[Paolo Giordano] La Solitudine dei Numeri Primi
Inviato: venerdì 12 settembre 2008, 12:46
Paolo Giordano: La solitudine dei numeri primi
Questo libro mi ha stupito. Davvero. Ne avevo sentito parlare tempo fa, poi è salito alla ribalta della notorietà (e delle classifiche di vendita) dopo aver vinto il Premio Strega 2008. Incuriosito, mi ero riproposto di leggerlo prima o poi, e l’occasione mi è stata fornita dalla madre di Minnie, che me l’ha prestato.
Precedentemente, girovagando su Internet ho notato commenti positivi ma anche negativi riguardo a questo romanzo, e quindi con un misto di interesse e di scetticismo che mi sono accostato alla lettura.
In breve, la storia (alquanto spoilerata nella fascetta di copertina dell’edizione Mondadori, per quanto riguarda il dove il romanzo prende l’avvio) narra della vita – da bambini ad adulti – di Mattia e Alice, vita segnata per entrambi da un fatto doloroso accaduto proprio quando erano in tenera età. Due episodi distinti che segneranno i due tramutandosi in anoressia per lei e in atti autolesionisti per lui. Si incontreranno solo alle scuole superiori, quando si sentiranno stranamente attratti l’uno dal dolore dell’altra, e inizieranno a frequentarsi senza mai capire davvero il loro ruolo nella vita, con loro stessi e tra loro due. Fino a che le strade si divideranno per poi riunirsi ancora, in un crescendo di drammatica ricerca di normalità.
Trama riassunta in breve da un lato per non rovinare il sapore della lettura a nessuno, secondo perché ci sarebbero tante altre cose da dire se si volesse essere analitici spoilerando però troppe cose che è bello scoprire in corso di lettura.
La struttura del romanzo è particolare, infatti è diviso in sezioni che raccolgono alcuni capitoli al loro interno, ma alcune ne hanno uno solo (è il caso dei primi due, appartenenti a due sezioni diverse perché narrano uno la tragedia di Mattia e uno quella di Alice), altri sono invece pieni di capitoli ma brevi, fulminanti, di una pagina o due. Lo stile di scrittura ti cattura inevitabilmente, ti spinge a girare pagina come si suol dire, questo grazie appunto alla brevità dei capitoli che scorrono in fretta, a una saggia scelta lessicale ma soprattutto grazie alle situazioni delineate, che incuriosicono e si vuol vedere dove vanno parare, anche se tutte le volte la situazioni non fa altro che tornare alla status quo, come fosse un’autoconclusiva di “Topolino”.
E il punto è questo, in effetti. Per quanto i due si dannino, tutto quello che fanno non fa altro che riportarli al punto di partenza, che altri non è che quello che li ha segnati da bambini; la solitudine che si sono creati da soli, autodeterminata da quello che è capitato e da dove nessuno dei due vuole realmente uscire.
All’inizio del libro, l’impressione era che l’idea fosse buona, davvero, buono spunto, ma l’evoluzione sapeva troppo di già visto, troppo tipico di certa narrativa italiana che comunque io apprezzo moltissimo. Sto parlando dei libri di Niccolò Ammaniti (che pure ha vinto il Premio Strega l’anno scorso con Come Dio comanda, che per certe atmosfere ricorda quest’opera prima di Giordano) e di Andrea De Carlo, per fare giusto due nomi tra i più celebri in questo genere di storie, e non mi stupirei per niente se l’autore fosse un lettore appassionato delle opere di questi due gradi scrittori italiani. Questa sensazione non mi ha abbandonato nemmeno a libro terminato, ma lo svolgimento della seconda parte del romanzo mi ha ulteriormente fatto capire che è un libro che vale e che vale la pena di leggere, perché ha avuto una parabola decisamente positiva. Il finale non è scontatamente mieloso e buonista come ci si potrebbe aspettare, e le situazioni che si vengono a creare sono interessanti. Certo, non mancano alcuni difetti di fondo, che in alcuni casi possono anche essere visti come pregi: alcune situazioni e alcuni personaggi di contorno vengono persi per strada, nel senso che a un certo punto spariscono per ricomparire magari in una scena da adulti (è il caso di Denis, amico di Mattia, e di Viola cosiddetta amici da Alice), senza riuscire a capire bene il loro ruolo, se sono da concepire come comprimari di sfondo o personaggi importanti. Idem per Nadia, tentativo di ragazza per Mattia. Per le situazioni, vengono lasciati in sospeso i rapporti tra Mattia e i genitori, il passato della cameriera della famiglia di Alice (che sembra quasi fosse una sottotrama che avesse dovuto avere più importanza ma poi tagliata per non allungare troppo il libro, ma che messa così ha poco senso), e la persona che Alice crede di aver visto fuori dall’ospedale, che non sapremo mai se è davvero che Alice credeva che fosse. E volendo, anche gli sviluppi degli studi di Mattia, che sembravano davvero epocali per il mondo della matematica.
Ma sono tutti (più o meno) particolari, piccoli difettucci che, ripeto, possono anche non essere tali ed essere trucchetti voluti e inseriti apposta dall’autore per simulare lo scorrere della vita vera, che spesso e volentieri ci allontana da persone che conosciamo senza approfondire la loro storia, e spessissimo lascia in sospeso domande senza che arrivi una risposta. Da questo punto di vista, quindi, è abbastanza riuscito, anche se potrebbe affinare la tecnica, per cercare di diminuire la sensazione di confusione che aleggia quando si percepiscono questi particolari.
La matematica, infine, è il fulcro del significato del libro: la spiegazione dell’evocativo (e furbo, diciamocelo) titolo del romanzo è una riflessione di Mattia, genietto della matematica fin dalle elementari, secondo cui lui e Alice sono come due numeri primi gemelli. I numeri primi infatti sono numeri solitari per antonomasia, essendo divisibili sono per uno o per se stessi, solitari senza via di scampo proprio come i due protagonisti. A volte però capita che due numeri primi siano così vicini da essere distanziati da un solo numero (per esempio il 17 e il 19), in quel caso si dicono gemelli. Proprio come Mattia e Alice, vicini nella loro solitudine ma non abbastanza da potersi toccare.
Un libro quindi che deve molto agli stilemi di certa narrativa di genere italiana e che non è esente da qualche pecca, ma che ha una trama intrigante anche quando affronta temi spesso da stereotipo (l’anoressia, la crisi matrimoniale, la distanza tra genitori e figli, l’omosessualità, il bullismo nelle scuole e si potrebbe andare avanti) e che sa commuovere grazie a del talento e a elementi furbi. Per essere un esordiente, mi ha convinto molto.
Questo libro mi ha stupito. Davvero. Ne avevo sentito parlare tempo fa, poi è salito alla ribalta della notorietà (e delle classifiche di vendita) dopo aver vinto il Premio Strega 2008. Incuriosito, mi ero riproposto di leggerlo prima o poi, e l’occasione mi è stata fornita dalla madre di Minnie, che me l’ha prestato.
Precedentemente, girovagando su Internet ho notato commenti positivi ma anche negativi riguardo a questo romanzo, e quindi con un misto di interesse e di scetticismo che mi sono accostato alla lettura.
In breve, la storia (alquanto spoilerata nella fascetta di copertina dell’edizione Mondadori, per quanto riguarda il dove il romanzo prende l’avvio) narra della vita – da bambini ad adulti – di Mattia e Alice, vita segnata per entrambi da un fatto doloroso accaduto proprio quando erano in tenera età. Due episodi distinti che segneranno i due tramutandosi in anoressia per lei e in atti autolesionisti per lui. Si incontreranno solo alle scuole superiori, quando si sentiranno stranamente attratti l’uno dal dolore dell’altra, e inizieranno a frequentarsi senza mai capire davvero il loro ruolo nella vita, con loro stessi e tra loro due. Fino a che le strade si divideranno per poi riunirsi ancora, in un crescendo di drammatica ricerca di normalità.
Trama riassunta in breve da un lato per non rovinare il sapore della lettura a nessuno, secondo perché ci sarebbero tante altre cose da dire se si volesse essere analitici spoilerando però troppe cose che è bello scoprire in corso di lettura.
La struttura del romanzo è particolare, infatti è diviso in sezioni che raccolgono alcuni capitoli al loro interno, ma alcune ne hanno uno solo (è il caso dei primi due, appartenenti a due sezioni diverse perché narrano uno la tragedia di Mattia e uno quella di Alice), altri sono invece pieni di capitoli ma brevi, fulminanti, di una pagina o due. Lo stile di scrittura ti cattura inevitabilmente, ti spinge a girare pagina come si suol dire, questo grazie appunto alla brevità dei capitoli che scorrono in fretta, a una saggia scelta lessicale ma soprattutto grazie alle situazioni delineate, che incuriosicono e si vuol vedere dove vanno parare, anche se tutte le volte la situazioni non fa altro che tornare alla status quo, come fosse un’autoconclusiva di “Topolino”.
E il punto è questo, in effetti. Per quanto i due si dannino, tutto quello che fanno non fa altro che riportarli al punto di partenza, che altri non è che quello che li ha segnati da bambini; la solitudine che si sono creati da soli, autodeterminata da quello che è capitato e da dove nessuno dei due vuole realmente uscire.
All’inizio del libro, l’impressione era che l’idea fosse buona, davvero, buono spunto, ma l’evoluzione sapeva troppo di già visto, troppo tipico di certa narrativa italiana che comunque io apprezzo moltissimo. Sto parlando dei libri di Niccolò Ammaniti (che pure ha vinto il Premio Strega l’anno scorso con Come Dio comanda, che per certe atmosfere ricorda quest’opera prima di Giordano) e di Andrea De Carlo, per fare giusto due nomi tra i più celebri in questo genere di storie, e non mi stupirei per niente se l’autore fosse un lettore appassionato delle opere di questi due gradi scrittori italiani. Questa sensazione non mi ha abbandonato nemmeno a libro terminato, ma lo svolgimento della seconda parte del romanzo mi ha ulteriormente fatto capire che è un libro che vale e che vale la pena di leggere, perché ha avuto una parabola decisamente positiva. Il finale non è scontatamente mieloso e buonista come ci si potrebbe aspettare, e le situazioni che si vengono a creare sono interessanti. Certo, non mancano alcuni difetti di fondo, che in alcuni casi possono anche essere visti come pregi: alcune situazioni e alcuni personaggi di contorno vengono persi per strada, nel senso che a un certo punto spariscono per ricomparire magari in una scena da adulti (è il caso di Denis, amico di Mattia, e di Viola cosiddetta amici da Alice), senza riuscire a capire bene il loro ruolo, se sono da concepire come comprimari di sfondo o personaggi importanti. Idem per Nadia, tentativo di ragazza per Mattia. Per le situazioni, vengono lasciati in sospeso i rapporti tra Mattia e i genitori, il passato della cameriera della famiglia di Alice (che sembra quasi fosse una sottotrama che avesse dovuto avere più importanza ma poi tagliata per non allungare troppo il libro, ma che messa così ha poco senso), e la persona che Alice crede di aver visto fuori dall’ospedale, che non sapremo mai se è davvero che Alice credeva che fosse. E volendo, anche gli sviluppi degli studi di Mattia, che sembravano davvero epocali per il mondo della matematica.
Ma sono tutti (più o meno) particolari, piccoli difettucci che, ripeto, possono anche non essere tali ed essere trucchetti voluti e inseriti apposta dall’autore per simulare lo scorrere della vita vera, che spesso e volentieri ci allontana da persone che conosciamo senza approfondire la loro storia, e spessissimo lascia in sospeso domande senza che arrivi una risposta. Da questo punto di vista, quindi, è abbastanza riuscito, anche se potrebbe affinare la tecnica, per cercare di diminuire la sensazione di confusione che aleggia quando si percepiscono questi particolari.
La matematica, infine, è il fulcro del significato del libro: la spiegazione dell’evocativo (e furbo, diciamocelo) titolo del romanzo è una riflessione di Mattia, genietto della matematica fin dalle elementari, secondo cui lui e Alice sono come due numeri primi gemelli. I numeri primi infatti sono numeri solitari per antonomasia, essendo divisibili sono per uno o per se stessi, solitari senza via di scampo proprio come i due protagonisti. A volte però capita che due numeri primi siano così vicini da essere distanziati da un solo numero (per esempio il 17 e il 19), in quel caso si dicono gemelli. Proprio come Mattia e Alice, vicini nella loro solitudine ma non abbastanza da potersi toccare.
Un libro quindi che deve molto agli stilemi di certa narrativa di genere italiana e che non è esente da qualche pecca, ma che ha una trama intrigante anche quando affronta temi spesso da stereotipo (l’anoressia, la crisi matrimoniale, la distanza tra genitori e figli, l’omosessualità, il bullismo nelle scuole e si potrebbe andare avanti) e che sa commuovere grazie a del talento e a elementi furbi. Per essere un esordiente, mi ha convinto molto.