Stante l'avvicinarsi dell'uscita di
Shanghai Devil, seguito (o pseudo-seguito) delle vicende di questa mini, vi copincollo - aggiornandoli e modificandoli - i commenti da me partoriti ai tempi della lettura dei 14 albi, nell'ormai remoto aprile di quest'anno.
1. I predoni del deserto
Numero introduttivo, atto a spiegare perché e percome il Bel(?) Paese entri in guerra: interessante scoprire come la famiglia Pastore sia inguaiata già dall'inizio nella questione. Molto prattiani i disegni di Parlov (e con "prattiani" intendo dire anche "belli"), e l'occhietto moscio di Ugo fa centro al suo obbiettivo (dare fastidio).
Boh, che altro dire? La ricostruzione storica è o dovrebbe essere ineccepibile (il ritratto di Umberto!), lo stile di Manfredi è il consueto, molto berardiano (ma con meno ironia) e apprezzabile, ma queste son cose già note. Per essere un primo numero è forse un po' lento, ma anche no, in fondo più che il primo numero di una miniserie è il primo capitolo di un romanzo a fumetti.
Interessante il fatto che protagonista e antagonista si incontrino già all'inizio della mini/romanzo, dà il senso della famosa "struttura circolare" che per me è la struttura per definizione.
2. Briganti
Qui si racconta di come Ugo "trovi insieme l'amicizia e l'amore", ma io direi che trova solo l'amicizia, l'amore arriverà fra un po'. Così, se la nobildonna (sulla via della decadenza) risulta ancora un po' frigida, Vittorio De Cesari rulla da subito e fa capire immediatamente che il suo non sarà un ruolo da semplice comprimario. Anzi, il flashbackino di Volto Nascosto sembra quasi voler porre un confronto a distanza fra l'ufficiale e il probabilmente lebbroso ex-fabbro. Ma sarà davvero lebbroso? Perché Menelik II si stupisce? E perché Menelik II non assomiglia granché al Menelik dell'albo precedente?
Menelik a parte, il romano Rotundo fa un buon lavoro, molto bella la Roma di quei tempi, a metà strada fra la gloria del tempo che fu e la zozzeria (oggi predomina la seconda)... all'epoca non c'ero, ma mi fido di Rotundo. Per esperienza diretta, invece, posso dire che la parlata non è proprio aderente al romanesco... si poteva fare un po' meglio (un bandito borgataro che dice "baccano"... ho i miei dubbi).
Morale: dopo l'inizio quasi in medias res, un numero di passaggio... meglio subito che dopo, ovviamente.
3. Amore e morte
Puro feuilleton: lui ama lei che ama l'amico di lui che però si sacrifica per la causa ma è contento di farlo e lascia lei a lui che però tiene le distanze perché lei in fondo lo apprezza ma non lo ama. Soap opera, ma c'é il sottofondo storico-politico, quindi diventa feuilleton. Ed è giusto, un omaggio al (sotto)genere nel quale vuole collocarsi la miniserie era doveroso. Feuilleton dai tempi narrativi molto stretti (come da tradizione) nel quale primeggia Matilde Sereni, che da frigida nobildonna scopriamo essere paranoica prima e depressa psicolabile poi (nell'albo successivo). Nel mentre, il confronto a distanza fra Volto Nascosto e Vittorio vede in vantaggio il primo, che conferma di possedere un onore, mentre Vittorio si mostra più cinico di quanto apparisse in precedenza (a quanto pare si "riscatterà" in Africa). Nel frattempo, Marino disimpara il romanesco. Tutto questo condito dagli adeguati disegni di Nespolino, forse un po' statici, ma molto dettagliati.
4. Amba Alagi
Mini-struttura circolare: dal massacro di Cassala a quello dell'Amba Alagi. In mezzo, due sequenze cruciali come l'inquietante (ma storica) bevuta del sangue di vacca e la trasformazione di Marino (che dopo aver imparato l'italiano corrente, cambia acconciatura ed aspetto): che sia lui Volto Nascosto?
Peccato per l'errore, perché per il resto il debuttante (all'epoca) Baruk fa un bel lavoro, con il suo stile "polveroso" a metà fra Sicomoro e Tacconi, particolarmente adatto al contesto.
E Vittorio vs Volto (da ora VvV)? Il primo "riscatta con onore una tragica sconfitta", ma a me sembra pura formalità. Comunque Volto viene zittito dalla regina Taitù, pertanto, per quanto mi riguarda, Vittorio pareggia il confronto dell'albo precedente.
5. La fortezza
Nell'articolo introduttivo si parla della piuma dell'elmetto dell'uniforme-come-avrebbe-dovuto-essere, ed ecco che sull'elmetto di Vittorio compare la piuma, salvo poi scomparire nell'albo successivo. L'importanza del paratesto
.
Non ho molto altro da dire: albo molto scorrevole e interessante, VvV finisce in parità (ma Volto ne esce ridimensionato), compare il ras Maconnen (che è un altro che fa un po' come gli pare), si festeggia il capodanno, Ugo continua a fare la balia e a parlare con Antonelli e Leomacs disegna molto bene. Che volere di più? (risposta: il n.6)
6. Gli eroi di Macallé
BANG! BANG! SPRAANG! BOOOM!! SWISH! ZOC! Un albo che sembra scritto trent'anni fa, coi disegni squisitamente retrò di Diso (imperfezioni incluse) e con trovate che avrebbero fatto la felicità di G.L.Bonelli: il trasporto del cannone, Vittorio infallibile cecchino... e va benissimo così! Anche perché il tutto è mediato dagli inserti storico-politici (l'intervento di Costa, primo socialista in Parlamento) e dal finale in cui Volto "riequilibra" l'albo precedente ridimensionando Vittorio. Siamo sempre in parità, dunque. E Ugo? A quanto pare, nel prossimo numero dovrebbe ritornare ad avere un ruolo di primo piano, magari con Marino, tornato finalmente al suo aspetto originario ma ormai dimentico della parlata locale (avrete capito che la cosa non mi va giù).
7. Il fantasma
E' il momento del gotico, come da manuale del feuilleton. E Manfredi non si lascia sfuggire l'occasione per un albo di svolta, che chiude, per il momento, la sottotrama di Matilde e si concentra su quella abissina, restituendo linfa vitale al personaggio di Ugo, messo in disparte nella "trilogia di Vittorio" precedente. Interessante notare come, alla fine, riguardo a Matilde, Ugo arrivi a fare suoi i propositi di Vittorio e si rivolga al lombrosiano che tanto lo disgustava (anche se la contessa non andrà in manicomio). Interessante notare anche come il "fantasma" del titolo aleggi, in realtà, per tutto l'albo, anzi, probabilmente aleggia più in Africa che a Roma: difatti Vittorio vede Volto come una figura quasi mistica (il fatto che lui voglia smascherarlo per ridurlo a semplice uomo implica un riconoscimento al potere della maschera) e fantasmatica, in un certo senso, è anche la condizione dei militari italiani e degli ascari alleati (Baratieri febbricitante, morale sotto le scarpe, ecc.).
Tutto questo disegnato dal - è proprio il caso di usare questo aggettivo - solito, buon Freghieri (anche se non il migliore, ma il miglior Freghieri risale a vent'anni fa). Tutto sommato sono contento che ci sia stato spazio anche per lui, un po' di Dylan Dog ci voleva, visto anche il passato di Manfredi su quella testata. A questo aggiungiamoci che Marino ha avuto finalmente il ruolo che meritava, riuscendo addirittura a spiccicare qualche parola in vernacolo (ormai m'ero rassegnato), ed ecco un altro albo che, nel suo insieme, mi è piaciuto alquanto e assai.
[p.s.: un giorno o l'altro dovrò giocare a riconoscere i politici di pagg.91-92, benché temo che siano quasi tutti inventati.]
8. La strada per Adua
'Azz, ad un certo punto credevo che sarebbe arrivato di colpo il 1°Marzo, tanto il ritmo stava accelerando, invece no. In effetti l'albo parte molto lentamente, pare quasi voler perdere tempo: prima il finto "mistero dell'ospite misterioso", poi il sogno (che mi sembra più enigmatico di quel che probabilmente sarà), poi la gita di Ugo e Sim che cita il n.1, quindi la verbosa riunione dei generali italiani (che, come da tradizione, si fanno le scarpe a vicenda)... insomma, 'sta battaglia sembrava non arrivare mai (la cosa è probabilmente voluta, quindi sta bene così). Poi, ad un tratto, puf!, tutti in cammino. Non per niente il titolo è "La strada per Adua": subdolo Manfredi! Affascinante, comunque, la lunga sequenza della mini-carovana italiana composta da personaggi vecchi e nuovi; al contrario, un po' troppo breve, rispetto al modo inquietante in cui inizia, quella con Ugo imprigionato. Ma tant'é, Adua senza Ugo che Adua sarebbe? Puro romanzo seriale d'avventura, questa mini, anche negli antagonisti secondari, che, com'é noto, spesso sono più viscidi degli antagonisti ufficiali: e Ras Sebath e Agos Tafari sono proprio delle canaglie!
Per quanto riguarda i disegni, ammetto che avrei preferito 14 disegnatori diversi, un paio di mysteriani, magari, come Filippucci od Orlandi, piuttosto a loro agio con ambientazioni simili. Respect, comunque, per Nespolino, che fornisce una seconda buona prova, forse leggermentissimamente più imprecisa ma meno statica della prima (per la serie: w la pignoleria)
9. Pioggia di sangue
Ah, c'é la cartina! Per fortuna, perché leggendo il fumetto non avevo capito granché di dove e come fossero dislocati i vari monti. Numero un po' così, è molto avvincente e al tempo stesso mi ha un po' annoiato: nel senso che è praticamente tutta battaglia, e, si sa come sono le battaglie, vista una viste tutte. Inoltre ci sono quasi tutti i personaggi del n.6 e, boh, insomma, ho avuto una sensazione di dejà vu per buona parte dell'albo. Ma è stato interessante scoprire il destino dei vari personaggi. Insomma, una contraddizione dopo l'altra, anche dal punto di vista dei disegni, tanto imprecisi all'inizio quanto dinamici e godibili poi, quasi Matteoni avesse preso confidenza man mano col prosieguo dell'albo.
10. Il presidio
Paragnosta d'un Manfredi! Nella rubrica dice che il segreto di Volto Nascosto verrà svelato solo nell'ultimo numero (e io addirittura ricordavo certe interviste ove diceva che il volto non si sarebbe mai visto), ed invece
Vabbé, chiaramente s'era capito quale fosse il "segreto" di Volto (perlomeno quello apparente), e per ora non è invalidata la teoria sul suo rapporto a distanza con Vittorio, che mi frulla in mente dal n.4 o giù di lì, e che, per inciso, potrebbe avere una piccola conferma nel sogno allegorico di Ugo (se le cose rimarranno così).
Detto questo, Manfredi è decisamente in vena di burle, in questo numero, se, oltre a quanto scritto sopra, nella rubrica accenna alla tolleranza di Menelik e consorte nei confronti di Agos Tafari e Ras Sebath e poi li fa morire a pag.10
; per tacer del fatto che, nel giro di un albo, si passa da un evento cruciale come Adua al militare pappone: come a dire, c'é la Storia e la storia, anzi, le storie, e sono le seconde a portare avanti la prima (e questo spiega perché sottolineare la mancata partecipazione di Ugo alla grande battaglia).
Sorpresa per sorpresa (almeno per me), ai disegni torna Burak, con alcuni primi piani un po' incerti, ma sempre sulla media positiva della sua precedente apparizione.
11. Il prigioniero di Menelik
La miglior copertina (finora) della serie nasconde un albo alquanto straniante: innanzitutto c'é di nuovo Burak, poi Manfredi dedica mezza rubrica a Baldovino IV (perché portava la maschera, e invece no, è un'invenzione del film), ma è soprattutto la sceneggiatura ad essere costruita in modo da suscitare sensazioni degne di
Ai confini della realtà. Si comincia mostrando alcuni prigionieri italiani impiccati, e non si ha il tempo di pensare "azz! poracci!" che si scopre che erano scappati ed avevano seccato alcuni autoctoni. Ed è un po' il leit-motiv dell'albo, questo del "ribaltone", con cui viene fatta credere una cosa ma poi succede il contrario. Quindi ecco francesi che sembrano amare la caccia, e invece no, che sembrano cospirare, e invece no (e invece sì, e invece no), mendicanti che sembrano voler mendicare, e invece no, regine che sembrano non volersi mostrare, e invece sì, Vittorii che paiono irraggiungibili, e invece no, Volti Nascosti che sono esausti, ma sembrano riacquistare vigore, e invece no, Ughi Pastori che si scoprono borgatari, e invece no. Condiamo tutto questo con sogni mistici (ma stavolta a sognare è Vittorio), realistiche ricostruzioni storico-sociali e con il mistero dell'instancabile Mohammed (ma quanto cammina 'sto ragazzo?) ed ecco un albo ambiguo quanto basta a renderlo uno dei migliori della mini.
12. La liberazione
Allora, la rubrica mi ha mandato in paranoia totale: dice che La Stampa pubblicò un'intervista ad Augusto Franzoj prima di Adua, nella quale si parla, in qualche modo, del mistero di Volto. Allora vado su
questo meraviglioso sito, mi guardo un po' di scansioni d'epoca, ma l'unica cosa che scopro è che Franzoj si è suicidato nel 1911 (12 giorni prima di Salgari). Su Volto niente.
Ecco, Volto. Onestamente non ho un'opinione in proposito: ormai tutto è possibile. Potrebbero esserci due Volti Nascosti, uno malato e l'altro no; oppure potrebbe essere bianco, addirittura italiano (il marito di Matilde? Aveva un marito? Boh); Ugo o Vittorio potrebbero prendere il suo posto. Addirittura mi è venuto in mente che potrebbe trattarsi di uno djinn (spiritello maligno il cui nome deriva dall'aramaico "nascosto"). Se indizi sono stati sparsi negli albi sino a qui, questi dovrebbero essere i sogni; i comportamenti di Volto (o "dei Volti") sono analizzati proprio da Ugo in quest'albo, e se Ugo fa un'ipotesi questa o si rivela falsa (Mohammed al posto di Volto), o non è un mistero (la lebbra, svelata già nel n.2).
Tanto più che pare che Volto (o "un Volto") abbia pedinato i nostri in Italia, e a 'sto punto può essere davvero sia un secondo VN, sia uno djinn, sia un'illusione ottica. Pertanto sospendo ogni elucubrazione mentale, tanto manca poco alla fine.
Ad ogni modo, i nostri eroi tornano sani e salvi, e già si riaffaccia lo spettro di Matilde sul rapporto fra Ugo e Vittorio. Certo che alla fine comandano sempre le donne, indirettamente o direttamente che sia, altro che suffragette: fra la regina Taitù, che bacchetta pure il marito, e Matilde, inconsapevole (ma neanche tanto) causa di tormenti sentimentali e interiori (nonché di viaggi), qua gli uomini fanno solo la figura dei fessi, come sempre
13. Medaglia d'oro
Tutti pazzi! Vittorio ammazza tutti, Ugo è tormentato da Volto, Matilde vabbé ormai la conosciamo, Verruca pure ha gli incubi, e Masini per dar retta a Lombroso tanto normale non dev'essere
Scherzi a parte, è curioso notare come colei che ha dato il via a tutte le vicende sia quella che sta meglio (anche se dubito guarirà del tutto), mentre gli altri, uomini tutti d'un pezzo, stanno perdendo leggermente il controllo: Ugo che si fa sorprendere come un niubbone da un brigante, non è da lui. Poco male, perché questo, in extremis, sembra riportare alla normalità Vittorio, che pareva un reduce dal Vietnam e, come Rambo, era deciso ad eliminare la marmaglia dalle strade (e nemmeno vi riesce). Bel parallelismo fra penultimo e secondo albo (riecco la struttura circolare), dunque, impreziosito da una copertina inutilmente d'impatto ma splendidamente costruita sul dualismo luce-oscurità, e dai disegni morbidi ma in grado di rendere bene la lucida follia dei vari personaggi, seppur, qua e là, alcuni volti appaiano un po' deformi (ad es. pag.87 ultima vignetta).
E ora il gran finale, reso ancor più incerto... dalla suora.
14. Dietro la maschera
E alla fine
[spoiler]Volto è Vittorio. Ma solo dal n.8 in poi.[/spoiler] La risoluzione del mistero è quella più prevedibile, quindi, ma niente di male. Alla fine, djinn a parte, non c'erano molte altre soluzioni (almeno per me): secondo i topoi del genere, doveva essere qualcuno di conosciuto, ma non un personaggio minore, quindi poteva essere solo Vittorio. Ugo no perché sapevo già di
Shanghai Devil, e non ce lo vedevo a fare l'africano in Cina (
e invece lo farà, ndimax); se volete farvi qualche risata, ammetto di avere sospettato per qualche minuto di: un essere soprannaturale (lo djinn), poi di un "complotto" delle donne (Matilde e Sandra) e del conte Antonelli, infine di Verruca. E' che ad un certo punto della serie Manfredi ha cominciato a parlare di 'finale sconvolgente' e sono partito per la tangente; ma sospettavo che si sarebbe andati a parare su Vittorio. In fondo è giusto così: anche l'amico che si vota al "male" e poi si "pente" è un topos, e Manfredi, da narratore consumato qual é, in questa mini i topoi ce li ha messi un po' tutti. E' un topos anche il suicidio per amore, perché quello di Matilde era amore, né per Ugo né per Vittorio, ma per entrambi. Non per niente i due sono due facce della stessa medaglia (d'oro): simili ma diversi, e complementari.
Un po' come i Jack Shepard e John Locke di
Lost: al primo non importa niente dei misteri, il secondo trova il senso della sua esistenza solo in essi. Eppure, il secondo muore dopo essersi sacrificato, senza ottenere nulla di concreto; il primo prende il suo posto e vede il cuore dell'isola. Ecco, allo stesso modo, Vittorio vuole vedere la faccia di Volto, ma non vi riesce; in compenso, prende il suo posto, mentendo a tutti, per poi finire depresso e morto ammazzato dall'amico/nemico. Ugo, che aveva altri interessi (materiali e commerciali), vede il vero Volto smascherato, salva l'amico e alla fine prende il posto di entrambi. (tutti topoi anche questi)
Insomma, Manfredi racconta una storia già raccontata milioni di altre volte, "camuffandola" con maestria: in fondo, lo dice lui stesso nella rubrica, raramente la Storia è "Magistra vitae", si tende a rifare sempre le stesse cose. E così ecco che la Storia (avventura coloniale italiana) e la storia (vicende di Ugo, Vittorio, ecc.) diventano metanarrativa.
Conoscendo il pragmatismo dello sceneggiatore in questione, questo sì che è sconvolgente: diavolo d'un Manfredi!