A qualcuno sarà già nota la mia passione smodata per la fotografia, in passivo ed in attivo. Quindi, come in tutte le famigghie che si rispettino (:D), è giunta l'ora di presentarvi uno dei miei fotografi preferiti in assoluto, Elliott Erwitt. Scelgo di recensire
Personal best perché è il suo libro più completo, con la maggior raccolta di sue fotografie in assoluto: i contro sono che è abbastanza voluminoso (nota dolente per noi nerds
) e, ahimé, costoso. Tuttavia, esistono anche altri libricini più piccoli di Erwitt, come quello omonimo edito dalla Contrasto, un feticcio da possedere,
Snaps,
Museum Watching (a mio avviso però un po' limitato, dal momento che comprende solo scatti fatti all'interno di musei e tralascia tutto il resto), e così via. Se però vi capita di veder spuntare da qualche scaffale di una libreria qualsiasi il dorso di
Personal Best, vi assicuro che vale la pena fermarsi una manciata di minuti e darci un'occhiata.
Nato nel 1928 in Francia ma vissuto in America, Elliott Erwitt è sicuramente un fotografo che si distingue dagli altri per lo stile dei suoi lavori: infatti ognuno, ritratti apparentemente "semplici" compresi, è dotato di un' "aura" particolare, talvolta di più d'un livello di lettura, a cui è possibile accedere utilizzando la chiave dell'ironia. E' quest'ultima infatti che Erwitt usa in maniera abnorme: la prima reazione che si ha di fronte alle sue foto è sorridere, la seconda (non per tutte, per alcune) è intristirsi un po' o farsi prendere da un leggero senso di nostalgia, la terza riflettere. D'altronde, lo aveva affermato lui stesso: "
Far ridere la gente è uno dei più grandi successi che si possano ottenere. Farla ridere e piangere, alternativamente, come Chaplin sapeva fare, è poi il successo più grande di tutti. Alcuni pensano che le mie fotografie siano tristi, altri le trovano divertenti. Divertimento e tristezza, non sono poi la stessa cosa? Sommati danno la normalità".
Sicuramente un po' anticonformista nel pensiero per l'epoca, ma questo non gli ha impedito di riuscire ad entrare a far parte dell'agenzia di fotografi tutt'ora più importante del mondo, la Magnum.
Grazie ad un lavoro su commissione per un giornale di moda su delle scarpe femminili, Erwitt inizia a scattare foto ad esse insieme a.. dei cani, dal momento che -e non gli si può dar torto- "vedono scarpe tutto il giorno e nessuno le conosce meglio di loro". Così, click dopo click, il fotografo inizia ad interessarsi sempre più all'animale, che diventerà il soggetto di buona parte delle sue immagini, dal momento che si rende conto, grazie a dei particolari visivi quasi strabilianti -come la somiglianza dei cani ai loro padroni, della forma delle zampe dei primi a quella delle scarpe dei secondi, e così via- che può essere adottato come una vera e propria metafora delle stranezze umane. E così, sfogliando il libro, troviamo uomini che grazie ad un'illusione ottica sembrano avere teste canine, barboncini accarezzati da donne dai capelli cotonati, cani e uomini che, in una stessa immagine, fanno le stesse e identiche cose, e così via. Attraverso l'ironia di cui prima quindi, e con fare buffo e ammiccante e mai denigratorio, in cui sembra a volte anche identificarsi, Erwitt riesce a presentarci un'umanità stramba, curiosa, ma assolutamente reale.
Le persone e i ritratti. Grazie a delle coincidenze fortuite talvolta, e a veri e propri "appostamenti" in altri casi, Erwitt riesce a regalarci delle immagini davvero poetiche e rare, portando alla luce tutto, ma proprio tutto, il fantastico che si trova grattando sotto la superficie del reale. Basti pensare ad una Marylin rilassata e sorridente, in contrasto con tutte le altre foto un po' di plastica ed eccessivamente pop dell'attrice, più famose e conosciute; alle innumerevoli foto scattate nei musei, permeate anch'esse del senso dell'humour dell'artista (basti pensare a quella in cui, di fronte ai due quadri affiancati de
La maya vestita e
La maya desnuda, una sola donna guarda il primo e un gruppo di uomini guarda il secondo), in cui ancora una volta si punta simpaticamente il dito contro la natura umana, o altre più semplici ma dall'impatto efficace, come quella dei due amanti "spiati" a baciarsi nello specchietto retrovisore di una macchina, di fronte al mare, una coppia di nudisti nel giorno delle loro nozze, e così via, che, come detto prima, riescono davvero contemporaneamente a "far ridere e piangere". Piccola nota sui ritratti: per cogliere gli aspetti più naturali delle persone, Erwitt usava far suonare un clacson per attirare la loro attenzione ed immortalarle nel momento in cui si giravano verso di lui. Banale forse, ma sicuramente funzionante come espediente.
Simpaticamente provocatorie, le immagini di Erwitt, dalla composizione semplice e ariosa, dai bianchi e neri netti ma non cupi, meritano sicuramente. I controluce fanno sognare, le foto scattate "in serie" stupire ed interrogarsi su come possano esser vere. Guardare una realtà così porta anche i più scettici a credere nelle favole, e allo stesso tempo quasi allenano l'occhio dello spettatore ad essere più attento, in ogni situazione, perché perdersi certe cose a volte sarebbe davvero un peccato. E poi, come diceva Bukowski, "La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga nemmeno il biglietto."
Niente di più vero.