Re: [George R. R. Martin] Il Trono di Spade (HBO)
Inviato: martedì 21 maggio 2019, 03:12
8x06: The Iron Throne
Premessa che, siccome sono io, mi sento assolutamente di dover fare. Come entità del fenomeno, come intensità e capacità di coinvolgimento di massa non ho alcun dubbio che Game of Thrones sia il tanto disiato Erede_Di_Lost. Opere diverse, anche se con qualche punto di contatto (Hodor! Hodor!), ma diverse appunto. Perché Game of Thrones è, prima di ogni altra cosa, un adattamento. O almeno, adattamento lo è stato fino a un certo punto. Poi è successo quel che è successo, e il resto è Storia della televisione. Nel bene e nel male. Dico male perché come accaduto nel 2010 ai tempi del finale di Lost, anche questa volta il pubblico ha reagito allo spettacolo in maniera a dir poco imbarazzante. La petizione, le lamentele, le critiche anche puntuali trasformate in una dimostrazione di immaturità emotiva, diseducazione visiva, bestialità critica. Mi sono sentito fortemente in imbarazzo dal sentimento morboso di quella minoranza rumorosa che in queste ultime settimane ha tenuto banco, criticando un prodotto del quale non si era in grado di distaccarsi realmente, giocando a fare i furbi dissacratori. E dimostrando, alla fine dei giochi, non amore per questa serie, ma attaccamento, incapacità di lasciarla andare, di rendersi conto di ciò che si è visto.
Io, ad esempio, la mia disillusione già l'ho avuta più o meno un lustro fa. Prima seguivo la serie, insieme ai libri. Apprezzavo tutto, trovavo interessante l'affresco generale, anche se non ero certo un fan di casate & tattiche. Poi lessi il quarto e quinto libro, capii che Martin non avrebbe scritto nient'altro, notai che la storia l'aveva fatta impelagare, e che gli sceneggiatori si erano trovati nella condizione di doverla completare loro, basandosi su vaghi appunti. A partire dalla quinta stagione ci fu quindi la svolta: trame sfrondate, concetti ridimensionati una volta capito che non avrebbero portato da nessuna parte, un mirabile e onorevolissimo lavoro di rattoppo. Un cambio di passo, ma anche di stile, di focus, ci si era affidati a un "impostore". Me la sono messa via allora, GoT non sarebbe stato perfetto. Se prendi una saga concepita da un maniacale medioevista esperto di tattiche e genealogie e irrimediabilmente arenato, gliela strappi di mano e la affidi a due... scrittori/registi cinematici ottieni questo: le sottotrame tecniche, l'autocompiaciuta strategia politica, tutto il sottobosco affascinante ma fuffoso passa in quarto piano, e ci si concentra su altro, sulle immagini, sulla regia, sul montaggio, sulla fotografia. E' così che questi due narrano, e non c'è niente di male perché lo fanno a meraviglia. Molto male è che ci sia dovuto essere questo avvicendamento, questo cambio brusco, molto male è che in corso d'opera sia successo quel che è successo. Ma ce ne dovevamo lamentare anni fa, ora è tempo di godere di ciò che abbiamo avuto, perché sul piano cinematografico è tanta ma tanta roba.
The Iron Throne comincia con una lunga sequenza di silenzio, un aftermath intenso, pesante, toccante. Immagini potenti, regia perfetta. Lo scorticato che passeggia, i gemelli sepolti, Daenerys che pare abbia le ali, Tyrion che butta la spilla per terra. Una messinscena bellissima, un'esecuzione perfetta che porta in tv epica vera, come non se ne vedeva dai tempi di Peter Jackson. Ora la diamo per scontata questa roba, perché siamo focalizzati su altro, ma sono certo che qualità del genere si farà rimpiangere molto presto. Poi c'è la morte di Daenerys e Drogon che brucia il trono, riempiendo la scena con i suoi movimenti lenti che sottolineano il pathos di ogni momento.
Poi c'è l'assemblea dei Lord col riassetto sociale e politico del continente. E ovviamente l'asino casca qui, evidenziando quanto il lavoro di costruzione certosino di Martin non sia in alcun modo trasponibile su schermo. Il riassetto c'è, è bello e ha senso, ma non avviene attraverso calcoli machiavellici, brillanti manovre politiche e colpi di scena dinastici. Avviene in modo semplice, a suon di frasi a effetto, semplificazioni narrative, colpi di scena e una spolverata di umorismo. Di nuovo, la sublime maestria politica la si doveva andare a chiedere a Martin, questi sono cinematografari, e non ti fanno l'intrigo genealogico, ti fanno il consiglio di Elrond. Col buffo Gimli e tutto. E, ripeto, va bene così. Ma passiamo in rassegna la conclusione delle storyline più importanti.
Bran. Il percorso di disumanizzazione avuto l'ha portato dritto dritto sul trono, e in un certo senso questo ha spezzato la ruota. La "magia" al potere, con una spruzzata di libere elezioni. Pochi potevano aspettarsi un esito del genere per Bran, e in effetti ha senso. Pulito e poetico, sorprendente il giusto ma non scioccante.
Sansa. I sette regni diventano sei e Sansa sale al trono di un Nord indipendente, dimostrando acume e completando il percorso che da scemetta sognatrice l'ha trasformata in regina astuta. Anche qui, niente da dire. Che il personaggio fosse "salvo" era abbastanza prevedibile, e l'esito risulta naturale.
Arya. Tiene fede al suo desiderio di libertà ma lo rielabora in altra forma, improvvisandosi esploratrice e abbandonando la strada della vuota violenza. Se consideriamo che più a ovest di Westeros al massimo c'è Valinor, anche questo esito è soddisfacente e ricco di spunti. Sarebbe stato meglio prepararlo un po' meglio negli anni scorsi, magari dando un pelo di attenzione in meno alla sua parentesi come assassina nella Casa del Bianco e del Nero, che era un'idea affascinante ma decisamente troppo insistita e narrata in modo confusionario.
Jon. Fa la figura dell'ottusone, poi si fa manipolare da Tyrion, fa quello che deve fare perdendo tutto, si fa esiliare e diventa un bruto. La felicità prima o poi sarà possibile anche per lui, ma quanto abbiamo visto non sembra essere un arco particolarmente soddisfacente per questo "protagonista". Però facendo due più due, capacissimo che proprio questo alone di sfiga che lo avvolge vada riletto come la caratteristica costituente di questo "anti-eroe". Lui e Daenerys ci sono stati venduti come gli eroi della storia, ma non ne hanno mai avuto realmente le caratteristiche: instabile lei, ridicolo lui. Jon era l'erede al trono ma non sapeva niente, non sapeva mai un accidente di niente, un comandante a cui nessuno è stato fedele, un re che si è inginocchiato a una pazza, uno che parlava come un deficiente, aveva la faccia di un deficiente e alla fine fa la figura del povero deficiente, facendo una cosa buona, ma lasciando la gloria ad altri. Figura insipida, squallida, un po' tragica, molto tenera. E col senno di poi questa mia difficoltà a connettermi a lui potrebbe essere sempre stata maledettamente voluta. O forse è solo un brutto personaggio, chi lo sa. Sono combattuto.
Tyrion. Il personaggio che in seconda stagione aveva visto la sua massima espressione come Primo Cavaliere, torna al posto che occupava all'epoca. Ci torna dopo un iter travagliato e doloroso, e - ammettiamolo - non avremmo mai voluto un finale diverso per lui. Niente da recriminare, davvero.
Samwell. Farne l'autore della storia è molto bello. Vederlo sedere come Maestro nel consiglio ristretto pure, anche se questo implica che abbia cambiato le regole riguardanti la castità dei Maestri, portando anche un risanamento dell'Ordine. Probabilmente non sapremo mai in cosa consisteva di preciso il complottone che Martin aveva costruito per la sottotrama della Cittadella, ma amen, è sottinteso che a pericolo finito la questione sia già in automatico superata.
Davos. Personaggio ottimo, interpretato da un attore meraviglioso. Pur essendo nato come punto di osservazione per le mosse di Stannis e avendo quindi perso il suo ruolo dopo esser diventato il maggiordomo di Jon, è sempre riuscito a stare in scena senza risultare pesante o inutile. Un uomo saggio che nel nuovo assetto mondiale fa comodo esista.
Brienne. Altro arco chiuso molto bene. Brienne grazie a Jamie assurge a un ruolo di rilievo a corte, e contraccambia ripristinandone l'onore nel libro della guardia reale. Simmetrico, struggente e poetico. Certo, Tormund rimane in circolazione, ma ormai è acqua passata Interessante pure che si siano ricordati di confermare Pod nel ruolo dell'attendente.
Yara e gli altri Lord. Ecco, Yara. Assurge a protagonista solo nel quarto/quinto libro dopo esser stata un personaggio di sfondo. La serie ha avuto grosse difficoltà a gestirla, dovendola tenere in giro senza aver mai niente da farle fare di importante. Sparito Theon, per Yara c'è solo un cameo di scarsa importanza e un po' me lo aspettavo. Mi aspettavo meno di veder rispuntare i lord minori come Robyn Arrin, Edmure Tully, o il nuovo principe di Dorne. Tutta quella gente è ovviamente rimasta sullo sfondo in attesa di essere riutilizzata a convenienza e finalmente il momento è arrivato. E ovviamente nota di merito per Bronn. Nei libri "spariva dalla vita di Tyrion" dopo essersi rifiutato di difenderlo al processo, qui si è confermato un "fan favorite" arrivando persino a sedere nel consiglio ristretto.
Infine, qualche riflessione sulla struttura. Molti hanno trovato questo finale anticlimatico. Lo è assolutamente, e per fortuna. Non penso che avrei tollerato in un solo episodio una battaglia finale e la chiusura dell'intera vicenda. Si è preferito concepire questa stagione finale come un maxi-filmone di oltre sette ore, una singola unità narrativa: due episodi di prologo, altri tre dedicati alle due battaglie principali e infine un triste e lento epilogo che occupa per intero la sesta parte. Uno schema che trovo davvero molto equilibrato, anche se solo dopo aver osservato la cosa in prospettiva. La questione mitologia/metafisica mi lascia ancora qualche dubbio. Chiedevo a gran voce un ultimo colpo di coda magico che potesse dare equilibrio alla cosa. Non sono stati gli Estranei redivivi, ma è stata Daenerys. Ghiaccio e poi Fuoco, come da titolo originale. E ci sta, si crea una bella simmetria, con Jon Snow in mezzo a essersi dovuto occupare di entrambe le minacce. Sento però che qualcosa ancora manca e andava approfondito. Non le inflazionatissime profezie. Mai amate quelle, artifici narrativi fastidiosi, confusionari e fin troppo malleabili. Avrei preferito due parole in più sulla guerra tra R'hollor, il Dio della Luce, e il suo nemico il Dio Estraneo, in che modo questo tema avesse trovato corrispondenza nello scenario "materiale". E qualcosa in più sulle anomale stagioni. Sentire per tutta la serie che l'inverno sta arrivando, associarlo agli Estranei per analogia (a torto, dato che gli squilibri stagionali precedono la nascita di quei mostri) e poi avvertire che non è più un problema è... brutto. Il settimo libro si sarebbe dovuto intitolare A Dream of Spring, Martin stesso aveva promesso di risolvere in qualche modo il tema delle stagioni prima o poi, e quel ciuffo d'erba che vediamo inquadrato alla fine sembrerebbe volerci dire qualcosa. Ma che senso ha? L'inverno durerà ancora anni e anni. Né gli Estranei ne avevano il controllo. Sì, decisamente due parole in più non avrebbero fatto male. Sarebbe stato sicuramente più interessante di Pod che va a puttane nella terza stagione, per dire.
Bel finale e bella stagione. Bella opera, nel complesso. Avrebbe potuto essere ancora migliore con una direzione creativa più salda, le idee più chiare sin dal principio, meno fuffa nel mezzo e una mitologia con qualche albero genealogico o zombie di meno e qualche idea originale di più, ma nel complesso non penso che creerò petizioni per fixare questi aspetti. Certo è che GoT ha dimostrato che la divisione qualitativa tra grande e piccolo schermo non sussiste, e ad oggi è possibile portare in tv un fantasy della madonna e far breccia nel cuore del pubblico. Pure troppo nel cuore, a mio avviso. Le reazioni che ho letto sono quelle degli innamorati non ricambiati: rabbia, sconcerto, possesso, scarsa lucidità. Personalmente non penso di essermi mai realmente innamorato di questi personaggi o del mondo in cui si muovevano, ma di aver adottato una prospettiva a volo d'uccello, più cinica, lucida e diversamente coinvolta. E non me ne sono pentito. L'amore vero, quello folle, irrazionale, ossessivo, monomaniacale ormai l'ho vissuto con Lost, l'unica serie che fu capace di farmi passare una notte a passeggiare per la città a smaltire il carico emotivo. Ma quello è stato nove anni fa, altra epoca, altro incanto.
Premessa che, siccome sono io, mi sento assolutamente di dover fare. Come entità del fenomeno, come intensità e capacità di coinvolgimento di massa non ho alcun dubbio che Game of Thrones sia il tanto disiato Erede_Di_Lost. Opere diverse, anche se con qualche punto di contatto (Hodor! Hodor!), ma diverse appunto. Perché Game of Thrones è, prima di ogni altra cosa, un adattamento. O almeno, adattamento lo è stato fino a un certo punto. Poi è successo quel che è successo, e il resto è Storia della televisione. Nel bene e nel male. Dico male perché come accaduto nel 2010 ai tempi del finale di Lost, anche questa volta il pubblico ha reagito allo spettacolo in maniera a dir poco imbarazzante. La petizione, le lamentele, le critiche anche puntuali trasformate in una dimostrazione di immaturità emotiva, diseducazione visiva, bestialità critica. Mi sono sentito fortemente in imbarazzo dal sentimento morboso di quella minoranza rumorosa che in queste ultime settimane ha tenuto banco, criticando un prodotto del quale non si era in grado di distaccarsi realmente, giocando a fare i furbi dissacratori. E dimostrando, alla fine dei giochi, non amore per questa serie, ma attaccamento, incapacità di lasciarla andare, di rendersi conto di ciò che si è visto.
Io, ad esempio, la mia disillusione già l'ho avuta più o meno un lustro fa. Prima seguivo la serie, insieme ai libri. Apprezzavo tutto, trovavo interessante l'affresco generale, anche se non ero certo un fan di casate & tattiche. Poi lessi il quarto e quinto libro, capii che Martin non avrebbe scritto nient'altro, notai che la storia l'aveva fatta impelagare, e che gli sceneggiatori si erano trovati nella condizione di doverla completare loro, basandosi su vaghi appunti. A partire dalla quinta stagione ci fu quindi la svolta: trame sfrondate, concetti ridimensionati una volta capito che non avrebbero portato da nessuna parte, un mirabile e onorevolissimo lavoro di rattoppo. Un cambio di passo, ma anche di stile, di focus, ci si era affidati a un "impostore". Me la sono messa via allora, GoT non sarebbe stato perfetto. Se prendi una saga concepita da un maniacale medioevista esperto di tattiche e genealogie e irrimediabilmente arenato, gliela strappi di mano e la affidi a due... scrittori/registi cinematici ottieni questo: le sottotrame tecniche, l'autocompiaciuta strategia politica, tutto il sottobosco affascinante ma fuffoso passa in quarto piano, e ci si concentra su altro, sulle immagini, sulla regia, sul montaggio, sulla fotografia. E' così che questi due narrano, e non c'è niente di male perché lo fanno a meraviglia. Molto male è che ci sia dovuto essere questo avvicendamento, questo cambio brusco, molto male è che in corso d'opera sia successo quel che è successo. Ma ce ne dovevamo lamentare anni fa, ora è tempo di godere di ciò che abbiamo avuto, perché sul piano cinematografico è tanta ma tanta roba.
The Iron Throne comincia con una lunga sequenza di silenzio, un aftermath intenso, pesante, toccante. Immagini potenti, regia perfetta. Lo scorticato che passeggia, i gemelli sepolti, Daenerys che pare abbia le ali, Tyrion che butta la spilla per terra. Una messinscena bellissima, un'esecuzione perfetta che porta in tv epica vera, come non se ne vedeva dai tempi di Peter Jackson. Ora la diamo per scontata questa roba, perché siamo focalizzati su altro, ma sono certo che qualità del genere si farà rimpiangere molto presto. Poi c'è la morte di Daenerys e Drogon che brucia il trono, riempiendo la scena con i suoi movimenti lenti che sottolineano il pathos di ogni momento.
Poi c'è l'assemblea dei Lord col riassetto sociale e politico del continente. E ovviamente l'asino casca qui, evidenziando quanto il lavoro di costruzione certosino di Martin non sia in alcun modo trasponibile su schermo. Il riassetto c'è, è bello e ha senso, ma non avviene attraverso calcoli machiavellici, brillanti manovre politiche e colpi di scena dinastici. Avviene in modo semplice, a suon di frasi a effetto, semplificazioni narrative, colpi di scena e una spolverata di umorismo. Di nuovo, la sublime maestria politica la si doveva andare a chiedere a Martin, questi sono cinematografari, e non ti fanno l'intrigo genealogico, ti fanno il consiglio di Elrond. Col buffo Gimli e tutto. E, ripeto, va bene così. Ma passiamo in rassegna la conclusione delle storyline più importanti.
Bran. Il percorso di disumanizzazione avuto l'ha portato dritto dritto sul trono, e in un certo senso questo ha spezzato la ruota. La "magia" al potere, con una spruzzata di libere elezioni. Pochi potevano aspettarsi un esito del genere per Bran, e in effetti ha senso. Pulito e poetico, sorprendente il giusto ma non scioccante.
Sansa. I sette regni diventano sei e Sansa sale al trono di un Nord indipendente, dimostrando acume e completando il percorso che da scemetta sognatrice l'ha trasformata in regina astuta. Anche qui, niente da dire. Che il personaggio fosse "salvo" era abbastanza prevedibile, e l'esito risulta naturale.
Arya. Tiene fede al suo desiderio di libertà ma lo rielabora in altra forma, improvvisandosi esploratrice e abbandonando la strada della vuota violenza. Se consideriamo che più a ovest di Westeros al massimo c'è Valinor, anche questo esito è soddisfacente e ricco di spunti. Sarebbe stato meglio prepararlo un po' meglio negli anni scorsi, magari dando un pelo di attenzione in meno alla sua parentesi come assassina nella Casa del Bianco e del Nero, che era un'idea affascinante ma decisamente troppo insistita e narrata in modo confusionario.
Jon. Fa la figura dell'ottusone, poi si fa manipolare da Tyrion, fa quello che deve fare perdendo tutto, si fa esiliare e diventa un bruto. La felicità prima o poi sarà possibile anche per lui, ma quanto abbiamo visto non sembra essere un arco particolarmente soddisfacente per questo "protagonista". Però facendo due più due, capacissimo che proprio questo alone di sfiga che lo avvolge vada riletto come la caratteristica costituente di questo "anti-eroe". Lui e Daenerys ci sono stati venduti come gli eroi della storia, ma non ne hanno mai avuto realmente le caratteristiche: instabile lei, ridicolo lui. Jon era l'erede al trono ma non sapeva niente, non sapeva mai un accidente di niente, un comandante a cui nessuno è stato fedele, un re che si è inginocchiato a una pazza, uno che parlava come un deficiente, aveva la faccia di un deficiente e alla fine fa la figura del povero deficiente, facendo una cosa buona, ma lasciando la gloria ad altri. Figura insipida, squallida, un po' tragica, molto tenera. E col senno di poi questa mia difficoltà a connettermi a lui potrebbe essere sempre stata maledettamente voluta. O forse è solo un brutto personaggio, chi lo sa. Sono combattuto.
Tyrion. Il personaggio che in seconda stagione aveva visto la sua massima espressione come Primo Cavaliere, torna al posto che occupava all'epoca. Ci torna dopo un iter travagliato e doloroso, e - ammettiamolo - non avremmo mai voluto un finale diverso per lui. Niente da recriminare, davvero.
Samwell. Farne l'autore della storia è molto bello. Vederlo sedere come Maestro nel consiglio ristretto pure, anche se questo implica che abbia cambiato le regole riguardanti la castità dei Maestri, portando anche un risanamento dell'Ordine. Probabilmente non sapremo mai in cosa consisteva di preciso il complottone che Martin aveva costruito per la sottotrama della Cittadella, ma amen, è sottinteso che a pericolo finito la questione sia già in automatico superata.
Davos. Personaggio ottimo, interpretato da un attore meraviglioso. Pur essendo nato come punto di osservazione per le mosse di Stannis e avendo quindi perso il suo ruolo dopo esser diventato il maggiordomo di Jon, è sempre riuscito a stare in scena senza risultare pesante o inutile. Un uomo saggio che nel nuovo assetto mondiale fa comodo esista.
Brienne. Altro arco chiuso molto bene. Brienne grazie a Jamie assurge a un ruolo di rilievo a corte, e contraccambia ripristinandone l'onore nel libro della guardia reale. Simmetrico, struggente e poetico. Certo, Tormund rimane in circolazione, ma ormai è acqua passata Interessante pure che si siano ricordati di confermare Pod nel ruolo dell'attendente.
Yara e gli altri Lord. Ecco, Yara. Assurge a protagonista solo nel quarto/quinto libro dopo esser stata un personaggio di sfondo. La serie ha avuto grosse difficoltà a gestirla, dovendola tenere in giro senza aver mai niente da farle fare di importante. Sparito Theon, per Yara c'è solo un cameo di scarsa importanza e un po' me lo aspettavo. Mi aspettavo meno di veder rispuntare i lord minori come Robyn Arrin, Edmure Tully, o il nuovo principe di Dorne. Tutta quella gente è ovviamente rimasta sullo sfondo in attesa di essere riutilizzata a convenienza e finalmente il momento è arrivato. E ovviamente nota di merito per Bronn. Nei libri "spariva dalla vita di Tyrion" dopo essersi rifiutato di difenderlo al processo, qui si è confermato un "fan favorite" arrivando persino a sedere nel consiglio ristretto.
Infine, qualche riflessione sulla struttura. Molti hanno trovato questo finale anticlimatico. Lo è assolutamente, e per fortuna. Non penso che avrei tollerato in un solo episodio una battaglia finale e la chiusura dell'intera vicenda. Si è preferito concepire questa stagione finale come un maxi-filmone di oltre sette ore, una singola unità narrativa: due episodi di prologo, altri tre dedicati alle due battaglie principali e infine un triste e lento epilogo che occupa per intero la sesta parte. Uno schema che trovo davvero molto equilibrato, anche se solo dopo aver osservato la cosa in prospettiva. La questione mitologia/metafisica mi lascia ancora qualche dubbio. Chiedevo a gran voce un ultimo colpo di coda magico che potesse dare equilibrio alla cosa. Non sono stati gli Estranei redivivi, ma è stata Daenerys. Ghiaccio e poi Fuoco, come da titolo originale. E ci sta, si crea una bella simmetria, con Jon Snow in mezzo a essersi dovuto occupare di entrambe le minacce. Sento però che qualcosa ancora manca e andava approfondito. Non le inflazionatissime profezie. Mai amate quelle, artifici narrativi fastidiosi, confusionari e fin troppo malleabili. Avrei preferito due parole in più sulla guerra tra R'hollor, il Dio della Luce, e il suo nemico il Dio Estraneo, in che modo questo tema avesse trovato corrispondenza nello scenario "materiale". E qualcosa in più sulle anomale stagioni. Sentire per tutta la serie che l'inverno sta arrivando, associarlo agli Estranei per analogia (a torto, dato che gli squilibri stagionali precedono la nascita di quei mostri) e poi avvertire che non è più un problema è... brutto. Il settimo libro si sarebbe dovuto intitolare A Dream of Spring, Martin stesso aveva promesso di risolvere in qualche modo il tema delle stagioni prima o poi, e quel ciuffo d'erba che vediamo inquadrato alla fine sembrerebbe volerci dire qualcosa. Ma che senso ha? L'inverno durerà ancora anni e anni. Né gli Estranei ne avevano il controllo. Sì, decisamente due parole in più non avrebbero fatto male. Sarebbe stato sicuramente più interessante di Pod che va a puttane nella terza stagione, per dire.
Bel finale e bella stagione. Bella opera, nel complesso. Avrebbe potuto essere ancora migliore con una direzione creativa più salda, le idee più chiare sin dal principio, meno fuffa nel mezzo e una mitologia con qualche albero genealogico o zombie di meno e qualche idea originale di più, ma nel complesso non penso che creerò petizioni per fixare questi aspetti. Certo è che GoT ha dimostrato che la divisione qualitativa tra grande e piccolo schermo non sussiste, e ad oggi è possibile portare in tv un fantasy della madonna e far breccia nel cuore del pubblico. Pure troppo nel cuore, a mio avviso. Le reazioni che ho letto sono quelle degli innamorati non ricambiati: rabbia, sconcerto, possesso, scarsa lucidità. Personalmente non penso di essermi mai realmente innamorato di questi personaggi o del mondo in cui si muovevano, ma di aver adottato una prospettiva a volo d'uccello, più cinica, lucida e diversamente coinvolta. E non me ne sono pentito. L'amore vero, quello folle, irrazionale, ossessivo, monomaniacale ormai l'ho vissuto con Lost, l'unica serie che fu capace di farmi passare una notte a passeggiare per la città a smaltire il carico emotivo. Ma quello è stato nove anni fa, altra epoca, altro incanto.