Re: Bonelli: Martin Mystère
Inviato: mercoledì 13 febbraio 2013, 18:17
Vabbè, ormai le avrete viste, le anticipazioni "ufficiali" per il 2013.
Strappo alla regola e crosspost dei miei commenti a caldo di un mese fa. Di fatto, quello che ho da dire in merito a questo assurdo numero è tutto qui.MaxBrody, sul forum Agarthi ha scritto: Da quel che ho capito io, il cinegiornale e il terremoto sono soltanto le due modalità utilizzate (in base ai mezzi a disposizione rispettivamente nel '46 e nel 2013) per rappresentare la minaccia. Ma la minaccia proviene dal cannone sonico, cioè non è veramente concreta, ma è un qualcosa - spiegato malissimo - che induce le menti a diventare paranoiche, creando isteria e distruzione mutua assicurata. Dato che anche il pianeta è un essere vivente (v. allusione a pag.78), anche la "mente del pianeta" (il Databank?) subisce lo stress, diventa paranoica e permette, in uno dei possibili universi futuri, la scossa a NY. A causa dello stress, flash provenienti dalla "mente del pianeta" barra Databank riescono ad essere intercettati da certi soggetti, fra cui lo scienziato pazzo, che diventa ancora più pazzo e si contraddice girando il filmino (mentre in un altro universo commissiona a Pedrocchi e Bagnoli un fumetto). Anche il giornalista, prima di incontrare lo scienziato ormai pazzissimo ha un flash che rappresenta la minaccia sotto una ulteriore altra forma (anch'essa presa dal fumetto? A poterlo leggere... <--questa è una nota di rimprovero).
Questo è il modo in cui mi spiego questa balzana storia, e grazie ad esso posso trovarla meno peggio di quanto la rece del ReRosso la dipinga.
Non è che mi piaccia, sia ben chiaro, l'ho letta in meno di dieci minuti e le baggianate segnalate nella recensione ci sono. Magari su alcune il Villa esagera (le "sensazioni" di Diana e Travis alla fine sono solo supposizioni, io già mi ero immaginato Doppio Tì esper), ma su altre, come il Martin improvviso boccalone (il tizio di "Congiura nei cieli" ce l'ha sulla coscienza) o la geologa o Bat-Boy, ha ragione da vendere (ed è comunque più divertente della storia). E in fondo la spiegazione di cui sopra mi farà dormire sonni tranquilli, ma praticamente ho dovuto inventarmela, perché Mignacco nell'albo non prova nemmeno ad abbozzarne una (o, se lo fa, non si capisce).
E di nuovo mi chiedo cos'abbia disegnato Bagnoli, a parte pochi volti.
E mi chiedo se il resto sia tutto di Gradin...
Di solito sono gli altri che scappano da Zangief, comunque. E di solito cercano anche di correre forte.max brody ha scritto:Zangief, adesso non scappi più.
Mai scappato, questo topic lo seguivo dagli inizî.Bramo ha scritto:Di solito sono gli altri che scappano da Zangief, comunque. E di solito cercano anche di correre forte.max brody ha scritto:Zangief, adesso non scappi più.
Cazzate a parte , che intendi dire?
Intendo dire che Zangief è un Uomo in Nero che nasconde la verità: legge MM e questo topic. E mi ha lasciato qui a commentare da solo per due anni.Bramo ha scritto: Cazzate a parte , che intendi dire?
Ehi, e Tyrrel e Donald Duck? Anche loro hanno scritto, su, tu non sei mai stato solo!max brody ha scritto:Intendo dire che Zangief è un Uomo in Nero che nasconde la verità: legge MM e questo topic. E mi ha lasciato qui a commentare da solo per due anni.Bramo ha scritto: Cazzate a parte , che intendi dire?
Per punizione, e dato che io non ho ancora preso l'albo (e chissà quando riuscirò a farlo), e dato che di robe giappe non m'intendo, la rece del nuovo numero la farà lui.
E se volete, per far vedere che non mi tiro indietro, io posso spendere due parole per L'ombra della svastica + uno speciale di cui ora non ricordo il titolo [appena posso lo aggiungerò], gli unici albi di MM nella mia libreria.Zangief ha scritto: Ehi, e Tyrrel e Donald Duck? Anche loro hanno scritto, su, tu non sei mai stato solo!
da qui:
Storia
Diretto seguito di “Orrore tra i Sumeri” (Martin Mystère nn. 126-127) del 1992, storia che vanta il primato di essere l’unica mai scritta da Ade "Lazarus Ledd" Capone per il BVZM e l’ultima ristampata sulla rimpianta collana TuttoMystère, questo Il risveglio di Tiamat è la seconda produzione di Paolo Morales in edicola dopo la prematura dipartita dell'autore.
Ma se la prima, Gli abitatori del sottosuolo (Martin Mystère n.327), si era rivelata essere un convenzionale fumetto di sola azione che disattendeva le premesse del suo preludio per sviluppare un complotto improbabile, questa volta il sequel viene messo a profitto per ampliare la mytologia della serie.
Anche Il risveglio di Tiamat presenta lo schema tipico della maggioranza delle sceneggiature di Morales: il prologo con morti misteriose in una qualche località esotica (per il pubblico italiano); la sequenza statica con un monologo dedicato all'argomento dell'albo; la presentazione della bella archeologa/scienziata di turno; le conseguenti frecciatine fra i coniugi Mystère (e la consueta scena di sesso che rinsalda la coppia, a dimostrazione che si può essere “giovani” in ogni momento, anche se nel mondo non di fantasia tale mentalità ha portato più danni che benefici); altre morti misteriose; lo scatenarsi della minaccia; il viaggio nel Paese esotico e la presentazione degli altri "compagni di sventure", solitamente modellati su quelli dei kolossal hollywoodiani; il profilarsi dell'Apocalisse; la sconfitta del Mostro; la chiosa finale con la morale (solitamente riassumibile in "vivi e lascia vivere").
In questa occasione, però, delle classiche figure Moralesiane sono presenti solamente lo scienziato buffo "preso dai film di Spielberg" (cit. Leo Ortolani), Mirzà, e il mussulmano ortodosso, Farid, i quali in questo caso formano una "strana coppia" stereotipata ma riuscita. Non manca anche il vegliardo detentore di un’antica tradizione (qui la resurrezione dell'āšipu), mentre alla bella archeologa viene riservato un ruolo leggermente diverso dal solito: anziché accompagnare Martin per tutto l'albo, la donna (la dottoressa Margot Jordan) scompare inaspettatamente verso metà albo, per ritornare solamente nel finale come nemica, vittima della possessione della dea Tiamat.
A fare da spalla a Martin troviamo l'ispettore Travis: è una prima scelta insolita, che ricordiamo solamente nel citato prequel di Capone, in Cassandra di Mignacco-Castelli e nel gigante La sindrome di Matusalemme di Castelli. Sempre più curiosamente, la caratterizzazione di Travis si discosta dal serioso, e spesso cupo, ispettore visto nelle precedenti storie di Morales, per degenerare nella versione deformed di Get a Life!, alias il famigerato DoppioTì. Se non avete mai letto le avventure di costui, benedette dallo stesso Alfredo Castelli, ve le proponiamo online nell’elenco a questo indirizzo, ma vi ricordiamo che esiste anche un’edizione cartacea di ben due di esse (“Il teatrino della memoria corta” e “Incubo nei cieli”), come riportato anche sul sito Bonelli.
In Il risveglio di Tiamat, l’ispettore Travis, non pago di essere stato coinvolto arbitrariamente nell'azione (non si capisce perché debba essere proprio lui ad accompagnare Margot all'estero, in barba a tutte le giurisdizioni), per tutta la storia, anche durante momenti più o meno drammatici, si produce in una serie di battutacce degne dei "personaggi buffi" dei film di Michael Bay. E’ gustosamente balzano vedere Travis fare battute sulla cacca (pag.126), oltre che inusuale per lo stile della serie, coerentemente con la "voglia di leggerezza" del recente Morales; nella mischia entra anche la coppia da avanspettacolo di Farid e Mirzà, che contribuisce non poco a sdrammatizzare la vicenda.
Questa propensione a non prendersi sul serio, rivelatadall’autore ai tempi del trentennale, segnava un netto cambiamento di rotta rispetto alla precedente gestione che prevedeva il dramma a ogni costo, quasi in modo paradossale. E’ facile riscontrarla nelle ultime prove di Morales, caratterizzate da una crescente improbabilità e bisognose di una elevata sospensione dell'incredulità. Senza bisogno di scomodare l’Orizzonte degli Eventi, si possono citare la fortuita infiltrazione di MM nel party blindato di Progetto cyborg, il traffico di vite umane raccontato dal cattivo per mezzo di diapositive ne Gli abitatori del sottosuolo, o la (strumentale!) commedia degli equivoci che chiudeva Il tesoro di Didone.
Se normalmente il “mystero” convenzionale ha sempre avuto scarsa presa su Morales, Il risveglio di Tiamat invece ripropone il tema dei culti sumero-babilonesi di Marduk e Tiamat, confermando la sua predilezione per i classici delle mitologie mediorientali, dalla Regina di Saba alle piaghe d'Egitto, passando per il Necronomicon di Abdul Alhazred e gli intrighi del Mossad. Da appassionato di simbolismi quale Morales era, il serpente e il cerchio sono in questo caso la figura più adatta per rappresentare la chiusura di un ciclo, e ci pare che questo albo sia proprio il commiato del miglior Morales, del narratore che abbracciava il passato mysteriano e lo utilizzava in modo spontaneo per guardare avanti.
In questo albo, infatti, Morales prende il paletto fissato da Capone nella remota storia di ventidue anni fa (trasformati in “alcuni anni” dalla redazione) e lo espande sapientemente, raccontandoci retroscena che non conoscevamo e che derivano dalla "vera" mitologia (presumibilmente con l’aiuto di Carlo Recagno, come Morales aveva spiegato quando la storia era ancora in lavorazione).
Così, quando ci racconta dell'eterna sfida fra Tiamat e Marduk, ci racconta contemporaneamente la storia dell'Uomo (Uomo contro Donna, Figlio contro Genitore, Creatura contro Creatura, dato che Marduk è "maschile" e Tiamat "femminile", Marduk è "figlio" di Tiamat ed entrambe sono due creature che vogliono sopravvivere) e quella della serie (con tutte le sue diramazioni).
Perché la guerra senza tempo fra le due creature di puro Male (due Grandi Antichi di generazioni diverse o, come ipotizzato in mailing list, una divinità primordiale e una secondaria, o forse entrambe le cose) non può che rammentare l'assurdità dell'altra guerra senza tempo, quella fra Atlantide e Mu, fondamento della serie ("anche se avevano altri nomi e svolgevano altre funzioni, all'epoca... i miti si evolvono [...]", dice Sana'I a pag.113) e quindi l'assurdità di tutte le guerre.
E perché l'energia primordiale costituita dai Cento Me, un male che si propaga da persona a persona, richiama in modo molto forte l'immagine lasciataci a suo tempo dal Male sclaviano (Dylan Dog n. 51), forza negativa che sempre prevale e dalla quale non è possibile sfuggire se non per pochi prescelti. E chi altri può essere uno di questi pochi se non l'eroe/protagonista/eletto/Terzo Occhio/probabile Campione Terrestre Martin?
Il finale dell'albo, in realtà, con la rinascita di Margot suggerisce che sia la persona comune quella veramente dotata della possibilità di fare la cosa giusta: è la classica morale, che funziona in quanto morale per definizione. Tuttavia, a ben vedere, nel corso della vicenda Margot non fa altro che essere posseduta, perdere i sensi ed essere immersa nel liquido rigenerante. Martin, invece, è un "uomo eccezionale" (come afferma pure Mirzà a pag.98) ed è lui ad accedere alla propaggine del Mondo del Sogno ove incontra Sana'I. La camera rigenerante, poi, con le sue particolari peculiarità, pare fatta apposta per fornire un'ulteriore alternativa a disposizione dell'autore che volesse risolvere una volta per tutte la secolare questione dell'età del protagonista. Per auto-citarci ancora, alla correlazione fra il ritorno di Marduk, la cosmogonia dualistica dell'universo mysteriano e il ruolo "salvifico" di Martin avevamo dedicato parte della nostra "Storia Segreta del Mondo (in particolare la seconda e la terza parte) e ci ha fatto molto piacere ritrovare certi elementi in una storia di Morales.
Sempre nelle “cifre” dell’'autore, e scendendo più nello specifico, si nota una certa forzatura in alcune situazioni. Travis, il quale è pur sempre un ispettore di polizia di NY e non un federale con competenze internazionali, svolge un viaggio in Iran su semplice richiesta della Jordan, senza contare che in Iran la giurisdizione passa al commissario Abbar (i cui agenti si fanno ovviamente sfuggire la protetta). Morales deve essersene accorto a cose fatte, e forse per questo motivo da quel momento Travis, diventato inutile ai fini della trama, si trasforma in un elemento comico.
Deludentemente, la "furia degli elementi" che si scatena su tutta l'area dell'antica Mesopotamia (pagg.104-105) non ci viene mostrata in modo esaustivo, ma viene solamente relegata al telegiornale, in un dejà vù da disaster movie televisivo.
Il ruolo "salvifico" di Martin e del Mondo del Sogno rientrano nell’ambito del deus ex machina, ma come la serie ci ha insegnato, l’alternativa è ormai solo quella di avere Martin semplice spettatore,per cui è meglio non lamentarsene. Inoltre, come ricorda il sagace articolo di Castelli in appendice al fumetto, c'è un che un metanarrativo in tutto ciò che è epico, e quando mitologia "storica" e serialità del fumetto si fondono con naturalezza non si sta facendo altro che aggiungere un tassello a quella grande soap opera che è la Storia (se ci passate la poetica espressione).
Il meccanismo utilizzato da Martin e soci per accedere al Mondo del Sogno si basa su una scienza “di confine”, o “fringe science”, come si direbbe in inglese: si tratta di un ritorno alla più pura tradizione Castelliana dei primordi, quella che mescolava l’elemento mysterioso dell’autocombustione alla spiegazione scientifica collegata a esperimenti di quel precursore transumano che era Mr. Jinx. Certo, al giorno d’oggi, dopo i telefilm The X-Files ed eredi, è difficile avere la stessa carica di originalità del lavoro di Castelli, e infatti la tecnica usata nel caso in questione è ormai stratificata nell’immaginario comune e notissima al grande pubblico grazie a telefilm come Fringe, ma comunque si tratta di una scelta narrativa importante, che si spera stimoli gli autori a riprendere il tema delle tecnologie avveniristiche e a rilanciarlo, tornando a fare di Martin Mystère una serie vivacizzata dalla curiosità per il potenziale delle nuove idee in circolazione.
L’arte
Ottimo il lavoro svolto da Fabio Grimaldi, ancora una volta a fianco del Morales disegnatore. Il duo conferma uno stile ligne claire "all'americana" in grado di conferire una costante espressività ai vari personaggi e una profondità di campo sempre attenta. Ottimi gli sfondi, che dovrebbero essere opera proprio di Grimaldi. Ci si augura che l’autore rimanga nello staff mysteriano anche "a solo".
La copertina di Giancarlo Alessandrini mette in scena una Tiamat poco somigliante a quella mostrata nel fumetto, ma nel complesso il gioco di colori orchestrato da Alessandro Muscillo e il Martin in posa da eroe offrono un disegno godibile.
Da segnalare come i risguardi interni siano firmati Carlo Velardi (sviluppatore dell'App per IPad dedicata a MM).
da qui:
Premessa
Da quasi un lustro, ormai, il fan di Martin Mystère è abituato ad attendere 9 uscite all'anno (6 bimestrali + Speciale, Almanacco e Storie da Altrove), dato che il Maxi e il Gigante sono defunti rispettivamente nel 2008 e nel 2009. Da allora sono state prodotte anche 4 storie brevi e un racconto in prosa riservato a pochi eletti (più il secondo romanzo di Carlo Andrea Cappi, appena uscito), ma a saziare il mysteriano hanno provveduto soprattutto quelle che nell'Indice Analitico 2002 erano state indicate come "Varie", ovvero le apparizioni estemporanee degli elementi mysteriani su altre testate. Nathan Never e Zagor avevano assorbito il mondo di Mystère già negli anni 1990 e col passare del tempo hanno aumentato il numero di rimandi e citazioni (addirittura Zagor ne ha approfittato per costruire una vera e propria saga, che di fatto è uno spin off di MM e di cui parleremo in un prossimo articolo), ma anche Dylan Dog, di tanto in tanto non si è lasciato sfuggire l'occasione per una qualche allusione al BVZM (nel 2013 si è ricordato di Martin in due occasioni).
Questo preambolo per dire che, oggi, qualunque albo in più targato Mystère fa brodo per il mysteriano, per cui il Dylan Dog Color Fest nr. 12, tutto dedicato ai team-up bonelliani, non può di certo passare inosservato. Tanto più che la sua stessa esistenza basta a riprendere una non-collana giacente immobile da ben tredici anni: stiamo parlando dei Team-up veri e propri (i "Martin Mystère & ..."), albi appositamente realizzati per far incontrare due testate differenti e pubblicati come one-shots. Non comparivano dal lontano 2001, quando il secondo "Martin Mystère & Nathan Never" (Il segreto di Altrove) aveva chiuso un ciclo iniziato il decennio prima. I gusti, e la volontà, di Sergio Bonelli erano ben noti: i team-up dovevano essere il più possibile evitati, al punto che due di essi, inediti e già delineati, erano poi stati costretti alla ritirata sulle testate di partenza. Stiamo parlando della famosa “Scure incantata” (2002), che trasforma Zagor in Za-Te-Nay, e dei “Misteri di Londra” (2004) di Dampyr, ove compare un indagatore dell'incubo londinese che non è Dylan Dog.
Oggi il ritorno degli incontri ufficiali fra protagonisti di serie differenti è una certezza (tanto che per il futuro è già programmato un crossover tra DD & Dampyr), ma per riabituare il lettore a ciò che per i suoi colleghi statunitensi è banale è necessario procedere per gradi. Ecco dunque quattro brevi divertissements che vedono Dylan agire, con modalità non epiche ma più o meno strampalate, con quattro miti del fumetto bonelliano: Jerry Drake alias Mister No, Napoleone, Nathan Never e ovviamente Martin Mystère.
Storia
Inizialmente accreditata ai soli Mignacco e Piccatto, “Incubo impossibile” è la storia che vede il ritorno di quello che forse è IL team-up italiano per definizione, ovvero Dylan Dog & Martin Mystère. Agli autori sono poi stati aggiunti Castelli ai testi e Riccio ai disegni, forse per via di rimaneggiamenti resisi necessari dopo il recente cambio al vertice dylaniato (dal 2013 il curatore è Roberto Recchioni e la storia era in lavorazione già prima). Ora non staremo qui a chiederci cosa abbia scritto Mignacco e cosa abbia aggiunto Castelli, altrimenti si ritorna a “La minaccia di Allagalla” (Martin Mystère n. 329); possiamo solamente dire che l'avventura imbastita è sicuramente una delusione per quanti si aspettavano qualcosa con un minimo taglio epico o comunque serio. Può invece incontrare qualche apprezzamento da parte di chi aveva capito che, in sole 32 pagine, non sarebbe stato possibile elaborare nulla più di un esercizio di stile. Perché “Incubo impossibile” è proprio questo: un giochino, o, per essere più precisi, una parodia. Parodia di Dylan Dog, com'è ovvio, ma soprattutto di Martin Mystère.
Dov'è il problema? È che, una volta accettato questo, segue l’inevitabile pizzico di delusione nel vedere che le caratteristiche uniche di Martin Mystère finiscono per essere ridicolizzate, invece che valorizzate, sprecando l’occasione di renderlo interessante agli occhi di un pubblico che abitualmente lo ignora. Dopotutto, il Color Fest è anche (soprattutto?) una vetrina in cui esporre personaggi Bonelli meno noti al vastissimo pubblico di una delle punte della casa editrice.
Pur non facendo peggio degli altri tre Eroi in gioco, Martin non riesce a farsi conoscere come è veramente: il detective dell'impossibile non dovrebbe essere un Indiana Jones che scova manufatti inventati in generiche piramidi, manufatti che per puro caso fanno "cose mistiche" (per citare Vincenzo Beretta), come la sfera che permette a Dylan e Martin di scambiare le proprie coscienze. Quella è la versione banale del personaggio, ed è ormai stata vista in svariate occasioni "celebrative", così come ormai le versioni fanservice di Java (che dice "mghr" e mena pugni), di Altrove deus ex machina, degli Uomini in Nero cattivissimi e pronti ad essere picchiati e di Diana "bella dell'eroe" non sono certo quelle più fresche possibili. Si poteva sfruttare lo spazio a disposizione per fare qualcosa di diverso dal solito.
Tuttavia, i dialoghi si rivelano abbastanza spigliati e qua e là molto divertenti (Groucho è in gran forma, d'altronde sia Mignacco che Castelli ai tempi d'oro hanno dimostrato di saperlo maneggiare con profitto), e con i loro sprazzi di lucida follia metafumettistica fanno dimenticare la pressoché inesistenza della trama. Male però il finale, con la scena sentimentale, ovviamente parodia del sentimentalismo a tutti i costi Dylaniato ma in cui Diana è proprio pesce fuor d'acqua, e male il cazzottone dell'ultima tavola, decisamente gratuito.
Arte
Lo stile di Luigi Piccato è ormai da svariati anni eccessivamente stilizzato e squadrato. In questo caso è però coadiuvato da Renato Riccio: il risultato è complessivamente gradevole, per merito anche della vivace colorazione. Martin è disegnato meglio qui che in “Cagliostro!” (Dylan Dog n. 18), l'unico precedente di Piccatto col BVZM. Bene o comunque passabili anche i comprimari di ambo le serie, come Tower, Diana, Lord Wells e madame Trelkovski, male invece Java, spesso trasformato involontariamente (a meno che non sia un effetto voluto anche questo) in un Incredibile Hulk con la gobba.
La copertina di Sara Pichelli offre un Martin molto serioso, completamente antitetico al tono della storia che lo ospita. Il disegno, preso a sé, è comunque di gradevole fattura, in particolar modo nello sguardo del professore.
Le altre storie
Brevi cenni alle altre tre storie, che non riguardano Martin.
“Le radici del Male” (Masiero/Civitelli, col. Luca Bertelè) vede finalmente agire insieme Dylan e Jerry Drake, dopo che i due si erano sfiorati (e forse incontrati, ma non è certo) nella celebre “Ananga!” (Dylan Dog nn. 133-134), quando era stato proprio Martin Mystère a metterli in contatto. Ananga, lo spirito del Male amazzonico, era stato protagonista della prima storia sclaviana con Mister No e si era poi manifestato a Londra, scisso in due metà (positiva e negativa) nella sopracitata avventura dylandoghiana. Non poteva che essere lui il casus belli capace di far interagire i due personaggi. L'idea che Masiero s'inventa per dare il via alla vicenda (il copycat) non è granché, almeno finché non ci si accorge che nel richiamare le due storie di Sclavi l'autore si è ricollegato all'intero corpus sclaviano, e in particolare alla concezione del Male che Sclavi aveva anche esemplificato nella storia omonima (Dylan Dog n. 51). Il Male è qualcosa di immanente e invincibile, giacché è sempre legato al Bene e ha le sue radici nell'essere umano. In questo senso la vignetta finale racchiude perfettamente il senso della storia (che a detta di chi scrive è la migliore dell'albo, anche per via del semplice e misurato riutilizzo dei comprimari), oltre ad essere una citazione-omaggio alle vignette finali di ben due delle storie misternoiane firmate Sclavi, e precisamente “La casa di Satana” (Mister No nn. 104-105) e “La notte dei mostri” (Mister No nn. 138-139), non a caso due storie dai connotati altrettanto horrorifici (ed è noto cosa fosse l'horror per lo Sclavi di quei tempi). Come se ciò non bastasse, la rivelazione delle origini dell'idolo di Ananga fornisce anche un tocco di continuità finora inedita.
Completamente diverse per impostazione le altre due avventure. “Buggy” (di Ambrosini/Bacilieri, col. Erika Bendazzoli) rimette in scena Napoleone, assente dalla chiusura della sua serie nel remoto 2005. E, a dire il vero, è una vera storia breve di Napoleone: Dylan Dog vi compare poco e senza un vero motivo concreto, se non l'occasione fanservice di vedere Allegra invaghirsi di lui. Un team-up poco team-up, insomma. D'altro canto era lecito aspettarselo: “Le spoglie del guerriero” (Napoleone n.42), che vedeva come ospite un Dylan Dog di fantasia, aveva già chiarito la posizione di Ambrosini in merito a questo tipo di trovate.
“Demoni e silicio” (Rigamonti/Calcaterra, col. Fabio D'Auria) è invece la storia più improbabile del lotto. Non tanto perché, con la magia tecnomante in gioco, l'incredulità deve essere sospesa del tutto, quanto per lo stile adottato dai tre autori, che fanno sembrare questa storia un prodotto sfornato nella prima metà degli anni 1990, quando cyberspazio, personaggi plastici molto spesso in posa da eroe (in un paio di punti Calcaterra sembra Castellini), narrazione "marvelliana" di trame altrimenti terribili e pillole di riflessioni esistenziali erano la norma. Tutti elementi che troviamo gradevoli, ma che ci portano alle stesse riflessioni cui ci aveva condotto il Buon Vecchio Zio Marty (che con Nathan ha molti punti d'incontro): perché è così difficile per le nostre serie italiane preferite presentarsi senza prendersi in giro o rifarsi ad un passato che non c'è più?
Il comparto grafico dei tre shorts risulta efficace e in grado di ricreare le atmosfere delle serie originali. Questo vale soprattutto per Bacilieri e Civitelli, mentre, come sopra detto, l'avventura di Nathan Never si rifà ad un contesto, quello dei primi anni '90, ormai estinto, ma comunque ben ricostruito da un convincente Calcaterra.