66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia

Film tratti da libri, film tratti da fumetti, film tratti da storie vere, film inventati di sana pianta, blockbusters, d'autore, di serie Z, caciottari, insomma... TUTTO, tranne l'animazione.
  • Al termine di Capitalism: a Love Story, mi lancio in una frenetica corsa verso la Sala Perla. Noto a malapena le novità spuntate quel giorno stesso nella scenografia della Mostra: la strada di fronte al tappeto rosso è tutta sormontata da archi gonfiabili recanti i titoli dei film Pixar, ogni tanto si vede passeggiare un Buzz Lightyear o un Carl Fredricksen, e soprattutto si vedono grappoli di palloncini colorati ovunque. Anche il Casinò, dove si trova la Sala Perla, è invaso di palloncini: ma sono molte di più le persone in coda per l’unica proiezione di Up in programma. Il serpentone umano, tuttavia, non mi scoraggia, e mi metto spavaldamente in fila. Alle 11:30, ovviamente, rimango fuori dalla Sala. Pazienza, mi dico, tanto esce tra poco più di un mese e qui non lo proiettano nemmeno in 3D. Mi viene improvvisamente voglia di uva.

    C’è, comunque, la possibilità di un sostanzioso “piano B”: alle 12 i registi Pixar danno la loro conferenza stampa. Visto l’anticipo di mezz’ora con cui arrivo, riesco a trovare pure un buon posto, strategicamente parlando. Per la finale corsa all’autografo, intendo.

    Infine, arrivano. Lasseter è insolitamente elegante, per i suoi canoni: sull’ennesima camicia hawaiiana (che, come ci tiene a far notare, è decorata con tutti i personaggi Pixar) indossa una sobria giacca. Non solo nell’abbigliamento, tuttavia, Lasseter pare insolito: c’è qualcosa, nei suoi modi, che sembra tradire una specie di sottile fastidio. Sarà l’aria “formale” della Mostra, che non lo fa sentire a suo agio? Fatto sta che le prime domande, in conferenza stampa, sembrano persino peggiorare il suo vago malumore: il secondo giornalista che prende la parola chiede a Lasseter perché mai la Pixar stia intraprendendo la strada dei sequel, dando però alla domanda un tono blandamente accusatorio, sottolineato per giunta da un’inopportuna chiusa, che forse voleva essere spiritosa: «Per favore, dica a George Lucas di non fare Indiana Jones 5». Lasseter risponde «Vai e diglielo tu stesso», e poi ripete i concetti che già si conoscono a proposito della “politica” Pixar dei sequel, parlando di potenzialità di sviluppi ulteriori dei personaggi e priorità del raccontare solo storie che meritino di essere raccontate, a prescindere dal fatto che siano sequel o no. Si ribatte molto poi, nel corso della conferenza, sul fatto che la Pixar è una “bottega”, in cui ogni film non si può dire prodotto di un singolo, ma di un team affiatato in cui ognuno contribuisce in maniera paritaria. Si conferma, ad un certo punto, che la Pixar non produrrà mai animazioni in 2D o film dal vivo, benché Bird e Stanton stiano attualmente dedicandosi a progetti di quest’ultimo tipo. Non vengono fatte grandi rivelazioni, in fin dei conti. Quando la conferenza finisce, mi lancio verso Lasseter & co. assieme ad un’altra orda assetata d’inchiostro: riesco a portarmi a casa la firma di John e quella di Pete Docter, che mi faccio fare sul programma stampa di Up. Sto per prendere anche l’autografo di Bird, ma purtroppo non ce la faccio per un soffio.

    Al pomeriggio, è il momento delle proiezioni pixariane in Sala Grande. Lo spettacolo inizia con Toy Story 3D, che vediamo assieme a Lasseter: il film lo so praticamente a memoria, ma è per me una goduria scoprire per la prima volta certe gag verbali molto brillanti che si erano totalmente perse nella versione italiana (lo ammetto, Toy Story non l’avevo mai visto in inglese). Al di là di questo, però non trovo che il 3D aggiunga niente al film, se non una “patina” di spettacolarità in più. Finché non si girerà un film pensandolo in 3D dall’inizio, difficilmente si otterrà qualcosa di più significativo di qualche passeggero momento di stupore: per questo attendo con ansia di vedere Up, in cui –si spiega nel programma stampa- il 3D è stato pensato come parte integrante della storia, ed alcuni effetti di “profondità di campo” concorrono a creare il tono emotivo di certe scene. Comunque, la proiezione giunge piacevolmente al termine: usciamo e rientriamo dalla Sala (e in quest’occasione ci omaggiano del fazzoletto di stoffa di Toy Story 3, che ognuno trova sistemato sulla propria poltrona), dopodiché segue il momento della cerimonia di consegna del Leone d’oro. Anzi, dei Leoni d’oro: Müller fa infatti spuntare altri quattro “leoncini” che accompagnano il premio a Lasseter, concedendosi inoltre una gaffe epocale. «Questo Leone è accompagnato da altri quattro leoncini, e con questo abbiamo voluto ricordare il premio Oscar speciale che fu dato a Walt Disney per Biancaneve. Come ricorderete, l’Oscar era accompagnato da altri Oscar più piccoli: otto, come i nani». I più cattivi diranno a fine cerimonia che quello di Müller è stato un lapsus suggerito dalla presenza sul palcoscenico di un… alto ospite quale George Lucas. Il quale, tra l’altro, ha contribuito allo sviluppo dei bicipiti della valletta di turno, costringendola a rimanere in piedi con il Leone d’oro per circa mezz’ora, in attesa della conclusione di un fluviale discorso sulle origini della Pixar e sulla soddisfazione personale di essere stato un mentore per così tante menti geniali.

    Dopo la premiazione e le foto di rito, sul palco tornano solo Lasseter e Unkrich, a presentare la clip di Toy Story 3 di cui si è già parlato. Poi torna il solo Lasseter, con l’intento di prepararci alla proiezione dei primi 10 minuti di The Princess and the Frog. È solo in quest’occasione che sembra di intravedere qualcosa del “solito” Lasseter: il regista si entusiasma, cerca di coinvolgere il pubblico, fa una battuta dopo l’altra. Curiosamente, ad un certo punto incita esplicitamente il pubblico all’applauso. In effetti, la cerimonia non ha certo riscosso un successo travolgente: c’è solo stato un abbozzo di standing ovation all’entrata di Lucas, e poi una serie di applausi che sono suonati però come semplice cortesia. Devo dire che non me l’aspettavo, specialmente perché ricordavo i deliri di cui avevo visto capace il pubblico veneziano di fronte a Miyazaki.

    Finito il primo tour de force pixariano, riprendo con il programma “regolare” della Mostra: alle 19:30 mi aspetta un altro film in concorso, Between Two Worlds. Film dello Sri Lanka, ermetico ma tutto sommato molto interessante nella sua riflessione sul tempo e sul senso del raccontare. Dopodiché non me la sento di insistere con altri film, e me ne vado a cena.

    Il giorno dopo è il Pixar day bis, il 7 settembre. Come il giorno prima, vado innanzitutto a “farmi” il mio solito film in concorso delle otto e mezza: stavolta è White Material di Claire Denis. Non ho molta voglia di ricordarmelo… Parlava dei conflitti tra neri e bianchi in Africa, ai giorni nostri. Sarà che non ero molto lucido, ma l’ho percepito come un bel mattone, retto solo dalla presenza di Isabelle Huppert.

    Dopodiché, è l’ora della Disney-Pixar Masterclass in Sala Perla! L’evento si rivela essere realmente straordinario: i cinque registi tengono per un pubblico selezionato di esperti d’animazione, per la prima volta nella loro vita, cinque lezioni di cinema. Inizia Stanton, con un intervento monografico intitolato “Storytelling”. Alle sue spalle, si proietta un bel powerpoint targato Pixar, con effetti animati originali… Wow, mi sembra di essere finalmente nell’università che avrei sempre voluto frequentare. “Storytelling is joketelling”, appare sullo schermo. Concetto curioso, con cui non sono del tutto d’accordo: intanto Stanton, per coerenza, si lancia in una barzelletta per rompere il ghiaccio. «In una taverna, un uomo siede di fronte al suo boccale di sidro. “Ho costruito la mia casa da solo, mattone per mattone, tegola per tegola, ma mi chiamano forse McGregor il costruttore? No! Ho piantato gli alberi della foresta uno ad uno, curandoli e facendoli crescere, ma mi chiamano forse McGregor il piantatore d’alberi? No! Avete presente il molo? Ho conficcato ogni palo sul fondo del mare con le mie mani, ho trovato le assi e le ho inchiodate personalmente, ma mi chiamano forse McGregor il fondatore di moli? No! E allora, come c**** mi chiamo?».

    Dopodiché, Stanton ci introduce alla filosofia dei registi Pixar: fare film per intrattenere il pubblico di ogni età, ma anche per divertire se stessi, avendo inoltre alla regia un approccio da filmmakers, e non da “animatori”. Per quanto riguarda lo storytelling, ecco il vademecum di Stanton:

    - It’s not just for kids
    - Filmgoers 1st, Filmmakers 2nd
    - No formulas
    - If formula happens, stop doing it
    - Animation is a medium, not a genre (B. Bird)
    - Dare to be STUPID (in a creativity safe environment)
    - Embrace the idea to make mistakes
    - Just make good movies

    Dopo l’ottima lezione di Stanton, viene il momento dell’intervento di Bird: Storyboarding.
    Bird parla meno di Stanton, e si è avvale di più di esempi video, mostrandoci l’evoluzione del suo modo di fare storyboard a partire da Family Dog, passando poi per i Simpson, arrivando poi a Il Gigante di Ferro e infine alla Pixar. È stato interessante scoprire quanto l’improvvisazione dei doppiatori abbia influito sullo storyboard di Ratatouille.

    Si alza poi Unkrich, iniziando la sua lezione intitolata: Editing and Layout. La parte più preziosa dell’intervento è stata quella riguardante il montaggio audio: nei film Pixar, a quanto pare, Unkrich ha letteralmente “assemblato” i dialoghi dei personaggi, prendendo da ogni “take” solo le parti migliori –arrivando a scegliere persino i “respiri” tra una parola e l’altra che, secondo lui, suonavano meglio!

    Pete Docter ci parla invece di Art and Design. L’intervento si concentra su Up, e dunque sui calcolati contrasti che, nelle scenografie, si notano tra design alludenti a forme quadrate (Carl) e design tondeggianti (Eleanor). Docter ci introduce anche ai misteri dello shading, dell’ombreggiatura, ma abbiamo l’impressione di sfiorare appena un argomento che meriterebbe, da solo, un corso a parte.

    Infine, John Lasseter ci insegna Animazione. Di nuovo, Lasseter pare essere di umore così così: sarà perché la sala è, in effetti, mezza vuota? Hanno esagerato con le selezioni: la Masterclass era blindatissima, e molta gente è rimasta fuori, nonostante le numerose poltrone vuote. Umore a parte, Lasseter si produce in quello che forse è l’intervento più interessante in assoluto: imparo così la strategia del “layering”, relativa all’animazione chiave. In pratica, Lasseter ha compreso già negli anni ’80 che per animare al computer occorreva una concezione “modulare” dell’animazione chiave. Il fotogramma chiave non va concepito come un’entità singola, come nell’animazione 2D, ma come un’area dove vi sono più “strati”, ciascuno dotato di una propria animazione chiave. Lasseter ci ha mostrato la sua animazione di Luxo, jr., facendoci scoprire come ogni fotogramma “chiave” abbia in realtà “chiavi” distinte per l’arco del movimento, per l’oscillazione della base, per la rotazione della “testa”, e così via. La minuziosità della tecnica non deve tuttavia farci dimenticare che, ammonisce Lasseter, scopo principale dell’animatore non è “animare”, ma far “pensare” i suoi personaggi, come diceva Ollie Johnston. E conclude citando Walt Disney: «For every laugh, there should be a tear».

    Siamo relativamente pochi, in Sala Perla, ma l’applauso è appassionato. Attendiamo ora con ansia la parte pomeridiana della Masterclass, dove ci sarà permesso porre domande direttamente ai registi. Ci si ritrova tutti davanti alla Sala Perla poco prima delle 15.

    Ed avviene il fattaccio. Passa mezz’ora, e della delegazione Pixar nessuna traccia. Infine, spunta Marco Müller, che con aria apparentemente disinvolta ed un sorriso stampato in faccia ci annuncia che i registi Pixar hanno deciso di cancellare la seconda parte della Masterclass. “Sono stanchi”, fa con aria serafica il direttore. Non si riesce a sapere altro, nonostante molti dei presenti lo incalzino con domande: ad un certo punto, forse nel tentativo disperato di sdrammatizzare, Müller si produce in un’improbabile imitazione di Wall-E. Offre, inoltre, una specie di “risarcimento” per la sfumata occasione, che col senno di poi pare una vera beffa: fa infatti proiettare in anteprima (la proiezione ufficiale sarebbe stata il 12 settembre), solo per i partecipanti alla Masterclass, il film giapponese in CG Yona yona Penguin, di Rintaro. Film insulso e bambinesco nel peggiore dei sensi, come ho poi scoperto qualche giorno dopo. Non entro, infatti, alla proiezione, e mi allontano un po’ amareggiato, convinto che in tutto l’accaduto c’entri qualcosa il “malumore” di Lasseter e l’accoglienza veneziana tutto sommato tiepida. Non lo sapremo mai. Mi resta, comunque, qualche bel souvenir:




    E poi qualche foto, di bassa qualità però, perché avevo solo il cellulare...







    In corsa verso il Leone: Stanton...


    Bird...


    e Docter.


    George Lucas ricorda i bei vecchi tempi e si scorda di guardare l'orologio


    Leone e leoncini


    "Ed ecco a voi, Toy Story 3"! Presentato dall'unico regista al mondo ad aver vinto il Leone d'oro alla carriera senza aver mai diretto un film...


    "Ed ecco a voi, The Princess and the Frog!"


    Foto "rubata" alla Masterclass, dove era vietatissimo fare riprese (sequestravano come niente macchine e cellulari)!


    (Continua...)
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