[Toei Animation] Un Fiocco per Sognare, un Fiocco per Cambiare

Nota al pubblico occidentale perlopiù per poche opere iconiche, l'animazione orientale si rivolge al più vasto dei target possibili e prende in esame le infinite sfaccettature dell'essere umano.
  • Oibò! Questo non l'avevo notato! Nè tantomeno pensavo che a Deboroh piacesse! O.O

    Ecco l'opinione del giapponesaro che s'è visto la serie in lingua originale da poco! :D

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    Aldilà del cielo, esiste una dimensione parallela chiamata Mahou no Kuni [Paese della magia], governata dal più classico dei re medievali, grande e grosso, austero e baffuto.
    Costui è un re magari un po’ troppo inflessibile, ma buono e giusto, e governa su un popolo formato da sosia delle persone che abitano il mondo umano.
    Il sovrano ha un’unica figlia, Erika, giovanissima principessa dai lunghi capelli biondi, la quale si appresta a dover superare una prova prima di venire accettata come legittima erede al trono.
    Dovrà infatti entrare in contatto con la sua sosia del mondo umano e donarle in prestito per un anno un oggetto magico di sua invenzione, vegliando da aldilà delle nuvole sull’uso che ella ne farà…

    A dispetto del suo nome proprio assai banale, il regista cinematografico Tarou Nonohara è un uomo felice.
    Ha una moglie, Hanako, che condivide con lui un nome comunissimo e fa la scrittrice, che è un po’ bizzarra e sempre indaffarata, ma che vuol molto bene al suo caro marito.
    E ha tre figlie, i cui nomi sono, oserei dire, profetici.
    La maggiore, Aiko, rende ben onore all’ ideogramma “ai” [amore] contenuto nel suo nome. E’ infatti una ragazza diligente, giudiziosa, matura ed estremamente femminile.
    La minore, Yumeko, è una vivace bimba che frequenta l’asilo, e come tale rende ben onore all’ideogramma “yume” [sogno] contenuto nel suo nome.
    La figlia di mezzo, Himeko (per gli amici Himechan) è la protagonista della nostra storia che finalmente compare in questa presentazione della trama, ed è anche il più grande cruccio di babbo Tarou.
    Sebbene il suo nome, che contiene l’ideogramma “hime” [principessa], suggerisca l’idea di una ragazza molto dolce e femminile, la nostra Himechan è invero l’esatto contrario.
    Porta un taglio di capelli a caschetto molto maschile, è sboccata, energica e molto abile nello sport, nonché ben poco femminile, tanto più che alla scuola media Kazetachi tutti quanti si riferiscono a lei come “shounen” [ragazzo].
    Gli unici vezzi da ragazza che Himechan si consente sono i pettegolezzi con le amiche di sempre, la studiosa e responsabile Icchan Kamikura e la regina del gossip Manami Mori, e le coccole al suo leoncino di peluche di nome Pokota, alla quale la ragazza è legatissima fin da bambina e che tratta come fosse un essere realmente vivente.
    Il caso vuole che una ragazza così poco femminile e adatta ad essere la protagonista di uno shojo anime sia anche la sosia umana della principessa Erika, e quindi la persona destinata a ricevere da lei per un anno un fiocco rosso dotato di un potere magico, quello di poterla tramutare a suo piacimento, tramite una formula magica, in chiunque ella voglia.
    Assieme a questo meraviglioso potere, la ragazza riceve anche un altro dono, probabilmente per lei assai più gradito dello stesso fiocco magico. Al suo fedele Pokota, infatti, viene donata la vita affinchè faccia da mascotte e compagno ad Himechan e l’aiuti nella grande avventura che l’attende di lì ad un anno.
    Il nostro maschiaccio viene così praticamente costretto ad indossare perennemente un bel fiocco rosso sulla testa, per la gioia di papà Tarou, convinto che finalmente la sua bambina abbia preso coscienza di essere una ragazza, fiocco che le donerà un potere utilissimo ma anche problematico e foriero di parecchi guai.
    La sconsideratezza di Himechan, difatti, la porterà a dover forzatamente condividere il suo grande segreto con un compagno di scuola, Daichi Kobayashi, con il quale la ragazza non fa altro che litigare, ma da cui, sotto sotto, si sente attratta (ma dato che non è molto femminile e non è molto brava in queste cose, non lo ammetterà tanto facilmente).
    Da quel momento, i suoi guai non faranno che aumentare, perché sempre più problemi si presenteranno, siano essi legati al fiocco magico (vedi il rischio di rivelare il segreto dell’esistenza della magia agli umani, e la conseguente cancellazione della memoria, o i numerosi sosia di Himechan e compagnia che giungeranno di tanto in tanto a combinar casini dal Mahou no Kuni) o puramente sentimentali (vedi il misterioso ed affascinante Sei Arisaka che si proclama innamorato della nostra protagonista o la terribile e comicissima Hikaru Hibino, la presidentessa del Fan Club di Daichi, che non vede affatto di buon occhio la nuova amica del suo amato).
    Con l’aiuto del suo bizzarro potere magico e del suo carattere forte e pieno di energia, la nostra protagonista sarà però pronta a tener testa a tutte le difficoltà che le si pareranno davanti, e nel corso dell’anno riuscirà anche a comprendere qualcosa di più su se stessa e sul suo lato più femminile…

    A pensarci bene, l’idea che sta alla base di Himechan no ribbon non è che sia poi così originale.
    Già Ransie la strega negli anni ’80 era capace di trasformarsi in chiunque (e in qualunque cosa) ella volesse, e non dimentichiamoci di Akkochan/Stilly e lo specchio magico, una serie di culto degli anni ’60 di cui hanno fatto innumerevoli remake, la cui protagonista era appunto capace di trasformarsi in chi volesse proprio grazie ad uno specchietto magico (e per le sue trasformazioni Himechan ha appunto bisogno di recitare una formula magica davanti ad uno specchio, sebbene il potere le venga dal fiocco e non da questo).
    Tra l’altro, il personaggio della rivale in amore apparentemente fragile e docile ma in realtà isterica, schizzata, psicopatica e divertente in stile Hikaru Hibino non è nuovo nelle opere di questo genere, anzi è presente praticamente in ogni shojo a tematica fantastica. Negli anni ’80 c’era appunto già Tokimeki Tonight/Ransie la strega che presentava la collerica e comicissima Yoko Kamiya, e nel corso degli anni sarebbero venute di lì a poco anche le varie Daijoji (in Miracle Girls/E’ un po’ magia per Terry e Maggie), Christine Hanakomachi (in Daa! Daa! Daa!/Ufo Baby), Azumi Hidaka (in Mirmo De Pon) and so on.

    Se, quindi, l’idea di base non è poi così originale, che cos’è che fa di Himechan no ribbon una serie che è stata capace di appassionare un pubblico così vasto, tra l’estate e l’autunno del 1996?
    Innanzitutto, sebbene presenti elementi fantastici quali una dimensione parallela in stile fantasy-medievale, oggetti e animali parlanti, peluches senzienti, sdoppiamenti di personalità, trasformazioni, viaggi nel tempo, filtri magici and so on, Himechan no ribbon riesce a mantenere un realismo davvero notevole nel tratteggiare le ambientazioni e i personaggi.
    Himechan e compagnia non si fanno diecimila patemi d’animo, non sono dei mostri di psicologia, (cosa che, del resto, sono ben poche persone, nel nostro mondo reale).
    Suppongo che l’intento primario dell’anime fosse stato quello di vendere i giocattoli con le riproduzioni degli oggetti magici alle bambine, come spesso accade in produzioni di questo genere e come mi viene confermato dalla presenza nella serie di svariati altri oggetti magici che esulano dal semplice fiocco, come la trousse capace di sdoppiare Himechan in due cloni distinti e di manipolare il tempo, lo scettro capace di variare le dimensioni della ragazza o la penna magica.
    Nonostante questo, però, i personaggi di questa serie sono stati creati con un realismo maniacale, nonostante siano essi abbastanza semplici e riconducibili a stereotipi ben precisi. Si percepisce una sorta di umanità di fondo, in loro, che li rende appunto verosimili, non finti e costruiti soltanto per appassionare lo spettatore.
    E’ chiaro che non esiste nessun Mahou no Kuni con cui interagire, né oggetti magici, nel nostro mondo, ma non faremo affatto fatica a trovare anche noi una Himechan, un Daichi, una Hikaru, una Manami, una Icchan, un Tetsu (l’amico del cuore di Daichi), una Hanako, un Tarou, una Aiko, una Yumeko, uno Shintaro (il fratellino di Daichi), un professor Gori (l’ old-fashioned ma valido e comicissimo insegnante di Himechan e compagnia) nella città in cui viviamo.
    Ognuno dei personaggi di questa storia sarà tratteggiato in maniera semplice, ma conosceremo alla perfezione i luoghi che abitualmente frequenta, gli abiti che indossa (che saranno sempre differenti nei vari episodi e molto curati), le sue passioni e inclinazioni, i suoi sentimenti, e alla fine della fiera ci saremo a lui affezionati. Gli autori dimostrano così di riuscire a parlarci indistintamente di persone completamente differenti tra loro, dall’anziano signore alla studentessa delle medie, dall’uomo in carriera di mezza età alla bambina dell’asilo, e di riuscire bene nell’impresa in qualunque caso.
    Tra l’altro, sintomo più evidente di questo realismo sono i personaggi maschili della storia: a parte Sei Arisaka, che è biondo, bello e popolare per esigenze di trama, e Hasekura-senpai (il primo amore della protagonista), che è belloccio, popolare e più grande per rispettare lo stereotipo del senpai da shojo anime, tutti gli altri non sono necessariamente dei figoni assurdi, ma dei semplici ragazzi di scuola media, con i loro capelli corti e scuri, con la loro passione per lo sport, la loro negligenza per la scuola e la loro amicizia virile più che normale.
    Perfino lo stesso Daichi, nonostante Hikaru e le altre ragazze del Fan Club ne idolatrino la bellezza e la popolarità, è un semplice ragazzo con un normalissimo caschetto castano, che ama portare berretti da baseball, non è molto bravo a capire i sentimenti delle ragazze (e quindi non spara loro frasi a effetto assolutamente irreali), ama bighellonare con l’amico Tetsu, giocare a calcio, andare in bici, sullo skateboard o sui pattini a rotelle, giocare col suo fratellino e viaggiare da solo in giro per il mondo.

    Che dire poi della nostra protagonista?
    Himechan non è come l’amica Manami o come il 90% delle protagoniste degli shojo, che perdono la testa per ogni bel faccino che vedono e si fanno mille patemi d’animo per riuscire a conquistarlo o per dichiarargli quanto lo amano.
    Nossignori, la nostra protagonista comprende la sua femminilità a poco a poco e riesce a conquistare Daichi grazie al proprio carattere gioioso e pieno d’energia.
    Himechan e Daichi sono amici inseparabili, ancor prima che amanti. Non si sono visti e si sono tempo due secondi buttati su un letto per sbaciucchiarsi o peggio, ma hanno maturato una relazione di reciproca fiducia, basata su una solida amicizia, sono andati insieme al luna park e in viaggio, si sono protetti ed aiutati l’un l’altro, hanno fatto conoscenza con le reciproche famiglie, hanno condiviso i propri reciproci segreti (la villa abbandonata dove Daichi si nasconde per stare in solitudine e tutti gli orpelli e misteri magici di Himechan). E, a poco a poco, questa ragazza così poco femminile ha cominciato a sentire qualcosa per questo amico così speciale con cui ha molto in comune. Ma lei è una ragazza e lui un ragazzo. Forse che la loro empatia così particolare scaturisce dall’amore che, in fondo, entrambi provano reciprocamente e che aspetta soltanto la maturazione di lei come ragazza e la “svegliata” di lui per concretizzarsi?

    Del resto, i tredici anni, le scuole medie, sono davvero così come Himechan no ribbon li ritrae.
    E’ un periodo, questo, che non è né carne né pesce, e che quindi, una volta superato, si tende a rinnegare o a bollare come gli anni più brutti della vita.
    Si è troppo grandi per giocare con il nostro Pokota (ma una parte di noi ancora lo vorrebbe) e si è troppo piccoli per essere realmente indipendenti, quindi, se ci attardiamo fuori senza avvisare, ci becchiamo un bello schiaffone dalla mamma.
    Si incomincia a far conoscenza con il proprio status di maschio o femmina e si viene attratti dall’altro sesso. Così le ragazze guardano alle sorelle grandi e belle con una punta di invidia, e i ragazzi, che maturano dopo e ancora non ci capiscono granchè in tutto l’ambaradan delle relazioni tra i due sessi, possono venire fraintesi perché “un uomo non manifesta mai i propri sentimenti con le parole”.

    Himechan no ribbon è così. La magia se la porta persino nel titolo, nel primissimo fotogramma (che infatti mostra Erika e non Himeko), ma non ne abusa e non ne fa il suo cardine. Di tanto in tanto, difatti, capiteranno episodi in cui Himechan non userà i suoi poteri, e, comunque, le magie non saranno quasi mai il punto focale della storia (tranne negli episodi “clou”), ma l’attenzione primaria sarà data proprio ai personaggi, alla loro quotidianità, all’approfondimento dei loro caratteri a piccoli passi. Non fosse un maho shojo si potrebbe infatti dire che Himechan no ribbon sarebbe una serie pedagogica per le ragazzine delle medie, a mò di “Mizuiro Jidai” che infatti ha con lui non pochi punti in comune.
    Sembra strano a dirsi, ma Himechan no ribbon potrebbe tranquillamente reggersi sulle sue gambe anche senza l’elemento fantastico.
    A differenza di molti dei maho shojo che erano e che verranno, infatti, Himechan no ribbon può contare su un cast d’eccezione, composto da molti personaggi eterogenei e tutti con qualcosa da dire, aldilà delle trasformazioni e delle magie, e su due protagonisti d’eccezione, che, proprio per il fatto di essere due ragazzi comuni e non un figone e una sciacquetta, di avere una personalità verosimile e non di essere due vuoti stereotipi, riescono a far appassionare lo spettatore alla loro storia.

    Sul lato tecnico, Himechan no ribbon si difende abbastanza bene, nonostante l’età. Lo stile di disegno utilizzato è quello classico degli shojo anni ’90, in particolare molto simile a quello di Wataru Yoshizumi (tanto più che sulla posta di un vecchio albo Star Comics dell’epoca un lettore chiese se l’autore non fosse lo stesso di Marmalade Boy), e fa il suo sporco lavoro, pur senza troppe lodi, dando peraltro il meglio di sé nelle spettacolari scene delle trasformazioni e dell’uso dei vari oggetti magici e nella curatissima rappresentazione dei paesaggi e delle ambientazioni, siano esse la città di Kazetachi o il mondo fatato dove vive Erika.
    La parte musicale, invece, è più che ottima. La melodia del tema principale, usato nei momenti salienti degli episodi sia in versione classica che strumentale, e nelle anticipazioni delle puntate successive, è davvero gradevole, e più di una volta mi sono trovato a farmi scappare una risata ascoltando il tema personale di Hikaru Hibino, che compare all’improvviso, anch’esso in più versioni, ogni qualvolta lei entra in scena.
    Le sigle invece sono curate dagli Smap, una boy band molto celebre nei primi anni ’90.
    (Smap con la M, non gli Snap con la N, quelli di “The Power” e “Rhythm is a dancer”!)
    A pensarci bene, Himechan no ribbon può considerarsi una sorta di grandissimo tributo agli Smap, dato che la riproduzione animata del gruppo compare nelle puntate in più occasioni e che la sigla d’apertura esprime perfettamente il vero spirito di Himechan no ribbon e della sua protagonista, tanto da chiedersi se non sia stata composta appositamente pensando ai personaggi creati da Megumi Mizusawa.

    Mi piace il tuo essere vivace
    Anche se sei lontana io riesco a vederti
    Ti si addice, questo sorriso

    Ovunque tu sia, io riesco a trovarti
    Perché sento la tua voce allegra
    Mi piacerebbe avere il coraggio
    Di sedermi accanto a te e parlarti

    La visione del tuo profilo che si staglia al tramonto, a scuola
    E’ il mio personale tesoro, che custodirò per sempre

    Mi piace il tuo essere vivace
    Ti si addice, quel fiocco rosso
    Il suo misterioso potere
    E’ capace di compiere miracoli

    Mi piace il tuo essere vivace
    Anche se sei lontana io riesco a vederti
    Ti si addice, questo sorriso


    Sono le parole della sigla d’apertura, “Egao no genki” [L’energia di un sorriso], e come potete vedere sono la perfetta descrizione di Himechan e della serie di cui è protagonista.
    “Genki” [vitalità, energia] è infatti la nostra parola chiave, tanto più che nei miei sottotitoli inglesi viene lasciata non tradotta. E’ “genki” la parola più adatta a descrivere Himeko, con la sua voglia di vivere, la sua contagiosa allegria, la sua gentilezza incondizionata e la sua voglia di aiutare gli altri, il suo farsi forza in continuazione con uno strampalato balletto di sua invenzione (“Ike, ike! Go, go! Jump!”).
    E’ questo carattere così “genki” la vera forza di Himechan, il perché piace a tutti indistintamente (Eh, si, sotto sotto piace anche a Hibino-san!) e il perché la serie animata di Himechan no ribbon in quel lontano 1996 raggiunse e colpì i cuori di tutti gli spettatori a cui fu proposta: alle ragazze, chiaramente, perché attratte dalla storia d’amore e dall’elemento magico, e ai ragazzi, che si sono resi conto che con dei protagonisti così “reali” la storia non sarebbe stata noiosa o artificiosa, e si sono lasciati conquistare.

    Di shojo anime ne ho visti tanti, di majokko ne ho visti altrettanti, ma Himechan no ribbon, aldilà del valore affettivo, ha davvero una marcia in più, che gli viene appunto dal suo essere più “shojo” e meno “maho”, riuscendo così ad appassionare persino con il semplice racconto del quotidiano.
    Himechan no ribbon narra una storia semplice semplice, ma riesce a narrarla in modo delicato e ad appassionare lo spettatore, facendola recitare da personaggi estremamente convincenti e avvalendosi di una bella grafica e di un buon comparto sonoro.
    E’ una serie che quindi consiglio a chi ha voglia di ritornare un po’ bambino, a chi ha voglia di riscoprire, delicatamente e lentamente, cosa significa crescere, rendersi conto dei propri sentimenti e delle proprie responsabilità, e affrontare gli ostacoli che ci si pongono davanti sul lungo cammino della vita. Con o senza aiuti magici da una dimensione alternativa.

    Dato che vedo c'è un comando "Youtube", se non offendo nessuno, io vi inserisco il video della sigla originale in conclusione, dato che sigla originale e trama e personaggi della storia vanno inscindibilmente di pari passo.

    Perchè pirati si nasce, e all'arrembaggio si va, con la bandiera che sventola, per dire "siamo qua!".
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