[Damon Lindelof] The Leftovers (HBO)

L'America non vive di soli hamburger ma anche di una grassissima infornata annuale di serie tv di tutti i generi, dal tentacolare procedural a piccole grandi epiche.
  • Segnalo tra l'altro che la serie vedrà Christopher Eccleston nei panni di un prete, e se non è un motivo per essere già incuriositi questo non so cosa lo sia. :D
  • Lo volevo aprire da giorni, questo topic. Ma mi obiettavo: cui prodest? Lindelof è depresso, io pure. Temevo che questa serie sarebbe stata molto simile a 4400, Resurrection, Under the dome, Walking dead e altre serie con gli americani provincialotti depressi. Dopo aver visto il Pilot, il timore è stato confermato. Il ritorno di Lindelof (che poi in realtà è Prometheus, altra bella storia impunemente spernacchiata dagli italiani provincialotti depressi) si caratterizza per mettere in scena tanti americani provincialotti stereotipati e depressi, costretti a dire un sacco di "shit" e "fucking" (sfoghi di Damon? :P ) e a vivere alcune sequenze stranianti che a fumetti forse rendono ma in tv rendono meno (sul pubblico di massa, intendo). Personaggi che non sanno che fare delle loro vite e un po' di misteri misteriosi. Cosa ci ricorda un simile materiale lo sappiamo tutti, e per ora la critica sembra averlo accolto bene. Damon ha dalla sua almeno tre appoggi: l'HBO, i nomi famosi e la voglia di farsi psicologia spicciola degli americani, che a quanto pare non tramonta mai. Li usi bene, altrimenti è proprio finito.
    Ah, Ninth compare per due minuti.
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    Ottimo lavoro.
  • Il secondo episodio [Penguins One, Us Zero (Il mistero di Nora)] mi è piaciuto di più. Niente di straordinario, s'intende. E' solo che nelle atmosfere invernali con i personaggi depressi gelidi dentro e fuori mi ci trovo bene. Peccato che siamo a fine luglio. Un prodotto del genere non dovrebbe andare in onda ora. Damon, ti stanno boicottando? E' per questo che metti "fuck" e i suoi derivati in bocca a tutti i personaggi? Comunque, le domande della governativa e l'allusione al Brasile sono un'allusione ad un Mistero o è solo una roba buttata lì? No, vabbè, ho capito, è una roba buttata lì. Avevi detto che i Misteri t'avevano rotto e nei 50 minuti lo fai notare a più riprese.

    Il terzo [Two Boats and a Helicopter (Legami di famiglia)] mi è piaciuto ancora di più. Si va in crescendo, per quanto mi riguarda. Certo, probabilmente è solo un caso, una coincidenza di affinità elettive. L'episodio infatti è tutto incentrato su Eccleston, che dopo essere apparso per soli tre minuti scarsi nei primi due episodi si prende tutto (ma proprio tutto) il terzo e ci racconta com'è nata la sua guerra alle condoglianze generalizzate e superficiali cercando di smascherare i Dipartiti non meritevoli di compassione, una trama se vogliamo abbastanza inusuale. Tra alcuni flashback (non meccanici, ma risultati di traumi ed eventi che il personaggio subisce man mano) e l'evoluzione in tempo reale del personaggio, abbiamo così modo di conoscere il reverendo del paese, una figura a metà strada fra lo sfigato, il cialtrone e il vero man of faith. Eccleston, vistosamente invecchiato (direi che Ninth lo abbiamo perso anche per questo motivo) ma ancora in forma, ha così modo di sfoderare tutto il suo repertorio mimico, dalla faccia perplessa a quella paciosa tipica del buon Dottore a quella più rabbiosa e indignata. La scrittura di Damon e socia, per una volta, rinuncia a "fuck" e consimili e racconta una trama piuttosto prevedibile [[spoiler]era ovvio che la chiesa sarebbe stata acquistata dal[/spoiler] Silenzio (che così è calato! lol)], ma di effetto, almeno su di me.

    Comunque secondo me non dura.
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    Ottimo lavoro.
  • Nel quarto episodio [B.J. and the A.C.(Visioni)] si ritorna alla normalità. Eccleston nuovamente retrocesso a un cameino di un minuto scarso, ed episodio corale con Theroux più corale degli altri. La differenza dai precedenti è che questo è l'episodio di Natale. Come ho già scritto più sopra, seguire questo serial in estate non ha senso. La consolazione è che stavolta la colpa non è della tv italiana, ma dell'HBO. Comunque, come al solito non c'è molto da dire. La sottotrama cittadina prosegue con la disamina della depressione totale in cui "vivono" i vari personaggi. Disamina che a me interessa/piace perché sono un mezzo depresso (ok, facciamo tre quarti), ma che non vedo come possa interessare/piacere a uno che sta bene e ha fatto move on. Leggermente più interessante è la sottotrama della cinesina incita, fatta di sogni premonitori e visionari che annunciano un futuro oscuro, anche se è tutto molto vago e facilone. Ma intanto Damon, che ha detto che non darà risposte, ha piazzato il mistero pure qua. Boh.
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    Ottimo lavoro.
  • Ma che diavolo... non ho più postato? Eppure i commenti li ho scritti.
    Vabbè, li infilo qua. Faccio presente che le seguenti righe sono state scritte un anno fa e nemmeno mi ricordo cosa contengono.

    Il quinto episodio [Gladys] inizia cercando di sorprendere: la vecchia che finora era sembrata una delle leader dei C.S. (e scopriamo che si chiama come il titolo) viene ammazzata a sassate da ignoti incappucciati. La comunità deve così reagire alla cosa: Theroux deve aprire un'indagine, andando sia contro i suoi colleghi e i perbenisti che contro gli stessi adepti; il reverendo non si mostra rancoroso nei confronti di chi gli ha soffiato la chiesa, ma non trova comunque il dialogo; gli stessi adepti, in primis "Madre", sono costretti a fare i conti con la realtà e titubano, tant'è che quella che ora sembra la leader solitaria si concede un giorno di pausa zeppo e di parole in libertà. Forse perché le è morto il figlio? Non l'ho capito. Come non ho capito se le camicie che Theroux recupera con la forza siano effettivamente le sue o meno. Comunque tutti soffrono e la vita è brutta.

    Col sesto episodio [Guest] si ritorna al passato: torna Perrotta e dunque torna la struttura astrutturale del terzo episodio, cioè quello che mi è piaciuto di più finora. Infatti anche questo episodio mi è piaciuto più degli ultimi due. Esso rinuncia infatti alla coralità per concentrarsi su di un unico personaggio, che da guest (title nomen) diventa per una settimana protagonista; e dopo Eccleston nel terzo episodio il prescelto è l'altro mio personaggio favorito (finora) del serial, Carrie Coon alias Nora Durst nel tf. I motivi sono presto detti: 1) mi fa sesso, ed è una di quelle tipe complessate ed irritanti (ma non cattive) di cui mi invaghisco sempre; 2) la sua trasferta a NY permette a chi scrive e a chi guarda di osservare un po' di spaccato della vita al di fuori dalla cittadina entro cui il serial è stato finora recluso. E non c'è che dire: il respiro è quello del film di zombie, dove che una semplice trasferta in una normale città sembra una avventura rischiosissima. Sotto questo aspetto Damon ottiene un buon risultato. Riuscita è anche l'empatia che si crea con Nora, ma buona parte del merito va all'attrice. Così così l'elemento mytologico, con Wayne reintrodotto a sorpresa ma il cui grande dono va preso così com'è. Damon aveva detto "niente risposte", lo sapevamo, ma ora la cosa inizia a seccare.

    Il settimo episodio [Solace for Tired Feet (Fuga dalla follia)] ci riporta alla coralità. Ma lo fa imbastendo una interessante contraddizione. La sottotrama di Tom e della cinese incinta arriva infatti ad una importante svolta: Wayne ordina a Tom di dare metà dei soldi che gli donò puntate fa ad un altro ragazzo... che Tom scopre essere un altro disperato come lui, costretto a prendersi cura di un'altra cinese incinta. Quanti figli ha sfornato Wayne? Insomma, quella (poca) aria di mystero che aleggiava nel serial improvvisamente sembra diradarsi... se non fosse che, nel frattempo, la follia del padre di Theroux non sembra essere del tutto follia. Come se ciò non bastasse, si muove anche la continuity: da una parte la cinesina (la prima) partorisce e dall'altra Theroux e Nora finalmente si lasciano andare... e la tipa che mi fa sesso si denuda per la mia felicità.

    L'ottavo episodio ci porta a [Cairo], che non si trova né in Egitto né a Torino, bensì nello stato di NY. Ivi lo sceriffo Kevin ci si ritrova forzatamente, assieme al dogcather, senza ricordare come ci è arrivato. Sa solo che Patty, la leader dei settali, è lì, contusa e legata ad una sedia. E mentre lo smarrito Theroux cerca di raccapezzarsi e tituba sul da farsi, è proprio Patty ad instradarlo sulla via della perdizione, dimostrandosi particolarmente stronza e cinica, al punto da rivelare persino qualcosina del piano dei suoi compari che dovrebbe compiersi di lì a qualche giorno: provocare i cittadini e le forze dell'ordine e scatenare disordini in città. Interessanti le reazioni di Patty alla prigionia e dell'inutile Liv Tyler alle provocazioni di Eccleston: entrambe perdono la brocca e mandano a monte il silenzio autoimpostosi. Ma mentre la Tyler viene vagamente rabbonita dalla moglie dello sceriffo, Patty arriva al delirio e si suicida. Ma a portare scompiglio (credo) nella setta e nella sua nuova leader arriva Jill, la quale, dopo aver messo alle corde Nora in merito alla pistola posseduta e fatto scappare Aimee, chiede ospitalità ai Silenti.

    Il nono episodio [The Garveys at Their Best], che è anche il penultimo, è un only flashback che ci permette di assistere alle vite serene dei membri della comunità prima del Pilot. Stavano tutti più o meno bene, a parte Patty che forse aveva dei presagi (o forse era solo stressata). Ma il depresso Lindelof non ci mette molto a mostrarci anche la nascita delle crepe nei vari quadretti famigliari e il progressivo allargarsi delle stesse fino all'esauriente climax finale che ci riconduce lì dove (cioè, quando) tutto era iniziato, il giorno della scomparsa. Scomparsa che ora scopriamo avere quasi uno scopo liberatorio, almeno per i protagonisti principali: Nora ha visto sparire quella famiglia che le ostacolava la carriera, Kevin quella donna con cui aveva tradito sua moglie poco prima, quest'ultima il figlio che portava in grembo e che non voleva. Piuttosto simbolica anche la sparizione dello scolaro che involontariamente divideva Aimee e il fratellastro, anche se sappiamo che Tom se ne andrà e quindi Aimee non sarà riuscito a tenerlo vicino a sé. La lezione da trarre da tutto ciò non è molto chiara: a ognuno va' diversamente; il ché potrebbe voler dire che ogni uomo è un'isola anche sulla terraferma. E che anche sulla terraferma non è l'imprevisto misterioso (il cervo che si infila nelle case ma non si vede mai è come Smokie in Lost season 1) a mettere in crisi il sistema, ma è il sistema stesso a essere difettoso per natura.

    Con il decimo episodio [The Prodigal Son Returns] si chiude la prima stagione di The Leftovers. La seconda è già stata annunciata.
    Potrei scrivere diverse cose, ma non lo farò. Ritengo che la recensione di Telefilm Central e i primi due commenti sottostanti mettano in evidenza l'aspetto più rilevante dello show del "povero" Lindelof (ai miei occhi ormai DL è come il protagonista di questo serial :P): quello dell'esperienza. La recensione dà una connotazione comunque positiva dello show, io sono d'accordo - effettivamente recitazione, regia, eccetera sono di ottima fattura - ma mi soffermerei più sul paragone con Lost e sull'agnosticismo, dal sapore umbertoechiano, imperante nei show di Lindelof. E se Lost richiamava in più passaggi Il Pendolo di Foucault, The Leftovers, con la sua disamina della fede non può non rimandare ad un altro libro di Umberto Eco, In cosa crede chi non crede?, scritto con il cardinal Martini e ripreso dal mio episodio preferito di Dylan Dog.
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    Ottimo lavoro.
  • E ora veniamo al dunque.

    Stagione 2

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    Damon Lindelof è andato oltre.

    Ve lo ricordate quel poveretto che dopo Lost andava in giro per il web, alcolizzato, lamentandosi che tutti lo prendevano in giro? "Nessuno mi capisce", diceva Lindelof; "nessuno mi vuole capire".

    Ebbene, quell'uomo ora ha colto il senso della vita, ha capito la sua dimensione e l'ha utilizzata per farsi forza: nessuno lo vuole capire? E allora nessuno lo capisca.

    La seconda stagione di The Leftovers regala una impressione diametralmente opposta rispetto alla prima: laddove quella lasciava presagire un Lindelof finito, questa porta a pensare che Lindelof sia il migliore autore sulla piazza. Davanti pure a Moffat, probabilmente, in quanto meno vittima dei social media.

    Questa seconda stagione dimostra infatti un dato inequivocabile: Lindelof se l'è messa via ed è andato oltre. Portandosi dietro i suoi lavori.

    A Lindelof non importa più di essere preso a pernacchie: ora ammette esplicitamente che la sua nuova linea è Non Spiegare Nulla. "Non avrete risposte", ha detto più volte. E infatti la stagione è completamente priva di spiegoni... salvo un episodio appositamente dedicato a contraddire tutto quanto è stato detto fino a quel punto... che però è in gran parte metaforico... ma non del tutto. Vai a sapere cosa è vero e cosa no, con Lindelof.

    Certo, si potrebbe dire che, in fondo, del move on di Lindelof a noi potrebbe anche importare poco o nulla, Ma il fatto è che questo Lindelof rigenerato è un Lindelof persino migliorato rispetto al Lindelof di Lost: è un Lindelof che sfida continuamente sé stesso e la società organizzata, e con essa le strutture narrative too.

    La seconda stagione di The Leftovers è una provocazione continua. Inizia all'ETÀ DELLA PIETRA, fa intrecciare di continuo i personaggi in modo superficiale, procede per metafore e sovrapposizioni mentali, insulta Gesù Cristo, mischia i flashback senza avvertire, non lesina su crudeltà varie rendendole quasi giustificabili (ma senza la "simpatia" dei serial con i mafiosi amichevoli), non mostra né buoni né cattivi, non è di destra né di sinistra, va letteralmente... ALDILÀ: insomma, è qualcosa oltre la consueta serialità televisiva.
    Qualcosa capace di rendere epica la storia di un poliziotto che combatte dei tipi in pigiama che non parlano e stanno fermi. Ed inserire questa storia in mezzo ad altre, senza sminuirla, e riuscendo anzi a dosare tutte le storylines alla perfezione con una gestione della coralità a tratti sbalorditiva per quanto è impeccabile.
    Qualcosa che, pur essendo una tragedia totale e corale, si conclude con un lieto fine (circolare!) più dolce ed emozionante di quello di Lost.

    Ora. Come la seconda stagione di The Leftovers è, fra le mille cose che è, anche un puzzle i cui tasselli convergono soltanto alla fine e un cambio perpetuo di prospettiva (che ribalta di continuo la percezione di quello che si sta guardando), anche lo stesso Lindelof assume connotazioni differenti a seconda di come lo si osserva: quello che pareva un autore finito, che inseriva parolacce ovunque per inseguire facili schemi, appare ora invece come un gagliardo guascone, che è stato capace di trollare tutti ridefinendo i limiti di quello che ha avuto sottomano espandendone i confini senza che nessuno se ne accorgesse, e prendendosi tutta la merda che il pubblico aveva bisogno di tirargli: Alien, Epcot, il libro di Tom Perrotta (che è terminato con la prima stagione)... tutto questo ora è altro, è stato portato oltre, dopo che Lindelof vi ha messo mano.

    Ora si inscenano flash mob sotto la HBO per chiedere una terza stagione di The Leftovers ed io mi trovo ad ammirare questo troll buono capace ancora di dare al pubblico ciò che il pubblico finge di non volere, anche andando contro al pubblico stesso.

    Ah, e ovviamente ammiro anche il telefilm, che pur essendo "strano" è davvero molto bello.
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    Ottimo lavoro.
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    Ho appena concluso la visione della prima stagione di The Leftovers, al ritmo di un episodio al giorno.
    Era da tempo che volevo vedermela, attratto da almeno tre elementi: Damon Lindelof, Christopher Eccleston e la l'atmosfera misteriosa.
    Ma ora che ho concluso questo primo lotto di 10 episodi... non so bene che giudizio esprimere. La serie mi è decisamente piaciuta, ha diverse frecce al suo arco in grado di appassionarmi e coinvolgermi, dallo stile di scrittura all'ambientazione, per passare all'uso di personaggi complessati e distrutti molto iconici.
    Ma è innegabile, almeno per me, che qualcosa non funzioni proprio bene. È vero che Lindelof ha dichiarato a destra e a manca che non avrebbe spiegato nulla del mistero dal quale ha origine la storia (la sparizione improvvisa del 2% della popolazione mondiale), ma pensavo/speravo che trollasse, magari per non sentire il peso della responsabilità sulle sue spalle.
    Invece, proprio per rifuggire dalle aspettative del pubblico - rimembrando la "coda lunga" di malessere dopo la conclusione di Lost - l'autore pare determinato davvero a non spiegare nulla sulla natura di questo evento. Tale fermezza ha prodotto un season finale che non sembra nemmeno tale, visto che non spiega nulla. Certo, l'aria da "gran finale" ce l'ha comunque perché si porta a compimento il piano a lungo termine della setta in bianco dei Colpevoli Sopravvissuti e perché riunisce il "figliol prodigo" del protagonista rimasto lontano per tutta la stagione, portando sicuramente a un "next level" molte cose e molte vite.
    Ma si avverte il buco, si avverte che manca qualcosa: per esempio, Kevin - il capo della polizia protagonista - arriva ad una sorta di maturazione personale in virtù di una serie di situazioni piuttosto stranianti, "al limite" e legate alla mitologia della serie, ma senza approfondirle rimangono delle stramberie esoteriche un po' appese.

    Lindelof, nello speciale di mezz'ora trasmesso dalla HBO una settimana prima della premiere, chiudeva il suo intervento con una speranza: "spero che il pubblico non si focalizzi sul mistero ma si affezioni ai personaggi". Ci sta come esortazione, alla fine è una cosa che ci sentiamo ripetere fin da Lost.
    Ed è un atteggiamento che in effetti funzionava per quella serie, e funziona bene anche per The Leftovers: gli episodi 1x03 e 1x06, monografici e dedicati rispettivamente al prete Matt (un Eccleston sempre grandissimo, anche se i 10 anni in più rispetto a quando interpretò il Nono Dottore si vedono tutti) e all'ex madre di famiglia (scomparsa in toto) Nora, riescono a farci entrare direttamente nelle vite di questi personaggi, scritti benissimo e tridimensionali, e a farci interessare al loro percorso, e a come questo è cambiato dopo la Dipartita. Anche l'1x09, lungo flashback ambientato nei giorni e nelle ore precedenti al misterioso avvenimento, contribuisce a questo sentore: il fatto che come pre-finale sia accettabile costruire un intero episodio senza portare avanti la trama ma mostrando cos'è successo prima che tutto iniziasse è sintomo di una scrittura molto decisa, in grado di sapere che alla gente interessa così tanto di queste figure da essere addirittura contenta di avere uno scorcio del loro passato.
    Sembrerebbe quindi che il piano di Damon Lindelof - e Tom Perrotta, che ne è co-autore a tutti gli effetti, non solo come scrittore del romanzo originale - sia andato in porto... eppure manca qualcosa, e quel qualcosa è proprio quello che gli sceneggiatori sembrano fermamente intenzionati a non darci.
    Ma se il mistero non è importante in sé, se serve solo come pretesto per mostrarci dei bei personaggi e per mettere in campo delle audaci riflessioni sulla fede, sulla diversa reazione della gente di fronte ad un avvenimento drammatico e sulla vita in generale... c'era davvero bisogno di creare come humus di base qualcosa del genere? Certo, l'assenza di spiegazioni e certezze è chiave di volta per le reazioni dei personaggi stessi, ma ritengo che altre situazioni più terra-terra avrebbero servito egualmente bene allo scopo senza bisogno di creare un mistero che pare non troverà spiegazioni.

    Insomma, dalla fine della stagione raccolgo l'inedita sensazione di una soddisfazione non quieta e non serena, ma disturbata da qualcosa che non torna del tutto, una mancanza che avverto come non secondaria: un puzzle con un soggetto molto bello, ma al quale manca un pezzo... si capisce la bellezza dell'insieme e la si apprezza, ma non è completo.
    Ora vedrò con la seconda stagione se Lindelof e Perrotta si sbottoneranno, rendendo vacui questi miei timori... in caso contrario, credo comunque che resterò felicemente intrattenuto da questi protagonisti carismatici, distrutti, complessati e allo sbando, a cui mi sono davvero affezionat... Damn, Damon! Me l'hai fatta! :P

    PS: solo a me Kevin ricorda - fisicamente e caratterialmente - Jack di Lost?
    Andrea "Bramo" L'Odore della Pioggia
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    La seconda stagione di The Leftovers è una bomba, ma bomba vera.
    Decisamente migliore della già molto buona prima stagione, questo seguito riprende gli elementi cardine della serie, li rimescola, li fonde con tante novità che ampliano l’universo narrativo di riferimento e costruisce un intreccio più coeso. Non più chiaro (anzi!) ma con maggiore compattezza e lucidità nella direzione verso cui la storia si muove.
    È una stagione che più volte mi ha fatto pensare “ma che cacchio sto guardando?!?” per la quantità di elementi dissonanti, anche se solo apparentemente tali, e che in almeno 3 punti ti fotte letteralmente il cervello, regalando alcuni episodi che fra qualche anno verranno guardati come esempi cristallini della migliore espressione delle potenzialità di scrittura della serialità televisiva.

    Come promesso da Damon Lindelof, nemmeno in questa seconda annata di The Leftovers abbiamo la spiegazione sul destino toccato alla fetta di popolazione mondiale scomparsa nel nulla quel famigerato 14 ottobre. Ma questa “pietra dello scandalo”, che io vedevo come tale e che non mi ha fatto apprezzare pienamente la prima stagione, assume finalmente il ruolo che le compete: il motore dell’azione, la base narrativa sulla quale costruire le storie dei personaggi presenti nella serie, e come tale va trattata. Senza bisogno di dire altro al riguardo.
    Io stesso non ne sento più il bisogno, perché la storia è andata avanti in maniera così affascinante che ho colto la profondità delle parole dello showrunner: scordatevi di quel mistero, i punti focali sono altri.
    Questo non significa dimenticare la presunta dimensiono soprannaturale del prodotto: questa season 2 del resto alza addirittura il tiro rispetto alle rarefatte atmosfere esoteriche viste nei primi 10 episodi, proponendo veri e propri elementi legati al misticismo e alla natura poco concreta di alcune situazioni che si sviluppano. Ma semplicemente tutte queste alchimie sono la forma che assumono le prove che i protagonisti devono affrontare per progredire, migliorare, maturare e – stringi stringi – superare il grave danno umano e sentimentale provocato dalla Grande Dipartita.

    Il colpo di genio è aver cambiato radicalmente scenario, senza però tranciare di netto i ponti con quello precedente: non siamo più a Mapleton, ma a Jarden, in Texas. Il primo episodio infatti si occupa ben bene si confondere lo spettatore presentandogli per tre quarti della sua durata un setting e personaggi nuovi, senza collegamenti con quanto visto fino ad allora, quasi facendo credere di trovarsi di fronte ad una serie antologica sulla falsariga di True Detective o Fargo (stesse tematiche/situazioni di sfondo, personaggi/epoca/luoghi diversi). Così non è, perché presto Kevin, la figlia, Nora, la bambina nata da Holy Wayne adottata da Kevin e Nora, Matt e la moglie in stato catatonico si trasferiscono proprio a Jarden, città importante perché l’unica in tutto il mondo a non aver subito nemmeno una Dipartita!
    Peccato che il cliffhanger del primo episodio sia proprio la sparizione di tre ragazze di Jarden… nuova Dipartita, rapimento, fuga o cosa?
    Sarà un po’ questo mistero il filo rosso della stagione, in una città che si crede miracolata e seguendo persone che si ritengono santoni o scettici riguardo a qualunque spiegazione non sia razionale.

    Tra i nuovi personaggi sicuramente John – padre di una delle ragazze sparite – è quello che spicca, e anche la moglie, pur con meno screen time. Dei vecchi, colui che fa un percorso di maturazione maggiore è il buon Kevin, perseguitato dalla visione di Patti (la leader dei Colpevoli Sopravvissuti suicidatasi nella stagione precedente) ad un passo dall’impazzire del tutto… ma che troverà il coraggio della scelta tra uomo di scienza e uomo di fede… più o meno :P Justin Theroux magistrale nel suo sguardo sempre allucinato e provato dagli eventi.
    Anche la moglie di Kevin fa dei bei passi avanti… pur fallendo. Matt è colui che non cambia di una virgola, paga il suo atavico ingenuo ottimismo ma alla fine viene ricompensato. Sempre bravo Chrisopher Eccleston, pur con tutti colpi inferti dalla vita :)
    E Meg, anche grazie alla recitazione fredda e lucida di Liv Tyler, offre un personaggio sottile e spietato, che appare molto poco ma che negli ultimi due episodi mostra tutto il proprio carisma.

    La stagione, al contrario della prima, spiega: non la natura del mistero originario, come si è detto, ma gli interrogativi posti in questa nuova annata sì. E questo contribuisce ad appagare lo spettatore. Non si resta completamente e bocca asciutta, e il tutto accade con classe.
    Di episodi magistrali ce ne sono, e paradossalmente non sono gli ultimi due, pur di gran livello: sono il 2x01, il 2x02, il 2x07 e il 2x08, quest’ultimo che da solo giganteggia nel suo essere un trip mentale così folle e velenoso da piantarsi in testa per giorni e giorni.
    Insomma, applausi a Damon Lindelof e a Tom Perrotta, che hanno davvero creato qualcosa di affascinante, pur nei suoi contorni sfumati (o forse anche grazie a quelli). Si esce dalla visione straniati, stravolti, come se si fosse usciti dalla centrifuga della lavatrice. Ma anche con la consapevolezza di essere entrati in relazione potente con i personaggi, iconici e disastrati ma dannatamente efficaci.

    And now… waiting for the season 3. Che sarà pure l’ultima :D

    PS: ottima la selezione musicale (a partire dalla nuova sigla, molto country), e particolarmente azzeccato l'inserimento ripetuto di Where is my mind? dei Pixies, originariamente realizzata come traccia della colonna sonora di Fight Club ma assolutamente calzante anche qui, vista la difficile situazione mentale che attraversa Kevin. Il pezzo è presente sia nella versione originale, sparato a tutto volume, sia nella piano version, e se già la consideravo una delle canzoni rock fondamentali per me, ora ha acquistato un ulteriore spessore :)
    Andrea "Bramo" L'Odore della Pioggia
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  • Stagione 3
    max brody ha scritto:A Lindelof non importa più di essere preso a pernacchie: ora ammette esplicitamente che la sua nuova linea è Non Spiegare Nulla. "Non avrete risposte", ha detto più volte.
    E quindi la serie finisce con uno spieghino. Ed è uno spieghino bellissimo.
    Muoio.

    p.s.: alla fine, i flash mob sotto la HBO hanno portato una terza stagione ancora più bella e triste delle prime due, con almeno 2-3-4-5 episodi adorabilmente strazianti e un finale lostiano che è comunque più saziante di uno non lostiano.
    Non è una serie per tutti, non è una serie da rivedere spesso (se non mai), ma è una stata una bella parentesi che ha ben raccontato questo patetico scorcio di presente.
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    Ottimo lavoro.
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