Un attore fallito e caduto nel dimenticatoio vuole a tutti i costi ritornare sulla scena.
Per farlo umilia sé stesso e diventa eterno.
Questa è la trama di
Birdman, che Sylvester Stallone da qualche anno porta con successo sui palcoscenici di mezzo pianeta.
Molte sono ormai le repliche di questo suo acclamato plot, da
Rocky Balboa a
John Rambo, passando per l'ormai 'cult' saga degli
Expendables (che dedica proprio il suo recente terzo episodio al tema del conflitto fra l'addio alle scene e il ritorno in pista).
Il grande match è però la probabile apoteosi di questo percorso narrativo.
Molte avvisaglie sono già presenti, va detto, nel summenzionato
Expendables 3, zeppo di battute metanarrative (ogni Expendable ne ha almeno due), di feroci autoparodie (
Assassins viene annientato) e di twist definitivi (lo scontro si riduce agli unici Mercenari premi Oscar); elementi però ancora integrati nella consueta gabbia da/per B-Movie.
Il grande match, invece, ripropone le medesime dinamiche (qui l'altro Oscar decaduto non è Gibson ma De Niro, e pure lui interpreta sé stesso) in un contesto da film "vero", nel quale anche la presa in giro e l'umiliazione delle celebrità a fine carriera non sono ricondotte ad un gioco elitario per soli nerd, ma vengono introiettate nella contemporaneità, nell'oggi.
Certo, anche in questa versione di
Birdman, come in quella poi riadattata da Inarritu, non manca l'elemento "trivial pursuit" pensato per gli aficionados, che possono così giocare con sé stessi a riconoscere le citazioni dei
Rocky, di
Toro scatenato e delle carriere dei due attori. Ma tale approccio, esaurita la bomba nostalgica iniziale, lentamente si fa da parte, per riaffacciarsi solo qua e là.
Prende allora il sopravvento la storia: una storia d'amore, d'onore, di amicizia e di lealtà, di sacrificio e martirio. L'unica storia che val la pena raccontare.
In questo modo allo spettatore può manifestarsi nella sua totalità l'evoluzione che i personaggi di Stallone e De Niro subiscono e cercano nel corso del film. E se è vero che entrambi partono dalla condizione, oggi un poco inflazionata e macchiettistica, di ex celebrità fallite chiusesi in sé stesse (Stallone) o ridottesi a prestarsi a qualunque cosa pur di campare (De Niro), è vero altresì che al termine della vicenda tutt'e due possono definirsi uomini. Non privi di difetti, ma - anzi, e dunque - uomini.
E il giovane di turno può alzare gli occhi al cielo, piacevolmente stupito.