[Wes Anderson] Moonrise Kingdom: Una Fuga d'Amore
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Titolo originale: Moonrise Kingdom
Regia: Wes Anderson
Soggetto: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola
Cast: Jared Gilman, Kara Hayward, Bruce Willis, Bill Murray, Edward Norton, Frances McDormand, Jason Schwartzman, Harvey Keitel, Tilda Swinton, Bob Balaban, Seamus Davey-Fitzpatrick.
Colonna sonora: Alexandre Desplat
Durata: 94 minuti
USA 2012. Case di produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Scott Rudin Productions.
Distribuzione ITA: Lucky Red
Data USA: 29 giugno 2012
Data ITA: 5 dicembre 2012
Mi trovo a recensire questo film, un po' al di fuori delle mie solite visioni (e sicuramente da ciò che recensisco qui) perché mi sembra meriti.
Siamo nel 1965.
Sam è un dodicenne abbastanza problematico, orfano e sostanzialmente abbandonato dai genitori affidatarî, che partecipa a un campo estivo di un gruppo scout, i Kaki Scout, sull'isola di New Penzance, nel New England. Suzy è una sua coetanea, piuttosto problematica anche lei, primogenita di una coppia di avvocati con quattro figli, abitanti dell'isola.
Si incontrano durante una recita parrocchiale di un musical, lui spettatore e lei attrice, e iniziano a tenersi in contatto tramite lettere, innamorandosi. Stanco lui del campo scout e dei maltrattamenti da parte dei compagni, e lei dell'ipocrisia della propria famiglia, decidono di fuggire assieme attraverso l'isola. Inseguiti dal capo scout, dal poliziotto dell'isola (Bruce Willis, lí dove non te lo aspetti, lol), e dai genitori di lei. Non racconto il resto.
Immediatamente si notano un'ottima fotografia, che satura i colori in maniera da creare un mondo che sembra piú quello dei sogni di un bambino che il mondo reale (pessima in questo la locandina italiana, molto meglio l'originale), che si unisce a una regia davvero interessante, che fa uso di carrellate e scelte insolite ma davvero molto azzeccate.
La sceneggiatura, particolare nella sua coralità, insolita per un film del genere, non parte da un soggetto particolarmente geniale o interessante, ma ha finito per essere candidata ai prossimi Oscar. Candidatura del tutto giustificata, considerato che nonostante il soggetto, lo svolgimento è meraviglioso. Il film è infatti introdotto da un narratore adulto, che presenta la vicenda e che ricompare ogni tanto, dando l'impressione che si tratti di un racconto realistico, di qualcosa che è avvenuta davvero cosí come è avvenuta. La recitazione, però, è invece caricaturata nel modo tipico attraverso il quale dei bambini raccontano le loro esperienze. Personaggi chiamati sempre e solo attraverso la loro funzione, vicende caricate di pathos lí dove magari è eccessivo, cose assurde lasciate passare come perfettamente normali e poco interessanti, motociclette che finiscono sugli alberi...
Insomma, il film apre una finestra su una vicenda che sembra svolgersi cosí come è ricordata dai protagonisti, pur dando l'impressione di serietà che ha un bambino quando ti racconta qualcosa di importante per lui. Ho trovato questo aspetto davvero geniale.
Ottima la prova da parte degli attori, anche considerando che i due bambini sono esordienti.
Merita la visione, se non altro perché è raro, per un film di questo genere (che in parte è anche orientato ad adolescenti, e da quel che ho visto molti lo hanno saputo apprezzare), essere anche un'opera d'arte.Lorenzo Breda
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Hobbes, Calvin&Hobbes
[No bit was mistreated or killed to send this message]
A me piace Wes Anderson.
Però.
A ben pensarci, il suo stile è volutamente forzato, e soffermandoci un attimo tutto ciò che ha sempre fatto è in parte "finto", volutamente, per mantenere quell'estetica naif che dà vita a quella che è l'impronta stilistica di Wes Anderson, che ormai è quella e se all'improvviso Anderson sfornasse un film "normale" rimarremmo tutti straniti.
Ma qui tutto è giustificato, la trama "à l'Amélie", lo spirito sognante dei protagonisti, l'atmosfera fiabesca... per una volta il "come" mi è sembrato azzeccato per il "cosa", e non solo un mero esercizio di stile (per quanto sempre affascinante nelle opere precedenti).
Di sicuro il mio film preferito di Wes, forse IL film che dà un senso a tutto quello che ha fatto finora, per quanto mi riguarda.
ora però sarà dura proseguire su questa strada, con storie diverse.
Però.
A ben pensarci, il suo stile è volutamente forzato, e soffermandoci un attimo tutto ciò che ha sempre fatto è in parte "finto", volutamente, per mantenere quell'estetica naif che dà vita a quella che è l'impronta stilistica di Wes Anderson, che ormai è quella e se all'improvviso Anderson sfornasse un film "normale" rimarremmo tutti straniti.
Ma qui tutto è giustificato, la trama "à l'Amélie", lo spirito sognante dei protagonisti, l'atmosfera fiabesca... per una volta il "come" mi è sembrato azzeccato per il "cosa", e non solo un mero esercizio di stile (per quanto sempre affascinante nelle opere precedenti).
Di sicuro il mio film preferito di Wes, forse IL film che dà un senso a tutto quello che ha fatto finora, per quanto mi riguarda.
ora però sarà dura proseguire su questa strada, con storie diverse.
Visto stasera.
Gradito, molto, anche più del successivo Grand Budapest Hotel.
Il motivo sta nei sentimenti, credo: Wes Anderson crea qui una storia d'amore pura e semplice, ma con quel suo stile surreale con cui sto iniziando a familiarizzare. L'avventurosa fuga in due riprese dei ragazzini protagonisti non ha niente di scontato o smielato, infatti, ma contiene tutta la carica spontanea, naturale e puramente passionale di due anime tormentate che si incontrano, si riconoscono nei reciproci abissi e capiscono di poter trovare conforto l'uno nell'altra, a qualsiasi costo.
La fuga come ricerca di se stessi, la rinuncia a tutto il resto perché ci si basta nell'altro e nei propri tormenti, così simili ai propri. Uno schiaffo ai propri dolori e alla società che imprigiona per poter vivere una cosa che ancora non si capisce, ma che si vuole.
Il micromondo dell'isoletta in cui la storia è ambientata funziona paradossalmente molto bene, tra campi scout e avvocati, poliziotti e servizi sociali: Wes Anderson è riuscito a prendere un racconto di ragazzini che rischiava di avvicinarsi fin troppo a certi canovacci anni Ottanta-Novanta e a farlo perfettamente suo, con la sua fotografia dai colori saturati, le sue inquadrature simmetriche e la sua pulizia narrativa, il tutto per un racconto semplice ma onesto e stralunato, convincente nella sua diversità di esposizione.
Ancora una volta, poi, la sceneggiatura viene supportata da un cast di prim'ordine: Bruce Willis in una parte improbabile ma che gli calza a pennello, Bill Murray sempre istrionico e Edward Norton credibile nei panni di un impacciato capo-scout formano un terzetto memorabile, e anche i due ragazzini protagonisti (Jared Gilman e Kara Hayward, quest'ultima spero di rivederla in tante altre produzioni perché merita tantissimo) forniscono una bella prova.
Gradito, molto, anche più del successivo Grand Budapest Hotel.
Il motivo sta nei sentimenti, credo: Wes Anderson crea qui una storia d'amore pura e semplice, ma con quel suo stile surreale con cui sto iniziando a familiarizzare. L'avventurosa fuga in due riprese dei ragazzini protagonisti non ha niente di scontato o smielato, infatti, ma contiene tutta la carica spontanea, naturale e puramente passionale di due anime tormentate che si incontrano, si riconoscono nei reciproci abissi e capiscono di poter trovare conforto l'uno nell'altra, a qualsiasi costo.
La fuga come ricerca di se stessi, la rinuncia a tutto il resto perché ci si basta nell'altro e nei propri tormenti, così simili ai propri. Uno schiaffo ai propri dolori e alla società che imprigiona per poter vivere una cosa che ancora non si capisce, ma che si vuole.
Il micromondo dell'isoletta in cui la storia è ambientata funziona paradossalmente molto bene, tra campi scout e avvocati, poliziotti e servizi sociali: Wes Anderson è riuscito a prendere un racconto di ragazzini che rischiava di avvicinarsi fin troppo a certi canovacci anni Ottanta-Novanta e a farlo perfettamente suo, con la sua fotografia dai colori saturati, le sue inquadrature simmetriche e la sua pulizia narrativa, il tutto per un racconto semplice ma onesto e stralunato, convincente nella sua diversità di esposizione.
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Andrea "Bramo" L'Odore della Pioggia
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