[John Carney] Once
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Due settimane di riprese effettuate con sole due camere digitali, budget ridottissimo, attori non professionisti: questi gli ingredienti del film che ha vinto il Sundance Film Festival e che si è portato a casa l'Oscar 2007 per la migliore canzone originale.
Gli intenti del regista John Carney erano quelli di girare un musical fuori dagli schemi, dove il pubblico non fosse distratto da coreografie, ma potesse concentrarsi sulle parole delle canzoni, che avrebbero portato avanti la storia e le relazioni tra i personaggi. Per realizzare i brani che formano la colonna sonora Carney scritturò il cantante della sua band, Glen Hansard, e la giovanissima musicista ceca Markéta Irglova; la riuscita delle canzoni è tale che Carney decide di chiamare i due musicisti per interpretare i due protagonisti della storia.
Un ragazzo e una ragazza immersi in un'affascinante Dublino, con storie d'amore lasciate alle spalle, si incontrano e scoprono di essere due anime affini, legate dalla comune passione per la musica.
Ogni singola scena è girata cercando di trasmettere il più possibile una sensazione di naturalezza, applicando una tecnica il più spontanea possibile, sia per le riprese che per la recitazione: il regista ha immerso i protagonisti nella vera Dublino, circondati dalla folla, per vivere realmente l'esperienza dei loro personaggi, con scene e battute spesso improvvisate. I dialoghi sono poveri, volutamente essenziali, per lasciare il coinvolgimento emotivo dello spettatore alle canzoni
I movimenti di camera sembrano quasi amatoriali, e la fotografia appare casuale: tutti elementi che soddisfano il piano complessivo del regista, che ci regala un film così vicino alla realtà da sembrare quasi un documentario.
In un'epoca cinematografica in cui film come Blair Witch Project e Cloverfield cercano di portare su schermo una realtà "forzata", in Once possiamo vedere come questo risulti molto meglio quando si gira veramente nel mondo reale, con persone che creano un legame forte grazie al feeling che si ferma: l'affiatamento tra i due protagonisti nel costruire la storia è stato così forte che i due attori hanno cominciato ad uscire assieme anche nella vita reale.
Attori (o per meglio dire, musicisti) che hanno già dichiarato di non aver intenzione di ripetere l'esperienza, preferendo lasciare questo film un caso isolato, per poi tornare a dedicarsi alla loro carriera musicale.
Un musical timido, girato in strada, romantico e divertente, con una colonna sonora di qualità; difficilmente potrete resistere al fascino di Falling Slowly, la canzone premiata con l'Oscar.
Il film ha avuto un successo incredibile di critica e pubblico, con un sorprendente incasso di 14 milioni di dollari.
Secondo me ce ne sono altre più emozionanti e più belle di "Falling slowly" che pare una filastrocca... non era questa che doveva vincere contro le tre canzoni di Come d'incanto che erano in nominationDeborohWalker ha scritto:Un musical timido, girato in strada, romantico e divertente, con una colonna sonora di qualità; difficilmente potrete resistere al fascino di Falling Slowly, la canzone premiata con l'Oscar.
cmq non è che i film modesti, basso budget, con le camerine digitali, siano per forza da stimare. Mi hanno un po' rotto le scatole, anzi Once esteticamente è insopportabile, sembra un filmino del matrimonio [esagerazione]...
“DISCUSSIONE, NON RECENSIONE!”
Questo film l'ho visto due volte. La prima, senza sottotitoli alle canzoni. E lì m'è sembrato un po' noioso, eccessivamente minimalista, esageratamente lento.
La seconda, con i suddetti sottotitoli. Ed ho avuto una sensazione completamente differente. Ma vabè, andiamo con ordine.
Esteticamente, più che "dare la sensazione" che si tratti di un documentario, ho preso il film come un documentario vero e proprio sulla musica, l'amore, l'amore per la musica. D'accordo, ci sono degli attori, anche se non professionisti, e d'accordo, anche se gran parte dei dialoghi, già essenziali di per sè, son stati improvvisati, c'è un soggetto di fondo. Ma non è possibile ignorare quanto questo film sia più vero del vero, dal primo fino all'ultimo fotogramma, dalla fotografia "al naturale", con luci assenti e mai al posto giusto, fino alla presenza di persone che, in certe scene girate per strada, fanno capolino nelle inquadrature, incuriosite dalla telecamera. La Dublino di Carney non è una cartolina: è grigia, fredda, affollata, ma non per questo poco tranquilla. Anzi: il suo essere ad ogni modo silenziosa non disturba le solitudini dei due protagonisti, che si incroceranno cambiando l'una il destino dell'altro.
Menzione speciale a piccole scene gioiello, come quella in cui alcuni immigrati-vicini di casa della ragazza ceca vanno a casa sua a vedere la televisione, perché l'unica presente nel loro piccolo quartiere. Delle persone unite dalla comune condizione sociale che si danno una mano tra di loro. Magari una scena simile non si sarebbe vista nemmeno in un documentario vero e proprio.
La trama è semplice, ma d'impatto. Ai protagonisti non viene dato nemmeno un nome: sono Il Ragazzo e La Ragazza, quasi a non voler togliere la scena a quella che è la protagonista reale del film, la musica. E' lei a raccontare la storia dei due ragazzi, è lei a portare a galla ferite e ricordi che ancora bruciano, è lei il collante della loro leggera, delicata ma intensa amicizia che, nonostante quel che si possa pensare, non sfocerà in amore, o almeno non in quello carnale: avrà sempre dei toni platonici, casti, ma non per questo meno romantici o sinceri. Ecco dunque il perché della sostanziale differenza tra la prima e la seconda visione del film: la musica non commenta la storia, ma la racconta e la sviluppa. Lui canta canzoni famose di giorno e si racconta di sera con la sua, di musica; lei, immigrata ceca, vende rose strizzando l'occhio a Chaplin per guadagnarsi da vivere, ma è in realtà una pianista con tanto di studi classici alle spalle. Il loro incontro porterà entrambi a porre fine, per certi versi, al temporaneo annullamento delle loro esistenze (per sofferenza lui, per bisogni pratici lei) per riportare a galla vecchi sogni affondati insieme alle loro speranze ed illusioni. Per fortuna non esitano: d'altronde, son cose che capitano "una sola volta". Ed il regista li segue nel negozietto dove provano la prima volta "Falling slowly", nello studio di registrazione, durante la creazione delle canzoni. Il duetto, poi, è bellissimo. E ancora, ci sono gli sguardi, i silenzi, quelli che proprio nella vita reale scandiscono un rapporto, insieme ai torrenti di parole.
Carney fa funzionare il canovaccio più vecchio del mondo compensandolo con le forti emozioni che il film riesce a dare. Una perla rara e toccante, da vedere assolutamente.
La seconda, con i suddetti sottotitoli. Ed ho avuto una sensazione completamente differente. Ma vabè, andiamo con ordine.
Esteticamente, più che "dare la sensazione" che si tratti di un documentario, ho preso il film come un documentario vero e proprio sulla musica, l'amore, l'amore per la musica. D'accordo, ci sono degli attori, anche se non professionisti, e d'accordo, anche se gran parte dei dialoghi, già essenziali di per sè, son stati improvvisati, c'è un soggetto di fondo. Ma non è possibile ignorare quanto questo film sia più vero del vero, dal primo fino all'ultimo fotogramma, dalla fotografia "al naturale", con luci assenti e mai al posto giusto, fino alla presenza di persone che, in certe scene girate per strada, fanno capolino nelle inquadrature, incuriosite dalla telecamera. La Dublino di Carney non è una cartolina: è grigia, fredda, affollata, ma non per questo poco tranquilla. Anzi: il suo essere ad ogni modo silenziosa non disturba le solitudini dei due protagonisti, che si incroceranno cambiando l'una il destino dell'altro.
Menzione speciale a piccole scene gioiello, come quella in cui alcuni immigrati-vicini di casa della ragazza ceca vanno a casa sua a vedere la televisione, perché l'unica presente nel loro piccolo quartiere. Delle persone unite dalla comune condizione sociale che si danno una mano tra di loro. Magari una scena simile non si sarebbe vista nemmeno in un documentario vero e proprio.
La trama è semplice, ma d'impatto. Ai protagonisti non viene dato nemmeno un nome: sono Il Ragazzo e La Ragazza, quasi a non voler togliere la scena a quella che è la protagonista reale del film, la musica. E' lei a raccontare la storia dei due ragazzi, è lei a portare a galla ferite e ricordi che ancora bruciano, è lei il collante della loro leggera, delicata ma intensa amicizia che, nonostante quel che si possa pensare, non sfocerà in amore, o almeno non in quello carnale: avrà sempre dei toni platonici, casti, ma non per questo meno romantici o sinceri. Ecco dunque il perché della sostanziale differenza tra la prima e la seconda visione del film: la musica non commenta la storia, ma la racconta e la sviluppa. Lui canta canzoni famose di giorno e si racconta di sera con la sua, di musica; lei, immigrata ceca, vende rose strizzando l'occhio a Chaplin per guadagnarsi da vivere, ma è in realtà una pianista con tanto di studi classici alle spalle. Il loro incontro porterà entrambi a porre fine, per certi versi, al temporaneo annullamento delle loro esistenze (per sofferenza lui, per bisogni pratici lei) per riportare a galla vecchi sogni affondati insieme alle loro speranze ed illusioni. Per fortuna non esitano: d'altronde, son cose che capitano "una sola volta". Ed il regista li segue nel negozietto dove provano la prima volta "Falling slowly", nello studio di registrazione, durante la creazione delle canzoni. Il duetto, poi, è bellissimo. E ancora, ci sono gli sguardi, i silenzi, quelli che proprio nella vita reale scandiscono un rapporto, insieme ai torrenti di parole.
Carney fa funzionare il canovaccio più vecchio del mondo compensandolo con le forti emozioni che il film riesce a dare. Una perla rara e toccante, da vedere assolutamente.