Alla fine degli anni '90, Jim Carrey provò a uscire dalla nomea di "faccia di gomma" che gli era stata affibbiata grazie a successi come "Ace Ventura", "The Mask" e "Scemo e più scemo"; per riuscire in questa difficile missione ed essere accreditato anche come attore capace anche di interpretazioni meno strampalate, Carrey si dedicò ad alcuni film distanti dalla forte impronta comica che lo avevano reso famoso.
Tra "The Truman Show" e "Eternal Sunshine of a Spotless Mind", i film più noti di questo percorso intrapreso da Jim Carrey, uscì un'altra pellicola che testimoniava la versatilità dell'attore ma che non ottenne lo stesso successo e la stessa visibilità: "The Majestic" diretto da Frank Darabont, già regista de "Le ali della libertà" e de "Il miglio verde".
Siamo nell'America degli anni '50, periodo nel quale il giovane Peter Appleton (Carrey) lavora come sceneggiatore di B-movie con la speranza che un giorno potrà entrare a far parte dei grandi autori hollywoodiani; quando si rende conto che la sua carriera è un completo fallimento, Peter si ubriaca e ha un incidente d'auto, risvegliandosi la mattina dopo completamente privo di memoria. Lo ritroveranno gli abitanti della cittadina di Lawson che rivedono in lui Luke, un soldato partito per la seconda guerra mondiale e poi scomparso... Non avendo indizi sulla sua identità, Peter inizia a vivere a Lawson frequentando l'ex-fidanzata di Luke e vivendo assieme al padre di Luke, cominciando a convincere gradualmente tutti i cittadini (e anche se stesso) di poter essere davvero Luke. E se le cose stessero davvero così?
Uno degli elementi meglio riusciti del film è il Majestic del titolo, un vecchio cinema nel quale Luke lavorava col padre, chiuso e abbandonato una volta che il ragazzo è scomparso in guerra; ora che Luke sembra essere tornato, ecco che comincia la ristrutturazione del cinema per farla tornare agli antichi splendori.
Questo processo è una vera e propria dichiarazione d'amore al rituale cinematografico in stile "Nuovo Cinema Paradiso": l'addetto alla cabina di proiezione, il bigliettaio, il bancone con le caramelle, la folla di un paesino di provincia che si riversa in sala, il proprietario del cinema che prende il suo lavoro come una vera e propria missione di regalare una serata da sogno ai suoi clienti... Sono tutti elementi che riescono a tratteggiare un modo di concepire il cinema ormai scomparso, che molto probabilmente risulterà esagerato alle nuove generazioni cresciute a suon di multisala.
Il film, nonostante le alte aspettative, non è stato un successo enorme attirando anche qualche commento negativo per essere forse troppo retorico e poco divertente, ma personalmente non ritengo che la cosa sia grave; sembra quasi di vedersi un film girato davvero negli anni '50 in pieno stile Frank Capra e questo non può che far piacere, in un universo cinematografico odierno che è completamente differente.
Effettivamente nell'ultimo quarto della pellicola la vicenda viene sballottata da un ribaltone narrativo che c'entra ben poco con tutto quanto era stato raccontato fino a quel momento e che si sarebbe benissimo potuto evitare, ma non mi sento di condannare il film nell'oblio, dato che rimane una piacevole visione immersa nella nostalgia.