Bonelli: Zagor
Inviato: martedì 26 giugno 2012, 19:14
Con lo Spirito con la Scure ho un rapporto contrastato e contraddittorio: ammiro il personaggio, trovo stupendi il contesto storico, l'alchimia fra realismo e finzione più assurda e il concentrato di generi e topoi che contraddistinguono la serie; mi annoiano a morte lo stile antiquato e pedissequamente reiterato a ogni storia, i dialoghi di cartone e gli innumerevoli allungamenti di brodo con scazzottate e/o gag di Cico.
Nonostante tutto, qualche storia di Zagor che mi aggrada c'è. Le storie di Alfredo Castelli e Tiziano Sclavi (due dei miei numi tutelari), oppure le storie di Boselli e Burattini collegate all'universo di Martin Mystère (che mi piacciono per essere le uniche a proseguire la continuity atlantideo-muviana abbandonata sulla serie madre), o, ancora, qualche classico di Nolitta (ma pochi) e le storie di autori a me noti per altri fumetti, come i mysteriani Alessandro Russo, Franco Devescovi ed Esposito Bros, il neveriano Bepi Vigna o i disneyani Giorgio Pezzin e Tito Faraci.
Non avevo in programma l'apertura del topic già oggi, ma visto che è il compleanno di Castelli gli faccio un omaggino con la retrospettiva qui sotto.
Retrospettiva: Lo Zagor di Alfredo Castelli
La prima storia di Castelli risale alla fine degli anni '60 (ma viene pubblicata nel 1971). Castelli è poco più che ventenne, ma con alle spalle già una piccola carriera su testate non certo sconosciute, come Diabolik ed Eureka. Aveva conosciuto Sergio Bonelli nel '65, quando gli aveva venduto un po' di copie di Comics 104, la fanzine (la prima in Italia) da lui creata assieme a Paolo Sala. Castelli non ama il western (come me, del resto), ma del periodo che va grossomodo dalla metà del 19° secolo al primo ventennio del 20° predilige il lato più insolito, curioso e mysterioso (come me, del resto). Zagor, che non è western duro e puro, ma fantasioso e contaminato da tutti i generi possibili e immaginabili, gli piace a metà (come a me, del resto). Non gli piace tanto il personaggio, non gli piacciono soprattutto le sue spacconate e quell'aria da "superuomo" ineffabile che lo rendono una sorta di clone del Phantom di Lee Falk. Di conseguenza, a Castelli non piacciono neppure le lunghe e ripetitive sequenze d'azione dura e pura (quasi sempre risse e scazzottate) presenti in massa in tutte (ma proprio tutte) le storie zagoriane fin dal '61. Con Cico, invece, il rapporto è migliore. Tuttavia, il modello di riferimento che usa Castelli non è tanto il Paperino di Taliaferro (che è il modello di Nolitta), quanto quello di Barks. Il Cico di Castelli, difatti, è sempre uno sfigato, ma non è un tontolone isterico; anzi, talvolta è serio e capace di gesti eroici. Di solito, comunque, è un machiavellico paraculo (nelle storie di Castelli il messicano spesso truffa e viene truffato).
Zagor #76/77 (Zenith #127/128): Il Dio del Ghiaccio/Molok! (Castelli/Bignotti)
Castelli ha detto spesso (ha l'abitudine di ripetersi) che se fosse nato e cresciuto dopo il '54 avrebbe passato il tempo davanti alla televisione. Non è stato così, sicchè è cresciuto leggendo libri di ogni forma e tipologia. Si è così formato sui classici della letteratura, ed in particolare è rimasto affascinato dai classici del fantastico e del mistero: Poe, Lovecraft, Stevenson, i feuilleton francesi, eccetera. Il dio dei ghiacci, in origine, avrebbe dovuto essere nientemeno che il seguito del Frankenstein di Mary Shelley. Ma, come sopra scritto, Castelli non è uno zagoriano al 100%, sicchè soggetto e sceneggiatura sono stati profondamente rivisti da Nolitta, che ha tagliuzzato e modificato qua e là, onde evitare di confondere i suoi lettori (atteggiamento opinabile ma comprensibile). Il mostro che si aggira per la storia (lunga circa un albo e mezzo) avrebbe dovuto essere proprio la creatura originale del romanzo, fuggito al Polo e lì ibernatosi. Nel fumetto definitivo diventa però Molok, cadavere riassemblato e riportato alla vita nello stesso modo descritto da Mary Shelley, ma da un altro scienziato, il prof. Talbot (nel primo soggetto era il Victor Von Frankenstein originale). E' che a quei tempi Nolitta cercava ancora di evitare commistioni esplicite, e fa sorridere pensare che il duo Boselli-Burattini, che da quasi vent'anni governa la testata, ha fatto delle commistioni esplicite la sua forza (Zagor ha incontrato Poe in persona). Castelli anticipa tutti come sempre.
Anticipa perchè è un grande rielaboratore. Fedele al detto "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma", Castelli mixa, o rifà, come pochi. In questo caso rifà il romanzo della Shelley, cercando di (e riuscendo a) riproporre l'angoscia, l'orrore e anche la tristezza che il libro emana, ma lo fa quasi come se stesse facendo un film degli anni '60. Sembra quasi che segua il canovaccio di Ultimatum alla Terra (l'originale, non quello con Keanu Reeves), cosa che, non casualmente, Castelli ripeterà nella sua storia successiva. Una creatura (in questo caso il Molok) che uccide perchè spaesato, che pare voler soltanto tornare a casa e che si suicida col suo "creatore"/manipolatore ci sarà anche in La minaccia verde.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Come lo sa Castelli non lo sa nessuno. Tanto che rielaborerà di nuovo il soggetto originale (quello in continuity con il romanzo) in una famosa e splendida storia di Martin Mystère (Il castello degli orrori, che poi avrà anche un prequel in Storie da Altrove).
Zagor #147/148 (Zenith #198/199): La minaccia verde (Castelli/Donatelli)
Dopo l'estemporanea collaborazione che ha prodotto Il dio dei ghiacci, Castelli torna in Bonelli nel 1977, quando il Corriere dei Ragazzi è ormai affossato e il trentenne Alfredo è ormai un autore affermato, libero ed eclettico: ha creato Gli Aristocratici e altre serie famose, ha già inventato Allan Quatermain ed ha appena iniziato ad affiancare Nolitta su Mister No. Inizia qui il periodo più fecondo della sua carriera, con Castelli che fra il '77 e l'85 sarà pressochè ovunque. E' un autore che nel periodo succitato matura, e che alla vena comica riesce ad affiancare una produzione più seria e rispettosa dei paletti dei personaggi non suoi di cui è chiamato ad occuparsi. Nolitta in persona se lo affianca dunque sulle sue testate, ma, mentre con Jerry Drake Castelli si trova a suo agio, con lo Spirito con la Scure il rapporto rimane biforcuto. I fan zagoriani non ameranno molto le storie di Castelli, che considereranno poco zagoriane. A torto o a ragione? Dipende dai punti di vista. Io, che di Zagor ho più o meno la stessa considerazione che ne ha Castelli, trovo elementi più che apprezzabili in questa e nelle sette storie successive. Di più: ci vedo persino una progressiva accettazione del personaggio da parte dell'autore, che ad un certo punto arriva a prendere sul serio la testata fino a voler quasi "migliorare" Nolitta. Ben tre delle sette storie saranno infatti seguiti di classici nolittiani.
D'altro canto la parabola che corrisponde all'avventura zagoriana di Castelli inizia (o, meglio, re-inizia) con La minaccia verde, nella quale Castelli fa il seguito... di se stesso. In realtà non è così, ma, pur essendovi personaggi diversi e un'ambientazione differente, il plot de La minaccia verde è identico al plot de Il dio dei ghiacci. Di nuovo: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Così molti sono gli elementi in comune alle due storie: una creatura "mostruosa" che semina morte (nella prima storia Molok, qui una pianta aliena); uno scienziato che sfrutta la creatura finchè non gli sfugge di mano (lì Talbot, qui Lorenz); un cattivo tormentato (lì sempre Talbot, qui il folle indiano che si vendica di chi lo vituperava); la creatura rabbiosa perchè spaesata e che si rintana per autoemarginarsi (ma che viene comunque uccisa dal precisino Zagor). Stando a Stefano Priarone, autore del primo articolo sulla produzione zagoriana di Castelli (su Dime Press n.1), la pianta è presa dal romanzo Il giorno dei trifidi di John Wyndham, ma tutta la vicenda ricalca, di nuovo, certi film di fantascienza con la morale prodotti dagli anni '60 (di cui Ultimatum alla Terra, molto amato da Castelli, è il rappresentante più riuscito).
In comune le due storie hanno anche la caratterizzazione che Castelli dà di Zagor e Cico. Il primo è un po' precisino ma ignorantello, e più di una volta Castelli fa in modo di sottolineare il gap culturale fra lo Spirito con la Scure e il professore di turno. Cico gli è più simpatico e appare fin da subito come Totò nei suoi film più riusciti, ovvero come un fanfarone dall'eloquio un po' forbito. Da sottolineare l'uso che Castelli fa delle gag di Cico. Le sue storie iniziano sempre con Cico intento a macchinare qualcosa di strambo - di nascosto o in bella vista - tormentando Zagor, macchinazione che puntualmente si ritorce sul messicano. Queste gag iniziali non sono mai fini a sé stesse, ma danno involontariamente il via all'avventura. E sono graduali: ne Il dio dei ghiacci Cico si limita a progettare una trappola con cui difendere la capanna sua e di Zagor, mentre in La minaccia verde nasconde a Zagor la truffa di cui è stato vittima quando ha acquistato la falsa mappa dell'Eldorado. C'è un rapporto stretto fra la complessità delle gag cichiane elaborate da Castelli e il coinvolgimento dell'autore; una proporzione che per i fedeli zagoriani è inversa e per il sottoscritto diretta.
Certo non mancano, all'interno della storie (specialmente nelle successive, più lunghe), gag semplici che allungano il brodo, ma d'altronde i paletti nolittiani vanno rispettati in qualche modo (e infatti Nolitta mette le mani almeno sulle prime cinque storie).
Zagor #150/151/152 (Zenith #201/202/203): Intrigo internazionale/La fortezza di Smirnoff/Missione compiuta! (Castelli/Donatelli)
La gag iniziale di Cico, stavolta, causa addirittura un intrigo internazionale. Castelli qui fa la parodia dell'omonimo film di Hitchcock, altro autore da lui molto apprezzato, soprattutto per i suoi coup de theatre. Non è un caso, allora, che a fare il verso al "prestigiatore del cinema" sia un Cico impegnato a spacciarsi per prestidigitatore dopo aver letto un manuale di trucchi. Per l'occasione Castelli cita anche sè stesso (altra sua abitudine consolidata, come avrete capito), essendo egli effettivamente a conoscenza di molti giochi di prestigio. Nel corso della vicenda, inoltre, alcune sequenze (in particolare quelle dell'elaborata rapina nel caveau blindato) sono riprese dalla prima storia degli Aristocratici castelliani (storia senza titolo). La presenza, poi, del Conte di Lapalette (vero nome Raymond Dusmenil), raffinato ladro gentiluomo ideato da Nolitta, calza a pennello come controfigura del Conte Charles, che degli Aristocratici è il leader.
Citazioni a gogò, dunque, per una storia comica camuffata, non troppo bene, da normale storia zagoriana. Non sorprende che Sergio Bonelli in persona l'abbia proclamata storia peggiore della serie. Il mcguffin finale (il documento da recuperare nella fortezza del duca Smirnoff non riporta informazioni preziose, bensì una lettera d'amore) a molti non va giù. Io invece mi immagino Castelli che scrive la storia sghignazzando sotto i baffi e mi sollazzo. In fondo trattasi di una di quelle commedie sofisticate vecchio stile di cui Castelli è maestro, non completamente riuscita perchè contaminata dalle zagorate imposte dalla redazione, ma comunque piacevole e godibile.
Zagor #152/153 (Zenith #203/204): Il mistero di Tampa Town/Fantasmi! (Castelli/Segna)
Caso unico nella sue breve produzione, nello stesso albo una storia di Castelli finisce e un'altra subito inizia. Una storia destinata a diventare, suo malgrado, un piccolo classico. Del trash. Il mistero di Tampa Town, infatti, è un plagio dichiarato (non al momento dell'uscita, ma dopo) a una storia di Barks, Paperino e il fantasma della grotta (The ghost of the Grotto). Dichiarato, ma - e qui introduco una novità - a mio avviso non effettivo. Siamo infatti sempre nell'ambito del "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma": dalla storia di Barks è tratta soltanto l'idea del misterioso conquistador che rapisce gli infanti ogni tot anni (30 in Barks, 50 in Castelli). Il resto è completamente differente (a partire dalle motivazioni del conquistador), e quella che in Barks è una commedia qui è un vero e proprio horror in stile Poe. Sì, Castelli scrive una storia di Zagor prendendola sul serio, un passo avanti notevole se guardato dalla sua prospettiva. Rimangono però alcuni connotati delle storie precedenti, quali la gag iniziale in cui Cico diventa improvvisamente un seguace dell'Are Karma (disciplina esoterica che sfotte il boom della new age), il riciclo da un fumetto "per ragazzi" (nella storia precedente gli Aristocratici, qui Paperino), l'autocitazione (la data del rapimento, in Barks non precisata, qui è il 26 Giugno, giorno del compleanno di Castelli). Connotati che, chissà, andranno ad influenzare impercettibilmente il giudizio dei fan zagoriani, i quali, nel famoso referendum bonelliano del 1981, decreteranno Il mistero di Tampa Town la storia più brutta di tutta la serie. Il (de)merito, tuttavia, più che a Castelli è da attribuire al disegnatore Pini Segna, il cui stile grottesco rende alcune sequenze un po' ridicole (su tutte quella del granchio gigante, altro elemento assente in Barks). Dopotutto non è un caso che Maurizio Colombo, un redattore Bonelli, abbia etichettato Segna come l'"Ed Wood del fumetto" (Ed Wood è il regista di The plan from outer space, considerato il film di fantascienza più brutto di tutti i tempi).
Ma è davvero così brutta questa storia? Ovviamente no, come ogni opera trash è degna d'analisi e studio. L'atmosfera inquietante e salmastra che pervade ogni pagina, poi, secondo me è resa piuttosto bene.
Zagor #172/173/174 (Zenith #223/224/225): Cico va alla pesca/Piccoli assassini/La grande paura (Castelli/Donatelli)
Notare il triplo titolo di questa storia: il primo è giocoso, quasi trollone; il secondo è subdolo; il terzo è deciso e minaccioso. Ecco, lo svolgimento segue la stessa direzione. Connotando nella stessa maniera il percorso evolutivo del Castelli narratore zagoriano. Cioè, papale papale: Castelli, che scriveva storie trollone comiche, è arrivato pian piano a scrivere storie zagoriane serie. Rispetto al Mistero di Tampa Town, in questa si riduce ulteriormente l'intento parodico e le gag di Cico si fanno più nolittiane. Rimane il consueto incipit con Cico truffato (stavolta con una sostanza che, anzichè attirare i pesci, li fa scappare), ma il divertimento che Castelli prova nell'utilizzare il personaggio si fa più maturo. Dopotutto sono passati due anni dalla sua precedente comparsata, e in questo periodo Castelli ha evidentemente raggiunto un compromesso con Nolitta: più gag normali, più allungamenti di brodo, caratterizzazioni meno irriverenti e, in cambio, Castelli può mettere Cico sullo stesso piano di Zagor. Questa storia è l'emblema di tale compromesso: Cico è protagonista fin dal titolo, ed è lui, oltre a darle il via, a chiudere l'avventura. Così, la gag iniziale trova evoluzione e completamento nel finale, in cui l'oggetto della truffa diventa determinante per la risoluzione dell'intreccio (la sostanza succitata permette di estirpare i pesci carnivori dal Darkwood River).
Fra questa e la storia successiva si chiude un primo, piccolo cerchietto nella carriera zagoriana di Castelli (a lui piacciono le chiusure a cerchio, per cui vado sul sicuro). Sì, perchè nella storia successiva Castelli torna momentaneamente alle origini, di nuovo con una storia irriverente. Ma sarà un caso particolare, come si vedrà. La direzione intrapresa in Cico va alla pesca è quella definitiva, e le ultime tre storie saranno le più lunghe e le più epiche: pur con tutta l'ironia possibile, da qui in poi non si scherza più. Anche perchè Nolitta è a fine carriera, e chi lo deve sostituire deve farlo con professionalità
Zagor #177/178 (Zenit #228/229): Il ritorno di Guitar Jim/L'Orchidea Rossa (Castelli/Donatelli)
L'ultima storia prima dell'ultima storia di Guido Nolitta. A Castelli non pare vero poter sfruttare l'occasione per prendere in giro scherzosamente l'amico editore, come già fa nella vita di tutti i giorni, anche nel fumetto.
Una di quelle prese in giro di cui poi Castelli, per qualche motivo, si vergogna: lui stesso ha dichiarato Il ritorno di Guitar Jim la più brutta storia di Zagor.
Quindi, sì, Castelli ha all'attivo ben tre "storie più brutte" di Zagor .
E allora poniamoci per la terza volta questa domanda: è davvero così brutta? Stando ai fan zagoriani, il personaggio di Guitar Jim (protagonista, fra l'altro, del #100) ne esce irrimediabilmente rovinato. Lui, chitarrista scapestrato, diventa qui un fidanzatino sdolcinato. Mah. Piuttosto la mia critica è un'altra, e cioè che la trama è piuttosto labile e sfilacciata nonchè piuttosto noiosetta nella parte centrale. Il fatto è che è tutto un pretesto per far fare brutta figura a Zagor, il quale pare che provi antipatia per tutti coloro che gli tengono testa. Lo stesso accadrà, infatti, anche nel Ritorno di Supermike.
Comprensibile antipatia/diffidenza verso chi si professa buono o semplice scherzo a Bonelli e ai suoi lettori? Se Castelli ragiona come penso io, entrambe le ipotesi sono valide.
Quel che è certo è che, anche qui, in qualche modo, il Nostro professa la sua preferenza verso Cico. Il quale, per la prima volta, non è vittima di bizzarre truffe e non dà il 'la' alle vicende, ma, in compenso, le chiude, risolvendo (al contrario di Zagor) il giallo con ribaltone architettato per tenere in piedi il plot.
Da segnalare il pizzico di continuity inserito a sorpresa negli incubi di Cico, nei quali il pancione è minacciato da Rakosi. Un preludio di Castelli a sè stesso, che rende questa storia ancora più particolare.
Zagor #186/187/188/189 (Zenith #237/238/239/240): Il popolo della notte/Il ritorno del vampiro/Il regno delle tenebre/L'orrendo contagio (Castelli/Ferri)
E ci siamo. Nolitta ha abbandonato la scrittura diretta col #182 e a dare manforte al traghettatore Sclavi ci pensano Pezzin e Castelli. Il terzo, l'unico dei tre con all'attivo una certa esperienza zagoriana, decide di fare sul serio e, spinto da quella costante sfida a sè stesso che lo porta a volersi migliorare sempre, prende un classico nolittiano molto amato dai lettori (Angoscia!, #85/86/87) e lo "aggiusta" secondo la sua personale sensibilità. Sì, perchè Angoscia!, la famosa storia di Zagor contro il vampiro Rakosi, era praticamente la versione zagoriana di Dracula e Nosferatu. Ferri aveva disegnato alcune sequenze suggestive e la storia era piacevole ancorchè piuttosto banalotta, seguiva pari pari libro e film. Castelli riprende quasi al completo il cast e il setting di quella storia, abbonda con morti e sequenze orrorifiche e arriva addirittura a vampirizzare un intero paese. Secondo Priarone, quest'ultima è una citazione a Salem's Lot ed è la prima citazione popolare italiana ad un'opera di Stephen King. Io ho letto pochissimo di King, per cui non sono in grado di confermare, ma la segnalazione di Priarone torna con l'impressione che ho io della storia. Ovvero credo che Il popolo della notte non sia altro che un aggiornamento del mito del vampiro al tempo corrente (1980/1), mentre con Nolitta era ancora relegato a vecchie interpretazioni. Oggi che i vampiri infestano telefilm e fumetti d'ogni tipo e passano più tempo a fare sesso che a mordere colli anche questa lunga storia appare un po' polverosa, ma tuttavia conserva ancora alcuni aspetti degni di nota. Innanzitutto Ferri disegna anche qui alcune sequenze piuttosto suggestive, suggestioni che Castelli stesso è molto bravo a creare, rallentando all'uopo il ritmo quando serve (è una delle sue carte vincenti, dovuta all'essersi nutrito di classici del fantastico). Ci sono poi degli elementi "forti", come la bambina vampira o il servo di rakosi impalato nella grotta, che Ferri rende con un'espressività degna di menzione.
Nel costruire un'epicata simile Castelli calca un po' la mano e nel finale compie quella che per gli zagoriani puri è una vera e propria eresia: non sono, infatti, Zagor e Cico a sconfiggere Rakosi, bensì uno dei comprimari della storia. Anzi, nello scontro finale fra Zagor e Rakosi il primo è in netta difficoltà. Cico, invece, ha il suo momento di "gloria" nel consueto incipit: ma la solita macchinazione cichiana che dà il via all'avventura viene anch'essa portata all'ennesima potenza: è Cico, infatti, a procurare il sangue di Zagor necessario per il ritorno in vita di Rakosi. Lo fa inconsapevolmente, ma stavolta i guai che porta sono più minacciosi che mai. Il percorso narrativo di Castelli giunge, in un certo senso, a compimento.
O quasi.
Zagor #205/206/207/208/209 (Zenith #256/257/258/259/260): Il grande complotto/La torre di pietra/La maschera dell'odio/Gli aguzzini/Il grande inganno (Castelli/Donatelli)
Il Tessitore, un figuro incappucciato di cui nessuno conosce l'identità, dirige una invisibile organizzazione decisa a portare il caos negli Stati Uniti dopo aver minato gli equilibri politici europei. Per farlo, si avvale della compiacenza dei potenti e, per procurarsi denaro, si serve di delinquenti comuni (rigorosamente selezionati) incaricati di compiere rapine a martello, così da generare ulteriore malcontento verso le forze dell'ordine e i politicanti che ancora non hanno ceduto.
La P2, la Massoneria, i "Poteri Forti"... forse il nemico più forte mai affrontato da Zagor. Un nemico che nemmeno lo Spirito con la Scure può sconfiggere: il Tessitore fugge, a fine storia, e la sua identità non viene rivelata. Non può. Non può essere rivelata oggi, figuriamoci nel 1982. Pochi mesi prima dell'uscita di questa storia, aveva debuttato nelle edicole Martin Mystère, il fumetto definitivo di Castelli, il cui primo numero si intitolava "Gli Uomini in Nero", la migliore metafora dei poteri forti mai esistita sulla piazza. Nemmeno Martin, con tutte le conoscenze di cui è a disposizione, avrà la meglio sull'oligarchia che controlla il pianeta. Si capisce come le possibilità di Zagor e Cico siano ancora più ridotte.
Eppure i due non si arrendono, mai, in questa lunghissima storia (la più lunga delle storie zagoriane di Castelli), e arrivano persino a farsi incarcerare e a farsi assoldare dal Tessitore (giacchè un nemico così subdolo si può sconfiggere solo dall'interno).
E', questa, una storia che rappresenta l'apice della parabola castelliana zagoriana e in cui tutti gli elementi visti nelle storie precedenti trovano la propria ragion d'essere, completandosi a vicenda e dando vita ad una lunga avventura, somma di tante piccole avventure (come la vita, come l'organizzazione del Tessitore), che è al contempo profondamente zagoriana e profondamente castelliana.
La sfiducia di Castelli e l'ottimismo di Zagor. Un "Male" indistinguibile dal "Bene" e due eroi tutti d'un pezzo. Un dualismo dietro l'altro, come in una matrioska, e di cui il rapporto Zagor-Cico è l'esempio più piccolo, ma significativo. I due si completano alla perfezione, si salvano a vicenda, si spalleggiano l'un l'altro, l'uno carica l'altro quando quello è a pezzi (sia fisicamente che moralmente); e se tutto questo per Zagor è un ritorno alla normale configurazione nolittiana (ma fatto da Castelli equivale ad una promozione), per Cico rappresenta l'apoteosi. Così che il ventrillo con cui Cico si spaccia maldestramente per ventriloquo, ma con il quale anche il Tessitore dà voce al fantoccio con cui si mostra in pubblico, apre e chiude un cerchio perfetto, in cui ogni elemento, anche il più semplice, è dosato alla perfezione al fine di migliorare il migliorabile e dare l'idea di un'avventura definitiva (rientra in quest'ottica anche il debutto, in un fumetto popolare italiano, dei ninja).
p.s.: vent'anni più tardi, Burattini ripescherà il Tessitore rivelandone l'identità (pur mantenendosi un po' sul vago) in una storia che banalizzerà il personaggio (Zagor #459/460/461).
Zagor #226/227/228/229 (Zenith #277/278/279/280): Il ritorno di Supermike/Il treno fantasma/I diavoli neri/Il volto del nemico (Castelli/Ferri)
Ma poteva l'irriverente Castelli andarsene con una storia potente come Il grande complotto? Il cerchio, per essere veramente completo, abbisognava di una trollata degna delle prime. Ecco allora Il ritorno di Supermike, seguito di un classico nolittiano (Sulla pista di Union Town, Zagor #122/125) in cui il classico è ribaltato e preso in giro. E il leit motiv è lo stesso del Ritorno di Guitar Jim, ma portato agli estremi. Sì, perchè, se Guitar Jim aveva comunque perso il confronto con Zagor, Supermike lo vince, come dimostra la scelta di questi di non cedere alla tentazione di rubare i lingotti d'oro fulcro della vicenda. Supermike, divenuto fuorilegge con Nolitta, qui si è redento e ha fondato la "Setta dei Penitenti dell'Ultimissima Ora", forma evoluta dello sfottò del boom delle sette già visto nel Mistero di Tampa Town. I tre, però, si trovano invischiati in un mistero a base di treni scomparsi con il loro succitato carico di lingotti d'oro (la trama dovrebbe richiamare Topolino e il fantasma di Monte Cannibale, ma non ne sono sicuro).
E Castelli se ne va così, sogghignando mentre lascia Zagor con l'amaro in bocca (era convintissimo che Supermike non fosse davvero diventato buono e che mirasse all'oro) e inacidito dai continui sfottò del rivale, il quale, alla fine, si dimostra rispettoso dell'avversario, ma assolutamente il 'migliore' in tutto.
E' il 1984. Per il Buon Vecchio Zio Alfredo non c'è altro da aggiungere.
Postilla: Martin Mystère #242/243: La scure incantata/L'astronave degli esseri perduti (Castelli/Devescovi)
Nel 2001 Zagor compie quarant'anni. Nel 2002 Martin Mystère ne compie la metà. Castelli festeggia entrambi in un insolito e gustoso team-up in cui Martin indaga su una misteriosa scure che non manca mai il bersaglio (presa in giro dell'infallibilità di Zagor). Purtroppo Sergio Bonelli non ama i team-up e mette i bastoni fra le ruote costringendo Castelli a trasformare lo Spirito con la Scure che compare nella storia in un altro Spirito con la Scure. Nasce così Za-Te-Nay (senza "Gor"), ma l'idea di Castelli, anzichè affossarsi, migliora.
Quel che ne viene fuori è infatti uno strepitoso omaggio in cui la poeticità e l'epicità zagoriana rimangono inalterate, mentre gli aspetti sempliciotti del personaggio vengono 'corretti' dal razionalismo mysteriano. Così lo stile antiquato, l'ineffabilità del personaggio, le trovate fantasiose e stereotipate trovano giustificazione nell'equazione albi di Zagor=dime novels, dispense popolari pubblicate a partire dalla metà del 19° secolo (materia di cui Castelli è realmente studioso ed esperto). Za-Te-Nay diventa così il personaggio "storico" su cui è modellato il personaggio di fantasia Zagor, mentre il suo biografo ufficiale, il sarcastico truffatore (e fanfarone) Pancho, passa alla storia come Cico (e ha il suo corrispettivo in Bonelli/Nolitta).
Tutta la vicenda è goduriosa perchè piuttosto importante per la continuity di Martin Mystère, e soprattutto perchè si percepisce al volo il divertimento di Castelli nello scriverla. Sono presenti citazioni di tutte le 9 storie elencate sopra, con l'aggiunta di un richiamo a quella che è veramente l'avventura definitiva di Zagor: Incubi!, scritta nel 1988 da Tiziano Sclavi. In quella storia il Bene e il Male si confrontavano per l'ultima volta, impersonificati rispettivamente da Zagor e dalla sua nemesi Hellingen, ed entrambi morivano per poi rinascere a nuova vita (metafora del ciclo vita-morte, dell'inestricabilità fra Bene e Male e dell'eternità dei due personaggi). Castelli recupera tutta la suggestione sclaviana e la inserisce nel contesto realistico da lui creato. Hellingen diventa qui il professor Virus, versione verosimile del "Mago della foresta morta" di Pedrocchi, che fu davvero l'ispiratore dell'Hellingen nolittiano (notare come tutto torni); Virus, oltre che come scienziato dalle avanzate conoscenze, è qui presentato come un genius loci che ciclicamente ritorna sulla Terra per salvarla, e che nel 1857 viene combattuto da Za-Te-Nay, un 'mountain man' zoticone, ma di saldi principi, deciso a combattere il "Male" (o almeno quello che lui ritiene tale). Ritorna dunque la presa in giro del personaggio e della relativa testata, ma l'immortalità, sia simbolica (Za-Te-Nay e Virus si uccidono a vicenda e "vengono assunti in cielo") che materiale (Za-Te-Nay passa alla Storia come personaggio di finzione e Virus è un'entità), che Castelli concede fa capire come la presa in giro, da parte sua, sia sempre e comunque affettuosa.
Alcuni aspetti della storia sono rimasti aperti, come l'identità di "Virus" e il breve viaggio nel tempo di Za-Te-Nay nel 2002. Io, che come Za-Te-Nay ho visioni del futuro, posso annunciare che, dieci anni dopo, nel 2012, uscirà un seguito di questa storia. Nel 2011 Zagor ha compiuto cinquant'anni. Nel 2012 Martin Mystère ne ha compiuti trenta. Perchè rinunciare a una doppia festa?
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