[Umberto Eco] Il Pendolo di Foucault
Inviato: venerdì 01 dicembre 2006, 02:42
Otto anni dopo Il Nome della Rosa, Eco se ne esce col suo secondo romanzo di narrativa. Il Pendolo di Foucault non è però un libro amato quanto il suo predecessore: i più gli imputano una certa lentezza, e obiettivamente parlando non si può certo dire che non sia un'opera dispersiva. Il punto però è che Il Pendolo è volutamente dispersivo, in quanto racconto di una vita. Il rapporto causa/effetto sta alla base del libro, visto che l'eccezionalità del Pendolo sta proprio nel presentarci in prima battuta delle conseguenze assurde, per poi narrarne le cause per mezzo di alcuni flashback concentrici. Cause che non sempre sembreranno essere tali, visto che tutto ciò con cui Casaubon, l'io narrante e protagonista del racconto, viene a contatto negli anni della sua giovinezza, non acquisirà la sua reale importanza se non nell'ultimo quarto di libro, quando gli eventi precipiteranno e tutto andrà a rifluire nei tumulti dell'ultima notte.
Il Pendolo è la storia di una vita vissuta col disincanto di chi non crede in niente e in nessuno, una storia in cui la disillusione tocca vertici incredibili fino a sfociare nel suo esatto opposto. Il protagonista, come si è detto, è il giovane Casaubon, un esperto medioevista, consulente culturale di una casa editrice in cui lavorano Diotallevi e Iacopo Belbo, i coprotagonisti del romanzo. L'attenzione si focalizza in particolare su Belbo, anche grazie ai suoi numerosi flashback che ne raccontano l'infanzia nelle campagne pavesi, e come la sua vita sia stata piena di occasioni non colte. Disillusione, delusione e malinconia nascoste sotto uno strato di ironia e stravaganza, che porta Belbo a passare le sue giornate inventando tormentoni e discipline assurde (una su tutte l'avunculogratulazione meccanica, ricorda nulla?) con Diotallevi. Casaubon finisce presto per formare con Diotallevi e Belbo un terzetto di sfaccendati che, quando si ritrovano a dover curare una serie di saggistica esoterica e ad avere a che fare coi relativi autori, non trovano di meglio che riscrivere la storia universale in chiave massonica per sfotterli tutti. Molti sono i mitomani, gli stregoni, i presunti reincarnati che popolano le 677 pagine del Pendolo, ma sono appunto comparse, che prese singolarmente non influiscono granchè, ma in massa e soprattutto frequentati spesso causano quello che vediamo succedere, nell'ultima parte del romanzo. Belbo, Diotallevi e Casaubon creano il Piano un po' per noia, un po' per divertimento ma soprattutto per colmare un vuoto interiore e credere in qualcosa, cosa che regolarmente avviene dopo poco. Nella loro personale riscrittura del mondo a base di complotti templari che si trascinano per secoli causando questo o quell'evento storico, i tre inseriscono dentro tutta la loro esperienza personale condita a tutta la cultura storica di cui dispongono, o meglio, di cui dispone lo stesso Eco. E con tutta s'intende proprio tutta, perchè la rivisitazione del mondo in chiave templare non risparmia niente e nessuno e scende nel dettaglio più infinitesimale, fino a lambire l'illeggibilità. Il problema è che lo stesso vuoto interiore dei protagonisti ce l'hanno pure i ciarlatani, che non appena trovano un appiglio, un qualcosa in cui credere prendono sul serio questo delirio e fanno prendere agli eventi una piega piuttosto inquietante.
120 sono i capitoli che compongono Il Pendolo di Foucault, distribuiti lungo dieci sezioni di lunghezza variabile che possono contenerne un quarantina come uno soltanto. Due sono le parti veramente pesanti, che potrebbero spaventare il lettore. Uno di questi è sicuramente l'inizio, che ti catapulta direttamente negli eventi dell'ultima fatidica notte. Il problema è che Eco parte nominando molte cose senza spiegare niente. Quel che a una prima occhiata può sembrare un eccessivo dar per scontato è in realtà un segnale per la mente del lettore. Nomi e cose vengono immagazzinate a livello inconscio per poi essere riconosciute come importanti nel corso della lettura, quando dovranno venire per forza fuori. Questa cosa ha anche il secondo fine di mettere in guardia il lettore sul tono del libro, facendoglielo mollare subito se giudicato inadatto. Per fortuna per me non è stato così e proseguendo ho scoperto un sacco di cose positive. Va detto che prima di ambientarmi e imparare ad amare questi personaggi c'è voluto un po', ma la soddisfazione di leggere i capitoli sul signor Garamond, meschino editore che con astuzia lusinga l'autore al punto di convincerlo a finanziarsi da solo, o sull'ambiguo e viscido Agliè, è stata veramente grande. C'è poi una seconda zona estrema nel libro, che è la fase terminale della creazione del Piano. Piano che all'inizio è divertente e piacevole da leggere, ma quando poi verso la fine raggiunge un eccessivo livello di dettglio, si finisce per smettere di seguire. Ma se si supera questo secondo ostacolo la soddisfazione è grande, perchè Il Pendolo di Foucault presenta un climax finale di intensità incredibile. Gli eventi di quella notte, i giorni che li precedono e le riflessioni postume sono fra le cose più belle che abbia mai letto, e hanno contribuito a rendere Belbo un personaggio amatissimo. La condanna all'esoterismo e ad altre simili chimere, nel finale si fa manifesta e, pur non volendo dare una soluzione esplicita all'atavico dilemma umano, Eco nel finale suggerisce di volgere le proprie attenzioni al presente, facendo tesoro del passato e dei momenti felici vissuti occasionalmente, senza voler a tutti i costi cercare in loro una stabilità che non ci sarà mai. Ed è questa l'unica certezza che vale la pena avere, l'unico punto fermo in tutto l'universo a cui attaccare il metaforico Pendolo di Foucault.