Ieri sera David Tennant ha vinto un premio speciale per la sua carriera (lo Special Recognition) ai National Television Awards, cerimonia che ogni anno celebra il meglio della televisione inglese.
Quale momento migliore per parlare di una miniserie televisiva di un anno e mezzo fa che vedeva il buon Tennant come protagonista?
Sì, insomma, è un buon modo per mascherare il fatto che come il peggior stalker sto seguendo l'attore in ogni minima interpretazione degli ultimi anni che riesca a trovare
Il tono di The Escape Artist è fortemente drammatico. È davvero duro, colpisce direttamente lo spettatore, anche consapevole di quanto sta per vedere. Figuratevi il sottoscritto che pensava di vedere un film su una specie di Houdini
In realtà non si parla di maghi o escapisti, il titolo è solo metaforico: David Tennant interpreta infatti Will Burton, un acclamato avvocato noto per non aver mai perso una causa. Un giorno però deve difendere dall'accusa di omicidio Liam Foyle, una persona piuttosto inquietante, che Burton reputa colpevole ma che riesce a scagionare con una magistrale arringa. Non ha però stima di questa persona, ha solo fatto il suo lavoro, e nella mente disturbata del tizio questo equivale ad un affronto da pagare a caro prezzo.
Il primo episodio è in buona sostanza un legal-thriller, con lo studio di avvocati, il tribunale, la giuria e tutti gli elementi resi popolari da John Grisham nella narrativa e da Perry Mason in televisione. Ma la terribile conclusione del pilot ribalta il tavolo da gioco della storia, e rende la serie qualcosa di diverso: dramma, pericolo, ansia, paura.
L'idea è molto valida, purtroppo la sceneggiatura la sostiene meno bene di quanto mi sarei aspettato. Il secondo episodio, infatti, aveva la responsabilità di portare avanti il tragico stravolgimento di status quo nella vita del protagonista, e in parte ci riesce, ma tira un po' troppo per le lunghe la questione. La lunga scena in cui il “cattivo” segue il figlio di Burton è inquietante e ben girata, soprattutto per le sensazioni che trasmette, ma ai fini del racconto è una sbrodolata non necessaria. La parte legata a tribunali e quant'altro è presente anche stavolta, sebbene in misura minore: ritengo che quelle parti di dialogo, tesi e controtesi e abile costruzione e decostruzione delle certezze di una persona sia decisamente affascinante
L'ultimo episodio chiude la vicenda in una maniera che era carica di aspettative, che però vengono smentite nell'ultima parte. [spoiler]Dopo l'assoluzione di Foyle dall'accusa di aver assassinato la moglie di Burton, l'avvocato si dimette dal suo studio legale e si trasferisce in Scozia, seguendo le tracce del suo nemico. Ero molto galvanizzato dal confronto finale tra i due, mi aspettavo grandi scene e bei dialoghi... invece la situazione precipita molto in fretta e Foyle muore per cause non molto chiare.[/spoiler]
La cosa mi ha lasciato piuttosto scioccato, ed era una sensazione destinata ad aumentare quando si fa intuire che che [spoiler]Burton avrebbe realizzato il delitto perfetto, organizzando tutto con grande perizia per fare giustizia laddove la giustizia istituzionale aveva fatto cilecca.[/spoiler]
Se c'è una cosa bella di questa costruzione narrativa e di questa conclusione è nella capacità di ribaltare le certezze acquisite e nel lasciare i fatti sfumati. Alla fine non abbiamo prova evidente che [spoiler]Foyle sia stato l'assassino della ragazza[/spoiler]. Per assurdo, sono soprattutto i suoi comportamenti a posteriori confermano questi sospetti, oltre al suo atteggiamento da solitario sociopatico, ma di fatto prove vere e proprie non ce ne sono. Tanto che Burton l'ha scagionato. Ma del resto, [spoiler]prove che sia stato lui ad uccidere la moglie del protagonista mancano alla stessa maniera. Sì, noi lo abbiamo visto fuori dalla finestra del cottage, ma attraverso gli occhi di Burton: e se davvero, come sostenuto dalla difesa, l'avvocato avesse visto quello che voleva vedere?[/spoiler]
No, è abbastanza chiaro che [spoiler]Foyle sia un folle omicida[/spoiler]: ma mi piace molto che la cosa non venga spiattellata in faccia allo spettatore
Per quanto riguarda il cambio di prospettiva, mi riferisco chiaramente all'ipotesi di [spoiler]delitto perfetto[/spoiler] che, alla luce degli ultimi minuti, è decisamente concreta. La nuova prospettiva sorprende e viene svelata con la giusta enfasi.
Il problema non è tanto nelle tecniche di scrittura, quanto piuttosto nella scelta di come svolgere la storia, nella piega degli eventi. Insomma, non mi sono sentito in sintonia con [spoiler]Burton che ammazza l'assassino di sua moglie[/spoiler].
Per quanto riguarda il lavoro degli attori, trovo che siano stati tutti molto bravi. Spiccano Toby Kebbel, davvero enigmatico e inquietanto nel ruolo di Foyle, e ovviamente David Tennant, che qui sfoggia le sue espressioni sofferte, spaventate e compassate migliori, in un insieme di emozioni che rende il suo personaggio, nel bene e nel male, “umano, troppo umano”.