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[Aldo, Giovanni e Giacomo] Odio L'Estate

Inviato: lunedì 03 febbraio 2020, 17:52
da Valerio
Molti hanno parlato di “Odio l’Estate” come di un ritorno ad una formula collaudata, ad un genere di cinema che Aldo Giovanni e Giacomo non sembravano più in grado di offrire. E pare fin troppo semplice attribuire all’assenza del loro storico regista Massimo Venier la colpa di un tracollo così evidente. Eppure! Tornato Venier si torna di botto al vecchio stile, quello che funzionava veramente e che non vedevamo sin dai tempi di “Claudia”. E così tanti saluti ai film a episodi, alle caricature più clownesche, alla sovraesposizione della Finocchiaro, ai Babbi Natale e al Reuma Park. Tornano invece quelle atmosfere un po’ intimiste, quel delizioso sapore agrodolce, torna la schitarratina malinconica in grado di accompagnare con grazia lo spettatore dalla risata alla lacrima. Questo è evidente sin dalle primissime scene: inquadrature, carrellate, montaggi musicali, voiceover e altre finezze. Ogni tocco della cifra stilistica di Venier comunica quella gradevole sensazione di un ritorno a casa e dà l’idea di un qualcosa di curato, giusto, a tratti addirittura dovuto.

Tutto al servizio di un canovaccio non particolarmente innovativo, ma a cui non si può proprio dire niente. Funziona, accidenti. Al netto di una certa rilassatezza strutturale nella sua parte centrale, Odio l’Estate è un film che va a segno. Divertente e commovente, leggero ma con qualcosa di bello da dire, incentrato sulla bravura del trio ma non del tutto dipendente da loro. Non solo Aldo, Giovanni e Giacomo, dunque. Rimangono decisamente impressi tutti i comprimari, ci si affeziona ad ogni membro di ognuna della tre famiglie: ottime le tre mogli, veramente bravi i figli. Per non parlare delle figure di contorno, anche le più macchiettistiche, sempre tratteggiate con garbo, intelligenza e sagacia (alzi la mano chi non ha trovato disturbante la sequenza con l’ex compagno di scuola). Il risultato è un film elegante, in grado di “fare compagnia” e di offrire pure un paio di spunti su cui rimuginare. Un revival che non rinuncia a far citazioni - una è decisamente ingombrante - ma riesce a scodellarle senza risultare privo di identità. Un applauso quindi a Baglio, Storti, Poretti, Venier e tutti gli artisti coinvolti, per aver rispolverato il vecchio know-how e aver così restituito al pubblico (e a sé stessi) quella sincerità, quell’approccio genuino e quella classe che per tutto questo tempo era mancata.