[Bonelli] Martin Mystère

Editore che ha dato i natali ad alcuni dei personaggi più iconici della tradizione fumettistica italiana, toccando tanti generi diversi ma con uno stile unico e inconfondibile.
  • MM #325: Voci dal passato (Castelli/Camagni)
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    E' finito il trentennale. Il loghetto apposito viene retrocesso nei risguardi, ancora in "versione App" nonostante il ritorno alla normalità del numero scorso. App ancora pubblicizzata nella posta, per il resto ormai trasformata in necrologio visto l'alto numero di morti degli ultimi mesi. Stavolta Castelli ricorda Decio Canzio, Direttore Generale della Bonelli per più di trent'anni fino al 2006, e Paolo Morales, autore che Castelli definisce scioccamente suo virtuale erede: impossibile, visto che hanno due stili completamente diversi. Il BVZA, da sempre contraddistinto da una grande umiltà, ultimamente si sta sminuendo eccessivamente. D'altronde lui che si è sempre definito vecchio anche quando non lo era, ormai viaggia verso i 70 ed è comprensibile che cominci ad abbandonare quella prospettiva a 360°, che lo ha reso sempre un passo più avanti degli altri, a favore di una visione delle cose più parziale e personale. Lo stesso Voci dal passato corrobora questa sua evoluzione (o involuzione, a seconda della prospettiva). In esso si ritrovano il Castelli classico, capace di creare mystero e suspense attorno al bluff, e il Castelli moderno, ultranostalgico da un lato e stilisticamente ibrido dall'altro, con quest'ultimo aspetto riscontrabile nelle scene action tipiche di Morales e da sempre punto debole del decano dei sceneggiatori Bonelli. Se l'azione non manca, per fortuna - dato che non è quella che fa di una storia di MM una buona storia di MM - il 'vecchio' Castelli offre anche il suo repertorio migliore, e tra flashback, collegamenti deboniani, racconti nel racconto, imbastisce un'affascinante caccia al tesoro su e giù per la Storia e la Geografia. Non pago di tutto questo ben di dio, si abbandona pure a un po' di sana nostalgia, intrecciando alcuni spaccati inediti sulla famiglia Mystère, e in particolare su Mark, il papà di Martin, sul quale grava dai #26/27 un peccato originale che rende la memorabilia ancora più malinconica. Tra un pizzico di commozione, una manciata di esaltazione, tanto fascino e un po' di spacconaggine, Voci dal passato si configura come l'ideale storia-tipo di MM, che guarda al passato per capire il presente e prevedere il futuro. Nelle grandi questioni storico-esistenziali come nelle piccole cose: e a questo proposito, l'idea di [spoiler]un congegno portatile capace di archiviare e mettere in contatto persone lontane, che sia esso un coso anacronistico vecchio di millenni o un registratore Geloso[/spoiler], non può non essere debonianamente collegata [spoiler]agli ormai costanti spot alle App per Ipad[/spoiler] di MM. E se personalmente mi piace far finta di pensare che l'apertura (un paio d'anni fa) di un certo mio topic sul forum Agarthi non sia casuale, obiettivamente posso affermare senza timore di smentita che i Buoni Vecchi Zii Alfredo e Martin, quando rimangono fedeli a loro stessi e non si crogiolano nel passato fine a sè stesso e/o non cercano di imitare i rottamatori tanto in voga oggi, possono ancora fare tanto, e farlo bene.


    E' finito il trentennale. E possiamo trarne un bilancio: è stato un trentennale sottotono. Non tanto per la qualità delle storie, che a parte la disgraziata Fine del mondo si è mantenuta su buoni livelli, quanto per l'approccio degli autori, che sembrano aver abdicato dinanzi ai lettori savonarola, per i quali "o Morales o muerte!". Castelli eccede nell'umiltà, Recagno quasi si vergogna a uscire in edicola, ormai non viene nemmeno più deriso nei risguardi. E se Castelli è da sempre "vulcanico" e ciclicamente si stufa e ciclicamente torna (anche se, come detto, la sua età avanza e prima o poi l'argomento andrà affrontato seriamente), per Recagno la questione è diversa: le sue due storie per la serie regolare hanno dipinto un Martin diverso da quello che di solito proponeva, più vicino al cinico moralesiano e al pantofolaio castelliano. Soprattutto, le "morali" che le sue due storie hanno fornito sono state ammissioni di sconfitta: il mondo fa schifo, gli Uomini in Nero sono invincibili, Martin è quello che è, io non ci posso fare più niente.
    Vedremo come si comporterà quest'anno, soprattutto dopo la morte di Morales, che quantitativamente lascia un vuoto enorme: sarà sempre più arduo produrre 9 albi all'anno, a meno che finalmente i promessi Cavaletto e Beretta non vengano sbloccati quanto prima.
    Contenutisticamente il trentennale ha dimostrato che MM ha ancora qualcosa da dire, qualcosa che, piaccia o non piaccia, non è affatto banale. Potrebbe dirlo meglio, potrebbe dirlo più spesso, ma a quanto pare il fumetto educativo non tira più, e senza sesso, battute e sparatorie c'è sempre qualcuno che si annoia. La continuity è ferma da tempo, anche se i Trentasei Giusti sono stati un'introduzione intelligente e, col senno di poi, provvidenziale, in quanto vanno a colmare un vuoto. E ovviamente non cozzano con quanto già sapevamo della cosmogonia mysteriana. Ma per tirare meglio i fili del discorso, e dimostrare a)che MM ha una continuity fantastica, b)che l'evoluzione/involuzione di MM serie e MM personaggio non è casuale e c)che MM ha detto tantissimo in passato e ha ancora molto da dire, vi invito a leggere una serie di tre post che ho scritto in veste ufficiosa: I,II,III. Al termine, Get a Life! #13 (Ciò che non è morto) apre una (secondo me) interessantissima ipotesi. Get a Life! #14, invece, è de facto uno spin-off della serie ufficiale spacciato per parodia.
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    Ottimo lavoro.
  • Martin Mystère #326: Il paradosso di Fermi (Mignacco/Ongaro)
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    Sorpresona questo numero: non gli davo due cents, e invece m'è piaciuto. Dai geniali risguardi all'interessante articolo finale. In fondo MM non è solo avventura, ma anche divulgazione. E occuparsi di argomenti di cui non si parla tutti i giorni. La storia di Mignacco lo dimostra. Le prime pagine, dalle sequenze storiche fino alla conferenza, sono un esempio di ottimo fumetto didattico, scritto benissimo, con grande professionalità e soprattutto con una gran voglia di stimolare il lettore ad approfondire le nozioni segnalate e a leggere i libri citati (finalmente si tornano a citare saggi realmente esistenti!). Ongaro aiuta lo sceneggiatore facendo recitare bene un cast di per sé prevedibile e che in altri casi sarebbe stato tremendamente piatto.
    Poi, com'è ovvio, ad un certo punto l'azione prende il sopravvento e la storia diventa un thriller già visto ma tenuto in piedi da uno sviluppo in un certo senso anche interessante, con i tre poli che si annullano a vicenda come accade in un certo parlamento. Purtroppo alla fine Martin abdica per l'ennesima volta agli Uomini in Nero. Ma voglio aggrapparmi con tutte le forze all'idea che le umiliazioni (perché di fatto sono umiliazioni) che il Nostro sta subendo nell'ultimo anno siano un preludio a una riscossa morale (e magari non solo morale), pertanto stavolta soprassiedo su questo aspetto. Anche perché il finale per fortuna evita di demistificare il mystero di turno (anzi, la tenacia degli Uomini in Nero dimostra che nella chiavetta c'era qualcosa di importante), come invece era accaduto negli ultimi numeri.
    Quindi: una storia facilona (una tizia qualunque che capisce il neanderthalese?? Ho pensato fin da subito che fosse una Donna in Nero ma poi non se ne è saputo più nulla) ma con qualche pregio (più metanarrativo che narrativo).

    Gli errori tecnici permangono anche in questo numero, ma va detto che diminuiscono notevolmente: ne ho scovati solo due (un errore di lettering a pag.51 ultima vignetta) e la scomparsa degli occhiali di Lem fra pag.35 e pag.36. Ma sono comunque due. Io dico che è ora di affidare la fase di proofreading a qualche 20-30enne, perché questi e gli errori visti negli ultimi due anni sono errori veramente scemi, secondo me frutto di mera presbiopia.

    Nella posta ben tre rivelazioni: due su un vecchio collaboratore di MM, Enrico Lotti (coautore non accreditato dello scorso numero e, a quanto pare, di ritorno prossimamente con una storia sui cargo cult), e una riguardo allo Zio Boris di Castelli (ora mi tocca cercare la striscia che ha ispirato un racconto breve di MM). C'è spazio anche per un ennesimo eccesso di umiltà da parte del BVZA: formalmente l'errore di cui parla c'è, ma se "Re di Francia" era un appellativo di uso comune, dopo soli 17 giorni dalla rivoluzione poteva ancora essere utilizzato in modo informale, no? D'altronde c'è chi chiama "Re" persino Napolitano...
    E' vero che ai tempi le formalità erano considerate importanti, ma è anche vero che tra l'orale e lo scritto c'è una differenza congenita e cronologicamente trasversale. Per cui un "Re di Francia" al posto di "Imperatore" o di "ex Re di Francia" sarà pur scappato a qualcuno, penso.
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    Ottimo lavoro.
  • Martin Mystère #327: Gli abitatori del sottosuolo (Morales/Cardinale-Orlandi)
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    Bello l'inizio, che in poche tavole fa succedere varie cose, mostra tre ambientazioni diverse e presenta in due battute gli elementi del racconto: un modo nuovo di dare avvio all'avventura.
    La folgorazione dura 22 tavole: dopodiché inizia una delle più immani dabbenaggini mai pubblicate su questa serie. Una serie di WTF assurdi tali da rinobilitare Sucker Punch: da Travis che mangia il cioccolatino e in un istante si deprime e mette in discussione trent'anni di amicizia (nemmeno io con Doppio Tì sono arrivato a tanto) a Diana sempre - sempre!!! - infoiata (una roba grottesca e fanservice, ma non divertente), passando per la stessa Diana attrice improvvisata a Martin provetto James Bond. Ma molte altre sono le perle di realismo che costellano l'albo: si va da Martin che, precipitato nella giungla, disquisisce amabilmente con una iena al cattivo che - questa è la migliore - rivela il suo traffico di vite umane organizzando una conferenza e aiutandosi con le diapositive. Ma tutto questo non sarebbe nemmeno un problema se l'albo non si prendesse sul serio. Cosa che invece fa tremendamente, nonostante l'articolo di Castelli - buono come sempre - provi a ricordare cosa è veramente importante. Ora, prendersela col povero Morales ormai non ha più senso, e a questo punto non so se pure cercare di capire i suoi fans serva ancora a qualche cosa. Perché sono gli stessi che dicono che questa e le altre storie di Morales sono "capolavori" e magari poi schifano i film hollywoodiani, giudicandoli tutto fumo e niente arrosto, quando invece lo stile è esattamente lo stesso (d'altronde Morales ha lavorato per Hollywood). Come si può dire che questa storia è un capolavoro perché parla del traffico di vite umane quando ne parla sì e no in due pagine e sfrutta l'idea per un action movie che, se fosse cinematografico, sarebbe trasmesso da Rai4 ove tutti lo giudicherebbero di serie b? Come si può nel 2013 accettare ancora che in un fumetto i personaggi abbiano i volti di attori celebri (vedi Timothy Dalton)? Come si può continuare a trovare errori in ogni numero, in questo caso gli eventi del #305 citati continuamente come avvenuti due anni fa, quando gli anni in realtà sono quattro? Cosa costa un'aggiustatina? Con tutte le revisioni che la Bonelli impone a ogni propria uscita è assurda la montagna di errori che da due anni a questa parte sta franando addosso a questa testata. Mah.
    Comunque RIP Paolo: non tutto della situazione in cui ci troviamo oggi è colpa tua, ma di danni ne hai fatti. Uno grosso sicuramente: hai tolto a MM gli stimoli, la voglia di curarsi e darsi una dignità. E meno male che volevi bene al personaggio, pensa se lo odiavi.


    MM Speciale #30: Il segno di Venere (Recagno/Torti)
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    Un altro Anni 30? Nì, ma più no che sì.
    La collana Special di Martin Mystère, capostipite delle collane Special bonelliane e l'unica a non aver rinunciato alla propria identità dopo il 2000, prosegue ininterrotta e giunge al suo 30° numero. Trattandosi di una collana annuale, i conti sono presto fatti: è il numero del trentennale! Tutti a gozzovigliare, allora: per l'occasione Recagno celebra tutti i filoni e i personaggi susseguitisi nei 30 numeri, a partire da Angie, che degli Special è l'ambasciatrice. Questa ragazza, eternamente giovane, eternamente svampita e costante catalizzatrice di guai, è sempre stato un vero e proprio paradosso, nella "verosimile" serie di MM, ove i personaggi - in teoria - invecchiano. Il moffattiano Recagno sa come si fanno le celebrazioni (se potesse farebbe solo quelle) cosicché dopo trent'anni decide di rivelare il segreto di Angie: ella è [spoiler]posseduta dallo "spirito" di Venere, dal Genius Loci del pianeta femminile per antonomasia, dallo Yin, insomma![/spoiler] Una rivelazione che io modestamente mi aspettavo e che non posso che reputare la più logica e sensata. Così, tutto contento e soddisfatto, posso godere degli altri aspetti celebrativi della storia, come il ritorno di colui che mi ha dato il nickname (con la apparente fine della soap tra lui ed Angie?) e dei soliti Dee&Kelly, per lungo tempo tormentoni della testata, o le varianti gradite quali l'insolito Tower romantico e il Martin showman di inizio albo, decisamente figo (forse fighetto). Ma l'aspetto più gradito è senza dubbio la compresenza alternata delle varie location geografiche e cronologiche viste in trenta storie: dagli anni '60 del giovane Martin (la più recente in ordine di introduzione) al presente con Altrove da un lato e la città di turno in cui avvengono cose curiose dall'altro, passando per il flashback con il personaggio storico, che in questo caso è uno dei fondatori di Altrove! Tutto è circolare e funzionante. Qualche critica però la si può fare: intanto manca Diana, che in alcuni Special ha rivestito ruoli importanti e meritori di celebrazione; ma capisco come la gestione di troppi personaggi avrebbe ingolfato la narrazione. E infatti (seconda critica) Dee e Kelly sono usati poco e non benissimo: secondo me è ora di tirarli fuori dal ruolo di macchiette e occorre restituire loro quel pizzico di cattiveria originaria che li rendeva goffi ma temibili. A tal proposito, se Angie ha avuto la sua apoteosi e la sua esistenza può dirsi completa e conclusa, forse Dee e Kelly meriterebbero analogo destino. Ma (terza critica) le vicende di Angie sono davvero concluse? Della Angie nuda e cruda io penso di sì. Eppure Recagno, forse proprio per non perdere il personaggio, inserisce rimandi a personaggi o eventi a lei collegati che chissà se e quando vedremo. L'antenata di Angie, identica e spiccicata alla bisnipote, puzza di viaggio temporale. La "predisposizione", un tempo privilegio di Martin e Diana, tocca ormai anche ex-spalle come Angie e Tower. L'ideale sarebbe saperne di più l'anno prossimo. Come dicevano Mulder e Scully, voglio crederci.
    In allegato: Martin Mystère Presenta #9: La fine della civiltà come noi la conosciamo (Castelli/Filippucci). Dopo il disastro di La fine del mondo, lo sciamannato MM #324 che aveva sprecato malamente la profezia Maya, ecco che Castelli e Mignacco fanno mea culpa e imbastiscono tutto un albetto sopra catastrofi e fini di mondi. La storia-cornice che dà il titolo al fascicolo è davvero gustosa e si presenta - per ritmo, tematica affrontata e risoluzione del mystero - nello stile che ha reso celebre e amato questo benedetto fumetto. Stile che non risente affatto della spezzatura in quattro, necessaria per poter infilare le altre tre storie brevi. Due di esse, tuttavia, sono ristampe, ma finora circolate solo su albetti a tiratura limitata acquistabili solo da chi ne conosceva l'esistenza. Io ne conoscevo l'esistenza e li possedevo, ma mi ha fatto comunque piacere vedere divulgate al volgo La danza dell'oscurità del 2007 e Il naviglio battagliero del 2011, entrambe a firma Castelli/Orlandi. La prima, in particolare, mi è sempre piaciuta molto. La terza storia è un inedito, ed è un inedito quasi due volte, dato che è scritta da Mignacco, il quale aveva realizzato una sola storia breve mysteriana nel remoto 1997. La sindrome di Babele (Mignacco/Esposito Bros.) è ripresa da un racconto di Douglas Adams, ma riesce ad essere comunque di gradevole fattura. Nella mia infinità bontà, Luigi e Alfredo, vi perdono La fine del mondo. Ma che non accada più, o i cataclismi, la prossima volta, li scatenerò io.
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    Ottimo lavoro.
  • L'estate porta sempre un poco di mystero seco. Se su Zagor prosegue l'inseguimento all'archeologo collaboratore di Altrove, ora corrotto dal male, Dexter Green, nel sudamerica ottocentesco, nel presente Dylan Dog, nella terza storia del DD Maxi #19 (L'eroe di Gualdoni) si ricorda del suo amico Martin. Lo fa solo per pochi secondi, ma è già qualcosa. Anche perché il nuovo curatore dylandoghiano, Recchioni, promette per il prossimo futuro crossovers e team-up a volontà. Non mi ha voluto dire, però, se per il giugno 2014 sarà organizzato qualcosa (in quel mese saranno in edicola DD #333 e MM #333 aka 666). Pazienza, mi consolo sapendo che è di Alfredo Castelli il nuovo layout della posta di DD, con lui e Sclavi che tornano a collaborare dopo un'era geologica.
    Il solito Castelli è stato presente anche al solito Rimini Comix, per il quale ha presentato La notte delle piade assassine, nuova apparizione di quel Martin Mystère Bufo che non si vedeva dai tempi di Cattivik. All'albetto inedito ha collaborato il "nostro" Artibani. L'albetto in questione io ancora non ce l'ho: decisamente mi tocca recuperarlo entro novembre, quando le avventure del BVZMMB artibaniano saranno ristampate integralmente da Panini. In teoria il materiale sarebbe già disponibile, non so se integralmente o meno, sull'App per IPad dedicata a MM, che io non posso consultare. Sempre per IPad Bonelli ha pubblicato in versione digitale le storie mysteriane Anni 30 (#320) e Decameron (#148). Questa seconda è uscita nella versione a colori del 2002 e in occasione del settecentennale di Boccaccio. E' una storia molto divertente, e chi non l'ha letta la legga.
    Sempre al RiminiComix l'Associazione Nipoti di Martin Mystère ha presentato il numero 0 di Get a Life!, raro esempio di fanfiction che viene approvata dall'autore, in questo caso passando per di più dal digitale al cartaceo. L'albetto contiene una prefazione di Castelli (il quale lo ha pure pubblicizzato nel #328 qui sotto) e la ristampa del #8 della serie digitale (Affari di famiglia allargata), qui il link della versione web. Anche se con questo albetto io non ho avuto niente a che fare (ho iniziato a collaborare dal #11 della serie digitale) sono molto orgoglioso lo stesso.

    Martin Mystère #328: Protocollo Leviathan (Badino/Alessandrini)
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    E sono molto orgoglioso perché, nonostante la cura editoriale degli ultimi tempi decisamente scarsotta, nonostante un approccio quasi di rassegnazione nei confronti dei Lettori in Nero cui del mystero non importa più niente, gli autori di MM dei loro fans si ricordano. Lo testimonia questo numero, dove compare un rimando al forum Agarthi. Merito di Alessandrini? Beh, non lo so, comunque grazie. Tale rimando sarebbe comunque fine a sé stesso se la storia fosse la solita storia poco mysteriosa come quella del bimestrale precedente. E invece no, l'esordiente Badino sorprende tutti con una storia i cui ingredienti sono quelli delle "belle storie di una volta", e con una storia che è, finalmente, una storia di Martin Mystère dall'inizio alla fine. I meriti vanno equamente divisi fra lo sceneggiatore e il disegnatore, ma se il secondo è il creatore grafico del personaggio, dunque ça va sans dire, del primo bisogna dire che il suo studio dello stile castelliano è alquanto encomiabile, anche perché nel ricrearlo, non ne riprende gli elementi accessori (come invece talvolta fa Recagno) bensì lo spirito. Quello spirito fatto anche di ironia e leggeri sberleffi, certo, ma soprattutto fatto di amore per la Storia, per il mondo, per le culture altrui, per l'atto del creare mystero più che del mystero in sé. Per la cosmogonia mysteriana, insomma. Va detto, però, che questo amore che durante la lettura si percepisce viene un po' smontato dall'intervista che Badino ha concesso al Fandom mysteriano, nella quale pare che l'autore abbia scritto la storia perché sì. D'altronde, pur con i grossi pregi di cui sopra, l'albo in sé non è certo perfetto, ed in due o tre occasioni è piuttosto facilone (in una di esse, però, è colpa della redazione). Ad ogni modo i presupposti per poter contare su Badino ci sono, e ciò è decisamente un bene. Per chi vuole approfondire, consiglio la lettura della recensione ufficiale del Fandom.

    Consiglio pure la lettura, a chi ha tempo da perdere, degli ultimi episodi di GaL!, secondo me piuttosto ben fatti. Il #15 e il #19 chiudono le celebrazioni per il quarantennale del mystero (non era trentennale? Leggere per credere). I #16 e #20 portano la Magic Patrol e le Donne in Nero a Faenza con i disegni dell'ottima Elisa Romboli. Il #17 è un altro episodio del buzzurro Doppio Tì, mentre il #18, numero doppio, contiene sia una sorta di appendice a MM #325 dello scorso febbraio che (assieme al #21) un sequel di una vecchia storia degli anni '80 a cui finalmente viene restituita un po' di logica.
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    Ottimo lavoro.
  • Storie da Altrove #16: Il vampiro che fece la Rivoluzione (Recagno/Orlandi)
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    Ho sempre amato e difeso da pregiudizi e attacchi infondati (l'ultima volta poche settimane fa) questa benemerita collana, che se fosse americana sarebbe celebre ed ammirata in tutto l'Occidente ma siccome è italiana ed è uno spin-off è grasso che cola che ancora sia pubblicata. L'ho sempre difesa e ammirata, dicevo, tuttavia questa volta, la prima, le preview dell'albo avevano generato in me qualche perplessità. I dubbi più grandi riguardavano il disegnatore: Alfredo Orlandi proviene dalla scuola di Lazarus Ledd ed è abilissimo nell'illustrare storie d'azione contemporanee e metropolitane, ma nelle sue incursioni nel passato non aveva dato grandi risultati, soprattutto nelle sequenze illustrative nelle quali aveva teso a sacrificare la messa a fuoco mettendo personaggi e sfondo sullo stesso piano. In una collana come Storie da Altrove l'aspetto grafico è sempre stato uno degli ingredienti chiave, sia ai tempi dei Colombi e degli Esposito che nella successiva era Giardo. Ora, proprio noi fans avevamo chiesto alla redazione il ritorno della varietà, perché, pur bravissimo, Giardo aveva comunque disegnato 8 numeri consecutivi, che, vista la periodicità, avevano corrisposto a ben 8 anni di fila senza esperimenti grafici. Stante l'impegno di Giardo con Nathan Never, la redazione aveva acconsentito alla sua sostituzione, perlomeno temporanea... con Orlandi. Si poteva scegliere qualcun altro? A mio avviso sì, per i motivi sopra detti. Non che in questo momento lo staff artistico di MM abbondi di firme magniloquenti ed "ottocentesche", dato che pure Filippucci per colpa di Tex non è più quello di una volta. Ma secondo me gli Esposito Bros. avrebbero regalato un altro respiro, più "vittoriano" e raffinato, al Vampiro che fece la Rivoluzione. Non che la prova fornita da Orlandi sia brutta, beninteso, tuttavia i suoi difetti permangono e si possono riscontrare qua e là, in particolare su certe anatomie un poco sghimbesce e su certi volti ricalcati, come è consuetudine per Orlandi, su attori reali. E sì, anche sulla pochezza di alcuni sfondi (solo alcuni, perché su altri Orlandi si è messo d'impegno). Se sul piano grafico le mie perplessità vengono in parte confermate e in parte smentite, sul piano narrativo... accade lo stesso. Se Storie da Altrove era una eccellente collana è perché le storie erano eccellenti e in esse Recagno mixava con la consueta abilità Storia, invenzioni letterarie/cinetelevisive/fumettistiche e la continuity mysteriana. Inoltre ogni numero trovava un modo inedito per raccontare LA storia, l'unica che forse vale la pena raccontare, ovvero la cerca dell'Oggetto Simbolo di turno che sempre si trasforma in una cerca di sé stessi. Il tutto è presente anche in questo sedicesimo numero, tuttavia in un modo un po' più superficiale del solito. Se ogni oggetto leggendario dei precedenti numeri aveva comunque una sua origine logica dal punto di vista "storico" e coerente con l'universo mysteriano, la Pietra di Sangue che tutti inseguono nel 1792 rimane invece una reliquia completamente inspiegata, sulla cui origine Recagno improvvisa ben quattro ipotesi ma in un modo che pare dire "chissene... tanto è solo un mcguffin" (e la parvenza è poi diventata realtà sul forum). Questo, collegato al periodo apatico e di transizione che stanno vivendo sia la serie bimestrale che lo stesso Recagno (non a caso in contemporanea), ha un ché di irritante. Passi che sul forum i lettori più nerd sono diventati da un giorno all'altro nemici da rieducare, ma trattarli da babbei anche nel fumetto non mi pare il caso, soprattutto quando gli stessi autori producono ed esaltano cose come Anni 30 e il prossimo Almanacco che non sono certo meno monomaniache. La storia è comunque piacevole come sempre, e se ha dei difetti non sono certo - come taluni sostengono - la riduzione a fumetti del romanzo di turno e la manciata di dialoghi riassuntivi, elementi che io pure eliminerei ma che in una collana annuale e formalmente indipendente ci stanno. No, il guaio principale è la superficialità con cui sono gestite le varie sottotrame: l'albo vuole porsi in continuity con Lady Oscar, ma alla fin fine il rimando è proprio minimo; vuole presentare Vlad Tepes come villain temibile, ma non è certo all'altezza dei suoi consimili dampyriani (tant'è che io non credo che Vlad sia un Maestro della Notte); vuole che Vlad sia comunque un personaggio sfaccettato, ma la sua breve apparizione nel #9 Il principe che tornò dalle tenebre aveva offerto, in meno pagine, un ribaltone molto più efficace; vuole legarsi a quello stesso #9, ma non lo fa, nemmeno sotto forma di prequel, tanto che la rivelazione sulla [spoiler]moglie in animazione sospesa[/spoiler] salta fuori dal nulla e apre ad ulteriori midquel (chissà se mai li vedremo); vuole approfondire il personaggio di Amanda, ma sostanzialmente non lo fa, anche se prima con il viaggio sulla Luna e poi con l'aggancio a quel flashback visto nel #7 La creatura che venne dall'inferno (e che a questo punto diventa un foreshadow) riesce in qualche modo a connettere un paio di fili mysteriani; infine, l'albo vuole anche essere in qualche modo politico, ma anche questo lo fa in modo poco approfondito (sullo stesso tema, Dampyr #49 è magistrale). Insomma, ho sempre difeso da pregiudizi e attacchi infondati questa benemerita collana, ma è lei per prima a dovermi dimostrare di meritare la difesa: con questo numero per la prima volta non me lo ha del tutto dimostrato.


    Martin Mystère #329: La minaccia di Allagalla (Mignacco/Bagnoli-Gradin)
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    MaxBrody, sul forum Agarthi ha scritto: Da quel che ho capito io, il cinegiornale e il terremoto sono soltanto le due modalità utilizzate (in base ai mezzi a disposizione rispettivamente nel '46 e nel 2013) per rappresentare la minaccia. Ma la minaccia proviene dal cannone sonico, cioè non è veramente concreta, ma è un qualcosa - spiegato malissimo - che induce le menti a diventare paranoiche, creando isteria e distruzione mutua assicurata. Dato che anche il pianeta è un essere vivente (v. allusione a pag.78), anche la "mente del pianeta" (il Databank?) subisce lo stress, diventa paranoica e permette, in uno dei possibili universi futuri, la scossa a NY. A causa dello stress, flash provenienti dalla "mente del pianeta" barra Databank riescono ad essere intercettati da certi soggetti, fra cui lo scienziato pazzo, che diventa ancora più pazzo e si contraddice girando il filmino (mentre in un altro universo commissiona a Pedrocchi e Bagnoli un fumetto). Anche il giornalista, prima di incontrare lo scienziato ormai pazzissimo ha un flash che rappresenta la minaccia sotto una ulteriore altra forma (anch'essa presa dal fumetto? A poterlo leggere... <--questa è una nota di rimprovero).


    Questo è il modo in cui mi spiego questa balzana storia, e grazie ad esso posso trovarla meno peggio di quanto la rece del ReRosso la dipinga.
    Non è che mi piaccia, sia ben chiaro, l'ho letta in meno di dieci minuti e le baggianate segnalate nella recensione ci sono. Magari su alcune il Villa esagera (le "sensazioni" di Diana e Travis alla fine sono solo supposizioni, io già mi ero immaginato Doppio Tì esper), ma su altre, come il Martin improvviso boccalone (il tizio di "Congiura nei cieli" ce l'ha sulla coscienza) o la geologa o Bat-Boy, ha ragione da vendere (ed è comunque più divertente della storia). E in fondo la spiegazione di cui sopra mi farà dormire sonni tranquilli, ma praticamente ho dovuto inventarmela, perché Mignacco nell'albo non prova nemmeno ad abbozzarne una (o, se lo fa, non si capisce).

    E di nuovo mi chiedo cos'abbia disegnato Bagnoli, a parte pochi volti.
    E mi chiedo se il resto sia tutto di Gradin...
    Strappo alla regola e crosspost dei miei commenti a caldo di un mese fa. Di fatto, quello che ho da dire in merito a questo assurdo numero è tutto qui.
    Annunciata diverso tempo fa, dallo stesso Mignacco, come sequel del primo fumetto "importante" di Bagnoli, Il terrore di Allagalla del 1941, la storia non è un sequel manco per cacchio: infatti Mignacco retconizza il fumetto del 1941 e lo degrada a... un finto cinegiornale. Poi prende questa fiction d'antan e la piazza al centro di una confusa vicenda a base di guerra fredda, allucinazioni, armi impossibili e robottoni (pareggiando dunque i kaiju di Protocollo Leviathan nel downgrade di Pacific rim). Manca una qualsiasi spiegazione al tutto, o se c'è, è fatta malissimo e nessuno l'ha notata. Per quanto mi riguarda, ho sistemato tutti i fili nel primo paragrafo quotato. Si tratta comunque di una spiegazione alla bell'e meglio e realizzata a posteriori, ottenuta unendo puntini che forse Mignacco neanche ha pensato. Ma, sempre per quanto mi riguarda, mi rende fiero di me stesso. :D "Bravo" a me e non a Mignacco, dunque, giacché l'autore è lui e doveva pensarci lui. Dal punto di vista grafico, quel Bagnoli che doveva essere omaggiato ed esaltato rimane invece vittima involontaria della sua autocelebrazione: oltre a non disegnare quasi nulla della storia (il ché è comprensibile, visto che vi ha lavorato negli ultimissimi mesi della sua vita, a 80 anni suonati), la trama e la regia d'altri tempi che Mignacco gli confeziona non ci fanno affatto una bella figura e dimostrano soltanto l'età da pensionamento raggiunta da quei fumetti da taluni considerati arbitrariamente parte di una golden age nella quale, in realtà, di golden è rimasto ben poco. Come ormai era rimasto poco del glorioso Bagnoli.
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    Ottimo lavoro.
  • Zangief, adesso non scappi più.
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    Ottimo lavoro.
  • max brody ha scritto:Zangief, adesso non scappi più.
    Di solito sono gli altri che scappano da Zangief, comunque. E di solito cercano anche di correre forte.
    :P
    Cazzate a parte :P , che intendi dire? :)
    Andrea "Bramo" L'Odore della Pioggia
    Osservate l'orrendo baratro su cui è affacciato l'universo! ... senza spingere...

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  • Bramo ha scritto:
    max brody ha scritto:Zangief, adesso non scappi più.
    Di solito sono gli altri che scappano da Zangief, comunque. E di solito cercano anche di correre forte.
    :P
    Cazzate a parte :P , che intendi dire? :)
    Mai scappato, questo topic lo seguivo dagli inizî. :D
    Si riferisce al fatto che jeri sono finalmente intervenuto sul forum di Agarthi, facendo cadere il buon Max dal pero. E senza neanche fargli fare "ehm". :asd:
    Comunque l'ultimo albo meriterebbe una recensione ben piú articolata del semplice intervento relativo al Brigadier che mi ha spinto a uscire allo scoperto. Anche solo per Yonaguni, che è argomento cui mi ero interessato parecchio a suo tempo leggendo su fonti giapponesi.
  • Bramo ha scritto: Cazzate a parte :P , che intendi dire? :)
    Intendo dire che Zangief è un Uomo in Nero che nasconde la verità: legge MM e questo topic. E mi ha lasciato qui a commentare da solo per due anni.
    Per punizione, e dato che io non ho ancora preso l'albo (e chissà quando riuscirò a farlo), e dato che di robe giappe non m'intendo, la rece del nuovo numero la farà lui. :elio:
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    Ottimo lavoro.
  • max brody ha scritto:
    Bramo ha scritto: Cazzate a parte :P , che intendi dire? :)
    Intendo dire che Zangief è un Uomo in Nero che nasconde la verità: legge MM e questo topic. E mi ha lasciato qui a commentare da solo per due anni.
    Per punizione, e dato che io non ho ancora preso l'albo (e chissà quando riuscirò a farlo), e dato che di robe giappe non m'intendo, la rece del nuovo numero la farà lui. :elio:
    Ehi, e Tyrrel e Donald Duck? Anche loro hanno scritto, su, tu non sei mai stato solo!
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    :asd:
    Vabbe', quando avrò un po' di tempo lo farò.
    Forse.
    :asd:
  • Zangief ha scritto: Ehi, e Tyrrel e Donald Duck? Anche loro hanno scritto, su, tu non sei mai stato solo!
    E se volete, per far vedere che non mi tiro indietro, io posso spendere due parole per L'ombra della svastica + uno speciale di cui ora non ricordo il titolo [appena posso lo aggiungerò], gli unici albi di MM nella mia libreria.

    E sinceramente non capisco il perché, dato che enigmi storici, paleoastronautici, mitologici e simili mi hanno sempre affascinato parecchio.
    Forse ho trovato uno dei buoni propositi per il 2014...
    Timido postatore e finto nerd.

    Pure su YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCBsX4Y ... LjrjN8JvEQ.
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    Mi è capitato per le mani, molto per caso, questo albetto omaggio che viene rilasciato dall'Associazione Amici dei Navigli.
    Si tratta di uno spillatino di una decina di pagine, una breve storia scritta da Alfredo Castelli e disegnata da Alfredo Orlandi, in cui un vecchietto racconta a Martin un episodio delle Cinque Giornate di Milano, poi si incacchia che il biondino non dia molto peso alla storia e allora succede una cosa... mysteriosa :P
    Ho letto poco e niente del personaggio, ma lo sviluppo della storia mi ha ricordato molto alcuni incubi e sbocchi surreali alla Dylan Dog... ad ogni modo storiellina piacevole, un divertissement in omaggio ai Navigli, alla Storia milanese e all'unità d'Italia: credo infatti che l'albetto sia stato stampato in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Italia unita.
    Andrea "Bramo" L'Odore della Pioggia
    Osservate l'orrendo baratro su cui è affacciato l'universo! ... senza spingere...

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  • Almanacco del Mistero 2014: L'impero sottomarino (Castelli/Alessandrini)
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    Quando la coppia che ha creato il detective dell'impossibile si riunisce è sempre un evento: sono rare, ormai, le occasioni di vederla all'opera insieme. Ecco perché è un peccato vederla riunita... su un what if. Un what if abbastanza banalonzo, per altro. L'Almanacco 2014 è infatti dedicato a quella che è a tutti gli effetti diventata una sottoserie, la serie del Martin Mystère Anni 30, iniziata sul numero del trentennale. E dato che le preview annunciano che l'Almanacco 2015 ospiterà una terza avventura del Martin "dieselpunk" appare evidente come una collana che era in fase di ripresa sia ora nuovamente condannata all'autoreferenzialità. Cosa rimane al povero Martin? Altrove? Mah, staremo a vedere se la serie regolare riuscirà a riprendersi, ma stando alle suddette preview l'ombra di Morales sembra essere ancora ben calata sul bimestrale. Che altro dire? Il fumetto è per chi piace: a me non piace. Il puka è simpatico, Kut Humi Bufo pure, i disegni sono gradevoli (a parte i baci che Alessandrini non sa più disegnare), ma, a parte la presenza di un Pirata Orango umanizzato, gli omaggi mi hanno lasciato alquanto indifferente. Con tale approccio non sono riuscito a gradire nemmeno gli articoli, sebbene uno di essi fosse l'occasione per avvicinarmi al mondo di un altro Martin, George R.R. Ma così non è stato. Il dossier giustamente dedicato alla narrativa pulp manco l'ho guardato e quello sulle città insivibili l'ho già dimenticato. Dopotutto l'ho letto durante una tragica fase di abbiocco in attesa di donare il sangue. Unici guizzi di vivacità, ovviamente per quanto mi riguarda, la menzione di Da Vinci's demons e Zero hour nella sezione Telefilm e l'assurda prefazione di Frediani dedicata nientemeno che... ai nani di gesso. :P


    Martin Mystère #330: Il matrimonio di Sergej Orloff (Recagno/Esposito Bros.)
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    Non sono riuscito a spronare Zangief. E allora due righe le scrivo io, ché l'albo se le merita. Partiamo dai difetti, più stilistici che di concetto. Innanzitutto l'ennesimo riassuntone della vita di Martin e Sergej, malfunzionante in quanto, se il destinatario è il lettore, il referente è Diana, che quella vita se l'è sentita raccontare cento volte e la conosce a menadito. Va bene che le persone tendono a parlare delle stesse cose, va bene che tra un capitolo della saga e l'altro passano anni (il ché è un altro difetto), ma è tempo di trovare un altro modo per riassumere eventi noti, per non rischiare l'"effetto Serra" neveriano. Poi c'è Morgana: stavolta compare pochissimo, ma fa in tempo a parlare di sé in terza persona. Infine c'è il solito Martin scazzato, che vive eventi importantissimi e tragici ai quali reagisce con il solito "bof, indagherò" (in questo caso quando si promette di indagare sul complesso di Yonaguni; per fortuna il finale ribalta tutto). Nel complesso Recagno prova ad assomigliare sempre più a Moffat: lode al tentativo, meno - bisogna dirlo - al risultato: su carta l'effetto non può essere lo stesso che su schermo, vuoi per l'assenza di musica, vuoi per il contesto (mi pare che siano ben pochi i lettori bonelliani che conoscono Sherlock e il DW moderno). Per capirci, una scena come quella in cui Martin e Sergej sono in simbiosi e le mosse poco chiare del primo vengono ripercorse sotto un'altra ottica non ha l'effetto stupefacente (in tutti i sensi) delle analoghe sequenze in cui Sherlock e il Dottore mettono insieme indizi o rivelano il loro piano: su carta sembra solo uno spieghino in più. Mentre un'altra sequenza, quella della festa di Natale fasulla a fine numero, è talmente spiazzante da non essere chiara al 100%: mi pare evidente che sia una sequenza-truffa del tipo già visto in un episodio del Dottore (ma non ricordo quale), ma sembra quasi che sia reale. Comunque è un bene che Recagno ricominci a fare test, a sfidare sé stesso e a provare a migliorarsi anziché adagiarsi sugli allori. E veniamo dunque ai pregi. I flashback, sia quello scanzonato dei tempi dell'università che quelli tragici di Orloff. Il ripescaggio del Centro giapponese, assente da trent'anni, e dunque Kenzo e Yonaguni (elementi questi due di cui però bisognerà riparlare). Il ruolo defilato di Morgana, diverso dal consueto. Sono tutte buone cose. Ma il pregio principale è indubbiamente un altro: questa può essere finalmente la storia del riscatto. Ora Martin ha uno scopo, e con lui lo ha Recagno. E così universo narrativo e metanarrativo si intrecciano una volta di più, perché il topos narrativo per definizione, quello che dà un senso ad una qualunque storia (specialmente avventurosa e soap), ovvero la quest, che in MM è da sempre la cerca dell'Oggetto Mysterioso, diventa ora, e in maniera assolutamente naturale, la cerca di Orloff, che però, per varie ragioni, è la cerca della metà di Martin, e dunque - filosofia a gogò! - la cerca di sé stesso. Con un simile materiale si può fare tutto, e ora che Martin e Recagno hanno ritrovato uno scopo è assolutamente fondamentale che la loro prima reazione non sia "bof, indagherò". Ma che lo stupendo doppio finale che chiude l'albo e fa vibrare il vero fan della serie abbia quanto prima un seguito.
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    Ottimo lavoro.
  • Martin Mystère #331: Ritorno a Longitudine Zero (Cavaletto/Camagni)
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    Il sequel del miglior numero (e forse l'unico mysteriano al 100%) dell'ultimo lustro.
    Ebbene, nonostante quel che racconta la posta, il sequel non serviva affatto. La comparsa dell'uovo è una invenzione ex novo: non ve n'era minimamente traccia nella storia di Castelli, anche perché è più logico che il continuum non permetta la coesistenza di due Martin (così come non permette di modificare la Storia). In Longitudine zero se un discorso rimasto aperto era presente, era quello relativo alla base e allo sfruttamento tangibile del multiverso da parte dei nazi (con quali apparecchiature lo hanno incanalato?), non quello del paradosso e della biforcazione. Invece è stato ripreso forzatamente proprio quest'ultimo, con risultati abbastanza grotteschi (i Martin e Diana svogliati di inizio albo). Non che il resto sia stato bellamente dimenticato, ma ben poco di nuovo si è aggiunto in concreto, anche se è un poco che fa ben sperare (anche perché Cavaletto sul forum ha già fatto sapere che per lui la storia non è chiusa). Nel frattempo, con un soggetto creato sostanzialmente a tavolino, la sceneggiatura ha fatto quel che ha potuto. Da buon esordiente, Cavaletto ha usato gli elementi che gli piacciono e ha provato a creare una storia epica come non se ne vedevano dai tempi di Alessandro Russo (ed è buffo che Russo torni in Bonelli proprio quest'anno, anche se su NN). Come Alessandro Russo, ci è riuscito fino a un certo punto. E' inevitabile che quando si legge MM si finisce sempre per cercare certi "castellismi" che anche in questa storia sono assenti. Comunque, sebbene non spiegati o amalgamati nel modo più convincente, di elementi mysteriosi l'albo ne ha mostrati a bizzeffe. Poi vabbè qualche "moralesismo" semplicione ormai sembra essere penetrato nel dna di autori e lettori, ma questa è una questione su cui stavolta si può sorvolare.
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    Ottimo lavoro.
  • Momento vanità: la Sergio Bonelli Editore lei medesima pubblicizza una cosa su cui compaio anch'io.
    È la mia prima volta, non sono più vergine!
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    Ottimo lavoro.
  • Ma congratulazioni!!
    Lorenzo Breda
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    If you couldn't find any weirdness, maybe we'll just have to make some!
    Hobbes, Calvin&Hobbes

    [No bit was mistreated or killed to send this message]
  • Grazie, è una piccola cosa ma che fa piacere. :)

    Dopodiché ho fatto baldoria per giorni e giorni e oggi sono troppo stanco per commentare gli ultimi numeri. Anche perché più o meno l'ho già fatto altrove. Sicché questa volta mi concedo un becero crosspost.

    Martin Mystère #332: Il risveglio di Tiamat (Morales/Morales-Grimaldi)
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    da qui:

    Storia

    Diretto seguito di “Orrore tra i Sumeri” (Martin Mystère nn. 126-127) del 1992, storia che vanta il primato di essere l’unica mai scritta da Ade "Lazarus Ledd" Capone per il BVZM e l’ultima ristampata sulla rimpianta collana TuttoMystère, questo Il risveglio di Tiamat è la seconda produzione di Paolo Morales in edicola dopo la prematura dipartita dell'autore.
    Ma se la prima, Gli abitatori del sottosuolo (Martin Mystère n.327), si era rivelata essere un convenzionale fumetto di sola azione che disattendeva le premesse del suo preludio per sviluppare un complotto improbabile, questa volta il sequel viene messo a profitto per ampliare la mytologia della serie.

    Anche Il risveglio di Tiamat presenta lo schema tipico della maggioranza delle sceneggiature di Morales: il prologo con morti misteriose in una qualche località esotica (per il pubblico italiano); la sequenza statica con un monologo dedicato all'argomento dell'albo; la presentazione della bella archeologa/scienziata di turno; le conseguenti frecciatine fra i coniugi Mystère (e la consueta scena di sesso che rinsalda la coppia, a dimostrazione che si può essere “giovani” in ogni momento, anche se nel mondo non di fantasia tale mentalità ha portato più danni che benefici); altre morti misteriose; lo scatenarsi della minaccia; il viaggio nel Paese esotico e la presentazione degli altri "compagni di sventure", solitamente modellati su quelli dei kolossal hollywoodiani; il profilarsi dell'Apocalisse; la sconfitta del Mostro; la chiosa finale con la morale (solitamente riassumibile in "vivi e lascia vivere").

    In questa occasione, però, delle classiche figure Moralesiane sono presenti solamente lo scienziato buffo "preso dai film di Spielberg" (cit. Leo Ortolani), Mirzà, e il mussulmano ortodosso, Farid, i quali in questo caso formano una "strana coppia" stereotipata ma riuscita. Non manca anche il vegliardo detentore di un’antica tradizione (qui la resurrezione dell'āšipu), mentre alla bella archeologa viene riservato un ruolo leggermente diverso dal solito: anziché accompagnare Martin per tutto l'albo, la donna (la dottoressa Margot Jordan) scompare inaspettatamente verso metà albo, per ritornare solamente nel finale come nemica, vittima della possessione della dea Tiamat.
    A fare da spalla a Martin troviamo l'ispettore Travis: è una prima scelta insolita, che ricordiamo solamente nel citato prequel di Capone, in Cassandra di Mignacco-Castelli e nel gigante La sindrome di Matusalemme di Castelli. Sempre più curiosamente, la caratterizzazione di Travis si discosta dal serioso, e spesso cupo, ispettore visto nelle precedenti storie di Morales, per degenerare nella versione deformed di Get a Life!, alias il famigerato DoppioTì. Se non avete mai letto le avventure di costui, benedette dallo stesso Alfredo Castelli, ve le proponiamo online nell’elenco a questo indirizzo, ma vi ricordiamo che esiste anche un’edizione cartacea di ben due di esse (“Il teatrino della memoria corta” e “Incubo nei cieli”), come riportato anche sul sito Bonelli.
    In Il risveglio di Tiamat, l’ispettore Travis, non pago di essere stato coinvolto arbitrariamente nell'azione (non si capisce perché debba essere proprio lui ad accompagnare Margot all'estero, in barba a tutte le giurisdizioni), per tutta la storia, anche durante momenti più o meno drammatici, si produce in una serie di battutacce degne dei "personaggi buffi" dei film di Michael Bay. E’ gustosamente balzano vedere Travis fare battute sulla cacca (pag.126), oltre che inusuale per lo stile della serie, coerentemente con la "voglia di leggerezza" del recente Morales; nella mischia entra anche la coppia da avanspettacolo di Farid e Mirzà, che contribuisce non poco a sdrammatizzare la vicenda.

    Questa propensione a non prendersi sul serio, rivelatadall’autore ai tempi del trentennale, segnava un netto cambiamento di rotta rispetto alla precedente gestione che prevedeva il dramma a ogni costo, quasi in modo paradossale. E’ facile riscontrarla nelle ultime prove di Morales, caratterizzate da una crescente improbabilità e bisognose di una elevata sospensione dell'incredulità. Senza bisogno di scomodare l’Orizzonte degli Eventi, si possono citare la fortuita infiltrazione di MM nel party blindato di Progetto cyborg, il traffico di vite umane raccontato dal cattivo per mezzo di diapositive ne Gli abitatori del sottosuolo, o la (strumentale!) commedia degli equivoci che chiudeva Il tesoro di Didone.
    Se normalmente il “mystero” convenzionale ha sempre avuto scarsa presa su Morales, Il risveglio di Tiamat invece ripropone il tema dei culti sumero-babilonesi di Marduk e Tiamat, confermando la sua predilezione per i classici delle mitologie mediorientali, dalla Regina di Saba alle piaghe d'Egitto, passando per il Necronomicon di Abdul Alhazred e gli intrighi del Mossad. Da appassionato di simbolismi quale Morales era, il serpente e il cerchio sono in questo caso la figura più adatta per rappresentare la chiusura di un ciclo, e ci pare che questo albo sia proprio il commiato del miglior Morales, del narratore che abbracciava il passato mysteriano e lo utilizzava in modo spontaneo per guardare avanti.
    In questo albo, infatti, Morales prende il paletto fissato da Capone nella remota storia di ventidue anni fa (trasformati in “alcuni anni” dalla redazione) e lo espande sapientemente, raccontandoci retroscena che non conoscevamo e che derivano dalla "vera" mitologia (presumibilmente con l’aiuto di Carlo Recagno, come Morales aveva spiegato quando la storia era ancora in lavorazione).
    Così, quando ci racconta dell'eterna sfida fra Tiamat e Marduk, ci racconta contemporaneamente la storia dell'Uomo (Uomo contro Donna, Figlio contro Genitore, Creatura contro Creatura, dato che Marduk è "maschile" e Tiamat "femminile", Marduk è "figlio" di Tiamat ed entrambe sono due creature che vogliono sopravvivere) e quella della serie (con tutte le sue diramazioni).
    Perché la guerra senza tempo fra le due creature di puro Male (due Grandi Antichi di generazioni diverse o, come ipotizzato in mailing list, una divinità primordiale e una secondaria, o forse entrambe le cose) non può che rammentare l'assurdità dell'altra guerra senza tempo, quella fra Atlantide e Mu, fondamento della serie ("anche se avevano altri nomi e svolgevano altre funzioni, all'epoca... i miti si evolvono [...]", dice Sana'I a pag.113) e quindi l'assurdità di tutte le guerre.
    E perché l'energia primordiale costituita dai Cento Me, un male che si propaga da persona a persona, richiama in modo molto forte l'immagine lasciataci a suo tempo dal Male sclaviano (Dylan Dog n. 51), forza negativa che sempre prevale e dalla quale non è possibile sfuggire se non per pochi prescelti. E chi altri può essere uno di questi pochi se non l'eroe/protagonista/eletto/Terzo Occhio/probabile Campione Terrestre Martin?
    Il finale dell'albo, in realtà, con la rinascita di Margot suggerisce che sia la persona comune quella veramente dotata della possibilità di fare la cosa giusta: è la classica morale, che funziona in quanto morale per definizione. Tuttavia, a ben vedere, nel corso della vicenda Margot non fa altro che essere posseduta, perdere i sensi ed essere immersa nel liquido rigenerante. Martin, invece, è un "uomo eccezionale" (come afferma pure Mirzà a pag.98) ed è lui ad accedere alla propaggine del Mondo del Sogno ove incontra Sana'I. La camera rigenerante, poi, con le sue particolari peculiarità, pare fatta apposta per fornire un'ulteriore alternativa a disposizione dell'autore che volesse risolvere una volta per tutte la secolare questione dell'età del protagonista. Per auto-citarci ancora, alla correlazione fra il ritorno di Marduk, la cosmogonia dualistica dell'universo mysteriano e il ruolo "salvifico" di Martin avevamo dedicato parte della nostra "Storia Segreta del Mondo (in particolare la seconda e la terza parte) e ci ha fatto molto piacere ritrovare certi elementi in una storia di Morales.

    Sempre nelle “cifre” dell’'autore, e scendendo più nello specifico, si nota una certa forzatura in alcune situazioni. Travis, il quale è pur sempre un ispettore di polizia di NY e non un federale con competenze internazionali, svolge un viaggio in Iran su semplice richiesta della Jordan, senza contare che in Iran la giurisdizione passa al commissario Abbar (i cui agenti si fanno ovviamente sfuggire la protetta). Morales deve essersene accorto a cose fatte, e forse per questo motivo da quel momento Travis, diventato inutile ai fini della trama, si trasforma in un elemento comico.
    Deludentemente, la "furia degli elementi" che si scatena su tutta l'area dell'antica Mesopotamia (pagg.104-105) non ci viene mostrata in modo esaustivo, ma viene solamente relegata al telegiornale, in un dejà vù da disaster movie televisivo.
    Il ruolo "salvifico" di Martin e del Mondo del Sogno rientrano nell’ambito del deus ex machina, ma come la serie ci ha insegnato, l’alternativa è ormai solo quella di avere Martin semplice spettatore,per cui è meglio non lamentarsene. Inoltre, come ricorda il sagace articolo di Castelli in appendice al fumetto, c'è un che un metanarrativo in tutto ciò che è epico, e quando mitologia "storica" e serialità del fumetto si fondono con naturalezza non si sta facendo altro che aggiungere un tassello a quella grande soap opera che è la Storia (se ci passate la poetica espressione).
    Il meccanismo utilizzato da Martin e soci per accedere al Mondo del Sogno si basa su una scienza “di confine”, o “fringe science”, come si direbbe in inglese: si tratta di un ritorno alla più pura tradizione Castelliana dei primordi, quella che mescolava l’elemento mysterioso dell’autocombustione alla spiegazione scientifica collegata a esperimenti di quel precursore transumano che era Mr. Jinx. Certo, al giorno d’oggi, dopo i telefilm The X-Files ed eredi, è difficile avere la stessa carica di originalità del lavoro di Castelli, e infatti la tecnica usata nel caso in questione è ormai stratificata nell’immaginario comune e notissima al grande pubblico grazie a telefilm come Fringe, ma comunque si tratta di una scelta narrativa importante, che si spera stimoli gli autori a riprendere il tema delle tecnologie avveniristiche e a rilanciarlo, tornando a fare di Martin Mystère una serie vivacizzata dalla curiosità per il potenziale delle nuove idee in circolazione.

    L’arte

    Ottimo il lavoro svolto da Fabio Grimaldi, ancora una volta a fianco del Morales disegnatore. Il duo conferma uno stile ligne claire "all'americana" in grado di conferire una costante espressività ai vari personaggi e una profondità di campo sempre attenta. Ottimi gli sfondi, che dovrebbero essere opera proprio di Grimaldi. Ci si augura che l’autore rimanga nello staff mysteriano anche "a solo".

    La copertina di Giancarlo Alessandrini mette in scena una Tiamat poco somigliante a quella mostrata nel fumetto, ma nel complesso il gioco di colori orchestrato da Alessandro Muscillo e il Martin in posa da eroe offrono un disegno godibile.

    Da segnalare come i risguardi interni siano firmati Carlo Velardi (sviluppatore dell'App per IPad dedicata a MM).

    Dylan Dog Color Fest #12 (b): Incubo impossibile (Mignacco-Castelli/Piccatto-Riccio)
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    da qui:

    Premessa

    Da quasi un lustro, ormai, il fan di Martin Mystère è abituato ad attendere 9 uscite all'anno (6 bimestrali + Speciale, Almanacco e Storie da Altrove), dato che il Maxi e il Gigante sono defunti rispettivamente nel 2008 e nel 2009. Da allora sono state prodotte anche 4 storie brevi e un racconto in prosa riservato a pochi eletti (più il secondo romanzo di Carlo Andrea Cappi, appena uscito), ma a saziare il mysteriano hanno provveduto soprattutto quelle che nell'Indice Analitico 2002 erano state indicate come "Varie", ovvero le apparizioni estemporanee degli elementi mysteriani su altre testate. Nathan Never e Zagor avevano assorbito il mondo di Mystère già negli anni 1990 e col passare del tempo hanno aumentato il numero di rimandi e citazioni (addirittura Zagor ne ha approfittato per costruire una vera e propria saga, che di fatto è uno spin off di MM e di cui parleremo in un prossimo articolo), ma anche Dylan Dog, di tanto in tanto non si è lasciato sfuggire l'occasione per una qualche allusione al BVZM (nel 2013 si è ricordato di Martin in due occasioni).
    Questo preambolo per dire che, oggi, qualunque albo in più targato Mystère fa brodo per il mysteriano, per cui il Dylan Dog Color Fest nr. 12, tutto dedicato ai team-up bonelliani, non può di certo passare inosservato. Tanto più che la sua stessa esistenza basta a riprendere una non-collana giacente immobile da ben tredici anni: stiamo parlando dei Team-up veri e propri (i "Martin Mystère & ..."), albi appositamente realizzati per far incontrare due testate differenti e pubblicati come one-shots. Non comparivano dal lontano 2001, quando il secondo "Martin Mystère & Nathan Never" (Il segreto di Altrove) aveva chiuso un ciclo iniziato il decennio prima. I gusti, e la volontà, di Sergio Bonelli erano ben noti: i team-up dovevano essere il più possibile evitati, al punto che due di essi, inediti e già delineati, erano poi stati costretti alla ritirata sulle testate di partenza. Stiamo parlando della famosa “Scure incantata” (2002), che trasforma Zagor in Za-Te-Nay, e dei “Misteri di Londra” (2004) di Dampyr, ove compare un indagatore dell'incubo londinese che non è Dylan Dog.
    Oggi il ritorno degli incontri ufficiali fra protagonisti di serie differenti è una certezza (tanto che per il futuro è già programmato un crossover tra DD & Dampyr), ma per riabituare il lettore a ciò che per i suoi colleghi statunitensi è banale è necessario procedere per gradi. Ecco dunque quattro brevi divertissements che vedono Dylan agire, con modalità non epiche ma più o meno strampalate, con quattro miti del fumetto bonelliano: Jerry Drake alias Mister No, Napoleone, Nathan Never e ovviamente Martin Mystère.


    Storia

    Inizialmente accreditata ai soli Mignacco e Piccatto, “Incubo impossibile” è la storia che vede il ritorno di quello che forse è IL team-up italiano per definizione, ovvero Dylan Dog & Martin Mystère. Agli autori sono poi stati aggiunti Castelli ai testi e Riccio ai disegni, forse per via di rimaneggiamenti resisi necessari dopo il recente cambio al vertice dylaniato (dal 2013 il curatore è Roberto Recchioni e la storia era in lavorazione già prima). Ora non staremo qui a chiederci cosa abbia scritto Mignacco e cosa abbia aggiunto Castelli, altrimenti si ritorna a “La minaccia di Allagalla” (Martin Mystère n. 329); possiamo solamente dire che l'avventura imbastita è sicuramente una delusione per quanti si aspettavano qualcosa con un minimo taglio epico o comunque serio. Può invece incontrare qualche apprezzamento da parte di chi aveva capito che, in sole 32 pagine, non sarebbe stato possibile elaborare nulla più di un esercizio di stile. Perché “Incubo impossibile” è proprio questo: un giochino, o, per essere più precisi, una parodia. Parodia di Dylan Dog, com'è ovvio, ma soprattutto di Martin Mystère.
    Dov'è il problema? È che, una volta accettato questo, segue l’inevitabile pizzico di delusione nel vedere che le caratteristiche uniche di Martin Mystère finiscono per essere ridicolizzate, invece che valorizzate, sprecando l’occasione di renderlo interessante agli occhi di un pubblico che abitualmente lo ignora. Dopotutto, il Color Fest è anche (soprattutto?) una vetrina in cui esporre personaggi Bonelli meno noti al vastissimo pubblico di una delle punte della casa editrice.
    Pur non facendo peggio degli altri tre Eroi in gioco, Martin non riesce a farsi conoscere come è veramente: il detective dell'impossibile non dovrebbe essere un Indiana Jones che scova manufatti inventati in generiche piramidi, manufatti che per puro caso fanno "cose mistiche" (per citare Vincenzo Beretta), come la sfera che permette a Dylan e Martin di scambiare le proprie coscienze. Quella è la versione banale del personaggio, ed è ormai stata vista in svariate occasioni "celebrative", così come ormai le versioni fanservice di Java (che dice "mghr" e mena pugni), di Altrove deus ex machina, degli Uomini in Nero cattivissimi e pronti ad essere picchiati e di Diana "bella dell'eroe" non sono certo quelle più fresche possibili. Si poteva sfruttare lo spazio a disposizione per fare qualcosa di diverso dal solito.
    Tuttavia, i dialoghi si rivelano abbastanza spigliati e qua e là molto divertenti (Groucho è in gran forma, d'altronde sia Mignacco che Castelli ai tempi d'oro hanno dimostrato di saperlo maneggiare con profitto), e con i loro sprazzi di lucida follia metafumettistica fanno dimenticare la pressoché inesistenza della trama. Male però il finale, con la scena sentimentale, ovviamente parodia del sentimentalismo a tutti i costi Dylaniato ma in cui Diana è proprio pesce fuor d'acqua, e male il cazzottone dell'ultima tavola, decisamente gratuito.


    Arte

    Lo stile di Luigi Piccato è ormai da svariati anni eccessivamente stilizzato e squadrato. In questo caso è però coadiuvato da Renato Riccio: il risultato è complessivamente gradevole, per merito anche della vivace colorazione. Martin è disegnato meglio qui che in “Cagliostro!” (Dylan Dog n. 18), l'unico precedente di Piccatto col BVZM. Bene o comunque passabili anche i comprimari di ambo le serie, come Tower, Diana, Lord Wells e madame Trelkovski, male invece Java, spesso trasformato involontariamente (a meno che non sia un effetto voluto anche questo) in un Incredibile Hulk con la gobba.

    La copertina di Sara Pichelli offre un Martin molto serioso, completamente antitetico al tono della storia che lo ospita. Il disegno, preso a sé, è comunque di gradevole fattura, in particolar modo nello sguardo del professore.


    Le altre storie

    Brevi cenni alle altre tre storie, che non riguardano Martin.

    “Le radici del Male” (Masiero/Civitelli, col. Luca Bertelè) vede finalmente agire insieme Dylan e Jerry Drake, dopo che i due si erano sfiorati (e forse incontrati, ma non è certo) nella celebre “Ananga!” (Dylan Dog nn. 133-134), quando era stato proprio Martin Mystère a metterli in contatto. Ananga, lo spirito del Male amazzonico, era stato protagonista della prima storia sclaviana con Mister No e si era poi manifestato a Londra, scisso in due metà (positiva e negativa) nella sopracitata avventura dylandoghiana. Non poteva che essere lui il casus belli capace di far interagire i due personaggi. L'idea che Masiero s'inventa per dare il via alla vicenda (il copycat) non è granché, almeno finché non ci si accorge che nel richiamare le due storie di Sclavi l'autore si è ricollegato all'intero corpus sclaviano, e in particolare alla concezione del Male che Sclavi aveva anche esemplificato nella storia omonima (Dylan Dog n. 51). Il Male è qualcosa di immanente e invincibile, giacché è sempre legato al Bene e ha le sue radici nell'essere umano. In questo senso la vignetta finale racchiude perfettamente il senso della storia (che a detta di chi scrive è la migliore dell'albo, anche per via del semplice e misurato riutilizzo dei comprimari), oltre ad essere una citazione-omaggio alle vignette finali di ben due delle storie misternoiane firmate Sclavi, e precisamente “La casa di Satana” (Mister No nn. 104-105) e “La notte dei mostri” (Mister No nn. 138-139), non a caso due storie dai connotati altrettanto horrorifici (ed è noto cosa fosse l'horror per lo Sclavi di quei tempi). Come se ciò non bastasse, la rivelazione delle origini dell'idolo di Ananga fornisce anche un tocco di continuità finora inedita.

    Completamente diverse per impostazione le altre due avventure. “Buggy” (di Ambrosini/Bacilieri, col. Erika Bendazzoli) rimette in scena Napoleone, assente dalla chiusura della sua serie nel remoto 2005. E, a dire il vero, è una vera storia breve di Napoleone: Dylan Dog vi compare poco e senza un vero motivo concreto, se non l'occasione fanservice di vedere Allegra invaghirsi di lui. Un team-up poco team-up, insomma. D'altro canto era lecito aspettarselo: “Le spoglie del guerriero” (Napoleone n.42), che vedeva come ospite un Dylan Dog di fantasia, aveva già chiarito la posizione di Ambrosini in merito a questo tipo di trovate.

    “Demoni e silicio” (Rigamonti/Calcaterra, col. Fabio D'Auria) è invece la storia più improbabile del lotto. Non tanto perché, con la magia tecnomante in gioco, l'incredulità deve essere sospesa del tutto, quanto per lo stile adottato dai tre autori, che fanno sembrare questa storia un prodotto sfornato nella prima metà degli anni 1990, quando cyberspazio, personaggi plastici molto spesso in posa da eroe (in un paio di punti Calcaterra sembra Castellini), narrazione "marvelliana" di trame altrimenti terribili e pillole di riflessioni esistenziali erano la norma. Tutti elementi che troviamo gradevoli, ma che ci portano alle stesse riflessioni cui ci aveva condotto il Buon Vecchio Zio Marty (che con Nathan ha molti punti d'incontro): perché è così difficile per le nostre serie italiane preferite presentarsi senza prendersi in giro o rifarsi ad un passato che non c'è più?

    Il comparto grafico dei tre shorts risulta efficace e in grado di ricreare le atmosfere delle serie originali. Questo vale soprattutto per Bacilieri e Civitelli, mentre, come sopra detto, l'avventura di Nathan Never si rifà ad un contesto, quello dei primi anni '90, ormai estinto, ma comunque ben ricostruito da un convincente Calcaterra.
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    Ottimo lavoro.
  • In attesa dei commenti agli albi (che presto o tardi ritorneranno), chi volesse può votare per il 2* Premio Atlantide.
    Cos'è? È scritto tutto qui.
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    Ottimo lavoro.
  • Tra Aprile e Luglio 2014, escludendo i fan-comics di Get a Life!, questo bistrattato, dimenticato e schernito fumetto è presente su 13 albi differenti, spalmati su 10 testate, appartenenti a 4 universi narrativi autonomi e realizzate attraverso 3 medium espressivi diversi.
    Ad Aprile, come sopra detto, dopo MM #332 esce il 12° Dylan Dog Color Fest, nel quale MM è uno dei protagonisti.
    Sempre ad Aprile, su Nathan Never #275 (Il potere e la spada, seconda parte di una tripla) Nathan si ricorda del Martin Mystère robotico trovando un libro da lui scritto, posseduto come reliquia da un collezionista.
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    Ai primi di Maggio viene dato alle stampe il romanzo L'ultima legione di Atlantide, scritto da Andrea Carlo Cappi e revisionato dai principali soci dell'Associazione Nipoti di Martin Mystère. Il romanzo è sia il sequel del precedente romanzo di Cappi, il pregevole L'occhio sinistro di Rama (edito nel 2002 in occasione del ventennale della serie, della quale era un prequel), sia un midquel della serie a fumetti (si colloca temporalmente "a metà" dell'albo #24). A differenza de L'occhio sinistro di Rama, edito dall'allora ancora esistente Sonzogno, questo è pubblicato da una piccola casa editrice, la Edizioni Cento Autori, e si acquista più facilmente on-line che in libreria.
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    Una settimana più tardi, il Centro Etnografico Ferrarese dà alle stampe il fascicolone Martin Mystère - Etnografo dell'Impossibile, catalogo ragionato di tutte le apparizioni mysteriane in quel di Ferrara. La pubblicazione contiene però anche un semi-inedito, il fotoracconto La legione degli uomini perduti, realizzato nel 1998 ma pubblicato soltanto nel 2011 nel fascicolo MUMBLE Speciale #1, che viene ora ristampato corredato da un prologo ed un epilogo (più una copertina interna) inediti e a fumetti realizzate da Castelli e Alessandrini.
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    Nello stesso mese, viene pubblicato anche il nuovo fascicolo dedicato al fumetto delle origini firmato Alfredo Castelli. Ad esso è allegato l'albetto L'onda di Atlantide, che ristampa, in versione riveduta e corretta, il fumetto Mystery Movie pubblicato nel 2009 in allegato allo Special estivo.

    Infine, come se tutto ciò non bastasse, tra Maggio e Luglio si dipana, sugli albi della Collana Zenith #637/639, la storia zagoriana Antartica, di Boselli e Della Monica, che mette fine, dopo tre anni, alla trasferta sudamericana e, dopo nove anni, alla saga "dei cristalli di Atlantide", i due eventi che per lungo tempo hanno tenuto impegnato Zagor. Come nel Giugno 2005 sia MM (sul #279) che Dexter Green (su Zenith #530) si trovavano "contemporaneamente" nelle Azzorre (il luogo dove iniziò la saga di MM), nel 2014 Martin e Zagor si ritrovano entrambi al Polo Sud, anche se con uno scarto di due mesi (MM #331 è di febbraio-marzo, Zenith #637 è di maggio). Ad essere sinceri, l'ultima storia atlantidea di Zagor, al netto di qualche passaggio affascinante (è presente persino una mezza doppia splash page!), è nel complesso abbastanza deludente, e si conclude esattamente come si erano concluse le precedenti: mostri "rrraagh" e crollo del laboratorio. Quella che doveva essere l'ultima storia del ciclo, e da cui ci si aspettava qualcosa di almeno minimamente importante, è stata probabilmente retrocessa a conclusione temporanea. Di buono c'é che Dexter Green si ravvede (in modo un po' banale) e torna ad essere "in character" (funziona di più così che in versione dark), mentre è meno buono il secondo epilogo della vicenda, inserito posticciamente al termine della storia successiva (I signori dell'isola. di Colombo-Giusfredi e Ferri, Zenith #640/641), nella quale Dexter Green cessa la sua collaborazione con Altrove ma lo sceneggiatore precisa che probabilmente si reincontreranno. Insomma, non è successo niente.

    Le altre pubblicazioni mysteriose di questo periodo sono le seguenti.

    Martin Mystère #333: Il naufragio del Telemaco (Castelli su spunti di Lotti/Romanini)
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    Come accade ormai per pressoché ogni storia firmata Castelli, questo numero è una perfetta sintesi dei pregi e dei difetti della serie. I pregi sono costituiti dalla capacità di occuparsi di argomenti e tematiche che al momento dell'uscita sono dimenticati da tutti e poi vengono ripresi da altri (l'albo racconta, tra le altre cose, la storia dell'imperatore Norton, protagonista, pochi mesi dopo, della storia di Artibani); dalla capacità tutta castelliana di fare questo senza annoiare, trovando nuove soluzioni narrative (la caccia al tesoro è di per sé improbabile, ma è condotta in modo "verosimile"); dall'umorismo pungente ma non volgare, demenziale ma non stupido, che Castelli riesce sempre ad usare non solo come surplus ma anche (in parte) come parte integrante della vicenda (i pretendenti al trono francese sono d-e-l-i-z-i-o-s-i). Per tutti questi motivi, questo è stato l'albo del 2014 che ho preferito. I difetti sono invece dati dal tratto grafico, eccessivamente retrò e statico, che personalmente non disdegno ma che obiettivamente "sembra vecchio", e dal grossolano e dilettantesco errore che inficia la risoluzione finale (che in realtà non è l'elemento più importante della storia, ma ha comunque una certa rilevanza). Insomma, il difetto principale di questo fumetto è, come al solito, la curatela, carente e scadente quasi sotto ogni aspetto, perlomeno sul bimestrale (il quale dovrebbe essere la testata di punta dedicata a MM, ma viene trattata come fosse un inutile peso). Sarebbe bastato apportare qualche correzione, nemmeno troppo impegnativa, per mandare in edicola un gioiellino di "adventure comedy". Invece ne è uscito un fumetto del Corriere dei Ragazzi allungato e invecchiato male che è piaciuto solo a me.

    Martin Mystère presenta Bentornati in Zona (Castelli/Roi; Castelli/Siniscalchi; Castelli/Siniscalchi) [Maxi Martin Mystère n.5]
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    A inizio Luglio spunta dal nulla quello che vorrebbe essere il primo volume di una ristampa antologica delle storie mysteriane di Zona X, la testata bonelliana meno bonelliana di sempre. Partita come spin-off di Martin Mystère, Zona X divenne, dopo venti numeri, una testata-ombrello indipendente, ospitante quattro mini-serie (di cui una spin-off di MM) a metà tra fantasy e sci-fi, più vari racconti a tema libero. Per i mysteriani i numeri migliori rimangono però i primi quattordici, ospitanti storie "ai confini della realtà" presentate da Martin in persona, sullo stile di Rod Seiger nel suo telefilm. La metà di queste storie non erano a dire il vero 'sto granché, ma alcune erano invece notevoli e sono rimaste impresse nella memoria. Questo primo volume recupera le tre storie a mio avviso più belle: Benvenuti in Zona è la prima storia di Zona X e, fungendo da introduzione alla serie, sfrutta questa sua peculiarità raccontando diverse possibili declinazioni del "fantastico quotidiano", fra cui un gustoso what if in cui una certa cosa non è mai stata scoperta. Rileggendola, ci si accorge subito di come Castelli e Roi fossero nel 1992 in forma smagliante. Delizioso anche il cameo del bonviano Nick Carter. Da notare che rispetto all'edizione originale sono tagliate due tavole. Maghi e computer è una di quelle occasioni in cui Castelli - ricordiamolo, cresciuto sotto i dettami pseudocattolici del Corrierino - va il più possibile a briglia sciolta. La storia è costituita da due racconti, entrambi aventi come oggetto la blasfemia (e la percezione umana della blasfemia) e, di conseguenza, piuttosto "blasfemi". Tale tematica ritorna anche ne Impossibile realtà, anche se declinata in modo più soft e con toni da commedia italiana stile "Amici miei" (o Pierino). La sua particolarità è di essere stata ispirata dalla lettera di un lettore... di Horror, testata cui Castelli collaborava negli anni '70.

    Martin Mystère presenta Il passato di Zona X
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    Per il terzo anno consecutivo (quinto in totale), Castelli si presenta a RiminiComix con un albetto, anche questa volta editorialmente semi-inedito. Dopo Il prigioniero del Titano, una storia vecchia di una vecchia serie trasformata in una storia nuova di un'altra serie, e La notte delle piade assassine, ristampa-preview dell'Integrale dell'Omino Bufo, Castelli riporta alla ribalta un altro tassello del suo passato: la rivista Horror, una delle prime collaborazioni della sua carriera e, assieme a Psyco, quella in cui iniziò a crescere professionalmente (prima di esplodere nel Corriere dei Ragazzi). Per la rivista, edita da Gino Sansoni, e alla quale collaborarono molti dei migliori fumettisti del tempo (compresi Bonvi e Buzzelli), Castelli scrisse sceneggiature orrorifiche di ogni tipologia, dall'adattamento letterario al racconto brevissimo in stile Fredric Brown. Il passato di Zona X ne ripresenta una manciatina, con l'aggiunta - oltre ai consueti introduzione,postfazione e frontespizio inediti - di una tavola inedita (+ un paio di irregolari "comparsate") con il BVZM. Le storie ristampate sono le seguenti: Giro di vite (Castelli/Di Gennaro, da Horror #7) è l'adattamento dell'omonimo (in italiano) racconto di Henry James. Armageddon (Castelli/Cimpellin, da Horror #6) è un flash di tre pagine che anticipa un episodio di Impossibile realtà, ristampato in Benvenuti in Zona X. Idem per L'importanza di essere Felice (Castelli/Tuis, da Horror #5). E' chiaro, dunque, il fine ultimo dell'albetto: pubblicizzare la ristampa di Zona X. Il migliore amico dell'uomo (Castelli/Rostagno, da Horror #1) completa lo spillato.

    A giugno la serie regolare di Dylan Dog sorpassa quella di Martin Mystère 334 a 333: data la differente periodicità, il distacco aumenta nei mesi successivi. A marzo, anche il Martin Mystère Special aveva ceduto il passo: la collana "fuoriserie" più longeva della Sergio Bonelli Editore era stata sorpassata dallo spin-off neveriano Agenzia Alfa, 31 a 30. A ottobre Agenzia Alfa si porterà a 32 e il quadrimestrale neveriano non sarà più raggiungibile dall'annuale mysterioso. Così, il MM Special #31, in edicola a luglio, è l'ultimo a potersi ancora definire in vetta alla classifica, seppure a parimerito e per pochi mesi. Ma l'albo è storico anche un per altro motivo: lo speciale estivo di Mystère era l'unico a conservare in tutti i sensi la foliazione originale di 132 pagine, ma da questo numero, per risparmiare i costi, l'albetto allegato Martin Mystère Presenta viene inglobato nell'albo principale, e l'insieme diventa così un "double book" dall'ampia foliazione. In realtà le pagine dei fumetti sono ripartite come prima, ma esteriormente termina un'era. A conti fatti, l'unico primato ancora detenuto dallo speciale estivo mysteriano è il conservare, appunto, lo 'slot' estivo. Voci mormorano che il parziale restyling che interesserà MM a partire dal 2015 prenderà piede proprio dallo Special... chissà se anche quest'ultimo cambiamento verrà apportato. Intanto, è evidente che se occorre tagliare dei costi, gli introiti non sono un granché. :(
    Martin Mystère Special #31: Martin contro Martin (Recagno/Torti)
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    Da sempre sostenitore degli Special estivi mysteriani (il mio nick non è casuale), dopo aver letto questo numero mi ritrovo a chiedere un cambio di rotta. La minestra è stata girata trenta volte, è stato bello finché è durato, ma dallo Special del 2013 è evidente che le variazioni sono esaurite. Laddove Il segno di Venere portava ad una svolta il personaggio di Angie, rivelando - finalmente - almeno una parte dell'origine degli aspetti più archetipici del personaggio-cardine dell'annuale estivo, Martin contro Martin prova a fare lo stesso per l'altro personaggio-cardine della serie, cioè il suo protagonista. Ma laddove Il segno di Venere titubava un po' troppo ed esaltava Angie solo alla fine, Martin contro Martin esagera e, più che esaltare la figura di Martin, finisce per incastrarla e forse banalizzarla. Può far sicuramente piacere che il giovane Martin incontri il Martin di oggi, ma considero quella storia di Get a Life! in cui il Martin di oggi incontrava quello del 1973 più riuscita dal punto di vista mytologico. In più ho trovato piuttosto esagerata e fine a sé stessa (almeno per ora) la rivelazione in merito alla discendenza di Chris Tower, che potrebbe risultare paralizzata dallo status che Recagno le cuce addosso (addirittura la [spoiler]personificazione del Tempo[/spoiler]). Troppa roba, e che peraltro salta fuori tutta insieme e all'improvviso (è giusto che sia la statuetta dello Special #23 il cardine della vicenda, ma non si capisce perché la sua evoluzione accada proprio ora). A parte tutto ciò, ho trovato la narrazione un po' noiosa, ma ho gradito le quadruple con la statuona.
    Martin Mystère Presenta #10: Slumberland - La materia di cui sono fatti i sogni (Castelli/Filippucci, Castelli/Alessandrini, Castelli/Orlandi, Recagno/Nisi)
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    L'ex allegato MM Presenta si presenta ora inglobato nell'albo principale e pubblicato a testa in giù. A parte questo, mantiene intatte le sue caratteristiche. Slumberland-La materia di cui sono fatti i sogni (Castelli/Filippucci) ha il classico cadenzamento delle storie brevi mysteriane firmate Castelli, e anche in questo caso connette l'elemento di fantasia (Little Nemo, di cui si celebra il centenario della chiusura) con la celebrazione di turno, la mitologia ("la materia di cui sono fatti i sogni") e la Storia (Freud). Il racconto ospita al suo interno tre diverse declinazioni dell'argomento "sogno". La prima è quella fantascientifica, rappresentata in Dreamtravel (Castelli/Alessandrini), racconto breve del 1989 qui ristampato con una lievissima modifica nel finale, scritto da un Castelli in stato di grazia (tant'é che riciclerà il plot per una storia della serie regolare) e disegnato da un Alessandrini quanto mai divino. Alterjinga - Il Mondo del Sogno (Castelli/Orlandi) riporta - finalmente - sul fumetto ufficiale il buon, vecchio Kunanjun, "fratello di sogno" di MM che non si vedeva dal '95 e che era stato ripreso soltanto nel 2012 dal fandom in Get a Life!. E' indubbiamente la storia più mitologica del numero. Il giardino delle delizie (Recagno/Nisi) permette a Nisi di debuttare in Bonelli dandogli la possibilità di sfogarsi in una storia surrealista e zeppa di creature d'ogni tipo, condita da un lieve umorismo e da un piccolo rimando al primo team-up con Dylan dog.

    Martin Mystère #334: I predatori della foresta sacra (Morales/Alessandrini)
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    Ritorna lo scomparso Morales, con una storia appartenente al suo filone migliore, quello in cui, oltre alle solite superficialonate e ai personaggi fuori character, è presente una visione "naturista" e naturale dell'umanità, della vita, dell'universo e di tutto quanto. Alessandrini, che di doti paesaggistiche ne ha ancora qualcuna da vendere, illustra con efficacia le sequenze più suggestive. Appassionante la battaglia finale, che in realtà non è nemmeno classificabile come 'poco mysteriosa', perché il miglior MM è quello che indaga anche sul senso della vita (basti pensare all'inarrivabile Nostra Terra dei mysteri). A farmi gradire l'albo ha contribuito molto anche la rubrica finale di Castelli, di cui questo è addirittura l'episodio che ho apprezzato di più da quando la testata è diventata bimestrale. Nota finale: non posso confermare né smentire, dato che non ho letto il libro, la presunta "ispirazione" di Morales dal romanzo Il concilio di pietra di Jean-Cristophe Grangè, suggerita da un utente su Agarthi forum.

    Storie da Altrove #17: Coloro che vivono di morte (Recagno/Sforza-Romanini)
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    Dopo un Morales mysteriosamente mysterioso, ci si aspetta un Recagno mysterioso il doppio. E invece arriva quel Recagno che ormai fa solo Doctor Who e Sherlock. Coloro che vivono di morte è un episodio che di per sé ci sta: non è detto che ogni caso di cui Altrove si è occupata dal 1776 a oggi debba per forza essere apocalittico. Tuttavia, anche (soprattutto?) a causa del taglio della foliazione (SdA è un'altra vittima del contenimento dei costi), ben 32 pagine, la cospirazione di turno risulta essere eccessivamente campata in aria e fredda. Poteva essere riscritto il segmento incentrato sulla missione filler di Olimpia (a proposito: ma contiene rimandi a qualche fumetto dimenticato?), ma forse anche questo non avrebbe consentito a Recagno di fornire alle creature del titolo dei moventi più approfonditi di "siamo il Piccolo Popolo, noi facciam così".
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    Ottimo lavoro.
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