Pagina 1 di 1

[L'Osservatorio #2] Il futuro del fumetto Disney

Inviato: mercoledì 02 ottobre 2013, 00:26
da La Redazione
Il futuro del fumetto Disney

Immagine
Scrivere un fumetto Disney può sembrare una cosa facile.
Può anche essere una cosa facile, in realtà: basta farlo senza metterci l’anima e la testa, in fondo, e i personaggi sono così forti e archetipici che con un minimo di capacità linguistica e narrativa si può imbastire una storia di media lunghezza pronta per la pubblicazione.
Ma se quello dello sceneggiatore di fumetti Disney non viene visto dal professionista solo come un mero impiego, ma anche come un obiettivo e un privilegio, allora la questione è tutt’altro che semplice.
C’è modo e modo, infatti, di utilizzare questi personaggi, e decenni di storie “cattive” (mi si passi il termine) hanno dimostrato come un utilizzo “leggero” degli standard characters possa uccidere l’immagine stessa di questi “attori”. Da Topolino a Gastone, da Paperoga a Pippo, sono molti i personaggi a cui è capitato di venir schiacciati da sceneggiature che non ne sapevano valorizzare la portata e le possibilità narrative, limitandosi ad offrire ai lettori le solite dinamiche trite e ritrite, pensando che l'ennesima riproposta di cliché ormai abusati e svuotati del loro significato potesse bastare.

Per seguire e comprendere questo discorso bisogna tenere conto di un concetto ben preciso: i personaggi Disney, chi più chi meno, possiedono personalità sfaccettate e particolari che, se rispettate, offrono un ottimo materiale di partenza per le avventure di cui son protagonisti. Certo, sono al tempo stesso anche archetipi di varie inclinazioni umane, ma se queste caratteristiche vengono appiattite rendendole logori stereotipi, allora si sta procedendo nella direzione sbagliata. Questi personaggi sono vivi e vitali: hanno caratteristiche credibili, in cui ci si può immedesimare, sono specchio della società in cui viviamo e come tali non possono e non devono limitarsi a vivere avventure in cui ogni volta mettono in campo sempre e solo la loro peculiarità principale. Così facendo avremmo solo delle vuote maschere che recitano un copione insapore. Approfondimenti e variazioni sul tema sono più che benvenute quindi, ma bisogna stare attenti a non cadere nell’errore opposto, puntando su inversioni di ruolo, e stravolgimenti vari, che finiscono per essere ancor più deleteri per la credibilità dei personaggi.

Uno dei terreni di gioco più rischiosi è senza dubbio quello delle storie brevi, che troppo spesso vengono considerate “riempitive”. È bene ricordare che nello scorso decennio si è abusato di una formula ibrida per le storie del settimanale: sono state molte le storie di media lunghezza che, cercando di unire le caratteristiche delle due tipologie, si sono trovate ad essere né carne né pesce. La gestione degli ultimi anni sta dimostrando invece che concepire in modo radicalmente diverso le lunghe e le brevi, polarizzandone la durata e dando alle seconde il respiro di un cortometraggio umoristico, può essere la strada giusta per fornire al lettore un menù bilanciato e diversificato.
Umoristico però può significare tante cose, dal frizzante slapstick muto di Enrico Faccini alla commedia di stampo quotidiano più in stile Lupo Alberto. È in questa seconda casistica che si ha l’occasione di delineare al meglio i caratteri dei personaggi, immergendoli in situazioni di tutti i giorni e mostrando come si comportano in questo contesto, analizzandone la psicologia da un nuovo punto di vista. Per questo le brevi richiedono un'abilità e una sensibilità particolari, nell'ambito della produzione disneyana a fumetti, o il rischio di sbagliare il personaggio è dietro l’angolo.
Non bisogna mai dimenticare poi che il fine ultimo di una breve è quello di strappare davvero una risata al lettore, ma, per ottenere questo risultato, la storia in questione deve rifuggire quelle situazioni trite e ritrite, che si rifanno ad una comicità poco attuale, e puntare piuttosto sulle situazioni tipiche dell'uomo comune nella sua normalità, andando ad analizzare con sguardo ironico la realtà che ci circonda, filtrata dai characters disneyani.

Una maggiore attenzione alle storie brevi, e all'uso dei personaggi che ben si può osservare in questo tipo di avventure, potrebbe portare probabilmente al completamento più pieno della rinascita del fumetto Disney italiano che dalla seconda metà dello scorso decennio ha già avuto modo di dare i suoi frutti e che ha trovato un risultato invidiabile nel recente n. 3000. Risultato che però deve essere uno stimolo a continuare sulla giusta strada, magari focalizzandosi proprio su quanto fin qui espresso.
La nuova stagione che si apre oggi con l'avvento di Panini Comics come licenziataria dei diritti per le testate da edicola è una nuova, importante occasione per riflettere su questo approccio.

--Bramo

Re: [L'Osservatorio #2] Il futuro del fumetto Disney

Inviato: mercoledì 02 ottobre 2013, 15:33
da Daria
Questo secondo editoriale trovo che sia molto d'aiuto a chi è digiuno di fumetto Disney e può così avere un approccio alla lettura più attento e coinvolto (per non continuare a pensare agli standard characters come macchiette dalla personalità monodimensionale).
Quello che è sottolineato già dalle prime righe è proprio quello che alla fine distingue un autore memorabile da uno qualunque; il punto fondamentale e paradossalmente più complicato è proprio quello del creare situazioni in cui ci si possa immedesimare, storie non verosimili da ogni punto di vista, ma azioni comprensibili e familiari al lettore e, inoltre, sceglie con cura il personaggio protagonista di queste storie, in modo da creare la perfetta armonia.
Siamo tutti curiosi di vedere cosa il passaggio a Panini comporterà sotto questo punto di vista.

Re: [L'Osservatorio #2] Il futuro del fumetto Disney

Inviato: mercoledì 02 ottobre 2013, 19:20
da PORTAMANTELLO
Sicuramente gli autori pantofolai, quelli che non hanno contenuti importanti o anche solo interessanti ma che invece si accontentano della storia di mestiere, sono abbastanza problematici: sono autori che, una volta cresciuti professionalmente e coinvolti in sceneggiature o progetti un attimo più complessi, riversano questa superficialità nei loro lavori di spicco, magari anche interessanti dal punto di vista narrativo ma svilenti nella concezione dei personaggi e delle situazioni; autori la cui influenza viene esercitata inevitabilmente sulle nuove leve, con il rischio di creare uno standard e di soffocare gli autori che al contrario cercano e sperimentano nuove soluzioni.

Detto questo, l'editoriale spinge molto sui cliché abusati e sulle trame preconfezionate: sicuramente aspetti negativi, ma non credo siano stati il vero problema della gestione del fumetto Disney.
Questo tipo di storie, la solita minestra scaldata dietro il paravento della storia classica educativa per i bambini, sono di fatto ineliminabili nella formula di Topolino, quella della pubblicazione-contenitore a cadenza settimanale. Sono storie con una funzione fisiologica: l'importante è saperle arginare bene, meglio se si riesce a confezionarle con uno o due elementi nuovi... ma in sostanza ce le teniamo.

Il problema è quando a questa superficialità si unisce una maggiore pigrizia. Pigrizia non solo nel pensare le trame, ma anche nel cercare nuove soluzioni con scelte di comodo, facili, trasformando espedienti anche simpatici una tantum in vere e proprie tipologie. Alcuni, noti, esempi:

Il trend dei protagonismi. Si prende un personaggio terziario e lo si rende protagonista, giocando e rigiocando sulle sue caratteristiche, i suoi tic, i suoi tratti essenziali. Peccato che al di là di questi, ci sia il nulla. E così è sicuramente spiacevole trovare personaggi come Topolino o Paperino ridotti da personaggi a maschere, ancora peggio però è prendere personaggi che erano maschere in partenza e renderle macchiette, sperando che la sovraesposizione e le risate facili nascondano l'effettiva inconsistenza. Per fortuna è un trend morente, dopo il boom degli anni '90, ma ha ancora spiacevoli momenti di recrudescenza.

Il trend degli alter ego. Questo invece va e viene a periodi, ma è sempre un evergreen. Pigliamo un personaggio e gli diamo l'alter ego. Perché l'alter ego fa figo e soprattutto facile da scrivere, non bisogna pensare più di tanto ai presupposti della trama e le soluzioni sono virtualmente infinite. Il rischio è duplice: da una parte si creano altre macchiette che alla fine non hanno nulla da dire e dall'altro vengono sviliti i personaggi classici, visto che si preferisce relegare la loro identità "canonica" alle storie giàvistoyawn e si riservano le avventure più complesse unicamente per le identità alternative.

Infine, la destrutturazione. Questa è per pochi, ma altrettanto pericolosa. Giocare sugli stereotipi dei personaggi in modo intelligente ed autoironico è un bel modo per approfondirli e renderli interessanti anche nonostante l'enorme peso iconico che si portano appresso: il rischio è di farla fuori dal vaso e passare dalla dissacrazione con un proposito allo sputtanamento aggratis, anche questo facilissimo da realizzare visto che basta puntare alle regole del gioco che ogni lettore accetta quando si legge un fumetto Disney. E quindi abbiamo il passaggio dalla genialata autoriale all'umorismo da BSDE.


Come sono nate queste tipologie? Reagendo proprio alle storie "classiche", agli stereotipi, ai clichè abusati. Ovviamente rispondendo male: una risposta andava trovata ma evidentemente la cura è stata più dannosa della malattia.
Per il futuro del fumetto Disney quindi mi auguro una rivoluzione organizzativa che sappia quantomeno dare una direzione, delle linee guida alle nuove generazioni, non sul cosa ma sul come fare buon fumetto: non un appiattimento stilistico come quello che fu portato dall'Accademia Disney né un'insalubre e distopica dittatura editoriale, contraria ai presupposti del fumetto popolare; ma nemmeno un'anarchia sregolata, in cui contare su una manciata di fumettisti talentuosi mentre il resto affonda nella mediocrità.

Difficile che Panini possa essere artefice o anche solo interessata ad un tale cambiamento... di certo piace pensarlo, anche solo per non lasciare la strada ad un possibile miglioramento intentata.

Re: [L'Osservatorio #2] Il futuro del fumetto Disney

Inviato: mercoledì 02 ottobre 2013, 20:09
da Mason
Posso esporre un modesto parere?

Una parte del problema magari è che questi fumetti non hanno uno stile ben definito, a parte l'essere il racconto delle avventure sempre uguali di un topo senza più personalità (non facciamo finta di niente, un po' è ancora così la situazione)

Troppi autori diversi e per una buona metà mediocri, troppe contaminazioni dei già accuratamente citati e sventrati cliché, troppe poche storie che siano davvero memorabili, almeno in rapporto al resto della produzione.

Cos'è un fumetto Disney? Cosa lo distingue da uno di Dylan Dog o uno della Pimpa? Cosa lo rende un fumetto con vere potenzialità per essere ancora alla pari con i big? (vabbé, qui l'ho sparata alla grande)

Magari è solo una mia impressione, ma penso che sia una questione su cui riflettere.

Re: [L'Osservatorio #2] Il futuro del fumetto Disney

Inviato: mercoledì 02 ottobre 2013, 20:49
da PORTAMANTELLO
Mason ha scritto: Una parte del problema magari è che questi fumetti non hanno uno stile ben definito
E' un tipo di fumetto scritto e disegnato da autori diversi. Ovvio che non abbia uno stile predefinito.

troppe poche storie che siano davvero memorabili, almeno in rapporto al resto della produzione.
E' l'annoso problema del Topo rivista-contenitore. Ma un problema che attiene la pubblicazione, non lo stile delle storie.