prendere una volta resosi conto che non si poteva raccontare una storia così lunga in un solo gioco, per rendere l’esperienza meno frustrante per i giocatori… Ma non è mica questo il problema. Il problema è che la storia è così lunga perché i personaggi NON STANNO MAI ZITTI E NON DICONO NIENTE. Golden Sun è un gioco che ci prova, e ci prova con impegno. Ha un sistema di combattimento originale, un mondo ben costruito e con una sua personalità, una trama interessante, ma il tutto è affossato da una sceneggiatura pasticciatissima, in cui si parla tanto, tantissimo senza che si racconti nulla. Non si tratta della prolissità tipica dei jrpg più moderni, al contrario: i dialoghi sono recitati con una certa simpatia (con l’ausilio di emoticon!) e il livello rimane sempre molto terra-terra, ma i personaggi sono davvero troppo scialbi e nei loro scambi di battute non fanno altro che girare in tondo reiterando gli stessi concetti più e più volte, come se si rivolgessero ad un giocatore con una trombetta nelle orecchie che suona a intermittenza, facendogli perdere pezzi di discorsi che vanno poi ripetuti fino allo sfinimento. E che discorsi!
A: “Andiamo di qua?”
B: “Sì, andiamo di qua!”
A: “Dunque pensi che dovremmo andare di qua?”
B: “Sì!”
A: “Allora andiamo di qua”
B: “Andiamo?”
A: “Di qua!”
B: “Ma sarà giusto?”
A: “Giusto cosa?”
E via così per tutte le trenta e rotte ore di gioco. Non aiuta il fatto che, come già detto, nell’ultima parte di gioco vengono introdotti concetti e domande di una certa rilevanza, ma trattati in maniera superficiale, confusa e poi abbandonati fino al prossimo gioco, quando con tutta probabilità saranno stati dimenticati.
Insomma, data la natura introduttiva del gioco è difficile sbilanciarsi, ma se il livello rimarrà questo siamo di fronte ad una pecca in grado di trascinare nell’abisso un progetto che avrebbe altrimenti avuto tutte le carte in regola per fare bella mostra di sé al fianco dei grandi classici del genere. Ma così non è, e la dice lunga il fatto che le trenta ore di Golden Sun mi abbiano sì divertito, ma che sia bastato tornare per un istante nel mondo di Chrono Trigger per emozionarmi come Isaac e co. non sono riusciti a fare nel corso di tutta la loro lunga avventura.
È indubbio, comunque, che il vero Golden Sun inizi dal secondo capitolo in poi, che probabilmente giocherò tra un paio d’anni. Fino ad allora mi sento di consigliare questo prologo – che, beninteso, resta un gioco piacevolissimo, certamente uno dei migliori disponibili per Game Boy Advance – solamente a chi ha già giocato tutti i capolavori del genere e ha una sete inestinguibile di jrpg. Ma a tutti gli altri consiglio di rivolgersi prima altrove, a partire dal già citato Chrono Trigger o alla saga di Dragon Quest.