Il terzo romanzo di narrativa di Eco giunge nel 1994, sei anni dopo
Il Pendolo di Foucault.
L'Isola del Giorno Prima è assai più breve dei suoi due predecessori, ma del resto è quello che fra tutti ha sicuramente meno da raccontare. Questo perchè
L'Isola porta all'estremo la crisi esistenziale già presente nei primi due, non presentando soltanto situazioni e personaggi alla disperata ricerca di un senso nella loro vita, ma estendendo questo disagio alla storia stessa. Il metanichilismo di Umberto Eco si esprime tutto nell'ultimo capitolo dove l'autore stesso si interroga sull'effettivo valore della storia raccontata per trarne, sia pur con una buona dose di autoironia, la conclusione più pessimistica possibile. Apparentemente il più accessibile,
L'Isola del Giorno Prima è in realtà assai più ostico dei suoi due predecessori, ed è quello che potrebbe più di tutti lasciar perplessi i lettori a digiuno del
Pendolo. Tutta l'azione si svolge infatti all'interno della Daphne, un veliero abbandonato sulle rive di un'ipotetica isola facente parte dell'arcipelago di Salomone, dove nel 600 si immaginava potesse essere il
punto fijo, che identificava l'antimeridiano di Greenwich. Fondamentale per risolvere il problema delle longitudini e quindi facilitare non poco la navigazione in quel periodo di conquiste nautiche, l'antimeridiano, o la linea del cambiamento di data, è ciò che viene massimamente tenuto in considerazione da parte dell'interà società del periodo. Il protagonista di questa non-storia, il nobile piemontese Roberto de la Grive viene forzatamente imbarcato dal cardinale Mazarino a bordo dell'Amarilli, con lo scopo di carpire ad un dottore inglese il segreto del punto fijo. Il romanzo inizia col naufragio di Roberto e con il suo paradossale arrivo a bordo di una Daphne disabitata, ma piena di particolarità e stranezze su cui fare luce. L'esplorazione della nave da parte di Roberto viene intervallata da flashback che raccontano la sua vita passata, un insieme di aneddoti di varia importanza che però aiutano a tracciare un ritratto completo di un'esistenza. La guerra del Monferrato, l'assedio di Casale, la peste e quant'altro già raccontato a suo tempo dal Manzoni, viene qui rielaborato da Eco con un furbo gioco di rimandi e citazioni, presentandolo sotto un'ottica e con delle finalità differenti. Una galleria di bozzetti, di dialoghi e frammenti di memorie che aiutano lo stesso Roberto a rompere la monotonia del suo soggiorno forzato con la nave, scoprendosi sempre di più alla disperata ricerca di un senso complessivo da dare a tutta la sua vita. Dopo la rievocazione della guerra, si passa al suo scapestrato e turbolento soggiorno a Parigi e infine al viaggio a bordo dell'Amarilli, ed è quando i ricordi si esauriscono che la prima parte del libro termina, per lasciare il posto ad una seconda metà, dominata dalla follia e dallo squilibrio mentale.
E' dopo un fugace incontro con il misterioso inquilino della nave che Roberto inizierà a cercare di raggiungere l'isola imparando a nuotare, ed Eco inizierà ad alternare il racconto dei suoi esercizi di nuoto con quello dei voli pindarici della sua mente, che in puro stile
Pendolo di Foucault andranno inconsciamente a colmare il suo vuoto interiore. E' proprio immaginando un proprio gemello malvagio a cui attribuire tutte le colpe delle proprie sventure, che la mente di Roberto trova quindi la scappatoia ideale per dare un senso agli avvenimenti della sua vita. La struttura del libro rimane così invariata, solo che al posto dei flashback (parecchio in stile
Lost, invero) di cose veramente accadute, c'è ora la narrazione parallela della vita dell'antieroe Ferrante, che viaggiando per l'Europa, vive avventure ai margini della moralità e trama ai danni del gemello Roberto. Queste ipotetiche dietrologie, partorite da una mente ormai sull'orlo della pazzia, hanno fine quando Roberto prende la decisione definitiva, e farneticando di viaggiare nel tempo grazie alla linea del cambiamento di data decide di buttarsi in mare andando incontro al suo destino, per noi inconoscibile. Dopo una non-storia, ci rimane quindi una non-fine, o per meglio dire un finale così aperto da togliere ai precedenti quaranta capitoli quel poco senso che forse ancora avevano. Ma probabilmente l'unico senso, l'unico vero punto fisso dell'universo è assolutamente soggettivo e inconoscibile, e allora tanto vale inventarselo per poi immaginarne gli esiti ipotetici. Che è un po' quello che fanno tutti i romanzieri.