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[Umberto Eco] Il Cimitero di Praga

Inviato: mercoledì 11 luglio 2012, 14:38
da Valerio
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Ho finalmente avuto modo di leggere il sesto e ultimo romanzo di Eco, completando un progetto che iniziai ben sei anni fa. Si tratta di un romanzo senile, in tutti i sensi. In esso troviamo un Eco ormai completamente perso in sé stesso che forse a causa dell'età non riesce più a gestire e a trasformare in narrazione l'enorme ammasso di cultura chiuso nella sua mente, finendo così mettere in scena la figura di un confuso vecchietto, intento a scrivere le sue memorie. Questa volta Eco mette in scena la biografia di Simone Simonini, falsario ottocentesco che si immagina essere il vero responsabile di un considerevole numero di truffe realmente avvenute. Ci troviamo così in mano un vero e proprio romanzo storico: attraverso il fittizio Simonini, viene raccontata la storia d'Europa lungo tutto il corso del secolo, facendo sfilare al suo fianco quasi esclusivamente figure realmente esistite, esattamente come avveniva in Baudolino e nel Nome della Rosa. Non solo, ad essere centrali nel libro sono anche gli altri temi da sempre cari ad Eco, come ad esempio l'amnesia (La Misteriosa Fiamma della Regina Loana), la follia (L'Isola del Giorno Prima) e la fantasticheria che finisce per essere ritenuta vera (Il Pendolo di Foucault). Una sorta di summa di tutta la sua poetica, che non viene però esposta efficacemente come nelle sue opere precedenti.
Due sono i fili conduttori importanti: il primo è l'antisemitismo di Simone, inculcatogli sin da piccolo dal nonno, che lo porta lungo tutta la vita a lavorare ad una campagna contro gli ebrei. Il Cimitero di Praga del titolo è quello in cui Simone immagina avvenga il ritrovo centenario dei rabbini, intenti a complottare ai danni dell'umanità: una scenetta che in forma di testimonianza scritta, cercherà di vendere a più offerenti nel corso di tutta la sua vita, fino a trasformarla, stesura dopo stesura, nella bozza dei Protocolli dei Savi di Sion, opera che ispirò il Mein Kampf di Hitler. Eco trasforma il suo sesto romanzo quindi in una sorta di ipotetico dietro le quinte dell'olocausto, divertendosi come i protagonisti del Pendolo a individuare un piano ben preciso dietro agli eventi storici.
Il secondo filo conduttore, che è anche la cosa più riuscita del libro, è il motivo che spinge Simonini a tenere il diario delle sue memorie. Trovandosi di punto in bianco affetto da un disturbo della personalità, che lo porta ad alternare due diverse identità, la sua e quella dell'abate Dalla Piccola, non gli resta che ricostruire ogni particolare del suo passato fino a individuare il trauma che ha portato il suo io a scindersi da quello di uno dei suoi tanti alias. E ovviamente qui ci ritroviamo nel campo in cui Eco regala le maggiori soddisfazioni, visto che come sempre dimostra di padroneggiare questo tipo di tematiche. Il paradosso che porta un falsario a perdersi nelle sue stesse falsità, il motivo che poi si scoprirà essere alla base del trauma, è quanto di meglio offra il romanzo.
E poi invece c'è il peggio. Ed è tanto, tantissimo, purtroppo. Il Cimitero di Praga innanzitutto è un libro totalmente slegato e frammentario, che si perde nel citazionismo erudito, elencando fatti e nomi senza il minimo senso della misura. I capitoli che ci raccontano la vita di Simonini alternano arguzia e illeggibilità, il tutto mentre Eco dà completamente per scontato che ogni suo ammiccamento storico possa essere recepito dal lettore. Dalle pagine del romanzo non si avverte la preoccupazione di limare il tutto, ma è un gigantesco calderone in cui Eco infila ogni cosa gli venga in mente come se l'unico destinatario fosse sé stesso. Già in passato c'erano stati segnali di squilibrio: nel Pendolo la narrazione del Piano sfiorava l'eccesso, ma era giustificata dal contesto, mentre L'Isola e La Misteriosa Fiamma avevano molti punti in cui la narrazione si avvitava su sé stessa. Qui l'intero libro non fa altro che mescolare fatti e tirare in ballo personaggi che altro non sono che dotti riferimenti, ma che non rimangono impressi nella mente del lettore, in quanto privi di anima. L'unico personaggio a cui un po' ci si affeziona è il perverso protagonista, che pur nella sua bestialità ci viene descritto come un povero deviato in balia di sé stesso, ma per il resto le emozioni sono poche, e il libro comunica freddezza. E un altro difetto è che stavolta non abbiamo un climax finale ben gestito: dopo la scoperta del trauma e il ricomporsi delle due metà della personalità del protagonista (momento splendido!), la narrazione lo segue lungo gli ultimi due capitoli...che purtroppo hanno ben poco di conclusivo, e non si discostano troppo dai capitoli centrali in cui Simonini complottava a vuoto. C'è un punto di arrivo per la trama ebraica ma non è abbastanza, manca di straniamento, di sense of wonder, e soprattutto non si collega neanche troppo al leitmotiv dello sdoppiamento di personalità.
Forse Eco è troppo vecchio per continuare a scrivere romanzi o forse si è semplicemente perso nella mente degli intellettualoidi peversi a cui ha dato vita lungo i suoi sei romanzi.