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[Niccolò Ammaniti] Che La Festa Cominci

Inviato: giovedì 14 gennaio 2010, 21:05
da Bramo
Che La Festa Cominci
Autore: Niccolò Ammaniti
Anno: 2009
Pagine: 328
Prezzo: euro 18
Editore: Einaudi (collana Einaudi. Stile libero big)

Quando lessi la trama in libreria, ero convinto che Ammaniti, uno dei miei scrittori preferiti, avesse sfornato un libro molto benniano, cioè dal sapore profondamente provocatorio verso l’attuale società italiana che ha spesso assunto Stefano Benni (il mio scrittore italiano preferito) nei suoi romanzi.
E’ stato comunque un piacere capire, leggendo Che La Festa Cominci, che mi sbagliavo abbastanza. Nel senso che la critica all’Italia c’è, certo, ma IMHO trattata in modo diverso da Benni, e in uno stile tipico del primo Ammaniti, quello totalmente folle e sopra le righe di Branchie, Fango e di Ti Prendo e Ti Porto Via.

L’autore costruisce il suo racconto fondandolo per buona parte su due storie parallele: quella di Fabrizio Ciba, scrittore italiano che ha raggiunto la fama con il suo primo romanzo e con la notorietà televisiva fatta di lustrini e di Porta a Porta; e quella di Saverio Moneta, in arte Mantos, leader delle Bestie di Abbadon, scalcinata setta satanica composta da soli tre elementi oltre a Mantos, uno poco credibile congrega di sfigati senza prospettive e che sente che la sua strada è vero il Male.
Ciba sta però attraversando un periodo molto problematico e rischioso, non sa che svolta dare alla sua vita e alla sua carriera, e lo stesso Saverio ha una vita assolutamente orribile, vessato dalla moglie e dal suocero, suo datore di lavoro al mobilificio.
Da una parte un vincente grazie a questa società disprezzabile, diviso tra velleità da grande letterato che si erge sopra questo mondo di apparenza e falsità e le comodità e la notoriertà che questa vita gli offre. Dall’altra, un completo fallito che dalla vita non ha avuto niente se non sputi e calci, che è attratto dal Satana senza ben sapere cosa vuol dire avere una setta. Insomma, due personaggi meravigliosi, in un certo senso un archetipo classico delle figure dei romanzi di Ammaniti, quello dei vinti. Personaggi disperati senza speranze per il futuro, o per migliorarsi, o per raggiungere una salvezza. Dal protagonista di Branchie ai personaggi dello scorso romanzo Come Dio Comanda, la narrativa di questo scrittore è piena di questa tipologia umana. Qui è bellissimo vederli muoversi, entrambi cambiare idea almeno dieci volte, sprofondare nelle depressione, rialzarsi per poi ricadere subito dopo, costruirsi un’identità a cui non credono loro per primi. Tanto che alla fine del romanzo il lettore appare disorientato, non sa a chi e se deve rivolgere le sue simpatie.
I due protagonisti sono accomunati dal partecipare a quella che prevede di essere la più grande festa che Roma, dove si svolge il cuore dell'azione, organizzata nei giardini di Villa Ada ora acquistata da un palazzinaro arricchito di nome Sasà Chiatti che vuole farsi una fama con questo party, invitando tutti i cosiddetti vip della capitale. E’ con questo personaggio e tutti gli invitati che la furia di Ammaniti si sfoga nel criticare lo schifo del jet-set italiano, della sua falsità e vacuità fatte di presenzialismo e di ricchezza facile.
Ciba ci arriva come invitato, Mantos e i suoi tre seguaci per una missione che li farà diventare la setta più importante in Italia:[spoiler]uccidere Larita, cantante italiana con un passato metal-satanista, ora convertita al pop e al cristianesimo[/spoiler]. Già qui è lol… comunque la trama assicura sorprese inaspettate che stupiscono e divertono, come non smettono di divertire nemmeno per un secondo i pensieri di Mantos e di Ciba, e i loro atteggiamenti, così come anche quelli degli altri personaggi di contorno, tra i quali mi piace ricordare Bocchi, l’amico chirurgo di Fabrizio, esempio perfetto del vip italiano, e che ha l’occasione di insegnare una grande verità all’amico sulle “figure di merda”.

L’umorismo di Ammaniti, che negli ultimi due romanzi mi sembrava un po’ smorzato, è qui invece presente alla massima potenza, arrivando verso la fine - nel suo stile più classico - ad assumere contorni assurdi e decisamente splatter, il che è uno spettacolo. Ciò non vuol dire che la trama sia esente da difetti: l’introduzione di un personaggio per esempio molto interessante e misterioso come [spoiler]il cuoco bulgaro[/spoiler], che poi viene decisamente sottoutilizzato; o lo stesso evento a sorpresa finale, interessante sicuramente ma non sviluppato appieno.
Cose che però non inficiano la gustosità del romanzo, un’ottima prova per questo scrittore che sa ancora una volta distinguersi nel panorama della letteratura italiana.