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Bonelli: Zagor

Inviato: martedì 26 giugno 2012, 19:14
da max brody
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Con lo Spirito con la Scure ho un rapporto contrastato e contraddittorio: ammiro il personaggio, trovo stupendi il contesto storico, l'alchimia fra realismo e finzione più assurda e il concentrato di generi e topoi che contraddistinguono la serie; mi annoiano a morte lo stile antiquato e pedissequamente reiterato a ogni storia, i dialoghi di cartone e gli innumerevoli allungamenti di brodo con scazzottate e/o gag di Cico.

Nonostante tutto, qualche storia di Zagor che mi aggrada c'è. Le storie di Alfredo Castelli e Tiziano Sclavi (due dei miei numi tutelari), oppure le storie di Boselli e Burattini collegate all'universo di Martin Mystère (che mi piacciono per essere le uniche a proseguire la continuity atlantideo-muviana abbandonata sulla serie madre), o, ancora, qualche classico di Nolitta (ma pochi) e le storie di autori a me noti per altri fumetti, come i mysteriani Alessandro Russo, Franco Devescovi ed Esposito Bros, il neveriano Bepi Vigna o i disneyani Giorgio Pezzin e Tito Faraci.


Non avevo in programma l'apertura del topic già oggi, ma visto che è il compleanno di Castelli gli faccio un omaggino con la retrospettiva qui sotto.


Retrospettiva: Lo Zagor di Alfredo Castelli

La prima storia di Castelli risale alla fine degli anni '60 (ma viene pubblicata nel 1971). Castelli è poco più che ventenne, ma con alle spalle già una piccola carriera su testate non certo sconosciute, come Diabolik ed Eureka. Aveva conosciuto Sergio Bonelli nel '65, quando gli aveva venduto un po' di copie di Comics 104, la fanzine (la prima in Italia) da lui creata assieme a Paolo Sala. Castelli non ama il western (come me, del resto), ma del periodo che va grossomodo dalla metà del 19° secolo al primo ventennio del 20° predilige il lato più insolito, curioso e mysterioso (come me, del resto). Zagor, che non è western duro e puro, ma fantasioso e contaminato da tutti i generi possibili e immaginabili, gli piace a metà (come a me, del resto). Non gli piace tanto il personaggio, non gli piacciono soprattutto le sue spacconate e quell'aria da "superuomo" ineffabile che lo rendono una sorta di clone del Phantom di Lee Falk. Di conseguenza, a Castelli non piacciono neppure le lunghe e ripetitive sequenze d'azione dura e pura (quasi sempre risse e scazzottate) presenti in massa in tutte (ma proprio tutte) le storie zagoriane fin dal '61. Con Cico, invece, il rapporto è migliore. Tuttavia, il modello di riferimento che usa Castelli non è tanto il Paperino di Taliaferro (che è il modello di Nolitta), quanto quello di Barks. Il Cico di Castelli, difatti, è sempre uno sfigato, ma non è un tontolone isterico; anzi, talvolta è serio e capace di gesti eroici. Di solito, comunque, è un machiavellico paraculo (nelle storie di Castelli il messicano spesso truffa e viene truffato).


Zagor #76/77 (Zenith #127/128): Il Dio del Ghiaccio/Molok! (Castelli/Bignotti)
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Castelli ha detto spesso (ha l'abitudine di ripetersi) che se fosse nato e cresciuto dopo il '54 avrebbe passato il tempo davanti alla televisione. Non è stato così, sicchè è cresciuto leggendo libri di ogni forma e tipologia. Si è così formato sui classici della letteratura, ed in particolare è rimasto affascinato dai classici del fantastico e del mistero: Poe, Lovecraft, Stevenson, i feuilleton francesi, eccetera. Il dio dei ghiacci, in origine, avrebbe dovuto essere nientemeno che il seguito del Frankenstein di Mary Shelley. Ma, come sopra scritto, Castelli non è uno zagoriano al 100%, sicchè soggetto e sceneggiatura sono stati profondamente rivisti da Nolitta, che ha tagliuzzato e modificato qua e là, onde evitare di confondere i suoi lettori (atteggiamento opinabile ma comprensibile). Il mostro che si aggira per la storia (lunga circa un albo e mezzo) avrebbe dovuto essere proprio la creatura originale del romanzo, fuggito al Polo e lì ibernatosi. Nel fumetto definitivo diventa però Molok, cadavere riassemblato e riportato alla vita nello stesso modo descritto da Mary Shelley, ma da un altro scienziato, il prof. Talbot (nel primo soggetto era il Victor Von Frankenstein originale). E' che a quei tempi Nolitta cercava ancora di evitare commistioni esplicite, e fa sorridere pensare che il duo Boselli-Burattini, che da quasi vent'anni governa la testata, ha fatto delle commistioni esplicite la sua forza (Zagor ha incontrato Poe in persona). Castelli anticipa tutti come sempre.

Anticipa perchè è un grande rielaboratore. Fedele al detto "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma", Castelli mixa, o rifà, come pochi. In questo caso rifà il romanzo della Shelley, cercando di (e riuscendo a) riproporre l'angoscia, l'orrore e anche la tristezza che il libro emana, ma lo fa quasi come se stesse facendo un film degli anni '60. Sembra quasi che segua il canovaccio di Ultimatum alla Terra (l'originale, non quello con Keanu Reeves), cosa che, non casualmente, Castelli ripeterà nella sua storia successiva. Una creatura (in questo caso il Molok) che uccide perchè spaesato, che pare voler soltanto tornare a casa e che si suicida col suo "creatore"/manipolatore ci sarà anche in La minaccia verde.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Come lo sa Castelli non lo sa nessuno. Tanto che rielaborerà di nuovo il soggetto originale (quello in continuity con il romanzo) in una famosa e splendida storia di Martin Mystère (Il castello degli orrori, che poi avrà anche un prequel in Storie da Altrove).


Zagor #147/148 (Zenith #198/199): La minaccia verde (Castelli/Donatelli)
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Dopo l'estemporanea collaborazione che ha prodotto Il dio dei ghiacci, Castelli torna in Bonelli nel 1977, quando il Corriere dei Ragazzi è ormai affossato e il trentenne Alfredo è ormai un autore affermato, libero ed eclettico: ha creato Gli Aristocratici e altre serie famose, ha già inventato Allan Quatermain ed ha appena iniziato ad affiancare Nolitta su Mister No. Inizia qui il periodo più fecondo della sua carriera, con Castelli che fra il '77 e l'85 sarà pressochè ovunque. E' un autore che nel periodo succitato matura, e che alla vena comica riesce ad affiancare una produzione più seria e rispettosa dei paletti dei personaggi non suoi di cui è chiamato ad occuparsi. Nolitta in persona se lo affianca dunque sulle sue testate, ma, mentre con Jerry Drake Castelli si trova a suo agio, con lo Spirito con la Scure il rapporto rimane biforcuto. I fan zagoriani non ameranno molto le storie di Castelli, che considereranno poco zagoriane. A torto o a ragione? Dipende dai punti di vista. Io, che di Zagor ho più o meno la stessa considerazione che ne ha Castelli, trovo elementi più che apprezzabili in questa e nelle sette storie successive. Di più: ci vedo persino una progressiva accettazione del personaggio da parte dell'autore, che ad un certo punto arriva a prendere sul serio la testata fino a voler quasi "migliorare" Nolitta. Ben tre delle sette storie saranno infatti seguiti di classici nolittiani.
D'altro canto la parabola che corrisponde all'avventura zagoriana di Castelli inizia (o, meglio, re-inizia) con La minaccia verde, nella quale Castelli fa il seguito... di se stesso. In realtà non è così, ma, pur essendovi personaggi diversi e un'ambientazione differente, il plot de La minaccia verde è identico al plot de Il dio dei ghiacci. Di nuovo: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Così molti sono gli elementi in comune alle due storie: una creatura "mostruosa" che semina morte (nella prima storia Molok, qui una pianta aliena); uno scienziato che sfrutta la creatura finchè non gli sfugge di mano (lì Talbot, qui Lorenz); un cattivo tormentato (lì sempre Talbot, qui il folle indiano che si vendica di chi lo vituperava); la creatura rabbiosa perchè spaesata e che si rintana per autoemarginarsi (ma che viene comunque uccisa dal precisino Zagor). Stando a Stefano Priarone, autore del primo articolo sulla produzione zagoriana di Castelli (su Dime Press n.1), la pianta è presa dal romanzo Il giorno dei trifidi di John Wyndham, ma tutta la vicenda ricalca, di nuovo, certi film di fantascienza con la morale prodotti dagli anni '60 (di cui Ultimatum alla Terra, molto amato da Castelli, è il rappresentante più riuscito).

In comune le due storie hanno anche la caratterizzazione che Castelli dà di Zagor e Cico. Il primo è un po' precisino ma ignorantello, e più di una volta Castelli fa in modo di sottolineare il gap culturale fra lo Spirito con la Scure e il professore di turno. Cico gli è più simpatico e appare fin da subito come Totò nei suoi film più riusciti, ovvero come un fanfarone dall'eloquio un po' forbito. Da sottolineare l'uso che Castelli fa delle gag di Cico. Le sue storie iniziano sempre con Cico intento a macchinare qualcosa di strambo - di nascosto o in bella vista - tormentando Zagor, macchinazione che puntualmente si ritorce sul messicano. Queste gag iniziali non sono mai fini a sé stesse, ma danno involontariamente il via all'avventura. E sono graduali: ne Il dio dei ghiacci Cico si limita a progettare una trappola con cui difendere la capanna sua e di Zagor, mentre in La minaccia verde nasconde a Zagor la truffa di cui è stato vittima quando ha acquistato la falsa mappa dell'Eldorado. C'è un rapporto stretto fra la complessità delle gag cichiane elaborate da Castelli e il coinvolgimento dell'autore; una proporzione che per i fedeli zagoriani è inversa e per il sottoscritto diretta.

Certo non mancano, all'interno della storie (specialmente nelle successive, più lunghe), gag semplici che allungano il brodo, ma d'altronde i paletti nolittiani vanno rispettati in qualche modo (e infatti Nolitta mette le mani almeno sulle prime cinque storie).


Zagor #150/151/152 (Zenith #201/202/203): Intrigo internazionale/La fortezza di Smirnoff/Missione compiuta! (Castelli/Donatelli)
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La gag iniziale di Cico, stavolta, causa addirittura un intrigo internazionale. Castelli qui fa la parodia dell'omonimo film di Hitchcock, altro autore da lui molto apprezzato, soprattutto per i suoi coup de theatre. Non è un caso, allora, che a fare il verso al "prestigiatore del cinema" sia un Cico impegnato a spacciarsi per prestidigitatore dopo aver letto un manuale di trucchi. Per l'occasione Castelli cita anche sè stesso (altra sua abitudine consolidata, come avrete capito), essendo egli effettivamente a conoscenza di molti giochi di prestigio. Nel corso della vicenda, inoltre, alcune sequenze (in particolare quelle dell'elaborata rapina nel caveau blindato) sono riprese dalla prima storia degli Aristocratici castelliani (storia senza titolo). La presenza, poi, del Conte di Lapalette (vero nome Raymond Dusmenil), raffinato ladro gentiluomo ideato da Nolitta, calza a pennello come controfigura del Conte Charles, che degli Aristocratici è il leader.
Citazioni a gogò, dunque, per una storia comica camuffata, non troppo bene, da normale storia zagoriana. Non sorprende che Sergio Bonelli in persona l'abbia proclamata storia peggiore della serie. Il mcguffin finale (il documento da recuperare nella fortezza del duca Smirnoff non riporta informazioni preziose, bensì una lettera d'amore) a molti non va giù. Io invece mi immagino Castelli che scrive la storia sghignazzando sotto i baffi e mi sollazzo. In fondo trattasi di una di quelle commedie sofisticate vecchio stile di cui Castelli è maestro, non completamente riuscita perchè contaminata dalle zagorate imposte dalla redazione, ma comunque piacevole e godibile.


Zagor #152/153 (Zenith #203/204): Il mistero di Tampa Town/Fantasmi! (Castelli/Segna)
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Caso unico nella sue breve produzione, nello stesso albo una storia di Castelli finisce e un'altra subito inizia. Una storia destinata a diventare, suo malgrado, un piccolo classico. Del trash. Il mistero di Tampa Town, infatti, è un plagio dichiarato (non al momento dell'uscita, ma dopo) a una storia di Barks, Paperino e il fantasma della grotta (The ghost of the Grotto). Dichiarato, ma - e qui introduco una novità - a mio avviso non effettivo. Siamo infatti sempre nell'ambito del "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma": dalla storia di Barks è tratta soltanto l'idea del misterioso conquistador che rapisce gli infanti ogni tot anni (30 in Barks, 50 in Castelli). Il resto è completamente differente (a partire dalle motivazioni del conquistador), e quella che in Barks è una commedia qui è un vero e proprio horror in stile Poe. Sì, Castelli scrive una storia di Zagor prendendola sul serio, un passo avanti notevole se guardato dalla sua prospettiva. Rimangono però alcuni connotati delle storie precedenti, quali la gag iniziale in cui Cico diventa improvvisamente un seguace dell'Are Karma (disciplina esoterica che sfotte il boom della new age), il riciclo da un fumetto "per ragazzi" (nella storia precedente gli Aristocratici, qui Paperino), l'autocitazione (la data del rapimento, in Barks non precisata, qui è il 26 Giugno, giorno del compleanno di Castelli). Connotati che, chissà, andranno ad influenzare impercettibilmente il giudizio dei fan zagoriani, i quali, nel famoso referendum bonelliano del 1981, decreteranno Il mistero di Tampa Town la storia più brutta di tutta la serie. Il (de)merito, tuttavia, più che a Castelli è da attribuire al disegnatore Pini Segna, il cui stile grottesco rende alcune sequenze un po' ridicole (su tutte quella del granchio gigante, altro elemento assente in Barks). Dopotutto non è un caso che Maurizio Colombo, un redattore Bonelli, abbia etichettato Segna come l'"Ed Wood del fumetto" (Ed Wood è il regista di The plan from outer space, considerato il film di fantascienza più brutto di tutti i tempi).
Ma è davvero così brutta questa storia? Ovviamente no, come ogni opera trash è degna d'analisi e studio. L'atmosfera inquietante e salmastra che pervade ogni pagina, poi, secondo me è resa piuttosto bene.


Zagor #172/173/174 (Zenith #223/224/225): Cico va alla pesca/Piccoli assassini/La grande paura (Castelli/Donatelli)
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Notare il triplo titolo di questa storia: il primo è giocoso, quasi trollone; il secondo è subdolo; il terzo è deciso e minaccioso. Ecco, lo svolgimento segue la stessa direzione. Connotando nella stessa maniera il percorso evolutivo del Castelli narratore zagoriano. Cioè, papale papale: Castelli, che scriveva storie trollone comiche, è arrivato pian piano a scrivere storie zagoriane serie. Rispetto al Mistero di Tampa Town, in questa si riduce ulteriormente l'intento parodico e le gag di Cico si fanno più nolittiane. Rimane il consueto incipit con Cico truffato (stavolta con una sostanza che, anzichè attirare i pesci, li fa scappare), ma il divertimento che Castelli prova nell'utilizzare il personaggio si fa più maturo. Dopotutto sono passati due anni dalla sua precedente comparsata, e in questo periodo Castelli ha evidentemente raggiunto un compromesso con Nolitta: più gag normali, più allungamenti di brodo, caratterizzazioni meno irriverenti e, in cambio, Castelli può mettere Cico sullo stesso piano di Zagor. Questa storia è l'emblema di tale compromesso: Cico è protagonista fin dal titolo, ed è lui, oltre a darle il via, a chiudere l'avventura. Così, la gag iniziale trova evoluzione e completamento nel finale, in cui l'oggetto della truffa diventa determinante per la risoluzione dell'intreccio (la sostanza succitata permette di estirpare i pesci carnivori dal Darkwood River).
Fra questa e la storia successiva si chiude un primo, piccolo cerchietto nella carriera zagoriana di Castelli (a lui piacciono le chiusure a cerchio, per cui vado sul sicuro). Sì, perchè nella storia successiva Castelli torna momentaneamente alle origini, di nuovo con una storia irriverente. Ma sarà un caso particolare, come si vedrà. La direzione intrapresa in Cico va alla pesca è quella definitiva, e le ultime tre storie saranno le più lunghe e le più epiche: pur con tutta l'ironia possibile, da qui in poi non si scherza più. Anche perchè Nolitta è a fine carriera, e chi lo deve sostituire deve farlo con professionalità


Zagor #177/178 (Zenit #228/229): Il ritorno di Guitar Jim/L'Orchidea Rossa (Castelli/Donatelli)
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L'ultima storia prima dell'ultima storia di Guido Nolitta. A Castelli non pare vero poter sfruttare l'occasione per prendere in giro scherzosamente l'amico editore, come già fa nella vita di tutti i giorni, anche nel fumetto.
Una di quelle prese in giro di cui poi Castelli, per qualche motivo, si vergogna: lui stesso ha dichiarato Il ritorno di Guitar Jim la più brutta storia di Zagor.

Quindi, sì, Castelli ha all'attivo ben tre "storie più brutte" di Zagor :P .

E allora poniamoci per la terza volta questa domanda: è davvero così brutta? Stando ai fan zagoriani, il personaggio di Guitar Jim (protagonista, fra l'altro, del #100) ne esce irrimediabilmente rovinato. Lui, chitarrista scapestrato, diventa qui un fidanzatino sdolcinato. Mah. Piuttosto la mia critica è un'altra, e cioè che la trama è piuttosto labile e sfilacciata nonchè piuttosto noiosetta nella parte centrale. Il fatto è che è tutto un pretesto per far fare brutta figura a Zagor, il quale pare che provi antipatia per tutti coloro che gli tengono testa. Lo stesso accadrà, infatti, anche nel Ritorno di Supermike.
Comprensibile antipatia/diffidenza verso chi si professa buono o semplice scherzo a Bonelli e ai suoi lettori? Se Castelli ragiona come penso io, entrambe le ipotesi sono valide.
Quel che è certo è che, anche qui, in qualche modo, il Nostro professa la sua preferenza verso Cico. Il quale, per la prima volta, non è vittima di bizzarre truffe e non dà il 'la' alle vicende, ma, in compenso, le chiude, risolvendo (al contrario di Zagor) il giallo con ribaltone architettato per tenere in piedi il plot.

Da segnalare il pizzico di continuity inserito a sorpresa negli incubi di Cico, nei quali il pancione è minacciato da Rakosi. Un preludio di Castelli a sè stesso, che rende questa storia ancora più particolare.


Zagor #186/187/188/189 (Zenith #237/238/239/240): Il popolo della notte/Il ritorno del vampiro/Il regno delle tenebre/L'orrendo contagio (Castelli/Ferri)
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E ci siamo. Nolitta ha abbandonato la scrittura diretta col #182 e a dare manforte al traghettatore Sclavi ci pensano Pezzin e Castelli. Il terzo, l'unico dei tre con all'attivo una certa esperienza zagoriana, decide di fare sul serio e, spinto da quella costante sfida a sè stesso che lo porta a volersi migliorare sempre, prende un classico nolittiano molto amato dai lettori (Angoscia!, #85/86/87) e lo "aggiusta" secondo la sua personale sensibilità. Sì, perchè Angoscia!, la famosa storia di Zagor contro il vampiro Rakosi, era praticamente la versione zagoriana di Dracula e Nosferatu. Ferri aveva disegnato alcune sequenze suggestive e la storia era piacevole ancorchè piuttosto banalotta, seguiva pari pari libro e film. Castelli riprende quasi al completo il cast e il setting di quella storia, abbonda con morti e sequenze orrorifiche e arriva addirittura a vampirizzare un intero paese. Secondo Priarone, quest'ultima è una citazione a Salem's Lot ed è la prima citazione popolare italiana ad un'opera di Stephen King. Io ho letto pochissimo di King, per cui non sono in grado di confermare, ma la segnalazione di Priarone torna con l'impressione che ho io della storia. Ovvero credo che Il popolo della notte non sia altro che un aggiornamento del mito del vampiro al tempo corrente (1980/1), mentre con Nolitta era ancora relegato a vecchie interpretazioni. Oggi che i vampiri infestano telefilm e fumetti d'ogni tipo e passano più tempo a fare sesso che a mordere colli anche questa lunga storia appare un po' polverosa, ma tuttavia conserva ancora alcuni aspetti degni di nota. Innanzitutto Ferri disegna anche qui alcune sequenze piuttosto suggestive, suggestioni che Castelli stesso è molto bravo a creare, rallentando all'uopo il ritmo quando serve (è una delle sue carte vincenti, dovuta all'essersi nutrito di classici del fantastico). Ci sono poi degli elementi "forti", come la bambina vampira o il servo di rakosi impalato nella grotta, che Ferri rende con un'espressività degna di menzione.

Nel costruire un'epicata simile Castelli calca un po' la mano e nel finale compie quella che per gli zagoriani puri è una vera e propria eresia: non sono, infatti, Zagor e Cico a sconfiggere Rakosi, bensì uno dei comprimari della storia. Anzi, nello scontro finale fra Zagor e Rakosi il primo è in netta difficoltà. Cico, invece, ha il suo momento di "gloria" nel consueto incipit: ma la solita macchinazione cichiana che dà il via all'avventura viene anch'essa portata all'ennesima potenza: è Cico, infatti, a procurare il sangue di Zagor necessario per il ritorno in vita di Rakosi. Lo fa inconsapevolmente, ma stavolta i guai che porta sono più minacciosi che mai. Il percorso narrativo di Castelli giunge, in un certo senso, a compimento.
O quasi.


Zagor #205/206/207/208/209 (Zenith #256/257/258/259/260): Il grande complotto/La torre di pietra/La maschera dell'odio/Gli aguzzini/Il grande inganno (Castelli/Donatelli)
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Il Tessitore, un figuro incappucciato di cui nessuno conosce l'identità, dirige una invisibile organizzazione decisa a portare il caos negli Stati Uniti dopo aver minato gli equilibri politici europei. Per farlo, si avvale della compiacenza dei potenti e, per procurarsi denaro, si serve di delinquenti comuni (rigorosamente selezionati) incaricati di compiere rapine a martello, così da generare ulteriore malcontento verso le forze dell'ordine e i politicanti che ancora non hanno ceduto.
La P2, la Massoneria, i "Poteri Forti"... forse il nemico più forte mai affrontato da Zagor. Un nemico che nemmeno lo Spirito con la Scure può sconfiggere: il Tessitore fugge, a fine storia, e la sua identità non viene rivelata. Non può. Non può essere rivelata oggi, figuriamoci nel 1982. Pochi mesi prima dell'uscita di questa storia, aveva debuttato nelle edicole Martin Mystère, il fumetto definitivo di Castelli, il cui primo numero si intitolava "Gli Uomini in Nero", la migliore metafora dei poteri forti mai esistita sulla piazza. Nemmeno Martin, con tutte le conoscenze di cui è a disposizione, avrà la meglio sull'oligarchia che controlla il pianeta. Si capisce come le possibilità di Zagor e Cico siano ancora più ridotte.
Eppure i due non si arrendono, mai, in questa lunghissima storia (la più lunga delle storie zagoriane di Castelli), e arrivano persino a farsi incarcerare e a farsi assoldare dal Tessitore (giacchè un nemico così subdolo si può sconfiggere solo dall'interno).

E', questa, una storia che rappresenta l'apice della parabola castelliana zagoriana e in cui tutti gli elementi visti nelle storie precedenti trovano la propria ragion d'essere, completandosi a vicenda e dando vita ad una lunga avventura, somma di tante piccole avventure (come la vita, come l'organizzazione del Tessitore), che è al contempo profondamente zagoriana e profondamente castelliana.
La sfiducia di Castelli e l'ottimismo di Zagor. Un "Male" indistinguibile dal "Bene" e due eroi tutti d'un pezzo. Un dualismo dietro l'altro, come in una matrioska, e di cui il rapporto Zagor-Cico è l'esempio più piccolo, ma significativo. I due si completano alla perfezione, si salvano a vicenda, si spalleggiano l'un l'altro, l'uno carica l'altro quando quello è a pezzi (sia fisicamente che moralmente); e se tutto questo per Zagor è un ritorno alla normale configurazione nolittiana (ma fatto da Castelli equivale ad una promozione), per Cico rappresenta l'apoteosi. Così che il ventrillo con cui Cico si spaccia maldestramente per ventriloquo, ma con il quale anche il Tessitore dà voce al fantoccio con cui si mostra in pubblico, apre e chiude un cerchio perfetto, in cui ogni elemento, anche il più semplice, è dosato alla perfezione al fine di migliorare il migliorabile e dare l'idea di un'avventura definitiva (rientra in quest'ottica anche il debutto, in un fumetto popolare italiano, dei ninja).

p.s.: vent'anni più tardi, Burattini ripescherà il Tessitore rivelandone l'identità (pur mantenendosi un po' sul vago) in una storia che banalizzerà il personaggio (Zagor #459/460/461).


Zagor #226/227/228/229 (Zenith #277/278/279/280): Il ritorno di Supermike/Il treno fantasma/I diavoli neri/Il volto del nemico (Castelli/Ferri)
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Ma poteva l'irriverente Castelli andarsene con una storia potente come Il grande complotto? Il cerchio, per essere veramente completo, abbisognava di una trollata degna delle prime. Ecco allora Il ritorno di Supermike, seguito di un classico nolittiano (Sulla pista di Union Town, Zagor #122/125) in cui il classico è ribaltato e preso in giro. E il leit motiv è lo stesso del Ritorno di Guitar Jim, ma portato agli estremi. Sì, perchè, se Guitar Jim aveva comunque perso il confronto con Zagor, Supermike lo vince, come dimostra la scelta di questi di non cedere alla tentazione di rubare i lingotti d'oro fulcro della vicenda. Supermike, divenuto fuorilegge con Nolitta, qui si è redento e ha fondato la "Setta dei Penitenti dell'Ultimissima Ora", forma evoluta dello sfottò del boom delle sette già visto nel Mistero di Tampa Town. I tre, però, si trovano invischiati in un mistero a base di treni scomparsi con il loro succitato carico di lingotti d'oro (la trama dovrebbe richiamare Topolino e il fantasma di Monte Cannibale, ma non ne sono sicuro).

E Castelli se ne va così, sogghignando mentre lascia Zagor con l'amaro in bocca (era convintissimo che Supermike non fosse davvero diventato buono e che mirasse all'oro) e inacidito dai continui sfottò del rivale, il quale, alla fine, si dimostra rispettoso dell'avversario, ma assolutamente il 'migliore' in tutto.

E' il 1984. Per il Buon Vecchio Zio Alfredo non c'è altro da aggiungere.


Postilla: Martin Mystère #242/243: La scure incantata/L'astronave degli esseri perduti (Castelli/Devescovi)
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Nel 2001 Zagor compie quarant'anni. Nel 2002 Martin Mystère ne compie la metà. Castelli festeggia entrambi in un insolito e gustoso team-up in cui Martin indaga su una misteriosa scure che non manca mai il bersaglio (presa in giro dell'infallibilità di Zagor). Purtroppo Sergio Bonelli non ama i team-up e mette i bastoni fra le ruote costringendo Castelli a trasformare lo Spirito con la Scure che compare nella storia in un altro Spirito con la Scure. Nasce così Za-Te-Nay (senza "Gor"), ma l'idea di Castelli, anzichè affossarsi, migliora.
Quel che ne viene fuori è infatti uno strepitoso omaggio in cui la poeticità e l'epicità zagoriana rimangono inalterate, mentre gli aspetti sempliciotti del personaggio vengono 'corretti' dal razionalismo mysteriano. Così lo stile antiquato, l'ineffabilità del personaggio, le trovate fantasiose e stereotipate trovano giustificazione nell'equazione albi di Zagor=dime novels, dispense popolari pubblicate a partire dalla metà del 19° secolo (materia di cui Castelli è realmente studioso ed esperto). Za-Te-Nay diventa così il personaggio "storico" su cui è modellato il personaggio di fantasia Zagor, mentre il suo biografo ufficiale, il sarcastico truffatore (e fanfarone) Pancho, passa alla storia come Cico (e ha il suo corrispettivo in Bonelli/Nolitta).
Tutta la vicenda è goduriosa perchè piuttosto importante per la continuity di Martin Mystère, e soprattutto perchè si percepisce al volo il divertimento di Castelli nello scriverla. Sono presenti citazioni di tutte le 9 storie elencate sopra, con l'aggiunta di un richiamo a quella che è veramente l'avventura definitiva di Zagor: Incubi!, scritta nel 1988 da Tiziano Sclavi. In quella storia il Bene e il Male si confrontavano per l'ultima volta, impersonificati rispettivamente da Zagor e dalla sua nemesi Hellingen, ed entrambi morivano per poi rinascere a nuova vita (metafora del ciclo vita-morte, dell'inestricabilità fra Bene e Male e dell'eternità dei due personaggi). Castelli recupera tutta la suggestione sclaviana e la inserisce nel contesto realistico da lui creato. Hellingen diventa qui il professor Virus, versione verosimile del "Mago della foresta morta" di Pedrocchi, che fu davvero l'ispiratore dell'Hellingen nolittiano (notare come tutto torni); Virus, oltre che come scienziato dalle avanzate conoscenze, è qui presentato come un genius loci che ciclicamente ritorna sulla Terra per salvarla, e che nel 1857 viene combattuto da Za-Te-Nay, un 'mountain man' zoticone, ma di saldi principi, deciso a combattere il "Male" (o almeno quello che lui ritiene tale). Ritorna dunque la presa in giro del personaggio e della relativa testata, ma l'immortalità, sia simbolica (Za-Te-Nay e Virus si uccidono a vicenda e "vengono assunti in cielo") che materiale (Za-Te-Nay passa alla Storia come personaggio di finzione e Virus è un'entità), che Castelli concede fa capire come la presa in giro, da parte sua, sia sempre e comunque affettuosa.

Alcuni aspetti della storia sono rimasti aperti, come l'identità di "Virus" e il breve viaggio nel tempo di Za-Te-Nay nel 2002. Io, che come Za-Te-Nay ho visioni del futuro, posso annunciare che, dieci anni dopo, nel 2012, uscirà un seguito di questa storia. Nel 2011 Zagor ha compiuto cinquant'anni. Nel 2012 Martin Mystère ne ha compiuti trenta. Perchè rinunciare a una doppia festa?


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Re: Bonelli: Zagor

Inviato: domenica 01 luglio 2012, 18:27
da max brody
Retrospettiva: Lo Zagor di Guido Nolitta. Selezione di classici nolittiani

Zagor #1/2 (Zenith #52/53): Zagor aka La foresta degli agguati(pagg.3-28)-La cattura di Zagor(pagg.29-56)-La roccia sul fiume(pagg.57-83)-Beffa alla morte(pagg.83-110)-Tradimento!(pagg.110-131)/Terrore(pagg.3-26) (Nolitta/Ferri)
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Zagor nasce come striscia nella Collana Lampo. E' il giugno 1961. Nel luglio 1965 le strisce vengono raccolte in albi a partire dal #52 della Collana Zenith, che ancora oggi ospita le storie (inedite) dello Spirito con la Scure.

Gli albi mantengono al loro interno i titoletti degli albetti a striscia, così si può dedurre come la prima storia di Zagor sia stata pubblicata sugli albetti Lampo 1°serie #1-2-3-4-5-8 (ma credo che, nella ristampa, il titolo Terrore del #8 sia stato anticipato).

Ho già scritto come a me lo stile puro di Zagor non piaccia tantissimo. Eppure non posso evitare di considerare la prima storia di Nolitta e Ferri un'ottima storia. Risentono chiaramente del tempo che passa il lettering, la grafica, alcuni stereotipi. Nel complesso, però, non è affatto male, anzi, grazie alla sceneggiatura cinematografica scorre abbastanza piacevolmente. Tant'è che solamente nella sequenza all'interno di Fort Henry ho mostrato cenni di sbadiglio, ma a quel punto ero già verso la fine.

Da notare Cico che si fa chiamare Don Cico (Cayetano ecc.), lol, e il suicidio dell'indiano Kanoxen, elemento che fa chiudere la storia con una nota amara.


Zagor #11/12 (Zenith #62/63): L'isola della paura aka L'uragano!(pagg.62-86)-L'isola della paura(pagg.86-110)-Il mostro di acciaio(pagg.111-130)/Sulle orme di Titan(pagg.3-32)-La locanda del lupo*(pagg.32-57*) [*la trama si esaurisce a pag.40; le pagg.40-57 si occupano di altro (vedi titolo)] (Nolitta/Ferri)
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Originariamente edita sugli albi a striscia della Collana Lampo 2°serie dal #16 alle prime strisce del #20 nel 1963 (e ristampata nel 2008 nell'Oscar Mondadori Lo Spirito con la Scure), questa famosissima storia vede il debutto del prof. Hellingen, scienziato deriso dalla comunità scientifica e votato al male. Su un'isoletta in mezzo al lago Erie vive una tribù di Ottawa, soggiogata da Hellingen e dai suoi sgherri, giunti pochi mesi prima e insediatisi con le cattive: il luogo, riparato da occhi indiscreti, è una perfetta sede per il laboratorio nel quale viene progettato e costruito Titan, minaccioso robottone gigante. Il quale alla fine pare quasi "suicidarsi" di sua sponte, come se possedesse una propria autonomia. In realtà semplicemente va in tilt, oppure è Zagor a manovrarlo, ma Nolitta fa sì che rimanga quell'alone di ambiguità necessario a creare un'atmosfera leggermente trasognante.
Perchè è interessante notare come Zagor e Cico avrebbero dovuto essere in realtà impegnati in tutt'altre faccende, citate all'inizio della storia e riprese soltanto a metà dell'albetto #20, e come la vicenda di Titan e lo scontro con Hellingen siano dovute ad una deviazione fortuita, causata dal naufragio dei due eroi sull'isola. Come se Nolitta avesse considerato la fantasia sbrigliata che pervade questa storia un incidente di percorso, una sorta di "sogno", un unicum. Com'è noto, non sarà così: il lato fantastico della serie prenderà il sopravvento su quello eastern e proprio Hellingen ne diventerà l'emblema più famoso e rappresentativo.

Da sottolineare anche la gag di Cico posta ad inizio storia, in cui il messicano viene truffato al gioco delle tre carte. Lo spunto si evolverà in tormentone e deus ex-machina nelle storie di Castelli.

Questa prima apparizione di Hellingen sarà la più famosa assieme alla quarta (fra quelle nolittiane) e alle successive ("apocrife"). Entrerà nell'immaginario collettivo dei ragazzini di allora, fra i quali Tiziano Sclavi, il quale, oltre a ripescare sia lo scienziato che il robottone nella sua definitiva Incubi!, citerà la storia anche in Dylan Dog #120 (Abyss, dedicato al Titanic), in cui Dylan nota su una bancarella la copertina di Zagor #12.


Zagor #39/40/41 (Zenith #90/91/92): Odio!/Lo spettro del passato/Vittoria! (Nolitta/Donatelli)
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La prima storia prodotta appositamente per lo Zagor 'formato Bonelli' è la seconda apparizione di Hellingen. Lo scienziato, scampato all'incendio di Sulle orme di Titan, ma rimasto sfigurato, fa la sua rentrèè esplicita nel #40. Nella prima parte della storia, invece, compare mascherato da un altro personaggio: Nolitta sceglie infatti di dosare la sorpresa preparando con calma il terreno, e praticamente il #39 è un lungo, enorme prologo (di cui la prima metà è occupata da una lunga serie di gag cichiane per nulla attinenti agli eventi successivi) in cui vengono disseminati elementi che saranno ribaltati dalle rivelazioni successive. Hellingen comunque torna, deciso a riattivare Titan, ancora giacente sul fondo del lago Erie ove si era "suicidato" nella storia precedente; per farlo si avvale di Zagor, ipnotizzato con un siero e spedito in abiti da palombaro a riparare il robottone. Così paradossalmente è l'eroe a riportare sulla scena la minaccia. E il titolo Lo spettro del passato assume un quadruplo significato. E' Titan, che lentamente si "risveglia", si alza e cammina sul fondo del lago. E' Hellingen, nascosto dalla maschera. E' lo "Squalus", il sottomarino di Hellingen che, come il "Nautilus" del Capitano Nemo, scivola appena sotto le acque. Ma è anche Fishleg, così simile all'Achab di Melville da sembrare il suo fantasma. E proprio qui il capitano con la gamba di osso di balena fa il suo debutto.

Tutto si risolve ovviamente per il meglio. Hellingen muore trafitto da una fiocina e Titan salta per aria senza mai uscire dal lago. La storia, del 1968, si rivela così un po' datata, ma comunque ben scritta. L'utilizzo di didascalie atte a rallentare la percezione dell'azione si rivela saggio e ben dosato. Tuttavia, seppur tecnicamente ineccepibile, questa storia oggi sa un po' di banalotto ed è meno suggestiva della precedente.


Zagor #55/56 (Zenith #106/107): Zagor racconta.../Il re di Darkwood aka Zagor racconta...(pagg.5-31)-Il demone della vendetta(pagg.32-59)-Vento di morte(pagg.59-86)-L'orribile verità(pagg.86-100/5-17)-Zagor entra in scena(pagg-17-70) (Nolitta/Ferri)
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Pubblicata in prima battuta su Collana Lampo IV serie #62/66 (o 67) nell'estate del 1969 e ristampata nel Gennaio 1970 su Zenith #106/107 (nonchè nell'Oscar Mondadori Lo Spirito con la Scure, 2008), Zagor racconta... è una storia fondamentale per la continuity zagoriana. Nolitta si rende conto che se Zagor è, in un certo senso, una sorta di supereroe ante litteram, a fine anni '60 occorre dargli qualche superproblema. Ecco allora che questo eroe tutto d'un pezzo e dai saldi principi si scopre nascondere un passato di cui andare poco fieri. A suggellare il tono della storia diverso dal solito, Nolitta fa scrosciare un impetuoso temporale su Darkwood; Cico, annoiato, trova un ritratto dei genitori di Zagor e si fa raccontare dallo Spirito con la Scure il di lui passato. Comincia così una lunga serie di flashback che spaziano dall'infanzia del giovane morettino assieme ai genitori trappers, i quali appaiono agli occhi del bimbo come persone buone e portatrici di pace fra coloni e tribù indiane. In questo periodo il giovine impara l'arte della mediazione e vari dialetti autoctoni e si diverte un mondo. Finchè il bieco Salomon Kinsky non assedia i nostri dentro la loro capanna, dandole fuoco e lasciando orfano il futuro eroe, salvato da un trapper di passaggio, Nathaniel Fitzgeraldson aka 'Wandering Fitzy'. Con lui il piccolo Zagor si fa uomo, impara a tirar di scure e apprende e valorizza i suoi saldi principi di lealtà, tolleranza e rispetto. Wandering Fitzy è un gran personaggio: ex commerciante di stoffe a Boston, si è stufato del tran tran quotidiano e si è rifugiato nei boschi, diventando una via di mezzo fra un poeta, un filosofo, un esploratore e un cacciatore. Una versione primordiale di Mister No, insomma, contraltare cartaceo di Nolitta. E' una storia che Nolitta sente molto, questa, e non è un caso che si tratti di un racconto di formazione dai toni piuttosto disneyani. Il periodo di pace, impercettibilmente ma costantemente turbato dal desiderio di vendetta del giovane protagonista, a questo punto non può che giungere ad un climax negativo, nel quale Zagor (che non è ancora Zagor) scova finalmente Salomon Kinsky, ora pastore di uomini, e gli massacra la comunità di indiani convertiti al cristianesimo, per poi scoprire che la vendetta a lungo cercata e finalmente consumata non ha colmato nulla. Anzi, la scoperta del passato di sterminatore del padre aumenta il suo senso di colpa. Morto Kinsky e morto anche Fitzy, colpito mentre salvava il giovane, il futuro Zagor rimane solo e, divenuto metaforicamente (fisicamente lo era già) uomo, può farsi una vita sua. Nel secondo albo Nolitta cambia dunque setting e casting e racconta la nascita della leggenda dello Spirito con la Scure (in dialetto algonchino Za-Gor-Te-Nay), soprannome suggerito al ragazzo dalla famiglia di circensi Sullivan. I quali completano l'addestramento di Zagor fornendogli il costume, insegnandoli qualche mossa d'effetto e alcuni trucchi con cui apparire mito agli indiani zoticoni. Quest'ultimo punto è molto interessante - in quanto conferisce a Zagor un'aura cialtronesca insolita per un protagonista vecchio stile - e viene raccontato più volte in storie successive, ma l'archetipo viene posto qui. Sorto il mito nel passato, sorge il sole nel presente: il racconto finisce e Zagor e Cico sono pronti per nuove, entusiasmanti avventure.

Da segnalare che ad inizio racconto Zagor evita di rivelare il suo vero nome, mentre in L'orribile verità Kinsky rivela esplicitamente il nome del padre, Mike Wilding e, di riflesso, il suo cognome. Probabilmente al tempo delle strisce Nolitta ha improvvisato o ha cambiato idea e si è dimenticato di correggere l'incipit. Il suo nome completo, Patrick Wilding, sarà rivelato soltanto nel 1995 (nello Speciale #7).


Zagor #62/63/64/65 (Zenith #113/114/115/116): Verso il Maine(pagg.49-63)-Port Whale(pagg.64-100)/Sfida dall'ignoto aka Verso l'ignoto(pagg.5-21)-La vela quadrata(pagg.22-48)-Wineland!(pagg.48-75)-I wikinghi(pagg-75-100)/Ramath il fakiro aka Lo schiavo di Guthrum-Ramath il fakiro(pagg.5-59)-Notte tragica(pagg.60-87)-Uomini coraggiosi(pagg-87-100)/La nave pirata aka La nave pirata(pagg.5-45)-L'ultima impresa(pagg.45-55) (Nolitta/Ferri-Donatelli)
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La penultima storia pubblicata sulla Collana Lampo IV serie (#77/88) è una storia di ritorni ed esordi. Fishleg (v. Odio!) coinvolge Zagor e Cico in una spedizione nel Maine alla ricerca di baleniere rapinate e sparite. Fra i membri della sua ciurma fa la sua prima apparizione il polinesiano fachiro Ramath, dotato di alcuni poteri sovrannaturali che fungeranno, pagine dopo, da deus ex-machina in grado di mettere in moto gli eventi che porteranno alla salvezza di Zagor e soci, nel frattempo caduti prigionieri del principe vichingo Sigfried e della fetta della sua colonia che gli è fedele (sono loro i rapitori di navi). Per fortuna dei nostri eroi, invece, un'altra parte della colonia vichinga è dalla parte del re Guthrum (discendente di Olaf Erickson e gran bevitore), che qui fa il suo esordio: diventerà anche lui uno dei tanti comprimari buoni della serie.
Da notare come la storia si concluda, in realtà, alla fine dell'albo Ramath il fakiro, quando, sconfitto Sigfried, Guthrum convince il suo popolo a trasferirsi nella più calda Florida. La nave pirata racconta, invece, una scaramuccia in mare con il malnato capitano Humboldt durante la traversata verso - appunto - la Florida.
Nota1: nel corso della vicenda, Cico è costretto a tagliarsi gli storici baffetti. Casualità vuole che l'eretico misfatto sia replicato anche nella storia che segnalo qui sotto.
Nota2: nel corso della vicenda compare anche una nave "Blue Star", che non è la nave protagonista della storia omonima (vedi più sotto).


Zagor #66/67/68 (Zenith #117/118/119): La sirena del circo(pagg.93-100)/Il Re delle Aquile aka Il Re delle Aquile(pagg.5-13)-La belva!(pagg.13-66)-La montagna tragica(pagg.67-100)/Lo spettro! aka Lo spettro!(pagg.5-24)-Dietro la maschera(pagg.25-51)-L'ultimo volo(pagg.51-78) (Nolitta/Ferri)
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Ultima storia creata per la Collana Lampo (IV serie, #89/94). E' la storia in cui esordisce Ben Stevens, scalpato e sfregiato dagli indiani Munsee e divenuto il "Re delle Aquile", vendicativo ammaestratore degli uccelli simbolo degli States. Degno di nota il cliffhanger che chiude il secondo albo, in cui Zagor, novello Prometeo, rischia di essere divorato dalle aquile. Da segnalare pure la gag iniziale in cui Cico si depila e si taglia, nuovamente, gli storici baffetti (che ricresceranno qualche pagina dopo). Qui essa è intitolata La sirena del circo, titolo che non compare sulle covers degli albetti a striscia; posso ipotizzare che compaia all'interno del #89 della Collana Lampo.
Nota: Ben Stevens apparentemente muore, ma in realtà tornerà - e più volte - svariati anni dopo.


Zagor #68/69/70 (Zenith #119/120/121): Avventura a Kingston/I sei della "Blue Star"/Fiamme nella notte (Nolitta/Ferri)
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La Collana Zenith festeggia il suo decennale con una simpatica storia nella quale fa la sua seconda apparizione Digging Bill, cacciatore di tesori cialtrone e disposto quasi a tutto pur di coronorare il suo sogno: trovare un tesoro (uno qualsiasi).
Molto buona la prima metà di questa storia, in cui sei reduci della marina, anziani e un po' rimbambiti, vengono misteriosamente rapiti da un misterioso figuro. Qui Nolitta fa quello che gli riesce meglio, ovvero creare suspense pur senza rinunciare a gag comiche con protagonista Cico. Quando il misterioso figuro si rivela essere Digging Bill la storia prende un'altra direzione: cambia il setting, ora il relitto incagliato della "Blue Star", e l'antagonista, ora i compari spregiudicati di Digging Bill, e la storia si fa più canonica, con Digging Bill che si "redime" e con Zagor che toglie tutti dall'impiccio.
Se non ricordo male, questa storia piace molto a Savini.


Zagor #79/80/81 (Zenith #130/131/132): Uno strano visitatore/Zagor story/La rivolta dei trappers (Nolitta/Bignotti)
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Eddy Rufus scrive e pubblica fantasiose dime novels con protagonista Zagor. Un giorno decide di andare a trovare di persona il suo "personaggio" e passare con lui un po' di tempo onde poter trarre ispirazione per storie future. Dopo giorni di totale ozio, finalmente Rufus ha un paio di occasioni per vedere in azione Zagor e Cico: la prima è una scaramuccia fra tribù indiane che rischia di scoppiare a causa del furto del "totem" (una polena) di una delle due; la seconda è l'identità del misterioso attenatore che ha ucciso uno sciamano (lo stesso coinvolto nel 'caso polena') che aveva intrallazzi con membri dell'esercito.
Nolitta qui si mostra un po' discontinuo. La storia si presenta infatti come comica nella prima parte, drammatica nella seconda e piuttosto cinica nella terza. O, meglio, più che cinica direi quasi isterica, e il ribaltone/colpo di scena finale, che porta a ripensare all'intera storia da un altro punto di vista, è un po' troppo accentuato. Sa quasi di posticcio, sebbene vi sia una logica dietro.


Zagor #84 (Zenith #135): Indian circus (Nolitta/Ferri)
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Primo albo a colori e primo albo completo. Come questo saranno soltanto gli albi centenari e il numero del cinquantennale. La motivazione? Un regalo di Nolitta ai suoi lettori. Il che dice molto sull'uomo e sull'editore. La storia? Piuttosto semplice, in verità. Zagor e Cico affrontano e sconfiggono un collezionista di indiani, proprietario di un circo in cui i 'pezzi' collezionati vengono esposti al pubblico ludibrio. Lo svolgimento? Suggestivo nella prima metà e affrettato nella seconda. La colorazione? Tipica dell'epoca: opaca e involontariamente affascinante.


Zagor #85/86/87 (Zenith #136/137/138): Angoscia!/Zagor contro il vampiro/Alba tragica (Nolitta/Ferri)
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Ho già scritto del seguito di questa storia, Il popolo della notte di Castelli. Ho scritto di come quel seguito sia quasi una versione allargata, più orrorifica e moderna di questo classico nolittiano (uno dei più amati dai suoi lettori). Ebbene, fra le due io preferisco questa. Più comica, ma ugualmente interessante soprattutto nella prima parte, un lungo prologo che diventa un sottile ed inquietante climax (non per niente si intitola Angoscia!), poi sciolto nel secondo albo e ricreato in vista dello scontro finale nel terzo.
Nota: la storia è stata ristampata anche nell'Oscar Mondadori Zagor contro il vampiro, assieme a Dharma la strega (vedere più sotto).


Zagor #87/88/89 (Zenith #138/139/140): Una impresa disperata/Odissea Americana/La nebbia infernale (Nolitta/Ferri)
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Un altro classico nolittiano amato dai suoi lettori e divenuto piuttosto famoso, al punto da comparire anche nei Classici di Repubblica (Serie Oro). Assunti da Homerus Bannington Junior, deciso a comporre un poema epico sulla falsa riga dell'"Odissea", Zagor e Cico si imbarcano in un viaggio fluviale fino in Alabama. Un viaggio in cui, come in quello che vide protagonista Ulisse, ne capitano di tutti i colori. Tre le vicende su cui Nolitta si sofferma: la prima vede Zagor liberare i suoi compagni di viaggio dalle grinfie di una tribù di scimmie intelligenti, in un mix fra Pianeta della scimmie, Libro della giungla, Tarzan e Conan (personaggio, quest'ultimo, di cui Bonelli rifiutò la pubblicazione); nella seconda l'equipaggio dell'Athena (così si chiama l'imbarcazione) si imbatte in una pioggia di lapilli proveniente da un vulcano in eruzione contornato da strani cilindri di pietra che, come pistoni, si innalzano e abbassano di continuo; nella terza, dopo una lunga traversata in un canyon sotto il sole cocente, il gruppo si ritrova avvolto da una nebbia che provoca allucinazioni (Zagor vede i suoi genitori). Non è difficile, nelle tre vicende, cogliere qualche riferimento agli episodi omerici di Circe, Polifemo e sirene.
Alla fine, i superstiti (stremati) dell'equipaggio (decimato) vengono accolti in un fortino in Alabama, con Homerus Bannington Jr che abbandona l'epica e si dà alla pubblicità. Zagor e Cico, in trasferta da un mese, devono tornare a Darkwood. Ci impiegheranno quasi due anni. Inizia qui, infatti, l'"odissea americana" dei due, la prima, storica trasferta zagoriana, che si concluderà con il #107.
Nota: in realtà è la seconda trasferta zagoriana, ma la prima è poco epica e poco trasferta.


Zagor #100 (Zenith #151): Il mio amico "Guitar" Jim (Nolitta/Ferri)
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Ancora in piena "Odissea Americana", Zagor e Cico sono arrivati fino a Galveston, cittadina del Texas affacciata sul Golfo del Messico. Quivi reincontrano Guitar Jim, dai quali vengono traditi. Jim ha infatti accettato di partecipare ad una strafexpedition guidata da Julio Ordonez, incaricato dal Governatore dell'Oklahoma Ignacio Vargas di eliminare Marco Medina, complice, ora ravvedutosi, di Vargas ai tempi in cui questi era un bandito. Zagor, incazzato come una bestia per il tradimento, insegue la spedizione e si unisce ad essa dopo aver preso a sonanti scazzottate Guitar Jim. Quando viene a conoscenza delle reali intenzioni di Ordonez, Zagor si ribella, e, messo alle strette, viene salvato proprio da Guitar Jim.
Per il #100, Nolitta sceglie di raccontare una canonica e scorrevole storia di amicizia. L'ambientazione, quella tipica di Tex, si può interpretare anche come un omaggio ad Aquila della Notte.


Zagor #101/102/103 (Zenith #152/153/154): Tragico carnevale/I ribelli della Louisiana/I congiurati (Nolitta/Donatelli)
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Nient'affatto ingenua o vetusta, questa storia. Zagor e Cico, partiti da Galveston, arrivano a New Orleans. Quivi affrontano i "Pirati del fiume", movimento secessionista clandestino che mira a creare una città-stato francese in Louisiana. Interessante la riflessione sulla stratificata, classista e razzista società americana dell'epoca, non troppo dissimile da quella degli anni '70 del '900 (e nemmeno da quella odierna, dicono i maligni).
Interessante anche la caratterizzazione insolita che Nolitta dà qui al suo Zagor, fedele come sempre ai suoi principi, ma stavolta più del solito. Anzi, troppo. Al punto che lo Spirito con la Scure si dimostra un classista "au contraire" (l'atmosfera francofona della storia mi ha contagiato) e disprezza con rabbia gli aristocratici francofoni, nonostante questi l'abbiano ospitato nella loro villa, arrivando dunque ad essere rimproverato da un ufficiale dell'esercito suo amico. In effetti questa storia è quasi un gioco di Nolitta, il quale imbastisce non uno bensì due ribaltoni, uno per ciascuna delle due metà della storia. In entrambi i casi Zagor sarà costretto a ricredersi.
I "Pirati del fiume" torneranno nel 2011 in una storia di Paolucci e Perniola.


Zagor #107/108/109 (Zenith #158/159/160): Ritorno a Darkwood/Ora zero!/Minaccia dallo spazio (Nolitta/Donatelli)
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Terminata la lunga "odissea americana", Zagor e Cico tornano a Darkwood. Ma non c'è più nessuno, indiani e trappers se ne sono andati. Colpa del colonnello Kraizer, nuovo comandante di Fort Bravery, che ha sfrattato i trappers, e di alcuni fulmini artificiali, che hanno distrutto i campi di alcune tribù indiane. Zagor, Cico e l'amico Tonka, l'unico autoctono rimasto, indagano. Chi ha scatenato le artificiose procelle? E perchè molti soldati brancolano per Darkwood con indosso strane cinture? Semplice: dietro a tutto c'è lui, il malvagio genio del male, non ucciso ma soltanto ferito dall'arpione di Fishleg in Odio!. Ritorno per ritorno, Nolitta ripesca Hellingen, più cattivo e pazzoide di prima, ma anche più caratterizzato. Lo scienziato, stavolta, spiega con chiarezza le sue ragioni: secondo lui, i governi tecnici sono il futuro e i rozzi politicanti che di scienza non sanno nulla sono un passato di cui sbarazzarsi. Motivo per cui questo Mario Monti elevato al quadrato (ma che si comporta come Maroni) ha perfezionato un sistema missilistico telecomandato col quale ricattare il governo federale e annientare chiunque si frapponga fra lui e i suoi piani. Grazie all'alleanza con Kraizer e altri membri dell'esercito, Hellingen è ad un passo dal trionfo e arriva perfino a bombardare Washington e il ministero della difesa. Il Presidente USA (che, in ossequio alla regola non scritta della non verosimiglianza, non assomiglia nè a James Monroe nè a John Quincy Adams nè ad Andrew Jackson) e il Congresso cedono al ricatto, ma uno Zagor imbufalito per le torture ricevute spacca tutto e salva la Patria. Hellingen, ridotto a un cencio e apparentemente decerebrato, viene arrestato. La serenità, gli indiani e i trappers tornano a Darkwood (terzo ritorno) e Zagor e Cico incontrano il ministro e ricevono una medaglia al merito (d'ottone).
Insomma, una storia oggi abbastanza ingenuotta, ma molto importante per la continuity. Se con Burattini e Boselli l'east coast e le sue urbanizzate città sono ormai quasi una costante, ai tempi di Nolitta di rado si toccavano certi ambienti. Un'eccezione quasi indispensabile all'avventura epica che Nolitta ha voluto far vivere ai suoi personaggi.


Zagor #110/111/112 (Zenith #161/162/163): Tre uomini in pericolo/Acque misteriose/La capanna maledetta (Nolitta/Donatelli)
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Zagor e Cico stanno ancora ricostruendo la loro capanna dopo gli eventi della storia precedente, quando il prof.Weiser e altri due scienziati li coinvolgono in una vicenda a base di animali mutanti. A causare le mutazioni è l'acqua del Dark Canal, e fra pesci volanti e canguri col becco Zagor si imbatte anche nel Mostro della Laguna Nera. Nolitta non resiste alla tentazione di omaggiare uno dei suoi film preferiti facendolo scontrare con il suo personaggio. Uno scontro che in realtà è doppio, giacchè i mostri qui sono due. E uno dei due è Weiser.


Zagor #112/113/114/115/116 (Zenith #163/164/165/166/167): La radura delle voci/Messaggi di morte/La marcia della disperazione/La sabbia è rossa!/L'ultima vittima (Nolitta/Ferri-Bignotti)
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Zagor e Cico stanno ancora ricostruendo la capanna, quando si ricordano che devono recarsi all'annuale consiglio di primavera, raduno di tutte le tribù indiane di Darkwood. Lì conoscono Winter Snake, capo della tribù Kiowa che ha disconosciuto l'autorità dello Spirito con la Scure. Winter Snake, in realtà, è imbufalito perchè una carovana di nobili europei pratica per gioco la caccia ai bufali, togliendo carne ai nativi. Zagor prova a risolvere la diatriba raggiungendo la carovana, ma questa non obbedisce e, anzi, con la complicità della guida Memphis Joe, prova ad eliminare Zagor e Cico facendoli divorare dalle formiche rosse. Scaduto il tempo pattuito, Winter Snake assedia la carovana. Zagor, salvatosi grazie a Frida Lang, nipote di uno dei nobili e infatuata dello Spirito con la Scure, è tra due fuochi e di malavoglia si dà da fare per salvare gli arroganti europei.
E' una storia piuttosto cruda, questa, la carovana viene quasi del tutto decimata e molti sono i morti nelle file Kiowa. L'umorismo è presente soltanto all'inizio e soprattutto alla fine, con una divertente gag in cui Zagor e Cico declinano - elegantemente il primo, goffamente il secondo - le proposte di matrimonio rispettivamente di Frida e della racchiona di turno. Disneyanamente, dopo tanti patemi Nolitta regala un lieto fine a tutte le vicende. Ma, caso più unico che raro, abbonda con i sentimenti: i ripetuti baci appassionati fra Zagor e Frida entrano nella Storia proprio per il loro essere uno strappo alla regola.
Nel complesso una storia piacevole.


Zagor #119/120/121/122 (Zenith #170/171/172/173): La rabbia degli Osages/Arrestate Billy Boy!/Il giorno della giustizia/Addio, fratello rosso! (Nolitta/Donatelli)
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E ci siamo. Forse questa storia non è un capolavoro assoluto come sostengono i fan zagoriani, ma di sicuro è una storia con le palle. Nulla di originale: la moglie dell'indiano Wakopa viene uccisa dal fighetto Billy Boy, figlio del proprietario della miniera che dà da mangiare al paesello di turno. Zagor cerca di fare da paciere fra gli indiani sul sentiero di guerra e i cittadini omertosi e corrotti. Una storia cinica e crudele fino allo schifo che, sì, alla fine lascia con lo stomaco martoriato dai vari uppercut assestati nel corso dei tre albi e mezzo.
Pesante, bella, con le palle, da tramandare ai posteri. Ci siamo. Ci siamo proprio.
(E c'è anche "El Bunell" in un inside joke.)
[Nota: nella prima edizione le copertine dei nn.121 e 122 sono state erroneamente invertite; la ristampa TuttoZagor ha corretto l'errore]


Zagor #122/123/124/125 (Zenith #173/174/175/176): Sulla pista di Union Town/L'avventuriero/Zagor contro Supermike/La settima prova (Nolitta/Ferri)
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Subito dopo la tragica avventura precedente, Zagor è costretto ad affrontare un'altra minaccia degna di questo nome. Mike Gordon, deciso a dimostrare a tutti la sua superiorità in tutte le discipline, onde vendicarsi di uno smacco subito dallo Spirito con la Scure, si spaccia per Supermike e mette in crisi l'alone di leggenda di Zagor dinanzi ai suoi amici, e mina così l'equilibrio su cui poggia Darkwood. La minaccia è tosta, ma la storia, a differenza di La rabbia degli Osages, è ironica: con Supermike e la sua frase tipica "super!" Nolitta intende sfottere il mito del supereroe perfettino e imbattibile, da lui detestato. Per questa ragione Supermike riesce sì a mettere in grande difficoltà Zagor, ma fa uso di escamotage d'ogni tipo (anche sleali e illeciti) e, rinunciando a due delle sette sfide preparate per decidere una volta per tutte chi dei due debba essere signore di Darkwood, si rivela anche un vigliacco. E che le due sfide menzionate siano quelle in cui bisogna affrontare un animale non è un caso: Supermike può pure funzionare in altri contesti, ma, secondo Nolitta, il mondo di Zagor è a posto così com'è.
Supermike tornerà, come scritto nel post precedente, in una storia di Castelli (Il ritorno di Supermike, #226/229), il quale, prendendo in giro l'amico Nolitta, ribalterà la prospettiva e renderà Supermike "migliore" di Zagor.


Zagor #129/130/131/132/133 (Zenith #180/181/182/183/184): Follia omicida/Il fantasma di Stone Hill/Kandrax, il mago/La sesta luna (Nolitta/Ferri)
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Non saranno nerd, non saranno morbide e raffinate, non saranno esteticamente ineccepibili, non saranno giovani e appetibili. Certo è che le copertine di Zagor hanno almeno una indiscutibile qualità: sono veramente affascinanti. Le adoro, almeno quanto adoro le copertine di Urania (la collana di fantascienza della Mondadori). Talmente tanto che, solo a guardarle, mi immagino incredibili avventure e mi viene voglia di comprare i libretti che aprono. E il fatto che spesso e volentieri le storie contenute, che siano fumetti di Zagor o romanzi e racconti di Urania, si rivelano essere semplici storielle passatempo, non intacca, per quanto mi riguarda, il valore delle copertine.
Questo è uno dei casi a cui mi riferivo: copertine ammalianti, che promettono grandi cose; storia normale, anzi, abbastanza datata e sempliciotta. Nulla di tremendo, ma è degna di nota più che altro per il debutto del druido celtico Kandrax, risvegliato dal suo sonno eterno e in seguito divenuto regular villain. Si segnala anche la presenza di ben due dei comprimari buoni della serie, il cercatore di tesori Diggin Bill e il detective pasticcione Bat Batterton, che non sono fra quelli che mi divertono di più. Stranamente dimenticato il bacio appassionato fra Zagor e Margie nel finale, che toglie un po' di aura a quelli con la Frida de La marcia della disperazione.
Ah, comunque ok le licenze poetiche, ma una mini Stonehenge negli USA (mai scoperta, peraltro) è proprio assurda. Non so perchè Titan o Rakosi mi suonino probabili e una manciata di dolmen e menhir no: sarò strano io, boh. :P


Zagor #136/137/138 (Zenith #187/188/189): Tigre!/Dharma la strega/L'orrenda magia (Nolitta/Ferri)
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Ristampata anche nell'Oscar Mondadori Zagor contro il vampiro assieme ad Angoscia!, questa storia dimostra che nel mondo di Zagor c'è spazio proprio per tutti. Dopo i celti di Kandrax, ecco l'Uomo Tigre e la magia indiana della strega Dharma, una specie di Nocciola Vildibranda Crapomena (ma cattiva) al servizio del rajah Kubal Singh. I soliti elementi delle storie nolittiane ci sono tutti: un climax graduale che solo dopo molte pagine conduce all'argomento centrale della storia, un cattivo che è puro Male, un cattivo (subalterno del primo) che in realtà è solo tormentato dai sensi di colpa, morti assortite, Cico costantemente affamato e terrorizzato, Zagor che vuole giustizia, eccede nella vendetta e all'ultimo ragiona. Se, però, nella storia di Kandrax tutto questo mi è sembrato forzato (colpa soprattutto del climax graduale, eccessivamente lungo - ben due albi su quattro e mezzo), qui gli ingredienti sono più dosati (la storia è lunga "solo" due albi e mezzo) e c'è spazio pure per un paio di trovate interessanti. Una è il lungo flashback indiano nel quale apprendiamo della trasformazione del cacciatore abusivo William Kellogg nell'ibrido tigre-uomo, e che, di fatto, costituisce una storia nella storia. La seconda trovata è il finale, più drammatico del solito (ove il solito è costituito dalle altre storie appartenenti al filone magico-sovrannaturale-fantastico). Inoltre, believe it or not, un Uomo Tigre mi appare meno assurdo di una Stonehenge americana, ma lì sono io che c'ho le mie cose. Benchè debba ammettere che tutti gli uomini-tigre, a partire da quello giappo, mi appaiono sempre irrimediabilmente buffi. :P


Zagor presenta Cico #1: Cico story (Nolitta/Ferri)
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Nel giugno 1979 esordisce il primo spin-off di casa Bonelli, dedicato alla spalla messicana di Zagor. Per l'occasione nell'incipit dell'albo Nolitta richiama esplicitamente l'inizio di Zagor racconta...: anche in questa occasione, infatti, un acquazzone dà il via alla storia. Bloccati a Darkwood, Zagor inganna il tempo facendosi raccontare da Cico la sua vita precedente il loro incontro. La carrellata inizia a Veracruz, in Messico, ove il piccolo Cico, ultimo di otto fratelli, è sbadatamente abbandonato dai genitori (due poveracci esasperati dal chiasso dei figli). Anni dopo, Cico svolge diverse mansioni in cui combina guai a ripetizione: lustrascarpe, suonatore nel gruppo "i tre [poi due] Gonzales", torero, soldato. Finchè, travestendosi da donna e approfittando di un numero dell'equilibrista Ignazio Marcellini, riesce ad attraversare il confine e ad entrare negli USA. La sua intenzione è andare in Texas... Zagor vuole saperne di più, ma è sorto il sole e Cico vuole mangiare. La storia prosegue nel numero successivo. La collana, infatti, diventa annuale e prosegue, sempre ad opera di Nolitta e Ferri, fino al 1983, per poi riprendere nel 1990 e proseguire fino al 2007 per mano di Burattini (con brevi incursioni di Sclavi e Faraci).


Zagor #170/171/172 (Zenith #221/222/223): Banditi senza volto/Viaggio senza ritorno/L'ultimo vikingo (Nolitta/Segna)
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Lol, bizzarra, la penultima incursione di Nolitta sulla sua testata. Trattasi nientemeno che di una saga nordica in miniatura che ad un certo punto sfocia nell'horror e, nel giro di poche pagine, passa dal dramma al comico senza soluzione di continuità. Re Guthrum e il suo villaggio di coloni vichinghi (già apparsi svariati anni prima), pur essendo loro amici, rapiscono Zagor e Cico e se li portano, ottenuta la loro approvazione, in un viaggio alla ricerca di "Nova Vita", un'altra colonia vichinga di cui mormorano certe leggende e che parrebbe essere una specie di paradiso in Terra. Zagor ha una sensazione di pericolo imminente per tutto il viaggio, e infatti, come nelle saghe mitologiche "vere", ne accadono di tutti i colori. In particolare, creature d'ogni forma e dimensione (ad. es. amebe giganti) attaccano i nostri e ne decimano l'equipaggio. Raggiunta "Nova Vita", ecco la (prevedibile) sòla: la colonia non è affatto un paradiso in Terra, bensì un inferno, in cui i coloni [spoiler]si sono tramutati in mostri[/spoiler]. E questo è imprevedibile: non è da Nolitta usare soluzioni del genere, anche se poi prova a dare una flebilissima spiegazione pseudorazionale. Sterminati tutti gli altri, rimangono solo Zagor, Cico e Guthrum, ultimo vichingo negli USA*. I tre tornano, sconvolti e febbricitanti, in paese. Ripresosi, Zagor scopre che Cico e Guthrum hanno aperto un bar in cui servono specialità nordiche. Ora, se pure si vuole considerare l'atteggiamento di Guthrum come un omaggio alla gente del nord che non si arrende mai, il finale rimane comunque affrettato e, considerati gli eventi accaduti prima, assurdo.
Il tocco horrorifico vecchio stile, invece, potrebbe avere una ragion d'essere nel disegnatore, quel Pini Segna dal tratto calzante a pennello per il genere lovecraftiano.
*Nota: in realtà Guthrum non è l'ultimo vichingo. Ad essere decimata è quella parte della sua colonia che l'aveva seguito nell'impresa. La parte rimanente vive come sempre in Florida.


Zagor presenta Cico #2: American Cico (Nolitta/Ferri)
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Nell'estate 1980, contemporaneamente alla sua ultima storia della serie regolare, Nolitta prosegue a raccontare il passato di Cico. Curiosa la grafica, che vede la narrazione al presente contornata come se si trattasse di un flashforward e il lungo flashbackone narrato in normali vignette quadrate. L'escamotage è semplice: uno sbafatore notturno razzia le provviste della loro capanna, così Zagor e Cico si nascondono e spiano onde svelarne l'identità. Per rimanere svegli, Cico racconta il suo passato ripartendo là da dove s'era interrotto. Travestito da donna e appena varcato il confine, Cico scambia i suoi abiti con quelli di un bandito e finisce involontariamente in prigione. Tempo dopo viene finalmente processato, in una serie di gag simpatiche, e prosciolto. Tornato in libertà, torna a scuola ove impara l'inglese e rimane vittima di episodi di bullismo. Per mantenersi fa consegne a domicilio (ove i domicilii sono di volta in volta più assurdi ed equivoci). Alla fine dell'albo rivela l'intenzione di fare il cow-boy (preannuncio del numero successivo), ma, finita la narrazione, si addormenta. Sonnambulo, Cico si rivela essere lo sbafatore.
Nel complesso, l'albo è, secondo me, più carino del precedente.


Zagor #178/179/180/181/182 (Zenith #229/230/231/232/233): Guai in vista/Hellingen!/Il raggio della morte/Terrore dal sesto pianeta/Magia senza tempo (Nolitta/Ferri-Bignotti)
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E alla fine arrivò la fine. E un nuovo inizio.
Nolitta lascia la serie regolare del suo personaggio di maggior successo (scriverà ancora tre 'Zagor presenta Cico'). Per l'occasione ripesca Hellingen, ancora prigioniero dell'esercito ma rinsavito e trasferito in una stazione meteorologica isolata. Prigioniero? Ovviamente no: Hellingen si è fatto liberare dai suoi nuovi alleati, gli Akkroniani di Akkron, sesto pianeta di Betelgeuse. Insieme mirano a rapire varie tribù indiane da trasformare in schiavi, mummificando all'istante eventuali oppositori.
La storia è un po' l'apoteosi di tutto il filone nolittiano visto sin qui. Inizia come una storia canonica, con una lunga gag di Cico e la presenza di uno dei vari comprimari buffi che compongono il ricco cast della testata, in questo caso il barone Icaro La Plume, da sempre impegnato a costruire macchine volanti che puntualmente precipitano. Ma, per la prima volta, Nolitta va oltre, quasi a voler porre una linea di demarcazione. Due sono gli elementi che compongono questa virtuale linea: Icaro La Plume riesce a volare e la minaccia di Hellingen non arriva al termine di un lungo climax ma è annunciata quasi subito. L'elemento di disturbo, estraneo alle consuetudini della serie, è dato invece dalla presenza aliena (e quindi "aliena" anche metanarrativamente). Sono infatti gli Akkroniani ad abbattere La Plume e ad essere presentati per gradi diventando, così, la minaccia di turno. E nonostante Zagor si ostini per tutta la storia ad avercela con Hellingen, il vero terrore sono questi alieni dall'aspetto simile ai tipici BEM dei film di fantascienza anni '50-'60 tanto cari a Nolitta e dalle caratteristiche vegetoidi che li rendono così insensibilmente inumani (e antesignani degli Evroniani). Roba inconcepibile per uno come Zagor, che difatti può sconfiggerli soltanto con un deus ex-machina, anzi, con un "deus vs machina": sì, perchè la scienza spinta degli Akkroniani può essere sconfitta soltanto dalla magia. Da quella magia senza tempo che è la fantasia. Quella fantasia di cui la serie di Zagor è invincibile portabandiera.
E allora ecco che lo Zagor "eletto" a erede di Rakum, l'eroe armato di freccia e scudo invincibili, è l'eroe del feuilleton, unico capace di sconfiggere la fantasia imbevuta di tecnologia ed effetti speciali che nel 1980 ormai imperversa e irretisce i giovani. Ed ecco che il vecchio Keokuk, custode della magia di Rakum e suo discepolo, è Nolitta, erede e continuatore dell'opera di G.L.Bonelli, che del feuilleton era stato proseguitore ed evolutore. Il giovane Akoto è dunque il generico successore di Nolitta ai testi di Zagor: a lui il compito di continuare a tenere viva la luce, la fiamma, la magia della fantasia.
In tutto questo, una mente fervida e mai doma come quella di Hellingen non può sopportare una nuova prigionia: il suo suicidio nella cabina di teletrasporto akkroniana è l'extrema ratio di chi è condannato, suo malgrado, al raziocinio perpetuo e cerca disperatamente una fuga dalla realtà.

Se sul piano tecnico questa storia è assolutamente datata, su un secondo piano è decisamente densa di significati. Un capolavoro? Ni. Tiziano Sclavi/Akoto, con Incubi!, la sua ultima storia per Zagor, oltre a dare un seguito alle varie vicende di Hellingen e La Plume, amplierà e ridisegnerà a sua immagine tutti i significati, nascosti e non, tramandatigli dal suo predecessore Nolitta.

Nota: alla storia è stato dedicato un intero Oscar Mondadori (Hellingen ritorna!, 2011).


Zagor presenta Cico #5: FantaCico (Nolitta/Ferri)
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1983. Nolitta, dopo aver lasciato Zagor, lascia anche Cico e dice definitivamente addio all'universo da lui creato. Beh, non proprio definitivamente dato che scriverà una manciatina di brevissime storielle negli anni '90, ma quelle saranno fuori canone. Il vero addio è qui, ed è un addio che coinvolge di nuovo lo spazio. La magia della fantasia è affidata ad altri, ma Nolitta, che la conosce bene, vuole concedersi un ultimo sfizio. E quali sono le forme più esplicite in cui incanalare la fantasia? La fantascienza/fantasy alla "Star Wars" e la parodia. Ecco, qui Nolitta mixa le due forme ed ottiene FantaCico: in visita, insieme a Zagor, sul Monte Naatami, teatro degli avvenimenti di Magia senza tempo, Cico viene assalito da un puma e trova rifugio nella cabina di teletrasporto akkroniana. Attivata per errore, la cabina smaterializza il messicano e lo ricompone sul pianeta Babelia, crogiuolo - nomen omen - di ogni razza alienoide e umanoide (c'è persino un angelo!) che la fantasia di un autore come Nolitta può partorire. Attirato lì da tre carbonari, Cico deve uccidere il malvagio Kokodix, dittatore mai visto da nessuno il cui occhio controlla costantemente gli abitanti del pianeta.
L'omaggio-parodia si fa irriverente nel momento in cui si scopre l'identità di Kokodix: [spoiler]un pollo![/spoiler]. Nomen omen anche qui? Chissà. Comunque per Cico non è un problema portare a termine la missione. Tornare a casa, invece, è un altro paio di maniche!
Come il suo "mentore" Nolitta, anche Sclavi farà seguire alla sua ultima storia zagoriana un albo cichiano, il #6 (il numero non è errato: la collana riprenderà soltanto nel 1990), nel quale si riparlerà anche di Babelia. Il doppio cerchio si chiuderà due volte.

Next: Lo Zagor di Giorgio Pezzin.

Re: Bonelli: Zagor

Inviato: lunedì 02 luglio 2012, 18:23
da max brody
Retrospettiva: Lo Zagor di Giorgio Pezzin


Zagor #175/176 (Zenith #226/227): La pista del West/Sierra Blanca (Pezzin/Gamba)
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Un ibrido. Così si presenta lo Zagor di Pezzin. Un ibrido fra la sua esperienza disneyana, l'ormai prossima collaborazione con il Giornalino e la supervisione di Nolitta. La storia in questione sa molto di Capitan Rogers (che debutterà l'anno successivo): Zagor e Cico scortano una carovana di mormoni e la salvano dai banditi e dai cannibali. Le gag di Cico ricordano molto le storie "urbane" con i paperi. Si veda a proposito la Car. Ass. Limited, società di soccorso stradale messa in piedi da Trampy e Cico e finita nel disastro dopo una serie di gag a volte leggermente satiriche.
L'impianto generale, però, cerca in tutti i modi di non uscire dalle linee guida nolittiane, col risultato di scoprirsi qua e là un po' impacciato e forzato (vedasi il finale con la morale spiattellata dal mormone). Per Gamba bei primi piani, meno tutti gli altri. Con tutto il rispetto per il disegnatore scomparso lo scorso Febbraio, disegnata da Cavazzano questa sarebbe stata una storia niente male.


Zagor #183/184 (Zenith #234/235): Sfida al campione/La partita è chiusa (Pezzin/Gamba)
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La seconda incursione pezziniana nella serie è una storia influenzata da Nolitta. A differenza de La pista del West, nella prima parte di Sfida al campione non si avverte la sensazione ibrida di cui ho scritto sopra. Anzi, tutto è molto nolittiano. Talmente nolittiano che ritornano nientemeno che i Sullivan di Zagor racconta..., ora attori teatrali squattrinati e pugili dilettanti. La seconda parte, invece, è piuttosto affrettata e, nella breve sequenza in cui il pugile Rocky, sconfitto da Zagor, cerca vendetta, persino grossolana. Sembra quasi che Nolitta non abbia revisionato. Il finale rimette il tutto in una rassicurante carreggiata, ma la sensazione finale che permane dopo la lettura è quella di aver assistito ad un riempitivo, ad un giochino senza pretese in cui le scazzottate di Zagor, improvvisatosi pugile, fanno da deus ex machina narrativa, meta e non.
Nota: Nel passaggio dalla copertina dell'originale n.183 a quella della sua ristampa è stato eliminato il pubblico sullo sfondo.


Zagor #189/190/191 (Zenith #240/241/242): La Taverna del Lupo/La valle degli spiriti/L'uomo eterno (Pezzin/Gamba)
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La parentesi zagoriana di Pezzin s'interrompe qui, dopo solo tre storie e una sola collaborazione, quella con Francesco Gamba. Perchè? Mah, scarsità d'idee, forse. Oppure poca voglia di svilupparle (scrivere 96 pagine a numero non è come scriverne 10 o 20). Sta di fatto che in tutte e tre le storie qualcosina d'interessante c'è: in La pista del West la questione dei cannibali, in Sfida al campione la parentesi trollona, in La Taverna del Lupo la presenza anacronistica dell'uranio che scatena radiazioni deformanti. Eppure solo nella prima si avverte la voglia e il divertimento di Pezzin. La seconda è già più superficiale, atteggiamento che si può giustificare con l'essere una trollata. Questa terza, invece, vuole essere una storia seria, tosta, ma procede stancamente dall'inizio alla fine.
Gli elementi nolittiani ci sono tutti: la minaccia arriva solo nel secondo albo, Cico ha sempre fame, ecc. Sono mal dosati, però. Hegel Von Axel è un alchimista, ma sembra quasi il clone malriuscito di Hellingen: è sfigurato in volto, ipnotizza gli indiani e gli amici di Zagor per averli sotto il suo controllo, si dimostra scienziato quando imita l'esperimento con l'aquilone di Benjamin Franklin. Eppure è più tonto e più niubbo, si deve alleare con Zagor per trovare la copia del Graal fatta di uranio, materiale di cui ignora le caratteristiche e che scioccamente gli si ritorce contro.
Forse se ne accorgono anche gli stessi Pezzin e Nolitta: il finale quasi posticcio in cui Von Axel viene dichiarato sicuramente vivo è un appiglio per poter "riaggiustare" il personaggio in futuro. In realtà non tornerà più. Anche perchè pare che non dovesse comparire nemmeno qui: sembra che il soggetto originale prevedesse il ritorno di Kandrax.

Next: Lo Zagor di Tiziano Sclavi.

Re: Bonelli: Zagor

Inviato: martedì 03 luglio 2012, 18:21
da max brody
Retrospettiva: Lo Zagor di Tiziano Sclavi

Divenuto redattore Bonelli dopo l'esperienza al Corriere dei Ragazzi, Sclavi piace molto al suo capo, Sergio Bonelli, che ne riconosce (e ammira) le grandi doti umane e professionali: Sclavi è, infatti, padrone di pressochè tutte le tecniche narrative conosciute, che sa mixare in maniera sempre nuova. L'apice della carriera dello sceneggiatore di Broni (è compaesano di Sisti) arriverà, com'è noto, con Dylan Dog. Ma già prima Bonelli ha modo di dargli compiti di una certa responsabilità: gli affiderà, infatti, la gestione della sua creatura, Zagor, e, in seguito, la direzione della rivista Pilot.

Zagor #184/185/186 (Zenith #235/236/237): Strane scomparse/La montagna degli dei (Sclavi/Donatelli)
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Dello Spirito con la Scure Sclavi era già lettore e appassionato. Fedele al suo essere nerd, gli erano piaciute in particolare quelle storie fantasiose, ma vagamente verosimili, come le storie con Titan ed Hellingen, con un po' di continuity, una dose di anacronismo leggermente fantarcheologico e steam-punk, una spruzzata di morale, il Bene che vince sul Male. Chiamato a scrivere il fumetto che prima leggeva soltanto, il Tiz rimane rispettoso e fedele: a sè stesso e alle linee guida di Nolitta.
Fedele a Nolitta perchè lo stile è nolittiano, come si evince soprattutto dai dialoghi. Fedele a sè stesso perchè Strane scomparse è una specie di compendio delle cose sopracitate: sono stranamente scomparsi, come da titolo, tre forzuti personaggi. Come Zagor e Cico scoprono man mano (nolitteseria), essi sono stati rapiti dal dott.Sharky aka Basileo, ovvero "Re" del Nuovo Olimpo e ideatore di dodici nuove fatiche di Ercole. Ecco quindi la trovata fantasiosa (un Monte Olimpo negli USA) dal sapore nolittiano, condita da quel sentore di anacronismo che si avverte nel flashback greco in cui Sharky si reca sull'Olimpo vero e improvvisamente diventa pazzo: lì Sclavi è forse ancora suggestionato da Archivio Zero e dalle sue peterkolosimate. Ed è buffo notare come la continuity sia involontariamente rispettata: come si apprenderà qualche anno dopo in Martin Mystère, il Monte Olimpo è sede di un laboratorio atlantideo dotato, come tutti i laboratori atlantidei, di sistemi di difesa ipnotico-ancestrali. Si spiega così l'interesse per la biogenetica e le manipolazioni al dna animale di Basileo.
Tornando al flashback, il suo essere ambientato lontano dagli USA è già cosa non comunissima nella serie. Lo stesso si può dire delle sequenze oniriche e allucinate che Nolitta aveva utilizzato solo in rarissime occasioni. Ma è giusto: qualcosa deve pur cambiare.
Nonostante tutto questo, è ancora presto per definire come maturo l'approccio sclaviano alla serie. Le didascalie che vogliono rallentare l'azione e generare suspence non hanno lo stesso effetto che hanno, ad esempio, nelle storie di Castelli. E la parte finale, grossomodo quella senza titolo pubblicata nel terzo albo, è piuttosto affrettata: il lettore assiste a solo 6 fatiche su 12 e, anche se vede trionfare la giustizia, si accorge che le cose accadono troppo in fretta.
In tutto questo il disegnatore non aiuta: il cerbero-mastino napoletano di Donatelli è proprio brutto.


Zagor #191/192/193/194 (Zenith #242/243/244/245): Una notte movimentata/I tagliatori di teste/Zagor l'immortale (Sclavi/Donatelli)
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Dopo un'infornata di Castelli e Pezzin, Sclavi diventa il traghettatore definitivo: per un anno intero (e poco più) firmerà tutte le storie della serie regolare, fino al #203 in cui arriverà Toninelli.
E dopo il test costituito dalla storia precedente, Sclavi è effettivamente già pronto per essere considerato erede di Nolitta. Postmoderno fino al midollo, in Una notte movimentata Sclavi prende tutti i clichè nolittiani, ci aggiunge un po' di elementi di alcune storie nolittiane e castelliane che gli sono piaciute, frulla il tutto ed ottiene una storia che non snatura la serie, ma che è già oltre Nolitta.
Una storia che è puro Zagor al 100% e che al contempo è particolare, vista la massiccia dose di sequenze splatter. Una storia con QUATTRO nemici incrociati (con Nolitta si era arrivati al massimo a tre), due interni (l'indiano Akenat che, come Winter Snake in La marcia della disperazione, non riconosce l'autorità dello Spirito con la Scure e i banditi alleati di Harakam), uno "esterno" (i tagliatori di teste amazzonici, omaggio al nolittiano Mister No) e uno che si pone a metà fra i due (Harakam, bianco scalpato vivo - come Ben Stevens - e reso prematuramente vedovo, ora reso folle dal desiderio di vendetta). In mezzo a tutto questo, citazioni a questa o quella storia, a questo o quel comprimario, a questa o quella sequenza famosa. Citazioni sclaviane, attenzione, prive di retorica e portatrici di significato. Così l'uso dei giochi di prestigio (che rimandano a Castelli) si trasforma in omaggio alla serie tutta, e quella che Nolitta aveva chiamato "magia senza tempo" qui diventa macchina narrativa che porta avanti la trama, tutta basata sulla presunta immortalità di Zagor, continuamente ferito a morte (innovazione) e ostinatamente mai domo (conservatorismo). E quella battuta che il protagonista pronuncia verso la fine del terzo albo, Zagor l'immortale, "Ti sbagli, Anamuk! Niente può porre fine alla magia di Zagor!", è autoreferenziale e sincera all'ennesima potenza.
Se fosse un esame di Bonellologia Applicata, questa - comunque buona, se non ottima - storia sarebbe da 10 e lode.


Zagor #194/195/196 (Zenith #245/246/247): Il teschio di fuoco/Il Signore Nero/L'orda del male (Sclavi/Donatelli)
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Un anno prima di Topolino e la spada di ghiaccio, Sclavi scrive un fantasy duro e puro condito da echi lucasiani. C'è tutto, ma proprio tutto quel che prevede una storia del genere: l'eroe (Zagor); la spalla comica e tonta ma involontariamente astuta (Cico); l'eroe occasionale figo e deciso a salvare la sua bella dal cattivo (Galad); la spalla occasionale, unico esponente involontariamente ardimentoso del popolo buono ma pigro (Panko); l'oggetto, perduto, dagli incredibili poteri (il Libro del Tempo); il saggio vegliardo e mago che è messo fuori gioco ma poi salva tutti (Elchin); il cattivo che è puro Male (il Signore Nero); il subalterno del cattivo che è il fratello del vegliardo contaminato dal Male (Mord).
Ovviamente il plot si dipana esattamente come in una storia tipica del filone. Zagor e Cico si imbattono in un misterioso oggetto e finiscono in una dimensione parallela, il regno di Golnor (come in una storia topolinesca ante litteram); lì sono coinvolti in un lungo viaggio alla ricerca di qualcosa e qualcuno, viaggio durante il quale affrontano troll e mostri leggendari e al termine del quale, giunti nel castello del Signore Nero, rischiano di passare al lato oscuro. Per loro fortuna, la luce trionfa sul buio e i residui del malvagio Signore Nero possono essere gettati in un pozzo profondissimo.
Un sollazziano potrebbe oggi trovare questa storia scontata, banalissima, ovvia, tutt'al più decente. Attenzione, però: è del 1981. Non solo la mania del fantasy era mooolto lungi dallo scoppiare, ma nemmeno la tetralogia di De Vita esisteva ancora. Esistevano giusto i pochi capisaldi del genere, che Sclavi dimostra di aver assimilato alla perfezione.
Dal punto di vista grafico, Donatelli è sempre il solito. Ma, come pure nella storia precedente, Sclavi lo aiuta a scardinare un po' la gabbia bonelliana. Tavole montate in american style erano assai rare all'epoca. Sclavi innova sempre un pochino, se non lo fa non è contento. Tanto che nel corso della storia arriva addirittura a far morire Zagor. Eresia! Eppure ripeterà la sconvolgente trovata nella futura Incubi!. Dimostrare l'immortalità del personaggio è un pallino del Tiz.


Zagor #196/197/198 (Zenith #247/248/249): Il mago della pioggia/Thunderman! (Sclavi/Gamba)
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Gamba fa fare un piccolo passo indietro al percorso sclaviano, rendendo più nolittiana e meno disinvolta la storia di turno. I pallini dello sceneggiatore ci sono, però. Per dimostrare l'immortalità di Zagor, Sclavi gli crea un avversario come lui, ma più forte di lui. Prende un uomo qualunque, Alfred Bannister, ladruncolo e assistente di Charles Dickwick m.d.p. (=mago della pioggia), e lo trasforma in Thunderman, l'uomo folgore. Dopo avergli fatto seminare morte, distruzione e incendi (che vanno ad aggravare la siccità già insopportabile) - e qui, stante il titolo della storia precedente, si potrebbe includere anche il fuoco nell'elenco dei tormentoni sclaviani - Thunderman cerca di rigenerarsi ma muore. Mai sfidare la natura, dice Sclavi. Ove per natura si intende di nuovo la "magia" (Thunderman nasce a causa di una pietra elettrostatica di origine ignota), deus ex machina per la terza storia di fila ma stavolta parzialmente demitizzata dalla macchina della pioggia del già citato Dickwick, esempio di quel lato tecnoanacronistico tipico della serie e contraltare del lato metafisico, quest'ultimo forse troppo predominante negli ultimi numeri e addirittura evoluto in fantasy nella storia precedente. Meglio ibridare un po', deve aver pensato Sclavi, e quale miglior esempio di ibrido fantastico-ma-non-troppo di Abraham Merritt? Non è un caso, allora, che un personaggio con lo stesso nome faccia capolino nella storia.
Nota: in passato Nolita ha attribuito la sceneggiatura a Pezzin.


Zagor #198/199 (Zenith #249/250): Lupo Solitario/Il cerchio della vita (Sclavi/Donatelli)
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9 e multipli sono simbolo della fine. E nel #199 si chiude [/i]il cerchio della vita[/i]. Che poi, ovviamente, si riapre. A chi sa qualcosina di Sclavi i due titoli di questa storia dicono già tutto.
Chi non sa sappia che il centro del cerchio è l'odio. Odio atavico, ancestrale. L'odio razziale, fra "bianchi" e "rossi", di cui l'apparente eterna, ma in realtà semplice, sfida fra l'indiano Lupo Solitario e il bandito Warren è solo un esempio circoscritto. Il finale cita Addio, fratello rosso!, ma, a differenza della storia nolittiana, qui c'è il lieto fine. Meglio così: già Nolitta non l'aveva concesso, inoltre per più di un albo anche questa storia è sottilmente angosciante. Ci voleva un po' di calore, almeno alla fine. E' una storia fredda, gelida. Letta in inverno è un capolavoro. Letta d'estate quasi. E' un po' affrettata nella parte finale e alcuni potrebbero trovarla eccessivamente moralista. Sì, forse lo è. Ma, come detto, quando si arriva alla fine viene naturale pretendere che tutto si sistemi. O forse no? L'animo umano è imprevedibile nella sua prevedibilità. Lo sa Sclavi, che per chiudere un primo cerchio manda al diavolo magie, immortalità e tutti i suoi tormentoni, e si concentra sull'assurda follia che ciascuno di noi cova, magari inconsapevolemente, dentro di sè.


Zagor #200 (Zenith #251): Il tesoro maledetto (Sclavi/Ferri)
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Come curatore di testata, è Sclavi a doversi occupare del numero duecento. Lo fa con una storia classica e ribaltona al contempo, in cui la gag introduttiva di Cico è sostituita da un buffo Zagor felice per il ritorno della primavera e dei suoi mille colori, mentre la prima metà della storia, solitamente incentrata su Zagor e la progressiva minaccia di turno, vede all'opera Cico e Digging Bill intenti a cercare, a modo loro, la nave Discovery, affondata un secolo prima e su cui aleggia una sinistra maledizione. Da metà storia la trama si fa canonica: Zagor raggiunge i suoi amici, sconfigge un paio di banditi e insieme al cattivone folle di turno (il cui agognato "sogno" gli si ritorce contro, uccidendolo) sconfigge un po' di horrorifici zombies. In tutto questo, un fattore fondamentale lo gioca la suggestione. E allora il colore non è proprio inutile: pur non ai livelli geniali dei centenari di Martin Mystère, la quadricromia, qui, ha un senso.
Suggestione sclavianissima, comunque: del resto, il galeone con la ciurma zombie anticipa DD #100.
Nota: la storia è stata ristampata - in b/n! - sull'Oscar Mondadori I giorni della paura nel 2009. Nell'albo originale è stata erroneamenta attribuita a Nolitta, errore corretto nella ristampa TuttoZagor.


Zagor #201/202/203 (Zenith #252/253/254): Devil Mask/Il rinnegato bianco/Attacco nella palude (Sclavi/Ferri)
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Ve la ricordate Topolino e il mistero di Macchia Nera? Finiva con un mcguffin sorprendente: sotto quella minacciosa maschera si nascondeva una caricatura di zio Walt! Ecco: nell'ultima storia della sua traghettatura, Sclavi fa una cosa molto simile.
Il Tiz conosce alla perfezione i meccanismi della narrativa seriale, nonchè gli stilemi zagoriani. Non rinuncia a connotare la storia con un po' di splatter e una costruzione della tavola più libera e meno dogmatica, ma nel complesso l'impianto è nolittiano. Alla seconda potenza. Eh, sì, perchè la storia è costituita da due vicende - un albo a testa - flebilmente connesse, ma di fatto separate, che confluiscono nella terza parte. Così in Devil Mask lo Spirito con la Scure affronta e sconfigge il personaggio del titolo, un ennesimo capo tribù che ha disconosciuto l'autorità di Zagor. Ma Devil Mask, per rimbambire il suo popolino, abbisogna di stravizi quali alcol e droghe, che si procura da una associazione a delinquere bianca. Ed ecco che ne Il rinnegato bianco Zagor va in città e sgomina, combattendo omertà e reticenze, la mafia di turno, che si rivela comprendere tutto il paese (e così il titolo ha una doppia valenza). Ma, se il primo albo è un efficiente riassunto del filone "indiano" della serie e il secondo una buona sintesi di quello "urbano", la trama non può certo definirsi conclusa. Tanto più che alcuni incubi apparentemente soprannaturali (Sclavi non può non inserirsi nella storia) tormentano il protagonista. E allora il cerchio non può concludersi che nel suo centro, ovvero a Darkwood, la palude attaccata (vedi titolo) e addirittura penetrata dal nemico, un Devil Mask apparentemente resuscitato. Si spinge in là, Sclavi; ma, fedele a sè stesso, a tanto epicume fa seguire una trollata ai limiti della genialità: come Macchia Nera era la caricatura di Walt, Devil Mask (in realtà il figlio del mafioso cittadino) è... la caricatura di Zagor! Un mulatto, che odia sia gli indiani che i bianchi rinnegati (come è Zagor) e che fisicamente è la copia quasi sputata dello Spirito con la Scure! Il Gott e il Tiz sono proprio due geni della trollata.


Zagor #221/222 (Zenith #272/273): Un uomo nella notte/Il profeta (Sclavi/Segna)
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Ma Sclavi non è Castelli, non poteva andarsene trollando. Due anni dopo, quando ormai è iniziata la gestione Toninelli (che durerà fino ai primi anni '90), lo sceneggiatore bronense torna e ribadisce la posizione già espressa nelle storie precedenti: Zagor è un fumetto immortale. Come lo ribadisce? Con un ribaltone dei suoi, che dimostra una volta di più come egli sia assoluto padrone della materia narrativa. Eh sì, perchè dimostrare l'immortalità di Zagor mettendo in luce i suoi aspetti più scettici e realistici è una bella pensata. Così il lungo scontro a distanza con Paranormus (finto stregone inviato da un bieco imprenditore interessato ai terreni di Darkwood), scontro fatto tutto di illusioni, trucchi e inganni, è un modo come un altro per ricordare che tutti siamo semplici umani, a 'sto mondo. Epperò Zagor lo è un po' di più, e ciò lo rende il migliore.
Da notare, oltre ad un incipit che richiama ed omaggia Asterix e l'indovino (anche il plot è simile), alcune possibili citazioni a Ritorno a Darkwood, la terza storia hellingiana di Nolitta: il missile che distrugge la capanna di Zagor e Cico; Paranormus che impazzisce come Hellingen in quella storia; il "ritorno a Darkwood" di Sclavi, immedesimatosi nel fumetto forse per bilanciare il trasferimento a Pilot e Mister No. D'altronde è bene ricordare a Toninelli che di Akoto non può essercene più d'uno.
Nota: è possibile che la storia sia una giacenza precedente, essendo ambientata esplicitamente d'estate ma pubblicata in inverno (di solito la testata tende a seguire l'anno solare).


Zagor #275/276/277/278/279/280 (Zenith #326/327/328/329/330/331):Incubi/Il demone della follia/Titan risorge!/Il ritorno di Hellingen/Ai confini della realtà/La fine del mondo (Sclavi/Ferri)
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Nel 1988 Dylan Dog è in edicola da due anni, sta per diventare un fenomeno di costume; la vita di Sclavi sta per cambiare. Ma per andare oltre sente il bisogno di tagliare, almeno simbolicamente, con il passato. E' tempo che Akoto muoia. E' tempo che Zagor, saldamente nelle mani di Toninelli e altri giovani autori, tagli il cordone ombelicale e si evolva da mito a semidio. E' tempo che rinasca.
Incubi è la storia definitiva di Zagor. Seguito dichiarato di Magia senza tempo (dalla quale riprende location e cast, compreso Icaro La Plume), in essa ci sono, in verità, tutti gli elementi che ho già descritto nelle varie retrospettive soprastanti. Ma con l'introduzione della divinità Kiki Manito cambia il volto della testata, che osa l'inosabile e si apre a possibili rivoluzioni interne (ci vorrà ancora qualche anno, ma il duo Burattini-Boselli la porterà a termine). E con l'introduzione delle dimensioni parallele l'equilibrio scienza-fede rimane inalterato.
E il piano di Hellingen, che - anticipando di molto il fringiano David Robert Jones - prova a fondere gli universi per crearne uno nuovo, rendendo pazzo lo Spirito con la Scure portandolo prima ad essere ucciso e poi a suicidarsi, e distruggendo tutto quello per cui egli ha combattuto dal '61 in poi, è il piano definitivo. L'ultima, unica, insensata possibilità di rifarsi delle tante frustrazioni subìte. L'extrema ratio di un personaggio portato alla disperazione proprio dall'eccessiva ragione.
Un'ultima sfida in cui non ci sono vincitori nè vinti. Hellingen vince in universo parallelo, Zagor trionfa nel suo. E quando lo scienziato pazzo alla fine si umilia, chiede umanamente pietà e viene rispedito al suo inferno personale, ambiguamente rappresentato come una stazione orbitante nello spazio infinito, scappa la lacrimuccia: anche lui, in qualche modo, ha realizzato il suo sogno.
Raccontata come una fiaba, Incubi è circolare, lineare, spiraliforme.
Epica e commovente.
Un capolavoro.

Nota: anni dopo, Boselli farà una cosa a metà fra il genio e l'eresia nerd: farà tornare Hellingen in maniera razionale pur non intaccando l'aura leggendaria di questa storia.


Zagor presenta Cico #6: Horror Cico (Sclavi/Gamba)
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Nolitta ne aveva di idee per Cico, ma, preso da mille impegni, non era riuscito a realizzarle. Nel 1990, però, una schiera assortita e decisa di sceneggiatori si è ormai formata all'interno della Sergio Bonelli Editore, così la collana tutta dedicata a Cico può ripartire. E lo fa con uno dei primi soggetti pensati da Nolitta, quello di un Cico alle prese con le tematiche orrorifiche più classiche, tutte da sbeffeggiare. E, nel 1990, in pieno fenomeno Dylan Dog, a chi altri affidare quel soggetto, se non a Tiziano Sclavi?
Ed ecco che lo sceneggiatore fa un ulteriore strappo alla regola e fa un'ultima rentrèè nella serie che l'ha lanciato nel panorama bonelliano, cogliendo l'occasione per un ultimo parallelismo col suo predecessore Nolitta. In Horror Cico, infatti, ritornano i tre carbonari di Babelia, dei quali uno è divenuto dittatore e due sono stati costretti alla fuga. Uno di essi, Mexor, è giunto a Darkwood assieme ad un variopinto gruppo di alieni dalle fattezze... mostruose: fra questi, Frank Nstin, Wolf, Dracula (senza dentiera) e il suo scheletrico assistente Igor. Altri se ne aggiungeranno nel finale, quando anche gli altri due "triumviri" di Babelia, spodestati, si teletrasporteranno sulla Terra e riformeranno l'associazione carbonara.
L'umorismo è quello tipico sclaviano, tutto basato su giochi di parole e limerick (ben diverso dall'umorismo nolittiano), di cui se ne erano avvertite delle tracce in Incubi, ma che, a differenza di quanto sostengono i fan zagoriani, soltanto qui è presente in dosi massicce. C'è spazio anche per la moralina-tipo di Sclavi, l'inno alla fantasia, e per una piacevole citazione del celeberrimo frontespizio di Dylan Dog.