Letto. 60 minuti 60 è il tempo che mi ha richiesto leggerlo, e senza fretta ma prestando attenzione al testo e alle riflessioni che fa scaturire.
Non c'è niente da fare, comunque: che sia un breve libro coma
Baol, che siano deliri da time machine come
Saltatempo, che siano romanzi-capolavoro come
Achille Piè Veloce o
Comici Spaventati Guerrieri o che siano raccolte di racconti come
La Grammatica di Dio Benni è sempre Benni e non scade mai. Nemmeno stavolta. Nemmeno all'interno di un'operazione abbastanza inusuale come quella di una raccolta di monologhi al femminile nata peraltro per un progetto teatrale.
Sì, perchè Le Beatrici altro non è se non l'ennesima occasione perchè l'umorismo graffiante e satirico di Stefano Benni si riversi dalle pagine nella mente e nelle vite dei lettori che prendono in mano il libro. L'autore parla di varie tipologie di donne, spaziando dal medioevo all'attualità, dalla ragazzina alla donna in carriera, e in ogni caso Benni non parla mai solo alle donne ma a entrambi i sessi perchè quello che il geniale scrittore analizza è la realtà che ci circonda, tremendamente italiana, molto decadente e tristemente sadica.
Si apre con
"Beatrice", la donna angelicata di Dante, che dà una visione di sè molto diversa da quella che l'Alighieri ci ha restituito nelle poesie e nel Paradiso. Racconto brevissimo, ma a parte una geniale e discreta invettiva a Berlusconi e alle sue cene e a qualche follia narrativa notevole scorre vie veloce.
"La mocciosa" è invece perfetto: una caustica visione della gioventù odierna, fatta di neologismi, telefonini, nullità della vita e bisogno di fama. La critica presto si estende dalle adolescenti alla società italiana che le ha educate così grazie alla televisione e ad altre bestiate educative.
"La Presidentessa" è un'altra stilettata geniale alla società in cui viviamo, fatta di gerarchie, di economia, di furberie e di raccomandazioni. Il tutto visto dall'ottica di una donna in carriera che si pone al vertice di questa spregevole piramide; ancora una volta Benni non punta il dito sulla singola, ma sull'intero sistema che lei avalla ma di cui non è nè l'artefica nè l'unica colpevole, anche se sicuramente una pedina ignobilmente importante.
"Suor Filomena" ammazza dal ridere come racconto, mentre per quanto riguarda
"Attesa" concordo con Franz, è uno dei capolavori del libro: davvero condivisibile, mi ha fatto subito venire in mente una delle frasi benniane che non mi scorderò mai nella mia vita ("
La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate"), ma qui siamo a un livello ancora superiore: l'attesa infinita, cronica, ansiogena, che fa male... l'attesa di una persona, un familiare, delle cose della vita... la solitudine, la paura, l'inqiuetudine... di tutto questo e altro parla Benni e lo fa con tale intensità che mi si è stretto il cuore... Magistrale esempio di scrittura.
L'altro immenso capolavoro del libretto è
"Vecchiaccia", come è vero che come dice Franz è devastante e disturbante, ma proprio questa è la sua forza. Ma con quale intensità Benni fa parlare la vecchia che ha messo sul palcoscenico, con quale rabbia, potenza e cinica disillusione. L'autore entra perfettamente nei meccanismi mentali di una persona anziana e ne scava le paure, i ricordi, i sentimenti e i rancori. Verso se stessi, verso il proprio corpo avvizzito, verso il passato, verso gli altri. E' tremendo vedere l'intensità con cui il passato colpisce la mente dell'anziana, il modo ossessivo con cui rivive i momenti belli ma soprattutto quelli brutti della sua vita passata. Agghiacciante davvero, e come non versare una lacrima sincera nelle invettive contro i fascisti mosse con tale ardore e forza da far male dentro anche a chi come me quegli anni terribili non li ha vissuti. Brividi veri.
"Volano" è una leggera fantasia benniana, senza una trama vera e propria ma che finisce con la giusta posizione per quelle persone piccole piccole e vuote vuote che tanto lo scrittore bolognese disprezza.
Infine per
"Mademoiselle Lycanthrope" quoto Franz, ha detto poco e niente pure a me.
Non sono invece così duro come è Franz sui testi poetici: a me in media sono piaciuti tutti, posseggono buone suggestioni e mi è piaciuto leggerli. Qualcuno più qualcuno meno ovviamente,
"Amour Monet" ed
"E i Gatti" per esempio li ho molto graditi come testi.
In sostanza promuovo quest'ultima fatica benniana, che pur con qualche difetto mi ha dimostrato egregiamente che Stefano Benni è ben lungi dall'essere uno scrittore bollito.