Sei anni dopo quello stranissimo libro di transizione che è
L'Isola del Giorno Prima, arriva il ben più corposo
Baudolino. Ironia, intrighi e medioevo a palate ritornano così a fluire dalla penna di Eco, felice di riprendere in mano le sue tematiche preferite. Stilisticamente assai più maturo dei precedenti due lavori,
Baudolino non si discosta però dal discorso iniziato nel
Pendolo e nell'
Isola, e anzi finisce per stabilizzare l'opinione di Eco in merito allo scottante tema della menzogna. Se nel
Pendolo di Foucault i grilli per la testa dei protagonisti (e si suppone dell'autore stesso) venivano visti con una nota di biasimo, e un invito alla purezza e al ragionare in modo semplice, nell'
Isola del Giorno Prima l'invenzione, la falsità diventavano l'unico appiglio a cui la mente umana, priva di orientamento poteva aggrapparsi. L'equilibrio tra queste due linee di pensiero apparentemente contraddittorie arriva grazie a
Baudolino in cui la facoltà di immaginare, di perdere il contatto stesso con la realtà inseguendo questo o quel delirio, diventa più che lecito, diventa uno stile di vita, diventa una benedizione ma anche una condanna. Ma soprattutto diventa appannaggio di un'unica tipologia di persona, ovvero il protagonista, in cui si identifica lo stesso autore.
L'esponente di questa categoria è il Baudolino del titolo, poliedrico cosmopolita della sua epoca, la cui vita dalla gioventù sino alla vecchiaia viene ripercorsa attraverso i quaranta capitoli che compongono il libro. Ecco quindi un'altra biografia, vasta e ricca di particolari, ma sicuramente meno dispersiva di quella raccontata nel
Pendolo di Foucault, essa viene raccontata da un Baudolino stagionato allo storico Niceta, suo interlocutore, durante il sacco di Bisanzio. Da un primo capitolo, scritto tutto in uno sgrammaticato volgare per mostrare i primi scritti di Baudolino, fino all'età adulta, attraverso l'adozione del padre putativo Federico Barbarossa, tutta la prima parte, introduce il mondo medioevale, con le lotte tra l'imperatore e i comuni. Si narrano i primi successi di Baudolino in campo sociale, e la sua naturale predisposizione all'inganno, anche se a fin di bene. Non certo un personaggio negativo, Baudolino porta avanti la sua esistenza fantasticando e inventando cose che verranno poi prese sul serio trasformandosi in successi. Il paradosso, come negli altri romanzi di Eco, la fa da padrone, e questo contribuisce ad accrescere lo straneamento del lettore davanti ai cui occhi scorre l'intera storia d'Europa, i cui ingranaggi vengono oliati proprio dalle burle e dalle astuzie dell'ironico protagonista. Baudolino, con l'aiuto dei suoi onnipresenti amici, suoi compagni di studi, riesce a compiere imprese ai limiti dell'assurdo, in pace come in guerra, combattendo in prima persona le guerre o facendo da consigliere al padre adottivo. Eppure tra un'impresa diplomatica e una burla salvifica si fa avanti nella sua testa e in quella dei suoi amici un chiodo fisso, perfetto equivalente del Piano di Casaubon e soci. L'ossessione per il fantomatico e lontanissimo regno del Prete Giovanni, detentore del Gradale (un prototipo del Sacro Graal), e situato ai confini del mondo conosciuto, li divora attraverso gli anni, fino a coinvolgerli nella loro più grande e paradossale avventura. E se fino a quel momento il libro era stato un perfetto esempio di romanzo storico, con una sapiente commistione di personaggi e fatti fittizzi con elementi storicamente accertati, ecco che adesso si cambia musica: da metà in poi si finisce nel fantasy più totale e man mano che si seguono Baudolino, il Poeta e gli altri suoi compagni di avventura verso oriente, ecco che i riferimenti si fanno più vaghi, per venir rimpiazzati da mostri e altre entità soprannaturali. Sarà al ritorno dal viaggio che la parentesi fantastica si chiuderà e l'equilibrio che aveva visto crescere direttamente proporzionali inganni e successo si romperà con una sequenza finale ricca di rabaltamenti di prospettiva. Il finale del romanzo trova il climax proprio scivolando nel giallo, e similmente al
Nome della Rosa e al
Pendolo gli eventi si faranno via via più assurdi e incontrollabili, mettendo sotto una diversa luce alcune sequenze avvenute nella parte centrale della storia. E proprio quando il racconto di Baudolino finisce, e si pensa che siano giunti al pettine tutti i nodi, le poche certezze rimaste vengono ulteriormente rivoltate e Eco mostra drammaticamente l'altra faccia della medaglia, il destino beffardo di chi si vede ritorcere contro una vita vissuta all'insegna della fantasia. Solo lì e per un attimo Baudolino ci appare come fallito, come un uomo che non è mai riuscito a integrarsi sul serio nella vita, preferendo viverla a modo suo, senza godere delle cose semplici e alla portata di ogni uomo. E in questo il romanzo sembrerebbe voler andare a parare esattamente dove
Il Pendolo di Foucault aveva avuto il suo rivelatorio esito, in un invito alla moderazione e alla semplicità. Ma
Baudolino, appunto, non si limita a questo, e va oltre, perfezionando la lezione che aveva appreso Casaubon, ed è proprio al termine del penultimo capitolo, quando Baudolino per redimersi sperimenta il sistema di vita più semplice possibile fallendo clamorosamente, che tutto è finalmente chiaro: la semplicità è il modo migliore per entrare in armonia con un mondo insensato, certo, ma purtroppo non è per tutti. Quelli come Baudolino, Casaubon e più in generale gli intellettuali, sono differenti e anche volendo non potrebbero sottrarsi al fascino dell'astruso. Ed è per questo che al termine di tutto un Baudolino invecchiato accetta finalmente la sua natura e si ritira dalle scene, ripartendo per il mondo fantastico del Prete Giovanni. Vincitore e allo stesso tempo vinto decide così di continuare per la sua strada senza volersi sottrarre alla sua beffarda quanto meravigliosa condanna, che nella menzogna lo rende tanto simile a colui che ha appena finito di narrarne la storia.