Zach Braff è noto al grande pubblico, ancora a distanza di dieci anni, per il suo ruolo di JD in Scrubs, che l'ha consacrato grazie ad un personaggio che gli era quasi cucito addosso e che seppe comunicare molto ad un'intera generazione di spettatori.
Ma è bene ricordare che l'attore è entrato anche nel mondo del cinema ormai 12 anni fa, con l'ottimo film La mia vita a Garden State, pellicola della quale era anche sceneggiatore e regista, oltre che protagonista, con una trama dal gusto agrodolce, una commedia malinconica di quelle che funzionano tanto bene nei circuiti indipendenti come il Sundance Film Festival e che fanno tanta presa su di me (che infatti considero Garden State uno dei miei film preferiti di sempre).
Dieci anni dopo quest'esperienza Zach Braff torna al cinema con un nuovo film, finanziato per metà con un progetto Kickstarter che gli ha permesso di raggranellare 3 milioni e passa di dollari per realizzare (insieme ad altri 3 milioni) la sua opere seconda, Wish I Was Here.
Ho aspettato un paio d'anni prima di approcciarmi al film, nell'inutile attesa che arrivasse anche in Italia tradotto: così non è stato (nemmeno per il solo mercato dell'home video), per cui me lo sono recuperato in originale sottotitolato.
Ma com'è Wish I Was Here? Be', senza dubbio chi voleva ritrovare le atmosfere e il mood di Garden State non resterà deluso. Braff (che scrive la sceneggiatura con il fratello) riempie il copione e i dialoghi di quella malinconia piacevole e di quegli atteggiamenti confusi e spiazzati al limite dell'autolesionismo per i protagonisti che mette in scena. Il film grossomodo fila e funziona, ma non siamo per nulla ai livelli dell'opera prima del giovane regista e attore. Garden State possedeva un'immediatezza e una spontaneità che purtroppo qui mancano: la pellicola è ben costruita, ben girata e con ottimi dialoghi, ma si indugia troppo e forse troppo consapevolmente in quelle aspettative e in quel modo di comunicare, perdendone in freschezza.
La storia è praticamente incentrata sull'accettazione della morte di un padre: il protagonista Aidan Bloom scopre infatti che il genitore ha il cancro, ormai in uno stadio avanzato. Deve quindi convivere con la malattia che consuma lentamente il padre mentre si confronta con il fallimento del suo sogno di diventare attore, con alcune fantasie di quando era ragazzo che tornano improvvisamente nei suoi sogni, con i problemi economici della sua famiglia e con un fratello che non vuole riappacificarsi col padre nemmeno in questo drammatico frangente.
Una situazione incasinata, forse troppo, per costruire un universo problematico attorno alle grandi tematiche della morte, del retaggio e dell'accettazione di noi stessi e delle nostre possibilità. Considerazioni molto belle e molto forti, ma che rischiano di arrivare in maniera meno incisiva di quando dovrebbero, forse proprio a causa della densità di elementi presenti. Per esempio, che senso aveva inserire la sottotrama del collega di lavoro della moglie che la molesta con alcune battute a sfondo sessuale? È scollata da tutto il resto e sembra quasi un pretesto forzato per dare maggior screen time ad un'attrice come Kate Hudson, che offre nel complesso una prova più che buona.
Non manca qualche punta di commedia, anche se al contrario di Garden State dove aveva senso qua sembra quasi stonare.
Punto a favore è comunque il modo in cui viene gestita la reazione di Aidan: il viaggio con i figli, il modo che ha di spronarli, e il tentativo attraverso i consigli che dà loro di rimettere in riga prima di tutto sé stesso sono tutti elementi che diventano oro nelle mani del Braff narratore di emozioni, e che colpiscono in modo efficace.
Zach Braff è poi ottimamente in parte, merito del personaggio che ovviamente gli calza a pennello, viste le molte similitudini con l'Andrew Largeman del suo film precedente.
Parlando di attori, ritengo interessante sottolineare la presenza di due star d'eccezione: compare infatti per un breve cameo Donald Fayson, il Turk di Scrubs nonché migliore amico di Braff, e inoltre è presente anche Jim Parsons, lo Sheldon Cooper di The Big Bang Theory, che ricordo era presente anche nel cast di Garden State prima di conoscere il successo grazie alla popolare sitcom.
Mi ha fatto davvero piacere vederli, anche se in piccole parti, perché denota l'attenzione di Braff per gli attori con cui si è formato ed è cresciuto, e perché nel caso di Parsons dà anche un segnale di continuità con il primo film.
Segnalo infine l'importanza che ricopre la colonna sonora nel film, proprio come già fu un Garden State: abbondano ancora gruppi come gli Shins, Gary Jules e i Radical Face, a ricostruire un tappeto musicale speculare per sonorità a quello dell'opera prima di Braff, ma stavolta con una scelta di canzoni secondo me meno fortunata, con pezzi buoni che si alternano ad altri meno incisivi e poco memorabili.
Insomma, Wish I Was Here offre tutto quello che uno potrebbe aspettarsi da un film del genere, ma non può dirsi completamente riuscito. Meno efficace di Garden State, resta un'opera interessante e della quale consiglio la visione, ma che potrebbe essere migliore in più punti.