Il primo Clerks, al di là del suo essere film cult, non mi aveva entusiasmato particolarmente.
Non l'ho trovato nulla di trascendentale, e ritengo che non sia all'altezza della propria fama.
Ma, pur non colpendo nel segno (per quanto mi riguarda), riconosco a quella pellicola un'onestà di fondo lodevole, e un intento che non viene offuscato dalla realizzazione del film. Anzi, parte dei problemi che gli imputo derivano proprio dalla precisa scelta stilistica di narrazione che, riconosco, contribuisce a veicolare molto bene la vena malinconica e tristemente loser che esplode negli ultimi venti minuti.
Era un film che aveva detto tutto, non aveva bisogno di riprendere i personaggi e proseguirne la storia. Kevin Smith non se ne è preoccupato e nel 2006 ha sfornato questo sequel, davvero imbarazzante.
L'umorismo paradossale, caustico e dosato del primo film viene qui sostituito da una comicità di grana grossa, più greve e senza sfumature particolari. I due protagonisti, Dante e Randal, sono appiattiti nella loro caratterizzazione e, pur piuttosto fedeli ai loro modelli originari, non emergono vivi come nella pellicola di vent'anni fa.
La trama è banale, costruita per metà in modo prevedibile e per l'altra metà ricalcando goffamente l'andamento del film precedente (la fuga dal lavoro per fare qualcosa di strano, la scena sul tetto, il lavoro da commessi).
Verso la fine si ritrova ancora la riflessione sulla destinazione delle proprie vite... ma, oltre ad esserci già stata nel Clerks originale, qui è resa infinitamente meno bene, molto più schiaffata in faccia allo spettatore, e inoltre la conclusione di queste amare riflessioni è deludente a dir poco: laddove un anno prima (secondo il tempo narrativo che intercorre tra i due film) i pensieri sul percorso della propria vita muovevano pena e partecipazione verso i due sfigati, a maggior ragione perché Dante non trovava una scappatoia al buco nero in cui si trovava la sua esistenza, qui invece la pena si trasforma in pietà, quando il protagonista decide di continuare sulla strada del cazzeggio rifiutando una vita "classica" per ricomprare il vecchio negozio di alimentari e tornare a lavorare lì. Una sorta di rifiuto della crescita e delle convenzioni sociali che invece di suonare poetico o ribelle risulta semplicemente poco incisivo e non soddisfacente con l'evoluzione dei personaggi.
Insomma, esco dalla visione con la sensazione di aver perso un'ora e mezza della mia vita.